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Autore: gemini    24/07/2004    4 recensioni
Patricia è morta. Ma nessuno a Villa Hutton, tantomeno il marito Oliver, sembra averla dimenticata. E' un brutto colpo per Kathleen, la nuova signora Hutton, giunta nella sua nuova casa piena di amore e di speranza. Dovrà invece affrontare una vita piena di difficoltà e di intrighi...una vita in cui avrà una parte importante anche il misterioso cameriere sudamericano Carlos...fino ad un'imprevedibile ed inaspettata scoperta...
Genere: Dark, Drammatico, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlos Santana, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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PATRICIA, LA PRIMA MOGLIE

PATRICIA, LA PRIMA MOGLIE

 

Ringrazio infinitamente Betty, Scandros e Kla87, che hanno recensito il mio primo capitolo. Grazie di tutto cuore, ragazze! Continuate a seguirmi!

 

CAPITOLO SECONDO

 

Scesi dalla macchina subito dopo mio marito, cercando di controllare il tremito delle mie gambe. Inspirai profondamente. La casa era bellissima, stupenda, ancora più splendida di quel che avessi immaginato, ma non riuscii a gustarmela come avrei voluto, perché la bella immagine di fronte a me era guastata dalla presenza di tutta quella schiera di persone che attendevano il nostro arrivo disposti ordinatamente in fila in cima alla scalinata di pietra. I domestici di Villa Hutton, immaginai, e mi umettai nervosa le labbra, sperando di riuscire a fare una buona impressione. Dentro di me, sentivo che tutti mi avrebbero paragonato alla scomparsa Patricia, e che mai avrei potuto reggere il confronto…ma volevo comunque fare una figura dignitosa.

Mentre salivo la scalinata di pietra al braccio di Oliver, sentendomi addosso gli sguardi di tutte quelle persone, li passai velocemente in rassegna. L’uomo alto, magro e piuttosto anziano, impeccabilmente vestito di grigio, doveva essere il maggiordomo…e il ragazzo accanto a lui, con un cappello piuttosto malconcio in testa, un grembiule macchiato di verde ed un paio di cesoie in mano era sicuramente il giardiniere.

Ma chi mi colpì più di tutti fu lei…forse perché fin dalla prima occhiata avvertii che ella mi fissava con un’ostilità che sconfinava nell’odio profondo, e sentii un brivido gelido serpeggiarmi lungo la schiena.

Era ritta come una statua di fronte a tutti. Una donna piccola e magra, con una crocchia di capelli grigi raccolti sulla sommità della nuca ed un’espressione piuttosto severa. Pallida come una morta, era completamente vestita di nero e l’unica nota di vita erano gli occhi scuri, scintillanti, penetranti…occhi animati da una fiammella di rancore che mi fece mancare il fiato per un istante.

-Bentornato, signore-, disse la donna, facendo un breve inchino in direzione di Oliver, che ricambiò il suo saluto con un freddo e cortese cenno del capo.

Ero aggrappata al suo braccio con tutte le mie forze e cominciavo a sudare freddo. Non ero abituata ad avere a che fare con tutte quelle persone, non ero abituata ad essere una padrona di casa e mi sentivo completamente a disagio. Avrei preferito mille volte conoscerli uno alla volta, affrontare le cose per gradi, ma non era stato possibile. Lanciai un’occhiata disperata a mio marito ed egli, comprendendo il mio smarrimento, tentò di rassicurarmi con un’occhiata.

-E’ stata un’idea vostra, signora Martin?-, domandò Oliver con voce gelida, accennando vagamente con una mano a tutto lo schieramento di servitori.

La donna annuì con aria compita. –Eravamo tutti ansiosi di accogliere il nostro signore di ritorno dal suo lungo viaggio…e di conoscere la nuova signora Hutton-, rispose con una voce piatta ed atona, e poi mi squadrò con una lunga occhiata. Mi sentii raggelare, come se venissi trapassata da quegli occhi di ghiaccio.

Mio marito sospirò. –Ormai è fatta. Questa è Kathleen Hutton, mia moglie-, mi presentò semplicemente, invitandomi a fare un passo in avanti.

Abbozzai un sorriso, sentendomi spaurita come una scolaretta al suo primo giorno di lezioni. Non stavo facendo una gran figura, me ne rendevo conto, ma ero talmente imbarazzata e timorosa che non sarei riuscita ad essere brillante nemmeno sforzandomi. Del resto, non era mai stato nel mio carattere essere particolarmente brillante. Con i miei genitori avevo condotto una vita molto modesta, del tutto priva di occasioni mondane, e alle feste della zia Audrey ricoprivo il ruolo di istitutrice di Elizabeth, quindi non mi era richiesta chissà quale presenza di spirito.

La donna vestita di nero si fece avanti e mi tese una mano. La sua stretta era fredda e viscida come il tocco di un serpente. –Io sono la signora Martin, la governante. Le do il benvenuto a Villa Hutton a nome di tutta la servitù, signora-, mi disse. La sua voce era gentile, ma riuscivo a percepire l’ostilità che era nascosta dietro la sua apparente cortesia.

