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Autore: _ari22    14/01/2013    11 recensioni
Castle e il suo muro nascosto, Kate costretta a subire l'ennesima sofferenza. Ma, in verità, tutto ciò che vuole è lui, solo lui, così com'è, quell'eterno bambino di cui si era innamorata cinque anni prima.
La ff è ambientata dopo l'episodio 5x10, i caskett sono costretti ad affrontare l'ennesimo ostacolo. Ci riusciranno?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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I can’t still suffer, I want you.

Ed eccola lì, ancora una volta.
Le lacrime della detective si fondevano nella pioggia e nel buio della notte, ma era chiaro che stesse piangendo, si capiva dagli occhi. In quei bellissimi occhi color smeraldo che ormai non luccicavano da più di un mese, quei bellissimi occhi spenti per tutte le lacrime che avevano versato e che continuavano a versare.
Ormai per Kate era diventata un’abitudine piangere, si era imposta più volte di smetterla, di essere forte, ma era tutto inutile.  
Non ce la faceva più.  Se ne voleva andare da questo mondo così ingiusto in cui niente aveva più senso, in cui aveva perso tutto.
Ora si trovava rannicchiata per terra al cimitero, accanto alla tomba di sua madre. Immaginava che lei fosse lì e la stesse abbracciando mentre la rassicurava dicendole che andava tutto bene.
Ma la detective sapeva che non era così. Come poteva andare tutto bene? Aveva perso sua madre, il suo capo e ora era anche stata sospesa dal suo lavoro. Avrebbe almeno voluto che ci fosse l’amore della sua vita, lì, a consolarla come sempre.
Sorrise a quei ricordi che le apparsero nella testa.
Ma no, cosa stava facendo? Lei lo doveva dimenticare, lui se ne era andato, non ne voleva più sapere niente, lei aveva preteso troppo.
Ricordò cos’era successo esattamente un mese prima.
Meredith se ne era appena andata. Kate era rimasta sconvolta da quello che le aveva detto, le sue parole continuavano a rimbombarle nella testa.
“Avevamo un rapporto a senso unico, lui sapeva tutti i miei segreti, le mie paure, ma io di lui non sapevo niente. Appena provavo a chiedergli di suo padre lui faceva una delle sue solite battutine e cambiava argomento.”
Era esattamente quello che succedeva con lei. Come poteva non essersene resa conto prima? Decise che era meglio fare finta di niente, c’era tempo per parlarne e non era quello il momento.
Ma non riusciva a non pensarci, insomma, Castle ormai la conosceva in tutto e per tutto, aveva svelato il suo mistero. Tutte le sue debolezze, le sue paure. L’aveva sempre indotta ad aprirsi con lui, ma lui non l’aveva mai fatto con lei. Eppure ormai doveva aver capito che si doveva fidare di lei, che quando affrontavano le cose insieme e non si comportavano da testardi andava tutto, o quasi, per il verso giusto.
 Probabilmente lui si accorse che la sua bella musa aveva la testa da un’altra parte perché le chiese: “C’è qualcosa che non va?”
Certo che c’era qualcosa che non andava. Non poteva negarlo, non poteva decidere di rimandare. In fondo è stata lei stessa a pensare, tre secondi prima, che le cose vanno affrontate insieme.
“Veramente.. Sì.”
“Kate sai che con me puoi parlare di tutto, non avere paura.”
Ecco, lo stava rifacendo, la stava convincendo ad aprirsi.
Ma lei lo colse alla sprovvista.
“Rick, cosa si prova a crescere senza un padre?”
“Come scusa?”
“Hai capito bene.”
“Si.. Ehm.. Aspetta ti ho preparato una sorpresa bellissima.”
Stava cercando di sviare la conversazione.
“Rispondi alla domanda.”
“Aspetta, davvero, ci metto un secondo a prenderla.”
Fece per alzarsi.
“Allora Meredith aveva ragione.”
Stava parlando più con sè stessa che con Castle.
“Cosa c’entra Meredith in tutto questo? Cosa ti ha detto prima mentre sono salito a prenderle i bagagli?”
