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Autore: postergirl84    13/01/2013    17 recensioni
STORIA SECONDA CLASSIFICATA LA CONTEST The Original's Family Contest di xXx Veleno Ipnotico xXx
Il 17 luglio 1918 è la data che segna la fine della dinastia Romanov.
Uno dopo l’altro, in quella notte tragica, i componenti della famiglia imperiale furono uccisi e i loro corpi dati alle fiamme. Ma quando i resti vennero ritrovati due corpi risultarono mancanti: quello del piccolo Alessio, figlio minore dell’imperatore e di una delle figlie: Anastasia.
È così che la storia dei Romanov finisce ed inizia la leggenda.
E che ruolo avrà Klaus in tutto questo?
Come la sua vita si è intrecciata con quella della piccola Anastasia?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Klaus, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il 15 Marzo 1917, a causa del sempre più crescente malcontento popolare, lo Zar di Russia Nicola II fu costretto ad abdicare, favorendo così la nascita di un governo provvisorio.
Fra le prime decisione del nuovo governo ci fu quella di imprigionare lo Zar e la sua famiglia. Nicola, sua moglie e i loro cinque figli vennero così esiliati nella reggia di Tobolsk. Per oltre un anno la loro condizione di prigionia risultò tuttavia mite o comunque sopportabile. Le cose cambiarono, però, drasticamente con la presa di potere di Lenin. Nella primavera del 1918, i Leninisti, giudicata Tobolsk troppo esposta ad un colpo di mano delle forze antisovietiche, assegnarono una nuova residenza ai prigionieri: Ekaterinburg, sulle falde orientali degli Urali Metalliferi, quasi al confine tra la Russia europea e la Siberia,
La famiglia imperiale venne rinchiusa in un modesto edificio requisito a un anonimo commerciante, un certo Ipatief, e fu lì che, a poco a poco, il confino imperiale assunse i tratti più cupi della prigionia, fino alla notte fra il 16 e il 17 luglio 1918. Notte che segnò la tragica fine dei Romanov.
L’eccidio ancora oggi rimane avvolto nel mistero. Secondo la ricostruzione storica più aggredita, un manipolo di soldati, guidati dal generale Jurovskij, svegliò i prigionieri in piena notte e li costrinse a scendere in cantina e lì, dopo aver letto loro un sommario capo d’accusa, iniziò a sparare.
Uno dopo l’altro tutti  i componenti della famiglia imperiale caddero a terrà ed infine i loro corpi furono dati alle fiamme. Ma quando i resti vennero ritrovati due corpi risultarono mancanti: quello del piccolo Alessio, figlio minore dell’imperatore e di una delle figlie, forse Anastasia.
È così che la storia dei Romanov finisce ed inizia la leggenda.

 

 

 

 

 

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ROSA NERA

Ekaterinburg, 30 Aprile 1918

Amore mio,
infine il giorno è giunto.
Lenin stesso ha firmato l’ordine con cui la mia famiglia deve essere traferita. Di nuovo.
È la terza destinazione per noi e questa volta, lo sento, non sarà come le altre.
Io, Olga e Tatiana, insieme alla poca servitù a cui è stato concesso di restarci accanto, siamo giunte con il treno ad Ekaterinburg da Tobolsk stamattina. C'era molta gente ad aspettarci. Contadini e operai delle vicine miniere. Ci odiano, forse ci vogliono morti. Come posso dar loro torto? Non siamo forse noi, ai loro occhi, la causa di tutto?
Il disgelo è iniziato e il fango ricopre tutto il terreno. Ho visto il fango sui miei vestiti per la prima volta ed ho paura.
Tu lo sapevi che sarebbe finita così? È da questo che mi volevi salvare quando quella notte mi proponesti di fuggire?
Solo adesso lo capisco davvero, adesso che ho paura riesco a capire cosa i tuoi occhi mi urlavano in quella notte d'inverno.
Ma non ho cambiato idea, sono una principessa imperiale. Una granduchessa di Russia ed il mio posto è con la mia famiglia dovunque essa vada, incontro a qualunque cosa il destino ci riservi.
Non chiedere una vita più facile, chiedi di essere una persona più forte. È questo che una volta lessi in un libro della biblioteca imperiale. E questo quello che devo fare ora.
Ti amo, amore mio. Ora e per sempre.
Tua Anastasia.