Cercai di convincermi che era solo frutto della mia immaginazione e le sorrisi nel modo più spontaneo che mi riuscì. –La ringrazio, signora Martin. Spero che potrò contare sulla sua preziosa collaborazione in questi primi giorni qua, finché non mi sarò ambientata-.

La signora Martin mi scoccò un’altra occhiata penetrante. Era evidente che non le ero piaciuta, ma aveva troppo rispetto di mio marito per farlo capire. –Ma certo, signora. Sono qui per servirla-, rispose glaciale, e rivoltomi un altro breve inchino indietreggiò per riunirsi alla fila dei domestici.

Mio marito mi presentò brevemente gli altri membri della servitù: Frank, l’anziano maggiordomo, un uomo talmente compito da sembrarmi finto; l’altezzosa Daniela, la cameriera capo; Jason, il giardiniere, l’unico che accompagnò la stretta di mano ad un sorriso franco e sincero, che mi colpì positivamente; Leonard, il garzone, e via via tutti gli altri.

Cercai di sorridere e di riuscire simpatica a tutti, consapevole del fatto che gli occhi neri e freddi della signora Martin continuavano ad essere fissi su di me, e alla fine quello sforzo mi lasciò completamente stremata. Quando finalmente entrammo in casa, Oliver si recò in biblioteca per controllare la corrispondenza arretrata, e mi disse di seguire la signora Martin che mi avrebbe accompagnata nella mia stanza. Sebbene la prospettiva di restare da sola con quella donna mi atterrisse, cercai di mostrarmi forte e obbedii docilmente. Salii le scale in silenzio dietro alla signora Martin, che camminava con passo spedito e sicuro, sentendomi più una nuova cameriera assunta in prova nella grande casa che la moglie del padrone. Di nuovo, mi assalii il timore di essere del tutto inadeguata per quel ruolo, e mi tornarono alla mente, colpendomi come tante frecce acuminate, le parole della zia Audrey. Non aveva avuto tutti i torti nel dire che io e Oliver provenivamo da due mondi completamente diversi, e forse ero una sciocca ad illudermi che l’amore potesse sopperire a molte mancanze.

Fu con grande meraviglia che misi piede per la prima volta in quella che sarebbe stata la mia stanza. Era la camera più grande che avessi mai visto in vita mia, persino più grande della suite in cui avevo alloggiato in Normandia insieme alla cugina Elizabeth. Le pareti erano dipinte di un tenue color azzurrino che mi piacque subito moltissimo, al centro della stanza troneggiava un grande letto matrimoniale ricoperto di una stupenda trapunta ricamata dello stesso colore delle pareti, l’arredamento era completato da un grande armadio bianco, da una cassettiera con sopra un grande specchio e da un piccolo scrittoio. Accanto allo scrittoio, si apriva una grande finestra che dava sul meraviglioso parco di Villa Hutton e che offriva una splendida vista sul lussureggiante giardino, sugli alberi da frutto, sui magnifici cespugli fioriti. Mi guardai attorno entusiasta, come una bambina che sia entrata per la prima volta in un castello come quelli delle favole.

-E’ meravigliosa-, mormorai estasiata, e certo in quel momento i miei occhi stavano scintillando di felicità. La signora Martin, immobile sulla porta, continuava a guardarmi con la sua espressione rigida e impassibile.

-Sono contenta che sia di vostro gusto, signora. Sapete, queste stanze dell’ala orientale sono state rimesse a posto da poco. Nessuno aveva mai abitato in quest’ala della villa prima di oggi-, disse con la sua solita voce inespressiva. Mi parve di cogliere però una sorta di lampo di sfida nei suoi gelidi occhi scuri.

-Oh, mi dispiace allora che vi siate dati tutto questo disturbo. Sarei stata benissimo anche nell’ala occidentale-, risposi, continuando ad ammirare con lo sguardo la mia nuova, magnifica stanza, così simile a quella di una principessa.

-E’ stato il signor Hutton ad ordinare espressamente di preparare questa stanza per voi. Egli dormirà nella stanza accanto, come vedete lì c’è una porta comunicante. Anche quella camera è stata messa a nuovo recentemente-, continuò la signora Martin, accennando ad una piccola porta a fianco dell’armadio.

-Quindi non è la sua stanza consueta?-, domandai incuriosita, sentendomi oltremodo lusingata dal fatto che mio marito avesse fatto rimettere a nuovo addirittura un’ala della villa appositamente per me.

La donna mi squadrò con occhi di ghiaccio. C’era perfidia in quegli occhi, pensai, mentre il mio corpo si irrigidiva mio malgrado. –Egli non ha mai alloggiato nell’ala orientale prima d’ora. Le stanze di quest’ala sono le più piccole della Villa. Questa stanza, ad esempio, è la metà della camera da letto dell’ala occidentale. La più bella stanza di tutta la casa.-, rispose.