“Le ho chiesto perché avete messo fine al vostro rapporto. Lei mi ha risposto che era perché tu conoscevi tutti i suoi segreti più profondi ma non ti eri mai aperto con lei. È esattamente quello che succede tra noi. Sai Rick, penso che tu abbia un muro, come ce l’avevo io. Solo che tu non lo dai a vedere, sei sempre così allegro e scherzoso. Eppure c’è una parte del tuo cuore che è inaccessibile, ingabbiata. E tu non hai mai voluto dare a nessuno la chiave. Ma possiamo provare ad aprirla insieme. Ti posso aiutare, come tu hai fatto con me.”
Rick non reagì come lei si aspettava, anzi.
“Perché hai chiesto a lei come era finita tra noi. Che c’è di me non ti fidavi? Avevi paura che non mi aprissi, come dici tu?”
Si era messo sulla difensiva e aveva alzato il tono di voce. Questo fece innervosire tantissimo Kate.
“Non fare la vittima, fai l’uomo per una buona volta! Voglio solo aiutarti!”
“Beh mi dispiace, ma questo sono io e non ho bisogno di nessun aiuto! Se ti vado bene, ok, altrimenti quella è la porta!”
Kate aveva le lacrime agli occhi. Non se lo fece ripetere due volte e se ne andò sbattendo la porta.
Lui non si fece più sentire, ma due giorni dopo già le mancava. Aveva bisogno del suo scrittore che la seguiva ovunque.
Lo chiamò più volte. Nessuna risposta.
Kate decise di mettere da parte l’orgoglio e bussò alla sua porta ma le aprì Alexis e, invece di accoglierla allegramente, la aggredì.
“Vattene Kate, hai già fatto abbastanza! Per colpa tua mio padre se ne è andato chissà dove e non si sa quando tornerà. Non vuole parlare con nessuno, nemmeno con me! Hai rovinato tutto! Ora per favore sparisci e non mettere mai più piede in questa casa!”
Kate vide la porta chiudersi davanti a lei. Si sentì trafitta al cuore. Se ne era andato. Aveva mollato tutti, anche i suoi famigliari. Ed era solo colpa sua. Aveva esagerato, aveva spinto troppo.
Era passato un mese e di Castle nessuna traccia.
Lei ogni giorno lo chiamava, andava alla sua caffetteria preferita dove le prendeva sempre il caffè e stava mezzora sotto casa sua dopo aver finito il turno. Sperava di trovare tra tutte quelle persone lo scrittore dagli occhi color oceano, il suo scrittore.
Però, senza rendersene conto, stava iniziando a essere distratta, per lei niente aveva più importanza. E gli altri si accorsero di questo suo cambiamento.
La mattina prima la Gates l’aveva convocata nel suo ufficio per dirle di prendersi un paio di settimane di pausa. Lei disse che non ne aveva bisogno ma il suo capo controbbattè, era un ordine.
Ora non le rimaneva più niente, ma in realtà non desiderava molto.
L’unica cosa che voleva era Castle.
Solo lui.
D’altronde era tutto ciò che aveva desiderato da quando lo aveva incontrato per la prima volta, già da quel buffo interrogatorio si era affezionata a lui.Ma non si trattava solo di affetto.Lei era innamorata di lui.
Voleva solo chiedergli scusa, dirgli che avrebbe aspettato come lui aveva fatto con lei per ben quattro anni, e baciarlo, baciarlo come non aveva mai fatto.
Ma invece era lì sola, seduta vicino a quella fredda lapide mentre fissava la collana con l’anello di sua madre. Sapere che lei, in un modo o nell’altro, c’era sempre, la aiutava ad andare avanti.
Ma questa volta era diverso.
Si sentiva esattamente come quando se ne era andato il suo punto di riferimento.
Aveva costruito quel muro apposta per non sentirsi più così. Poi lo aveva distrutto perché sapeva che con Castle non avrebbe più sofferto. Ma si sbagliava. Si sentiva nuda e fragile, aveva di nuovo bisogno di quel muro. Dalla mattina dopo avrebbe smesso di cercare la ragione della sua vita e sarebbe andata avanti. Doveva dimenticare. E questo le sarebbe servito da lezione. Non doveva più prendere una sbandata del genere.