 

La penna stilografica perse un po’ d’inchiostro. Anastasia guardò la piccola macchia nera e si morse le labbra. Non era mai stata brava. Il suo precettore l’aveva sgridata innumerevoli volte, la sua calligrafia non si addiceva a quella di una giovane del suo rango, ma ormai non aveva più importanza. Quella lettera non l’avrebbe letta nessuno, nemmeno lui. Ripiegò il foglio in quattro e lo nascose nel corsetto all'altezza del cuore. Il posto più sicuro che conoscesse, il posto dove anche lui sarebbe rimasto.
Si alzò dalla piccola scrivania e raggiunse sua sorella Maria, già sdraiata sul pavimento. Non avevano letti a sufficienza per tutti nella Dom Ipativ. Ai suoi genitori e a suo fratello Alessio era stata assegnata l’unica stanza non occupata dalle guardie, ad Anastasia e alle sue tre sorelle era rimasto solo il pavimento.
“Hai scritto a lui?”
La voce di Maria giunse soffocata dalle coperte. Anastasia sospirò e si sdraiò vicino a lei, cercando riparo dal freddo contro il corpo della sorella maggiore. Lo avrebbe voluto avere vicino…
“Sì.”
“Dovresti solo dimenticare, Malenkaya.”*
“Smettila di chiamarmi così, non sono più una bambina.”
“Hai ragione, sei una donna e una principessa imperiale e come tale devi comportarti. Lui è andato via. Ha capito prima di noi, prima di nostro padre, quello che ci attendeva ed ha preferito tirarsene fuori.”
Anastasia chiuse gli occhi e non replicò. Cosa poteva dirle? Solo lei conosceva la verità su di lui, la verità su quel ragazzo dagli occhi blu e l’accento straniero che era entrato a corte spacciandosi per un nobile prussiano. Maria sapeva solo una parte della storia, quella che lei le aveva raccontato, una bugia ben ricamata come una tela.
La stessa che lui aveva provato a raccontare anche a lei. La stessa tela che lei, invece, aveva disfatto giorno dopo giorno, fino a giungere al suo cuore.
Sentiva i passi delle guardie rimbombare per la casa. Prigioniera. Adesso era solo quello. Non una duchessa, non una figlia di Russia, non una Romanov, era solo prigioniera. E lui non c’era. Fuggito dalla rivoluzione, da una Russia in rovina, forse dall’Europa ma in fondo non poteva dargli torto, quella non era la sua guerra.
Lui aveva l’eternità e l’avrebbe vissuta. Anastasia si chiese se l’avrebbe pensata o se sarebbe divenuta solo un altro ricordo sbiadito nella sua lunga esistenza, come già altre prima di lei. La gelosia le provocò una fitta alla bocca dello stomaco, ma cercò di ignorarla, scivolando pian piano nel sonno.

 

Ekaterinburg, 18 maggio 1918

Amore mio,
sto già perdendo il conto di questi giorni di prigionia, se non ci fossero queste lettere probabilmente lascerei perdere. Lascerei che lo scorrere del tempo perdesse importanza e mi farei annientare da quello che mi circonda. Ma no, non succederà, io so chi sono e lo sai tu.
Una volta mi dicesti che ero io quella che avevi sempre cercato. Una rosa all’apparenza delicata, ma che protegge se stessa con spine acuminate. Una rosa nera. Come quella che avevi trovato durante un tuo viaggio nel 1300 e di cui avevi fatto conservare i petali con un incantesimo, una rosa unica e speciale.
Ci ho ripensato oggi, al nostro primo bacio nel roseto del giardino imperiale. Ci ho ripensato mentre le guardie ridevano di noi. Dello Zar e della sua famiglia vestiti da contadini e costretti a coltivare la terra, loro ridevano ed io rivivevo tutto.
Ma se mi vedessi ora, amore mio, mi chiameresti ancora la tua rosa nera? Senza abiti di seta, con le mani piene di graffi, il volto arrossato dal sole. Saresti capace di amarmi anche adesso?
Probabilmente sì.
Ho imparato a conoscerti. L’ira ti coglie facilmente e ti scagli contro i tuoi fratelli, contro i tuoi servitori, ma non sei volubile.
Quel giorno mi punsi con una spina e tu succhiasti via il mio sangue prima di baciarmi.
Assaporai il mio sangue insieme a te ed iniziai a capire.
Non eri quello che facevi credere di essere, un uomo, un nobile, un figlio dell’impero.
Eri tutti ed eri nessuno. Eri la mia vita e la morte. Eri l’amore puro e la passione. Eri tutto e l’opposto di tutto. Eri il bene per me, ma il male per altri.
E noi non siamo forse lo stesso? Non abbiamo ricercato il bene del popolo portando infine miseria? Mio padre, lo Zar, è un padre buono e un tiranno. Ma tu me l’hai insegnato, amore mio, il bene senza male non esiste e le sfumature sono quelle che rendono la vita degna di essere vissuta o nel tuo caso l’eternità.
E ora che sono prigioniera mi chiedo, ho fatto bene a rifiutare la tua eternità?
Non so la risposta e forse non ha più importanza.
Ti amo, amore mio. Ora e per sempre .
Tua Anastasia.