Avvertii una punta di disagio a queste parole, e per scrollarmi di dosso questa brutta sensazione spalancai la finestra e mi affacciai ad ammirare il panorama, rimanendo incantata dalla bellezza dell’immenso giardino di Villa Hutton, con i suoi tanti fiori di mille colori diversi. –C’è un bellissimo panorama, qua…peccato che non si veda il mare. Da quest’ala della casa non si direbbe affatto che siamo così vicini al mare, non trova?-, dissi in tono allegro.

La signora Martin non batté ciglio. –Il mare è piuttosto lontano da questa parte della Villa. Le stanze dell’ala occidentale invece sono proprio a picco sulla scogliera. Dalla stanza da letto dell’ala occidentale di cui le parlavo si vede solo il mare, nient’altro che il mare. Sapete-, e fece una piccola pausa, guardandomi quasi con cattiveria, -quella era la stanza della signora Patricia-.

Mi sentii raggelare. Quella donna voleva umiliarmi, era evidente. Patricia aveva vissuto nella stanza più bella di tutta la casa, quella con la vista sul mare, la più grande, con gli arredamenti più sontuosi. Io le ero evidentemente inferiore, per questo mi era stata assegnata una camera più piccola e meno elegante, nell’ala più remota della Villa. Era riuscita a stemperare con poche parole tutto l’entusiasmo che la vista di quella magnifica camera aveva suscitato dentro di me. Per un istante provai un fiotto d’odio profondo per la signora Martin, certa che dietro quell’espressione apparentemente impassibile stesse covando una profonda soddisfazione.

Cercai di riassumere un contegno. –Vi ringrazio, signora Martin. Siete stata profondamente gentile a condurmi fino alla mia stanza, e la camera mi piace moltissimo. Ora potete andare, non voglio disturbarvi oltre-, le dissi in tono freddamente cortese.

-Come volete. Daniela sistemerà le vostre cose e si prenderà cura di voi fino a quando non sarà arrivata la vostra cameriera-, ribatté la signora Martin, austera.

Arrossii. –Non ho una cameriera…ma sono sicura che Daniela, se è pratica della casa, saprà servirmi benissimo-, risposi, cercando di nascondere la mia vergogna.

La vecchia governante mi fissò dubbiosa, con evidente disprezzo. –Non so per quanto si potrà andare avanti così…una signora del vostro rango non può non disporre di una cameriera personale-, disse, in tono profondamente critico.

Il mio volto divenne ancor più rosso e caldo. –Se credete allora, potreste provvedere voi, signora Martin…qualche ragazza giovane, che abbia voglia di imparare…-, balbettai quasi, sentendomi la creatura più meschina di questo mondo. Ero consapevole di aver fatto davvero una magra figura agli occhi di quella donna.

-Come volete voi, signora-, rispose la signora Martin, e dopo avermi rivolto un breve inchino se ne andò, con la sua andatura curva e triste. Mi domandai quale fosse la ragione dell’ostilità che palesemente nutriva nei miei confronti. D’accordo, aveva sicuramente notato che ero alquanto inesperta come padrona di casa, che ero una persona molto modesta…ma perché detestarmi a quel modo? Non riuscivo proprio a capire.

Comunque, dopo essermi cambiata e rinfrescata, scesi in salotto, dove mi aspettava mio marito. Anche Oliver si era cambiato, e pareva perfettamente a suo agio disteso comodamente sul divano, con un bicchiere di brandy in mano. Mi domandò di sedermi insieme a lui, e presi posto su di una poltrona con aria timorosa, sentendomi per l’ennesima volta in quella lunga giornata un’ospite in una casa che non mi apparteneva affatto.

-Ti piace la tua stanza?-, domandò, guardandomi con affettuosa benevolenza.

Annuii, mentre il mio sguardo si illuminava. –Oh certo. È veramente stupenda…ma non dovevi disturbarti a far rimettere a nuovo tutta l’ala orientale-, risposi.

L’espressione di Oliver si adombrò, ed io mi morsi la lingua, temendo di aver fatto un’imperdonabile gaffe. –Ho deciso che vivremo lì. Voglio stare il più possibile alla larga dal mare-, rispose in tono gelido, e io avrei voluto sprofondare al ricordo di come Patricia fosse scomparsa in mare. Almeno, questo era ciò che aveva detto lo zio Peter, perché Oliver non mi aveva mai parlato della sua prima moglie, e tantomeno delle circostanze della sua tragica morte.

-Capisco…-, mormorai contrita, e rimasi seduta in silenzio a capo chino, tormentandomi nervosamente con le dita l’orlo della gonna.

Trascorse qualche istante in cui nessuno dei due parlò, e l’atmosfera di quel salotto cominciò a sembrarmi opprimente.

-Domani avremo visite, Kat-, mi annunciò improvvisamente Oliver, rompendo quell’atmosfera carica di tensione.

Mi irrigidii involontariamente, quasi spaventata dall’inattesa notizia. Visite? Quali visite? Parenti o amici di mio marito, non c’era alcun dubbio. Era ovvio che prima o poi avrebbero voluto fare la conoscenza della sposa. Temevo però di non sentirmi ancora pronta…era già stato così terribile affrontare la servitù! Ma non volevo dare una delusione a mio marito, e così abbozzai un sorriso completamente ipocrita, fingendomi davvero felice della cosa.