 
(***************)
 
Richard Castle si trovava sull’aereo diretto a New York. Decise di partire di notte per arrivare la mattina presto. Stava tornando dalla Francia, era stato per un mese da un suo caro amico che gli doveva un favore. Voleva semplicemente cambiare aria per un po’ di tempo.
Ma chi stava prendendo in giro?
Era fuggito, come un vigliacco. Non aveva affrontato la situazione. Era rimasto in silenzio.
Improvvisamente si ricordò di quella frase che aveva sentito per la prima volta dalla sua musa e che l’aveva tormentato prima di dichiararsi “peccare di silenzio quando dovremmo protestare ci rende uomini codardi”.
Oh la sua musa, la sua amata musa. Gli mancava troppo, gli mancava dal primo giorno. Piangeva di nascosto mentre ascoltava tutti i messaggi che gli lasciava in segreteria.
Era convinta di aver sbagliato, si era presa tutte le colpe, quando l’unico che era nel torto era lui. Era stato solo un idiota. Perché non era riuscito ad aprirsi con lei? Probabilmente aveva ragione lei, anche lui aveva il suo muro. Solo che era stato troppo occupato ad abbattere quello della sua amata che non aveva pensato di darle la chiave, come aveva detto lei.
Quel giorno l’aveva colto di sorpresa, aveva toccato un punto a cui nessun altro prima si era mai avvicinato. Forse perché lei era l’unica vera donna a cui importava davvero di lui e non dei suoi soldi, ovviamente senza contare la madre e la figlia. Sta di fatto che si era sentito minacciato, lei stava cercando di entrare nel suo cuore e lui l’aveva vista come un’estranea. Per questo l’aveva aggredita. Se ne era pentito subito, avrebbe voluto rincorrerla e dirle che era pronto ad abbattere il suo di muro. Ma non era così, per questo se ne era andato. Senza una parola, senza un biglietto, era stato via un mese, quattro settimane, trentuno giorni, settecentoquarantaquattro terribili ore.
Aveva sofferto, aveva ferito la sua musa, aveva sbagliato.
Però almeno ora non era confuso ed era determinato a riprendersi ciò che aveva lasciato senza una spiegazione. Doveva assolutamente riaverla.
 
Finalmente l’aereo era atterrato e lui era tornato nella Grande Mela. C’era un sole splendente ma probabilmente la notte aveva piovuto molto, le strade erano tutte bagnate. La cosa più razionale da fare sarebbe stato andare subito ad abbracciare sua madre e sua figlia. Ma quando mai lui era stato razionale? Con loro aveva già chiarito per telefono, ora era un’altra la donna di cui aveva bisogno.
Si diresse subito al dodicesimo distretto, entrò in quell’ascensore per la milionesima volta e andò al piano in cui avrebbe saputo di trovare ciò che cercava, ma si sbagliava. Appena le porte si spalancarono si trovò davanti Ryan ed Esposito, li salutò:
“Ciao Bros, vi sono mancato?”
Loro erano al corrente che lui era la causa della sofferenza di Kate, non lo degnarono neanche di uno sguardo.
“Ok.. Dov’è Kate?”
Stavolta Esposisto rispose:
“Se t’importava tanto, perché non sei venuto a cercarla un mese fa?”
“Ok, credo che la cercherò da solo!”
“Non credo che qui la troverai. È stata sospesa.. Per colpa tua. Aveva perso la testa, era troppo distratta non poteva più lavorare.”
Castle sentì lo stomaco rivoltarsi, sapeva di averla fatta soffrire, ma pensava che si fosse ripresa. Aveva addirittura paura di trovarlo con un altro uomo. Si sentì un imbecille. Come poteva essere così egocentrico in una situazione del genere?
