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Autore: Will P    14/01/2013    2 recensioni
"Natasha è stanca, irritata, zoppica leggermente, i suoi vestiti puzzano ancora di fumo nonostante li abbia lavati due volte; tutto quello che vuole ora sono una doccia calda e un letto pulito, non necessariamente in quest’ordine, invece non è nemmeno scesa dall’aereo che corrono a dirle che Clint è finito di nuovo in ospedale."
[pre-Avengers; Natasha!pov] [Natasha&Clint, Clint/Coulson]
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimenti: pre-Avengers, h/c, slash, OT3 in potenza.
Disclaimer: Non sono miei. Il titolo è una citazione lievemente rimaneggiata dell'Amleto (sempre sia lodata Wikiquote).
Note: Per il prompt #66 ("Ricordami perchè sto con lui?" "Non so. Perchè lo ami?" "Giusto.") della Maritombola #4 @ maridichallenge. Grazie ad Harl per il betaggio <3



And what else shall hap tonight, give it understanding, but no tongue

Sono le due di notte quando il suo jet atterra.

Natasha è stanca, irritata, zoppica leggermente, i suoi vestiti puzzano ancora di fumo nonostante li abbia lavati due volte; tutto quello che vuole ora sono una doccia calda e un letto pulito, non necessariamente in quest’ordine, invece non è nemmeno scesa dall’aereo che corrono a dirle che Clint è finito di nuovo in ospedale.

Va dritta da lui senza neanche disfarsi dello zaino, e gli infermieri la lasciano passare senza nemmeno un saluto, solo occhiatacce ai suoi stivali sporchi e poi mormorii concitati alle sue spalle. È passato quasi un anno dal suo reclutamento ma le storie su di lei circolano ancora, bisbigliate a mezza bocca dove credono che non possa sentire, ma le lascia correre. Fa comodo avere una certa reputazione.

Trova la stanza di Clint, silenziosa e immersa nel buio, ma quando entra la sedia accanto al letto è già occupata.

Coulson non alza lo sguardo nemmeno una volta, non quando si chiude la porta alle spalle o lascia cadere lo zaino all’ingresso con un clangore sordo o trascina un’altra sedia accanto alla sua, gli occhi fissi sul viso addormentato di Clint come se dovesse impararne a memoria ogni dettaglio.

«Si è gettato da un palazzo,» dice, a mo’ di saluto. «Di nuovo.»

Natasha si avvicina ed osserva. Tutto quello che riesce a vedere di Clint è coperto di lividi e bende, ha una gamba ingessata, le sue braccia sono piene di graffi, e dal collo della camicia da notte si intravede della garza candida che gli avvolge il petto, ma nonostante tutto deve combattere il sorriso che sorge spontaneo al sarcasmo amaro delle parole di Coulson.

Non offre nessun commento, però, e Coulson non si aspetta di riceverne. «Era riuscito ad ancorarsi ad un balcone, ma quello ha ceduto. L’hanno ritrovato otto ore dopo sotto un cumulo di macerie.» Si passa una mano sugli occhi, lentamente, un gesto così aperto e vulnerabile da lasciare Natasha interdetta. «Dovrebbe svegliarsi tra qualche ora.»

Il tono è quello monotono e strascicato di una frase ripetuta allo stremo, ma più a se stessi che ad altre persone, e Natasha assottiglia lo sguardo. La camicia stropicciata e la cravatta storta e le occhiaie scure sul viso di Coulson parlano di una veglia molto più lunga di qualche ora, e si trova a domandarsi da quanto tempo Coulson non veda l’ombra di un letto, se ha intenzione di restare su quella sedia tremenda fino al risveglio di Clint, e se mai qualcuno farebbe qualcosa del genere anche per lei.

Clint, forse, solo lui sarebbe così stupido da passare la notte al suo capezzale. O Fury, magari, ma soltanto per urlarle contro una volta sveglia. O addirittura proprio Coulson, chissà, se avesse un pomeriggio libero o se Clint glielo chiedesse come favore personale.