-Davvero? E chi viene a trovarci?-, esclamai in tono forzatamente gaio, mentre in cuor mio desideravo profondamente scomparire e non dover affrontare più niente e nessuno. Cominciavo già a sentirmi un’intrusa che dava fastidio a tutti, ed era una sensazione insopportabile.

-Mio cugino, Julian Ross, insieme a sua moglie Amy. Mi ha scritto una lettera annunciandomi che verranno a colazione domani. Sono molto curiosi di conoscerti-, mi spiegò brevemente, per poi rivolgermi un sorriso rassicurante. –Stai tranquilla, Kat. Julian ti piacerà, vedrai. Siamo cresciuti insieme ed è come un fratello per me. Uno di questi giorni, poi, dovremo pur andare a trovare mia madre-.

-Tua madre?-, domandai, profondamente intimorita al pensiero di conoscere mia suocera. Le suocere mi erano sempre state dipinte come una vera e propria calamità, soprattutto da zia Audrey, che detestava con tutto il cuore la madre dello zio Peter e non vedeva l’ora che l’orribile vecchietta tirasse finalmente le cuoia.

Oliver annuì, con espressione grave. –Vive in una tranquilla casetta non molto distante da qui insieme ad un’infermiera e ad una governante che l’accudiscono a tempo pieno. Purtroppo cinque anni fa ha avuto un brutto incidente cadendo da cavallo ed è rimasta invalida. E’ bloccata sulla sedia a rotelle e ogni tanto perde la lucidità-, mi disse, mentre il suo sguardo diventava profondamente triste.

-Oh mi dispiace tanto!-, esclamai. Provai una profonda sincera per la signora Hutton, costretta a vivere in quelle condizioni, e mi sentii terribilmente in colpa per aver avuto paura di lei. Quella poveretta non avrebbe potuto farmi proprio nulla di male.

Mentre conversavamo, mi guardavo attorno. Era il salotto più bello che avessi mai visto prima…i divani bianchi in pelle, il tavolino di marmo, le credenze in legno massiccio, tutti i vasi da fiori e gli oggetti preziosi che adornavano la stanza…era magnifica. Chiunque avesse scelto l’arredamento di quel salone, doveva essere stata una persona dotata davvero di un ottimo gusto, pensai, provando la stessa estasi artistica che avevo sperimentato prima entrando nella mia nuova camera, forse ancora più forte.

Mio marito notò la mia espressione incantata, e mi sorrise. –Ti piace questo salotto?-, mi domandò con voce dolce.

Annuii, profondamente ammirata. –E’ bellissimo…l’hai arredato tu?-, domandai istintivamente.

Oliver si rabbuiò, e scosse lentamente il capo. –No. È stata Patricia-, disse semplicemente e in fretta, come se anche solo accennare alla sua prima moglie fosse troppo doloroso per lui.

Mi sentii nuovamente imbarazzata e rattristata e non dissi nulla, mentre tra noi scendeva un nuovo silenzio ancora più plumbeo del precedente.

In quel momento, per fortuna, la porta del salone si spalancò, ed entrò un servitore trasportando il carrellino per servirci il the pomeridiano. Alzai gli occhi per guardarlo, e mi resi conto che il giovane che era appena entrato mi era sconosciuto. Non lo avevo veduto prima nella schiera di domestici che attendevano il nostro arrivo in cima alla scala di pietra, e, meravigliata, lo osservai con maggiore attenzione. Era un bel ragazzo alto e bruno, e i suoi tratti somatici mostravano chiaramente che non era europeo. Sembrava un indiano, o forse un sudamericano. Come ho già detto, era molto alto, e aveva la carnagione più abbronzata e scura che avessi mai visto in vita mia. Gli occhi erano neri e profondi, e avevano un che di misterioso e di affascinante, che si intonava perfettamente con il colore ambrato della sua pelle, aveva una corona di capelli scuri, ricci e ribelli, che scendevano disordinatamente fino a metà collo, e delle bellissime mani grandi con dita lunghe ed affusolate. Indossava una camicia bianca che metteva in risalto, oltre all’incarnato color cioccolata, anche il suo torace ampio e muscoloso, e un paio di pantaloni neri. Ci servì il the in silenzio, con gesti misurati ed eleganti, e provai un certo turbamento nel rendermi conto che era senza dubbio l’uomo più attraente che avessi mai visto in vita mia.

-Grazie Carlos-, mormorò distrattamente Oliver, prendendo in mano la sua tazza di the.

Il giovane cameriere rispose con un inchino, e prima di lasciare il salotto mi rivolse un’occhiata lunga e penetrante, che mi lasciò profondamente turbata. Aveva uno sguardo bellissimo, uno sguardo veramente caldo ed avvolgente. Mi sentii avvampare violentemente e mi affrettai ad abbassare lo sguardo sulla mia tazza di the, per celare il mio imbarazzo.