Si precipitò fuori dal distretto e arrivò a piedi, correndo, all’appartamento di Beckett. Non doveva lasciarsi sfuggire nemmeno un attimo, aveva già aspettato troppo. Il portiere lo salutò senza fare domande e Castle salì di fretta e furia le scale. Aveva la porta dell’appartamento di Kate davanti. Quella porta che gli era sempre stata aperta dalla sua amata, quella porta testimone di tanti baci e di tante carezze.
Ma non c’era tempo di perdersi nei ricordi. Suonò il campanello. Nessuna risposta. Risuonò e appoggiò l’orecchio alla porta per vedere se sentiva dei passi ma... niente. Suonò tantissime altre volte, cominciò a prendere a calci e a pugni quella dannata porta. Era sul punto di sfondarla, quando un vicino aprì la sua porta, evidentemente aveva fatto un po’ troppo baccano.
“Signore, per favore, la smetta, sta disturbando.”
“Ho bisogno di Kate!”
Non si rese conto che stava urlando, era disperato, sentì le lacrime rigargli il viso, stava pensando al peggio.
“Signore, non mi sembra che ieri sera la signorina Beckett sia rientrata, forse mi sbaglio, ma di solito la sento sempre arrivare. Inoltre stamattina l’ho preso io il suo giornale, alle nove e mezza non l’aveva ancora portato dentro.”
Se fosse stata in casa, sicuramente alle sette l’avrebbe già preso, ma non era da lei dormire fuori. Succedeva solo quando rimaneva nel suo loft. L’idea di un altro uomo tornò a navigare nella sua mente, ma poi si disse che non poteva essere così e che questo era l’ultima cosa a cui avrebbe dovuto pensare. Forse era da qualche amica. Lanie. Perché non le era venuto in mente prima? Compose in fretta il suo numero ma non ricevette la risposta che sperava: era un paio di giorni che non vedeva la sua migliore amica Kate.
Era davvero disperato. Cominciò a tempestare Beckett di telefonate ma sentì il telefono squillare nell’appartamente. Questo era ancora meno da lei. Il telefono se lo portava sempre dietro, in cinque anni non se l’era mai dimenticato.
Aveva ormai perso ogni speranza. Aveva intenzione di mettersi seduto davanti la porta ed aspettare, aspettare la sua musa, la sua dea, quella donna meravigliosa che aveva terribilmente fatto soffrire.
Un lampo invase la mente dello scrittore. Soffrire! Ma certo! Ora sapeva con certezza dove si trovava Kate. Senza pensarci due volte fermò un taxi e si fece portare al cimitero.
Appena arrivato a destinazione cominciò a camminare verso la tomba di Johanna Beckett. Solo che più andava avanti, più i suoi passi si facevano lenti e tremolanti. Odiava andare lì, era quello il punto in cui aveva assistito ai pianti più disperati e liberatori di Kate. Odiava vederla così e sperava tanto di non trovarla in quello stato. Già sapeva come si sarebbe sentito, era tutta colpa sua.
Però si fece coraggio e arrivò davanti alla tomba, o meglio, dietro gli alberi davanti alla tomba. Prima di affrontarla voleva vedere come stava.
Scostò un ramo e la vide lì, rannicchiata mentro dormiva. Sorrise, da quanto tempo non l’ammirava.
Però subito dopo il suo sorriso si trasmorfò in preoccupazione.
La sua detective aveva passato la notte lì. Era zuppa e stava tremando. Aveva gli occhi arrossati e delle occhiaie spaventose, doveva aver pianto molto, probabilmente si era addormetata poco prima. Notò che era anche dimagrita moltissimo.
Come aveva potuto trasformarla così?
Non c’erano giustificazioni, la colpa era solo sua, si era comportato come un mostro senza cuore.
Ora con che coraggio poteva andare lì e svegliarla per scusarsi? Non poteva.. Delle semplici parole, per quanto belle non sarebbero mai bastate.
Ma al diavolo tutto, doveva seguire il suo cuore, non la ragione. Doveva proteggerla, proteggerla da sè stesso, doveva essere lì con lei, era mancato per troppo tempo.
