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Autore: teabox    13/01/2013    8 recensioni
C'era una volta un muro di vetro. Da una parte sedeva una persona, dall'altra ne sedeva un'altra.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: ovviamente tutto ciò che segue è inventato, colpa di un pomeriggio di pioggia e un’idea scema che avevo in testa. 

Scritta di getto, messa qui anche più velocemente, spero che possa comunque piacere a qualcuno. 

Grazie mille a chi si ferma a leggere :)

 

 

 

 

Dall’altra parte

 

 

Aveva fatto tutto Tom. 

Aveva invitato la ragazza fuori, poi - preoccupandosi che potesse prendere la cosa troppo seriamente - le aveva detto di invitare anche un paio di amiche, perché aveva già promesso ad un amico che sarebbe uscito con lui e non voleva metterlo a disagio. Ovviamente era una bugia, cosa che aveva dichiarato senza rimorsi a Ben per telefono, tra una supplica di unirsi a loro ed un tentativo di chiamare in causa la loro Grande Amicizia.

Ben alla fine aveva ceduto. (Ovviamente, perché era Ben.) 

Tom aveva scelto anche il locale, privato ma non troppo, fornito della giusta dose di riservatezza e di un ambiente di ispirazione orientale che - tra cuscini over-size, poltrone basse e lounge music - creava un’atmosfera intima e rilassata, dove la serata poteva evolvere come Tom avrebbe meglio creduto.

Poi, quando le ragazze erano arrivate e Tom aveva preso nota che quella che interessava a lui era anche più carina di quello che ricordava, aveva insistito perché si sedessero tutti fuori, nella terrazza con una vista mozzafiato su di una Londra crepuscolare. 

Ben aveva insistito per sedersi vicino alla vetrata che divideva l’interno del locale dalla terrazza e dove le stufe da esterno si prendevano cura della maggior parte del freddo serale, lasciando tuttavia abbastanza margine per una scusa qualsiasi - non hai freddo al collo? Le tue mani sono fredde, lascia che te le riscaldi - per toccare, avvicinarsi, creare intimità. Tom sorrideva soddisfatto.

Un paio di volte aveva colto lo sguardo divertito di Ben, qualcosa tra l’ammirazione e l’incredulità di fronte a tanta faccia tosta, a cui lui si era limitato a rispondere con un eloquente espressione di finta innocenza. Cosa che - con grande divertimento di Tom -  aveva fatto ridere Ben e poi costretto ad inventarsi una scusa sulla ragione per cui fosse scoppiato a ridere proprio nel mezzo della storia sul pesciolino morto - o era forse il criceto? - di una delle ragazze. 

Sapeva che Ben gliel’avrebbe fatta pagare prima o poi, ma sapeva anche che non sarebbe successo quella sera. Sembrava divertirsi, tutto sommato.

 

Quindi tutto andava per il meglio, o meglio di quanto sarebbe potuto andare quando esci con delle ragazze che sanno esattamente chi sei e cosa fai e sono più che intenzionate ad avere una fetta di quella torta. E poi era successa la casualità. 

Una coincidenza tra un momento morto della conversazione ed un movimento dall’altra parte della vetrata. Qualcosa colto con la coda dell’occhio che gli aveva meccanicamente fatto girare la testa. 

E lei se ne stava lì, sorridente. Il movimento doveva essere stato il saluto che aveva rivolto ad un’altra ragazza che l’aveva raggiunta e si stava sedendo di fronte a lei. Si scambiarono qualche frase con voci attutite dalla parete di vetro e lei disse qualcosa che fece ridere la sua amica, prima che si dedicassero a decidere cosa ordinare da bere.

Tom distolse lo sguardo e riportò l’attenzione sulla ragazza carina che gli sedeva accanto. Sembrava temporaneamente occupata a scrivere qualcosa sul cellulare, ma durò poco e un attimo più tardi era già tornata tutta sorrisi a concentrarsi su di lui. Tom soppesò velocemente la situazione, dibattendo se appoggiarle in modo disinvolto una mano sul  ginocchio o se, invece, aspettare ancora un po’ e valutare le opzioni. 

Ma lei si piegò leggermente in avanti per prendere qualcosa dal tavolo, regalandogli così una buona visuale della sua scollatura, e Tom si trovò quasi automaticamente ad appoggiarle la mano sulla gamba. Lei sembrò soddisfatta - ma non stupita - e pretendendo di non averci fatto caso, si mise a chiacchierare con una delle altre ragazze.

Ci fu di nuovo un movimento dall’altra parte della vetrata e lo sguardo di Tom tornò ad osservare. 

 

Non che fosse particolarmente carina, si scoprì a pensare. 

Si corresse subito. Certo, era carina. Ma di quel tipo di bellezza che vedi per strada e nei parchi o nei supermercati. Quel tipo di bellezza che gli capitava ogni tanto di incontrare durante le sue corse mattutine o serali. 

Poi, ovvio, non che valesse di meno della bellezza che invece possedeva la ragazza di cui al momento era intento a riscaldare un ginocchio e accarezzare discretamente la pelle sensibile dell’interno coscia. Non era quello che intendeva.

Quella ragazza lì - quella al di là del vetro - avrebbe dovuto imparare come sorridere ai fotografi e come posare agli eventi per le fotografie. Quella ragazza lì avrebbe dovuto attendere a molti red carpet prima di imparare a non incrociare le gambe e non tormentarsi le dita e non avere un’espressione allo stesso tempo terrorizzata ed eccitata. Quella ragazza lì, probabilmente, lo avrebbe guardato con troppo affetto, gli avrebbe raccontato le cose belle e le cose brutte delle sue giornate e lui si sarebbe trovato a volerle dire qualcosa di sciocco solo per vederla ridere. Quella ragazza lì-

“Tom?”