Carlos uscì dal salone con il passo elegante e sinuoso di un leopardo, e tra me e mio marito cadde nuovamente un imbarazzante silenzio, mentre entrambi sorseggiavamo il nostro the alla ricerca di qualcosa da dire.

-Non ho visto quel ragazzo tra la servitù, prima-, dissi infine cercando di mantenere una certa noncuranza, ansiosa di saperne di più su quell’uomo così attraente.

-Chi, Carlos? Si chiama Carlos Santana e vive qui da più di vent’anni. Credo che sia sudamericano, ma non l’ho mai saputo con certezza. È stato trovato mentre vagava sulla spiaggia, penso che i suoi genitori l’abbiano abbandonato. Aveva appena dieci anni ed era tutto lacero e sporco. Mia madre ne ebbe compassione e lo accolse in questa casa, lo istruì come servitore e lui rimase qui. Non ha mai detto una parola, quindi nessuno conosce la sua storia-, mi spiegò.

-E’ muto?-, domandai, provando uno struggente senso di pietà per lui. Era come se me lo vedessi davanti, a dieci anni, magro, sporco e scalzo, mentre vagava sulla spiaggia cercando disperatamente i suoi genitori, che forse erano morti, o forse lo avevano abbandonato. Povero Carlos…solo al mondo…capivo bene come doveva essersi sentito, perché anch’io avevo sperimentato quell’orrenda sensazione dopo la scomparsa dei miei genitori, e avevo continuato a provarla anche dopo essere stata accolta in casa della zia. Mi aveva accompagnata finché non ero diventata la moglie di Oliver e avevo finalmente costruito una nuova famiglia, una famiglia che speravo con tutto il cuore potesse essere felice come quella in cui ero cresciuta.

-Sì, oppure non vuole parlare. Fatto sta che non ha mai detto una parola da quando è arrivato in questa casa. È stata mia madre a decidere il suo nome-, rispose Oliver, addentando uno dei biscotti che Carlos ci aveva portato insieme al the.

-Poveretto…certo è stata una fortuna per lui capitare qua…e tua madre è stata molto buona ad accoglierlo-, dissi, prendendo anch’io un biscotto e cominciando a mangiucchiarlo svogliatamente.

Oliver annuì, sorseggiando il suo the. –Mia madre è una donna molto buona e generosa, sempre pronta ad aiutare il prossimo…o almeno lo era, prima che l’incidente la riducesse in quello stato-, rispose, mentre un’ombra di tristezza attraversava il suo viso.

Concluso il rito del the, salii in camera mia per riposarmi. Ero molto stanca fisicamente e, soprattutto, mentalmente. Non avrei mai immaginato che la mia prima giornata a Villa Hutton sarebbe stata così pesante…e il giorno dopo sarebbero arrivati il cugino di Oliver e sua moglie…

Entrata nella mia stanza, mi affacciai alla finestra, e vidi Carlos passeggiare in giardino, accompagnato da due grossi cani, di una razza che da quella distanza non riuscii a riconoscere. Rimasi ad osservarlo a lungo, spinta da una sensazione fortissima che io stessa non capivo da dove derivasse. Quando lui però sollevò lo sguardo e lo rivolse nella mia direzione, mi ritrassi istintivamente dalla finestra e mi misi a sedere sul letto con il cuore che martellava furiosamente. Cercai di respirare profondamente e di calmarmi. Il mio battito cardiaco stava lentamente tornando alla normalità, quando qualcuno bussò alla porta della mia stanza, facendomi sobbalzare violentemente.

-Avanti-, dissi con voce tremula.

La signora Martin fece il suo ingresso, con le braccia che reggevano una pila di asciugamani candidi.

-Vi ho portato degli asciugamani puliti, signora-, disse atona, appoggiandoli sulla cassettiera.

-Grazie, signora Martin-, risposi, sperando che non si accorgesse del mio stato di agitazione.

La vecchia fece un breve inchino e si avviò nuovamente alla porta, ma io mi udii mentre, con mia stessa sorpresa, chiamavo il suo nome per fermarla. Ella si voltò, e mi squadrò con aria interrogativa.

-Siete in questa casa da molto tempo?-, domandai, senza capire chiaramente cosa mi spingesse a rivolgerle una simile domanda.