Uscì dal suo nascondiglio e si stese vicino a lei. Sentì il suo profumo alla ciliegia, quanto le era mancato. Aveva addirittura comprato una boccetta in francia che portava sempre con sè.
Vide che i suoi occhi erano ancora bagnati di lacrime. Istintivamente allungò la mano e gliele asciugò.
Lei, anche se stava dormendo, sentì quel tocco, quel calore. E lo riconobbe. Era inconfondibile. Il suo scrittore era lì ma probabilmente era solo uno dei suoi tanti sogni. Ma poi sentì quel profumo, anch’esso inconfondibile. Doveva fare lo sforzo di aprire gli occhi. Non importa se sarebbe stata un’altra delusione, non aveva più niente da perdere.
Finalmente si svegliò e davanti a lei vide ciò che pensava di non rivedere mai più, due occhi color oceano luccicanti. Si perse al loro interno. Immaginava di nuotare in quel meraviglioso mare.
Ma poi un sussurro la riportò alla realtà.
“Amore mio sei bellissima.”
Avvampò. Era ormai tanto tempo che le sue guance non si tingevano di rosso per un complimento.
“Se è un sogno, ti prego non svegliarmi.”
“No sono davvero qui e ho bisogno di dirti una cosa. Se poi vorrai che me ne vada non ti biasimerò e rispetterò la tua decisione.”
Come poteva solo pensare che l’avrebbe mandato via? Lui era tutta la sua fottuta vita, l’aveva perso e ora era lì, davanti a lei, timoroso di parlare.
“Dimmi.”
“Scusa, sono uno stronzo, sono un codardo, sono un cretino. Non so se riuscirai mai a perdonarmi. Ti ho ferita, ti ho fatto soffrire e me ne sono andato quando tu avevi solo cercato di starmi vicino come avevo fatto io con te. Non so perché ho reagito così, anzi lo so, avevi ragione. Ho anche io il mio muro nascosto in un angolino del cuore. Solo tu sei stata in grado di vederlo davvero e io mi sono rifiutato di tentare di abbatterlo insieme a te. Il mio passato è doloroso, ma aprirmi con te mi avrebbe solo che fatto stare bene. Ma lo sai, sono un testardo e non ho provato neanche a ragionare con te. Me ne sono andato senza una parola, sembro tanto coraggioso ma sono tutto fumo e niente arrosto. So solo utilizzare bene le parole ma non so agire, ho troppa paura. Per esempio l’unica cosa che vorrei fare adesso è baciarti ma ho troppa paura di un rifiuto quindi te lo sto..”
Non riuscì a finire la frase che la bella detective gli prese il viso con le mani, lo avvicinò a sè e lo baciò. Era quello il momento che entrambi aspettavano da un mese, e finalmente lo stavano vivendo. Allontanarono di pochi centimetri le loro bocche ma rimasero con le fronti appoggiate l’un l’altra.
“Ti avevo già perdonato quando ti avevo visto qui. Mi bastava questo. Avevo bisogno di te e ti avevo perso per colpa della mia stupida impazienza. Pensavo che non ti avrei mai più rivisto, stavo ricominciando a costruire il mio muro, mi hai salvato giusto in tempo, mio eroe.”
Riavvicinarono le loro bocche. Questo bacio fu anche più passionale del primo. Avevano bisogno l’uno dell’altra come si ha bisogno dell’aria per respirare.
Rick si staccò dal bacio.
“Ah Kate, sono pronto.”
Lei corrugò la fronte, non capiva.
“Sono pronto per condividere con te il mio passato,
per vivere con te il mio presente,
per amarti nel nostro futuro.”
“Grazie Rick, ti amo, così come sei.”
“Always.”

 
Angolo dell'autrice
Eccomi qui, con la mia prima fan fiction. Forse sono stata un po' troppo sdolcinata e mi sono dilungata sui sentimenti, ma non ci posso fare niente, sono fatta così, lol.
Comunque spero vi sia piaciuta, recensite e ditemi cosa ne pensate.
Baci e speriamo a presto.
@xgomezspancake on twitter
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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