Dubita però che qualcuno di loro avrebbe lo stesso sguardo di quieta disperazione e nudo bisogno che c’è ora negli occhi di Coulson.

Si accorge d’un tratto delle dita di Coulson, intrecciate distrattamente a quelle di Clint sopra le lenzuola soffici, e le sue dita formicolano d’invidia mentre si rimprovera di non averlo notato prima. È così stanca e ha bisogno di un letto più dell’aria che respira, ma sa che ora non riuscirebbe più a chiudere occhio, non dopo aver visto Clint, perciò si raggomitola come meglio può sulla sedia scomoda dell’ospedale, nascondendo il naso dietro le braccia incrociate sulle ginocchia.

I minuti scivolano via disturbati soltanto dal rumore delle macchine nella stanza, il ronzio delle deboli luci d’emergenza e il bip del battito cardiaco di Clint che si ripete nel ritmo lento e forte di un sonno sincero. Coulson non dice niente, come se lei non ci fosse, ma Natasha attende; e infatti, dopo quelle che sembrano ore ma sono appena minuti – bip, bip, bip, come un cronometro –, lo sente schiarirsi la voce.

«Natasha,» dice – non Agente, non Romanoff, non Vedova Nera o Natalia, e l’uso del suo nuovo nome la sorprende tanto da farla quasi sussultare. Coulson non la guarda ancora, ma l’angolo della sua bocca si arriccia nell’ombra di un sorriso divertito. «Ricordami perché sto con lui?»

Questo, benché sia la prima volta che lo sente dire, non la sorprende affatto; non quando mezza SHIELD è convinta che quei due siano sposati, non quando Clint reagisce come un tredicenne irritabile alle sue frecciatine su Coulson, non quando basta guardarli un secondo quando credono di essere soli per capire perfettamente ogni cosa. Non credeva però che Coulson potesse essere così diretto, e soprattutto non con lei.

«Non lo so,» risponde, lentamente, la voce appena arrochita dal fumo delle esplosioni della sua ultima missione. Coulson si aspetta una risposta caustica, probabilmente, ma questa sua improvvisa sincerità la intriga, e vuole vedere fin dove è pronto a spingersi. «Perché lo ami?»

Coulson si volta di scatto e finalmente la guarda, per la prima volta da quando è arrivata, uno sguardo distaccato e calcolatore che incrina la sua maschera da mite uomo d’ufficio. La fissa e non dice nulla e Natasha sgrana impercettibilmente gli occhi, usando ogni briciola della sua forza di volontà per non tirare uno scappellotto al suo capo o, peggio, per non sbottare vuoi dirmi che non gliel’hai mai detto?

E pensare che era convinta non esistesse persona più repressa di Clint. (Lei esclusa.)

Ma alla fine Coulson sorride, un sorriso tanto piccolo quanto onesto, perché evidentemente in questa stanza, questa notte, uniti da Clint e dal suo stupido eroismo, non valgono gradi e gerarchie. «Giusto,» mormora, stringendo più forte la mano di Clint, ed è come se un po’ dell’angoscia che gli opprimeva le spalle se ne fosse andata.

Natasha si abbandona contro lo schienale della sua sedia, sospirando tra sé e sé per la stupidità di certa gente. È stanca e spossata, di quella stanchezza che entra nelle ossa e annebbia la mente, ma è anche troppo irrequieta per prendere sonno; eppure, nonostante la stanchezza, nonostante la scomodità, nonostante il fondo di preoccupazione che non riesce a mandare via, sente le palpebre farsi pian piano sempre più pesanti.

«Dormi, agente, tocca a me il turno di guardia,» dice qualcuno, come da una grande distanza, e Natasha non saprebbe dire cosa la spinga a dar retta a quella voce calda e divertita, ma alla fine sbadiglia e chiude gli occhi.

   
 
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