La voce di Ben lo scosse dai suoi pensieri ridicoli. Si rese conto che tutti lo stavano guardando e che apparentemente gli era stata rivolta una domanda che non aveva sentito. “Sì?”

“Aiutami, il mio cervello sta subendo un guasto. Qual’è quella parola che si usa per indicare una forte attrazione?”

“Tom Hiddleston?” rispose lui sorridendo alla sua stessa battuta.

Tutti risero e Ben scosse la testa con finta rassegnazione. “Non sono esattamente sicuro che fosse quello che stavo cercando, ma possiamo sempre controllare- Ah!” S’interruppe come faceva sempre quando trovava la risposta. “Magnetismo!”

In qualche modo quello diventò il soggetto della conversazione e Tom non se ne stupì - qualsiasi scusa pur di spostare parole e pensieri verso allusioni a sfondo sessuale. Era la ragione per cui erano lì quella sera e anche se non era stato dichiarato apertamente - ovvio, non sarebbe stato divertente altrimenti - era chiaro a tutti.

 

Ed era questo quello di cui aveva bisogno in quel momento della sua vita, pensò distrattamente, costringendosi a non guardare dall’altra parte della vetrata.

Aveva bisogno di cose semplici, predefinite, “se io dico A, tu reagisci con B” e via dicendo. E quel genere di situazione era più facile da trovare nella ragazza che gli sedeva accanto, che in quella che sedeva dall’altra parte di un muro di vetro. 

Guardare ma non toccare, gli venne in mente. Avrebbe riso, ma si costrinse a non farlo. Non sapeva di cosa gli altri stessero parlando e non voleva ripetere gli stessi errori di Ben. 

Però era proprio quello il caso. La vedi, diceva quella parte di sé che cercava di mettere a tacere. La vedi. Potresti, se volessi. Ma lui non voleva. Se solo si fosse azzardato a toccare, tutto sarebbe stato così complicato. Perché non c’era niente di semplice in quei sorrisi che la ragazza dall’altra parte sorrideva. Non c’era niente di semplice nel modo in cui muoveva le mani e giocava con i capelli. Assolutamente nulla di semplice nei suoi occhi e in quelle labbra. Ed era sicuro, anche se non la sentiva, che non ci sarebbe stato nulla di semplice nella sua voce. O in quello che la sua voce avrebbe potuto dire. E soprattutto in quello che lui avrebbe voluto e potuto fare con lei.

 

Quindi questo era il suo regalo per lei, si disse prendendo il suo bicchiere e brindando segretamente alla sua salute. Si sarebbe tenuto da parte e non avrebbe fatto nulla. Un ultimo sguardo e addio, perché comunque non sarebbe potuto andare da lei - dall’altra parte di quel vetro - e dirle “usciresti con me non per la persona che sai che sono, ma per la persona che ancora non sai che sono”. Non aveva neanche senso, ragionò appoggiando il bicchiere e portando lo sguardo sulla vetrata. 

E lei in quel momento lo aveva guardato. 

O meglio, avevano incrociato gli sguardi e come normalmente succede, un istante dopo lei lo aveva distolto imbarazzata. 

Tom accennò un sorriso e senza fretta spostò lo sguardo sul suo bicchiere. Quindi guardò la sua mano ancora sul ginocchio della ragazza che gli sedeva accanto e si dichiarò sconfitto. Battuto da un paio di occhi sconosciuti su di un viso sconosciuto di una ragazza sconosciuta. Se fosse stato un po’ più come Ben probabilmente avrebbe trovato la perfetta citazione letteraria da legare a quel momento, ma francamente non era il tempo né il luogo per ricamare sull’essenza ridicola della vita. No, per niente.

Quindi con un sospiro quasi rassegnato tolse la mano dal ginocchio della ragazza - lei lo guardò stupita - e si alzò dal divano accennando un generale “scusate un attimo”. Ben gli rivolse un breve sguardo, per tornare quasi subito a concentrarsi sulla ragazza con cui aveva parlato fino ad allora. 

 

Tom notò che lei dall’altra parte lo stava osservando discretamente. Pensò a cosa fare, a cosa dire. Sarebbe potuto andare a parlarle con una scusa qualsiasi o avrebbe potuto aspettare. Avrebbe potuto guardarla apertamente o cercare di avvicinarla più cautamente. Non sapeva, non sapeva davvero. 

Allora si avvicinò all’ingresso del locale e sospirò, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e fissando per un attimo le punte delle scarpe. Riflettendo.

Fu con sorpresa che qualche istante dopo vide un altro paio di punte di scarpe. E quando alzò la testa, lei era lì di fronte a lui. La ragazza dall’altra parte della vetrata, che non era più dall’altra parte della vetrata, perché infondo lui non era più sul terrazzo e allora non c’era più un “dall’altra parte”, ma sembrava solo esserci un “nel mezzo”, a quel punto. Insieme. Lui e quella ragazza lì.

E prima che lei parlasse, Tom si trovò a fare qualcosa che se non fosse stato per gli anni di studio alla RADA sarebbe stato del tutto ridicolo e invece gli sembrò solo vagamente ridicolo. Si trovò a citare Shakespeare. 

“Senti la mia anima che parla”, le disse piano, inchinandosi leggermente verso di lei. “Dal primo momento che ti ho visto, il mio cuore é volato al tuo servizio.”

Ah, pensò in un breve sospiro. Ora era tutto complicato.

Ma infondo, rifletté sorridendo, un po’ di complicazione era un prezzo che era ben disposto a pagare per il piacere di vedere quel viso arrossire.    

 

 

 

 

(La citazione é da La Tempesta di Shakespeare.)

  
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