 

Richiuse la lettera e la nascose insieme alle altre, cercò di sistemarsi la gonna di lana grezza e si incamminò lungo il corridoio. La casa non possedeva bagni, bisognava uscire fuori per usare una latrina comune e i soldati non aspettavano altro che vedere passare le gran duchesse di Russia in processione, silenziose ed umiliate.
Anastasia alzò il mento e camminò con passo sicuro davanti ai guardiani armati.
Le rivolgevano parole pesanti, insulti e insinuazioni riprovevoli, ma lei continuava a camminare.
Non l’avrebbero vista piangere, nessuno l’aveva mai vista piangere tranne lui. E lui sarebbe rimasto il solo. Come era stato il solo a baciarla, a toccare il suo corpo, a farla sentire donna e non più la piccola Malenkaya.
Arrivò in cortile insieme alle sue sorelle e vide suo padre, seguito a vista da una guardia, riempire una cariola con la legna che aveva appena spaccato. Suo padre, lo Zar di Russia che spaccava la legna.
Lui glielo aveva detto che tutti i regni prima o poi finiscono, ne era stato testimone, glielo aveva detto mentre erano stesi in una stanza del Palazzo d'Inverno fra lenzuola di seta, glielo aveva detto mentre erano ancora nudi e le baciava i capelli. Le aveva detto che sarebbe arrivata la fine e che lui avrebbe potuto salvarla, le aveva offerto una via di fuga, ma lei, una figlia di Russia, non gli aveva creduto. L’aveva zittito con un bacio e avevano ripreso a fare l’amore.

 

 

Ekaterinburg, 20 giugno 1918

Amore mio,
sono successe così tante cose in queste ultime settimane ed io ho sempre più paura.
Mio padre è fiducioso e mi è stato insegnato che non devo mai dubitare di lui ma come posso? Non sei tu che, invece, mi hai insegnato a guardare oltre? A leggere fra le righe? A capire le sfaccettature del male e come esso si muove? Ti ho visto farlo con le tue vittime. Ti ho visto mentre le seducevi, le soggiogavi al tuo volere e ti servivi di loro, ti ho visto uccidere quella notte e non ho avuto paura. Non ho avuto paura della tua vera natura ma ho paura adesso. Non avevo paura di te, un figlio della notte, ma ho paura di questa rivoluzione, di questa guerra di uomini.
Non ho avuto paura di te perché ti conoscevo, sei il male, amore mio? Non l’ho mai pensato e quante volte mi hai urlato contro, mi hai stretto le braccia troppo forte per farmi capire che tu eri quello e che io non potevo cambiarti. Ma io non ho mai voluto cambiarti, amore mio, non ho mai voluto altro che te, nel bene e nel male. Non ho mai voluto altro che le tue labbra sporche di sangue ed il tuo cuore ferito, non ho mai voluto altro che la tua solitudine e la tua rabbia. Non ho mai voluto altro che i segni delle tue dita sulla mia carne e nella mia anima. Non volevo il male, ma anche quello era parte della tua esistenza.
Sono stata una sciocca? Me lo ripetevi in continuazione, andavi via e passavo giorni senza tue notizie e poi tornavi, entravi nella mia stanza soggiogando i servi, ti inginocchiavi al mio letto e mi sussurravi che stavo sbagliando, che era tutta colpa mia, che ero solo una ragazzina che giocava a fare la donna, che non capivo niente della vita ma poi mi baciavi, mi abbracciavi iniziando a spogliarmi e cedevi. O forse ero io a farlo perché mi amavi ed io amavo te. Io e te, non un nome, non una convenzione sociale, uomo e donna. Io e te.
Non c’è male nell’amore.
Ma questo che mi circonda ora non è amore ed allora il male lo vedo. Lo vedo nel nuovo capo delle guardie. Lo vedo nelle nuove regole imposte alla casa. Lo vedo nelle lettere esterne che ci fanno ricevere. Vedo il loro specchio per allodole in cui mio padre è cascato. Lo vedo perché tu mi hai insegnato a vedere. Non sono più cieca da quando ti conosco, amore mio, ma vorrei esserlo ancora per annientare la paura, per illudermi che questi piccoli miglioramenti non ci conducano alla fine. Ci sto correndo verso quella fine, lo so, ma non posso evitarlo come non avrei mai potuto evitare di innamorarmi di te. E allora sono felice perché, se la fine ha sempre un inizio, tu sei stato il mio.
Ti amo, amore mio. Ora e per sempre.
Tua Anastasia.