La signora Martin mi fissò meravigliata. –Non tanto quanto Frank o altri domestici-, rispose sibillina. Fece una breve pausa, in cui mi rivolse una lunga occhiata penetrante. Sospirò e aggiunse: -Venni qui con la signora Patricia, come sua cameriera personale, quando ella si sposò. L’avevo allevata fin da bambina-. La sua voce si incrinò lievemente su queste ultime parole, mentre finalmente il velo di mistero che aveva accolto il suo atteggiamento scostante nei miei confronti si squarciava ed io capivo perché ella mi detestava così tanto. Era stata la cameriera personale di Patricia, l’aveva allevata quando era bambina e poi l’aveva seguita a Villa Hutton quando ella si era sposata con Oliver. Doveva averla amata come una figlia, e sicuramente la sua morte così tragica e improvvisa l’aveva gettata in un profondo stato di prostrazione. Ecco perché mi odiava. Perché avevo preso il posto della sua adorata Patricia. Non detestava tanto me, quanto quello che rappresentavo. Per un istante provai pena per lei, doveva esser stato veramente duro per quella povera vecchia vedermi entrare in quella casa come moglie di Oliver, vedermi camminare per le stanze che erano appartenute a Patricia e pensare che lei invece giaceva morta chissà dove…già, perché, stando a quello che mi aveva raccontato zio Peter, anche se c’era stata una cerimonia funebre il corpo di Patricia non era mai stato ritrovato, così come non era mai stato ritrovato il  battello con il quale ella era annegata.

-Sentite, signora Martin…Io spero che noi due potremo diventare ottime amiche. Non desidero altro che rendere serena la vita di mio marito, e spero proprio che voi mi aiuterete in questo scopo. So di poter contare su di voi per quel che riguarda la gestione della casa e questo mi è di molto conforto, perché vedete, finora sono vissuta in un modo molto diverso e sono certa che non potrei mai cavarmela da sola-, le dissi con il cuore in mano, augurandomi di tutto cuore che ella decidesse finalmente di deporre le armi e di far cessare quell’inutile ostilità. Odiare me non avrebbe riportato in vita Patricia.

La vecchia mi guardò freddamente, senza mutare di una virgola la sua espressione. –Certo, signora-, mormorò, e se ne andò dalla stanza senza aggiungere altro. Con una stretta al cuore, capii che il mio tentativo di riconciliazione era andato a vuoto, e mi venne voglia di piangere. Era tutto maledettamente difficile, mille volte più difficile di quel che avevo immaginato. Mi affacciai nuovamente alla finestra, ma Carlos non era più in giardino, e provai un’inspiegabile quanto struggente sensazione di abbandono.

Pensai che un bagno caldo mi avrebbe rilassata, così presi uno degli asciugamani dalla pila che mi aveva portato la signora Martin e mi recai nella stanza da bagno, a cui si accedeva da un’altra porticina del tutto simile a quella che metteva in comunicazione la mia camera con quella di mio marito Oliver. Cominciai a far scorrere l’acqua calda nella vasca, e vi gettai dentro i sali da bagno. Mi spogliai e mi immersi, godendomi la sensazione di relax che mi regalava l’acqua tiepida mentre scorreva lentamente lungo il mio corpo nudo. Chiusi gli occhi e improvvisamente comparve davanti a me il viso bruno di Carlos, con la stessa espressione che aveva quando mi aveva guardata prima, mentre si congedava dopo avermi servito il the. Li riaprii di scatto, chiedendomi cosa mi fosse mai saltato in mente. Oliver era mio marito, avrei dovuto vedere lui, e non Carlos. Mi dissi che avevo veduto Carlos perché lo sentivo molto simile a me…anch’io mi sentivo sola al mondo e abbandonata da tutti, nonostante fossi sposata da nemmeno una settimana. Mi sentivo completamente estranea da quando avevo messo piede in quella casa: lì dentro niente mi apparteneva, io ero un’ospite, non la padrona. Lì dentro nemmeno mio marito mi apparteneva più…ammesso che mi fosse mai appartenuto prima.

Cercai di allontanare da me quei pensieri infausti, ripetendomi che Oliver mi amava, che mi aveva sposato perché mi voleva bene e che avremmo avuto una vita perfettamente felice insieme, nonostante il ricordo incombente di Patricia e la sgradevole presenza della signora Martin. Provai a pensare alla fatidica notte di nozze che stavolta si stava inevitabilmente avvicinando, e mi dissi che dopo quella notte io e Oliver ci saremmo sentiti finalmente più uniti. Grazie a quella convinzione e all’effetto rilassante del bagno caldo, cominciai a sentirmi meglio, e i miei muscoli tesi presero finalmente a sciogliersi.

 

La mia prima notte di nozze…già, la mia prima notte di nozze. Fu il momento forse più deludente della mia vita, e mi sentii ancora più infelice di quando avevo trascorso da sola nella mia stanza d’albergo la prima sera dopo essermi sposata.