Un'altra lettera che non sarebbe mai riuscita a spedire, un altro pezzo di carta da nascondere. Anastasia uscì dalla stanza, l’intera famiglia era seduta al tavolo da pranzo. Erano soli, stranamente, non succedeva quasi mai e suo padre stringeva fra le mani un foglio. Alzò il viso e lei incontrò i suoi occhi. Suo padre le sorrise, sapeva di essere sempre stata la sua preferita. Anastasia vide allora, sul volto di suo padre, Zar deposto di Russia, la speranza. Si avvicinò e prese posto accanto a lui.
“Possiamo farcela, Malenkaya. Ci vengono a liberare. Hanno un piano.”
Il cuore di Anastasia tremò, la speranza era l’ultima cosa che il male ti faceva credere d’avere.

 

Ekaterinburg, 16 luglio 1918

Amore mio,
oggi è stata una giornata strana o forse sono solo io che sto diventando pazza.
Mi manchi così tanto, sono passati tre mesi, non siamo mai stati lontani così a lungo e sento che questa è la mia vera morte, questa è la mia vera prigione, lontana da te.
Mi manchi, mi manchi, mi manchi. E sono stanca di fingere che non sia vero. Ho diciassette anni, sono innamorata e mi manchi. Non sono una principessa, non sono una prigioniera, sono solo innamorata di te e mi manchi. E vorrei dirlo a Maria, a Olga e Tatiana. Vorrei dir loro che ho amato, che non sono una bambina, che so cosa vuol dire addormentarsi stretta al corpo di un uomo, che so cosa vuol dire sentire le sue mani sopra di me, che so cosa vuol dire perdere il respiro per un bacio. Che so cosa vuol dire graffiare la tua carne sperando di lasciarti i segni sulla schiena. Che so cosa vuole dire la gelosia che non ti fa dormire la notte.
Dove sei, amore mio? Sono stata io a cacciarti e vorrei che non mi avessi ascoltata. Ho rifiutato il tuo sangue, la tua vita eterna e ti ho guardato allontanarti. Ti ho sentito baciarmi e affondare i canini nel mio collo, ma il tuo marchio è andato via troppo presto. Sono stata io a mandarti via, a rivestirmi e a mettere la parola fine ad una storia che mi avrebbe distrutta. Che sciocca sono stata, tu non mi avresti distrutta. Tu mi hai dato tutto quello che una donna poteva avere. Tu mi hai dato te stesso ed io ti ho donato altrettanto. Ma sono stata codarda, non ho avuto il coraggio di andare fino in fondo ed ora… mi manchi.
E qua e adesso sta succedendo quello che temevo: le guardie non ci hanno guardato in faccia per tutto il giorno, bisbigliano e si agitano al nostro passaggio ed il mio cuore lo sa. È arrivata la fine, amore mio.
Vorrei averti qua, vorrei perdermi dentro di te, fare l’amore fino a quando fa male ed annullare così la paura di tutto il resto, ma tu mi hai ascoltato, sei andato via e ora resto sola e… mi manchi.
Ti amo, amore mio. Ora e per sempre.
Tua Anastasia.

 