Avevo chiesto a Daniela di portarmi la cena in camera, scusandomi con mio marito per la mia assenza, e dopo aver mangiato velocemente avevo cominciato i preparativi. Avevo acceso delle candele e le avevo disposte sulla cassettiera per dare un’atmosfera romantica alla stanza, avevo indossato la stessa camicia da notte bianca e scollata che mi rendeva davvero sensuale ed affascinante e avevo raccolto i capelli in uno chignon sulla sommità della nuca, lasciando però che qualche ciocca mi ricadesse attorno al viso. Mi ero anche truccata, seppur lievemente: un filo di mascara sugli occhi e un rossetto rosso e lucido sulle labbra, per renderle più invitanti. Indossai sopra la camicia da notte una lunga vestaglia bianca di pizzo, semi-trasparente, e mi disposi ad attendere l’arrivo di Oliver, sentendomi eccitata ed impaziente come mai in vita mia. I particolari di quella notte così tanto attesa si animavano di vita propria nella mia mente e mi scorrevano davanti agli occhi come tanti fotogrammi: egli sarebbe entrato e sarebbe rimasto subito ammaliato alla mia vista, stentando a credere che potessi trasformarmi in una creatura così seducente, la più bella che avesse mai visto in tutta la sua vita. Mi avrebbe preso tra le braccia con dolcezza e poi mi avrebbe baciata appassionatamente, sussurrandomi all’orecchio che mi amava, oh sì, che mi amava da morire. La vestaglia sarebbe scivolata lentamente a terra, seguita immediatamente dopo dalla mia camicia da notte, mentre Oliver mi baciava teneramente il collo. Mi avrebbe fatta distendere dolcemente sul letto, ammirando la mia nudità alla luce delle candele, e avrebbe cominciato a baciarmi ed accarezzarmi dappertutto, con infinito ardore. Poi si sarebbe spogliato anche lui e con delicatezza mi avrebbe posseduta, rendendoci una cosa sola adesso e per sempre. Sarebbe stato bellissimo, e dopo la passione ci saremmo addormentati l’uno tra le braccia dell’altro, svegliandoci allo stesso modo il mattino dopo, quando il sole avrebbe cominciato a filtrare attraverso le tende. Sarebbe stato così, ne ero certa.

Sentii la porta che metteva in comunicazione le nostre stanze aprirsi con un rumore secco, e sobbalzai, con il cuore che batteva furiosamente. Mi alzai in piedi e mi rassettai nervosamente la vestaglia, mentre mio marito, con indosso un elegante pigiama scuro, faceva il suo ingresso nella mia camera da letto. Gli andai incontro felice, ed egli mi strinse tra le braccia con espressione indecifrabile e mi baciò. Le sue labbra erano morbide ed esigenti, ed io risposi con passione al suo bacio, stringendomi forte a lui fino a far aderire completamente i nostri corpi, mentre pensavo con gioia che quel che avevo immaginato stava diventando finalmente realtà. Le cose invece andarono molto diversamente.

Mentre mi baciava, Oliver mi condusse verso il letto e mi fece segno di sdraiarmi. Quando fui completamente distesa, mi sollevò la camicia da notte fino alla cintola, mentre con le mani accarezzava frettolosamente il resto del mio corpo. Sembrava che dovesse assolvere a tutti i costi ad un compito per lui infinitamente penoso. Passai le mani lungo la sua schiena, tentando di infilarle sotto il suo pigiama, certa che presto si sarebbe spogliato, per consentirmi di accarezzare direttamente la sua pelle, ma egli non lo fece. Si limitò ad abbassare lievemente i pantaloni per estrarre il suo membro, che appariva già rigido e pulsante. Si mise a cavalcioni sopra di me e mi penetrò quasi bruscamente, per poi chinarsi a baciarmi distrattamente sulle labbra mentre cominciava a muoversi dentro di me. Mi serrai le labbra per non gridare per il dolore improvviso che aveva attraversato il mio corpo, e serrai le mie braccia attorno alle spalle di Oliver, stoicamente, mentre egli continuava a muoversi a ritmo sempre più veloce senza degnarmi di uno sguardo, senza baciarmi, senza accarezzarmi. Provai un’infinita delusione…possibile che fosse questo fare l’amore? Ma se non stavo provando nessun piacere, niente…La realtà era completamente diversa dai miei sogni, non c’era traccia di passione, di desiderio, di abbandono nei gesti di mio marito. Stava semplicemente assolvendo al suo dovere coniugale e ad un’insopprimibile esigenza fisiologica, ma senza alcuna partecipazione, come se stesse possedendo una sconosciuta.

Lo sentii gemere pesantemente sopra di me, mentre un fiotto di un liquido caldo e denso mi scorreva tra le gambe, nel punto in cui egli si trovava. Dopodiché, Oliver cadde esausto sul mio petto, senza dire una parola. Avevo voglia di piangere, ma non lo feci. Aspettai un gesto, una parola da parte di mio marito, qualcosa che desse un significato a ciò che era appena successo tra di noi, ma non accadde niente di tutto questo. Oliver si rialzò, si tirò su i pantaloni e scese dal letto come se nulla fosse successo.

-Buonanotte-, mi disse in tono freddo, quasi formale, senza neanche guardarmi in faccia, per poi andarsene nella sua stanza senza aggiungere altro.

Rimasi immobile sul mio letto, sentendomi sommergere da una profonda amarezza, e quando egli si fu richiuso la porta dietro le spalle lasciai finalmente le lacrime libere di scorrere. Era tutto così penoso, così nauseante…altroché renderci più uniti, mi sentivo più distante che mai da Oliver, anche se avevamo fatto l’amore. Ammesso che potesse chiamarsi così quello che avevamo fatto, perché io di amore ne avevo visto ben poco in quella furiosa galoppata senza desiderio. Mi alzai, sistemai la camicia da notte e mi recai in bagno, dove cominciai a far scorrere l’acqua calda nella vasca, sempre continuando a piangere. Oliver non mi aveva detto nulla, non mi aveva praticamente toccata né baciata, mi aveva semplicemente usata finché non aveva raggiunto il piacere e poi mi aveva accantonata come se fossi stata un oggetto. Chissà, forse aveva pensato a Patricia mentre si muoveva dentro di me, e aveva immaginato che fosse suo il corpo che lo stava accogliendo. Provai una stretta al cuore. Mi spogliai e mi immersi nella vasca, cominciando a sfregarmi nervosamente con il sapone per cancellare ogni traccia dell’accaduto. Mi sentivo sporca, come se, anziché essere stata a letto con mio marito, uno sconosciuto si fosse approfittato di me. Era inutile che mi dicessi che la prima volta per una donna era sempre deludente, perché non nutrivo alcuna speranza che le successive sarebbero state migliori, ammesso che ce ne fossero state. Oliver aveva assolto ai suoi doveri coniugali, ma non mi sentivo sua moglie più di quanto non mi fossi sentita tale questa mattina. Ero estranea a lui, a quella casa, alla servitù, a tutti. Non ero io la padrona di casa. La padrona era ancora Patricia. Potevo sentire la sua presenza, impalpabile ed invisibile eppure vibrante, incombente, maledettamente reale. Potevo sentirla nel cuore di Oliver, negli occhi gelidi della signora Martin, nel salotto che lei stessa aveva arredato…ovunque. Era anche nel mio letto, dove mio marito mi aveva posseduta pensando a lei.

Uscii dalla vasca e, avvolta in un grande asciugamano bianco, tornai a distendermi sul letto. Scoppia in singhiozzi, detestando profondamente me stessa e il mondo intero. Avevo voluto seguire il mio cuore e mi ero sposata con Oliver nella certezza ingenua che insieme saremmo stati felici, e ora la cruda realtà si stava barbaramente dipanando davanti ai miei occhi, guardandomi con la stessa espressione impassibile della signora Martin.

Una vocina dentro di me mi disse che non sarei mai stata felice in quella casa, mai. Patricia non mi avrebbe mai permesso di prendere il suo posto.

Piangendo tutte le mie lacrime, mi addormentai.

 

Mi svegliai il mattino dopo con un feroce mal di testa e un violento senso di oppressione al petto. Andai in bagno a sciacquarmi il viso, mentre gli eventi della notte appena trascorsa mi tornavano alle mente rinnovando il mio dolore, e guardai la mia immagine allo specchio. Ero mortalmente pallida e con gli occhi profondamente cerchiati di scuro. Somigliavo terribilmente ad uno zombie. Cercai di nascondere questi brutti segni con il trucco, e stavo pensando a cosa indossare quando sentii bussare alla porta. Era la signora Martin, venuta ad avvertirmi che il signor Ross e sua moglie erano appena arrivati e mi stavano aspettando in salotto. Mi sentii morire, ricordandomi che il cugino di Oliver sarebbe venuto a conoscermi proprio quel giorno…ed io ero in quello stato pietoso. Mi sforzai di sorridere e di nascondere il mio malumore ed indossai un abito bianco a fiori rossi, piuttosto allegro, lasciando i miei lunghi capelli castani sciolti sulle spalle.

Scesi di sotto e raggiunsi il salone, dove mio marito, come sempre impeccabile, stava già intrattenendo i nostri due ospiti. Li raggiunsi, cercando di apparire come una giovane sposa serena e felice, nonostante il tormento che dentro mi stava lacerando l’anima.

Oliver mi salutò affettuosamente con un bacio sulla guancia e mi prese per mano. –Julian, Amy, questa è mia moglie Kathleen. Loro, cara Kat, sono mio cugino Julian e sua moglie Amy-.

Li salutai con gentilezza e Julian mi porse subito la mano, che strinsi con calore. Era un bell’uomo, molto rassomigliante ad Oliver nel volto e nei modi. Alto, ben piantato e con un’espressione serena e rassicurante, aveva un viso piuttosto pallido dai lineamenti regolari, grandi occhi scuri e i capelli castani tagliati corti. Mi sorrise cordialmente e mi fece immediatamente un’ottima impressione.

La signora Ross era una donna minuta e piuttosto carina. Indossava un semplice abito giallo da mattina, era molto più bassa del marito e di corporatura snella. Aveva un viso pallido dai lineamenti delicati, quasi cesellati, grandi occhi di un intenso blu scuro e i capelli lisci, di un color castano chiaro vagamente tendente al rosso, che portava lunghi fino alle spalle. Mi porse una mano piccola e dalle dita affusolate, e io la strinsi sorridendo.

Mi sentii gelare quando vidi l’espressione con cui Amy mi stava fissando. Un’espressione fredda, carica di disprezzo, mentre i suoi occhi blu scintillavano di disapprovazione.

La stessa espressione della signora Martin…

 

Fine secondo capitolo

 

  
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