Anastasia ricontò le lettere, ne aveva scritte quarantaquattro. Tutte senza indirizzo ma solo un nome sulla busta bianca: Niklaus.
Nascose anche quella nel corpetto del vestito, al cui interno erano già stati cuciti i gioielli di famiglia e si distese per dormire. Verso l’una di notte venne svegliata dalle guardie, urlarono ordini e nel caos generale che ne seguii riuscì a capire solo che dovevano essere trasferiti un'altra volta e che avrebbero passato il resto della notte nel seminterrato.
Anastasia guardò le sorelle alzarsi e le segui. Aveva freddo ma non disse niente, non si lamentò come le era stato insegnato a fare.
Entrò per prima nel seminterrato e vide suo padre arrivare con in braccio il piccolo Alessio, il suo fragile e delicato fratellino. Lo amava così tanto.
Poi arrivarono le guardie, ordinarono loro di sedersi ed Anastasia si morse la lingua per non urlare. Sentì il sangue nella sua bocca, si ricordò di lui ed in qualche maniera riuscì ad esserle di conforto.
La guardia davanti a tutte le altre estrasse un foglio ed iniziò a leggere.
“Considerato il fatto che i vostri parenti continuano l'offensiva contro la Russia Sovietica, il Comitato Esecutivo degli Urali ha deciso di giustiziarvi.”
Sua madre urlò nello stesso istante in cui le baionette vennero estratte dai foderi.
Anastasia sentì i colpi, ne riuscì a contare sei e poi cadde a terra.
Sentiva il sangue bagnarle i vestiti, sentì altre urla e prima di chiudere gli occhi lo vide. Il suo volto.
La porta del seminterrato venne scagliata via, colpì un soldato e quello cadde a terra.
Le altre guardie si girarono ed iniziarono a sparare ma i proiettili non avevano effetto su di lui. In meno di dieci minuti tutti i soldati erano morti.
Anastasia sbattè le palpebre , il dolore era insopportabile ma lui si inginocchiò accanto a lei prendendole la testa.
“Sei viva”, continuava a ripeterlo mentre si tagliava il polso e lo avvicinava alla bocca di lei. “Bevi, amore mio, andrà tutto bene.”
“Klaus.”
“Shhh. Non parlare, amore, andrà tutto bene.”
“Ti… amo.”
“Bevi.”
Anastasia scosse la testa, i gioielli nel suo corpetto l’avevano protetta da alcuni colpi prolungando la sua agonia, ma ormai era troppo tardi. Il cuore si stava già fermando ed il sangue di Klaus non sarebbe mai entrato in circolo in tempo per salvarla.
Anastasia lo guardò e sorrise. “Chi è davvero malvagio non si fa amare come hai fatto tu.”
“Forse”, disse lui sfiorandole piano le labbra.
“Solo forse?”
“Con te ho scoperto che nella malvagità più oscura ci può essere un bagliore di luce. Tu l'hai visto. E con i tuoi occhi l'ho visto anch'io. Ti amo, Anastasia.”
Non glielo aveva mai detto. Lo sapeva, ma sentirlo, vederlo mentre pronunciava quelle parole…non era mai accaduto. Chiuse gli occhi, la morte non faceva paura. Non più.
Quando Elajia e Rebekah lo raggiunsero lo aiutarono a ripulire, presero il corpo di Anastasia e lo bruciarono in una foresta a qualche chilometro di distanza.
Klaus disegnò una croce su di un tronco d’albero, vi depose la rosa nera che aveva conservato per secoli e pianse.
Era stata commessa una strage quella notte e Klaus aveva pianto per la prima e unica volta nella sua lunga esistenza.

 

2011

Di Anastasia non gli restarono altro che le lettere che lei gli aveva scritto ed una manciata di gioielli. E ora uno di quei gioielli era al polso di Caroline. Klaus la guardava ballare, ed Elajia gli si avvicinò.
“Ero sicuro che la doppelganger non fosse l’unico tuo motivo di interesse qui a Mistic Falls.”
“Non capisco di cosa parli , fratello,” rispose Klaus bevendo un sorso di vino.
“Non è ovvio, della piccola Zarina di Russia. Il tuo vero amore.” Anche Rebekah si era avvicinata ed ora guardava Caroline con un sorriso ironico. “C’è da lavorare sul portamento, ma per il resto può andare”, disse ancora prima di allontanarsi.
Elajia strinse una mano sulla spalla del fratello. “Vorrei solo che ricordassi che non è lei.”
“Non serve che me lo ricordi, fratello. Nessuna sarà mai come lei.”

 

 

*In russo vuol dire la più piccola. Essendo Anastasia la minore delle figlie dello Zar era questo il suo soprannome.

 

 

Angolino autrice.

 

Questa storia è stata scritta per il contest The Original's Family Contest (The Vampire Diaries) piazzandosi seconda e vincendo inoltre il premio idea.
È una storia diversa da quelle che sono abituata a scrivere, è una storia che ha rappresentato una bella sfida ma della quale sono particolarmente orgogliosa.
Klaus e la sua lunga vita, Klaus deve aver avuto, nei corsi dei secoli, qualche grande amore che l’ha segnato. Questo è quello che ho immaginato.
Grazie mille a Ania per il banner.
E ancora grazie alla giudica per il bellissimo giudizio.
Alla prossima storia
Con affetto
Noemi

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