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Autore: alecter    15/01/2013    1 recensioni
La maggior parte di quello che pensate di sapere su Arthur, non sono altro che menzogne.
Merlin e Arthur, sono realmente esistiti, che la gente voglia ammetterlo o meno.
Chi di voi crede davvero nell’amore? In quello vero. In quello in cui due anime si legano indissolubilmente senza mai lasciarsi andare. Nemmeno la morte può distruggere tale tipo di rapporto, perché il vero amore sopravvive anche a quello.
Ci sono certe vite destinate a toccarsi, non importa dopo quanti anni, certe anime si rincontrano sempre.
Arthur fu il più grande re che la storia del Galles abbia mai conosciuto. Nessuno equiparerà mai la sua grandezza. Ma le sue grandi imprese sono storia solamente perché al suo fianco c’era qualcuno che gli ha dimostrato fedeltà fino alla morte e oltre: Merlin.
Genere: Comico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Questa è la mia prima storia su un Modern AU di Arthur e Merlin. Posterò qui ogni giorno un capitolo.

Autore: ale_hysteria
Titolo: Long live to us!
Categoria: drama, fantasy, killer, giallo, avventura, romantico
Fandom: Merlin, Merthur
Raiting: Giallo
Avvertimenti: SPOILER! Quinta stagione. SLASH!

Capitolo Uno




“A soli tre giorni dal suo ultimo assalto, il serial killer che sta facendo impazzire Londra, colpisce ancora.
Ieri notte, nel cuore di uno dei più ricchi quartieri della città, il multi - omicida è entrato in una delle tante ville a schiera di Notthing Hill lasciando ancora una volta dietro di sé una scia rossa.
La vittima, come anche in precedenti casi, era un giovane ragazzo abbiente, il quale aveva già perso entrambi i genitori.
In molti si stanno arrovellando sul caso ma la polizia non ha ancora la minima idea di chi ci possa essere dietro questa serie di omicidi.
Sono stati consultati esperti criminologi e psichiatri, i quali ritengono che, probabilmente, il killer è alla ricerca di una sorta di vendetta per un trauma, quasi sicuramente, subito da piccolo.
Tutta Londra si chiede quando questo scempio finirà. Per strada la gente teme per la propria incolumità come non mai. Erano anni che Londra non viveva un clima di terrore come quello di queste settimane.”

Merlin spense il televisore e fissò il muro della stanza davanti a sé. Aveva paura. Non tanto per sé, quanto per chiunque fosse lì fuori, nelle strade di Londra, indifeso.
Lui poteva difendersi, gli altri no.
Chiunque fosse questo serial killer, doveva essere assolutamente fermato.
Ma lui cosa poteva fare? Non era un poliziotto, non avrebbe messo a terra una mosca, figurarsi un serial killer.
Eppure avrebbe voluto fare qualcosa.
Invece era lì, impotente, nella sua stanza, ad ascoltare alla televisione che per l’ennesima volta un ragazzo innocente era stato ucciso. Quali erano le loro colpe?

“Merlin, la cena è in tavola,” lo chiamò sua madre dalla cucina.

“Arrivo” rispose, lasciando cadere il filo dei suoi pensieri. Era solamente uno studente di medicina, non sarebbe mai riuscito, neanche volendo, a rintracciare uno spietato serial killer.

“Ancora quel servizio al telegiornale?” chiese la madre, non appena si sedette a tavola. Lo aveva capito subito dal suo sguardo. Merlin era troppo suscettibile a cose del genere, e i suoi occhi riflettevano come uno specchio quello che provava. In quel momento, quei due pozzi di acqua cristallina, si erano leggermente incupiti. Era come se dentro di lui fosse in atto una tempesta.
Annuì in silenzio mentre prendeva la prima forchettata di patate.
Hunith scosse la testa.

“Spero davvero che lo fermino presto. Tutte quelle povere famiglie, tutti quei ragazzi morti così giovani. Assurdo che la polizia non abbia ancora una traccia di partenza” disse poi, mentre con forza cercava di togliere le ultime incrostazioni da una pentola che aveva usato per la cena.

“Se solo potessi..” Merlin iniziò la frase ma si fermò non appena sua madre lo fulminò con lo sguardo.

“Merlin, non pensarci nemmeno. Sono già abbastanza in pensiero quando esci per andare all’università, figurati a pensarti correre dietro un killer. Poi cosa vorresti fare? Non hai idea di chi sia! E non puoi semplicemente tramortirlo con i tuoi poteri e consegnarlo alla polizia” sua madre si stava accanendo troppo su quella pentola.

“Era solo un pensiero passeggero, tranquilla,” Merlin cercò di rassicurarla, tornando al piatto che aveva davanti.
Merlin era perfettamente consapevole che sua madre aveva ragione. Era solamente un ragazzino qualunque, sebbene dotato di poteri magici. Se non era riuscita a trovare il killer, un’intera squadra di esperti poliziotti, figurarsi lui.
Eppure, a volte si chiedeva se i suoi poteri avessero potuto fare la differenza. Forse sarebbe riuscito a vedere e percepire cose che, ad un normale occhio umano, avrebbero potuto sfuggire.
Merlin era fatto così. Qualsiasi problema affliggeva gli altri, finiva con il tormentare anche lui. Non riusciva a darsi pace nel buio della sua stanza mentre pensava a tutti quei ragazzi uccisi nelle loro case.
Non riusciva a capacitarsi di come qualcuno potesse arrivare a compiere un’azione simile. Merlin aveva un cuore troppo buono e puro per riuscire a comprendere la malvagità che risiedeva nel cuore delle persone, sua madre glielo diceva sempre.
Si rigirò più volte nel letto, nel tentativo di chiudere gli occhi e cancellare dalla mente le immagini che aveva visto poco prima al telegiornale.
Alla fine, accese la piccola lampada poggiata sul comodino, accanto al suo letto, e fissò il soffitto.
Si sentiva inutile. Tutti quei poteri, e non poteva utilizzarli.
Era un emarginato, un mostro, e non poteva nemmeno utilizzare le sue stranezze a favore della gente.
A volte arrivava ad odiarsi così tanto, da voler prendere a pugni il riflesso nel suo specchio.
Non fosse stato per il suo migliore amico William, non sapeva cosa avrebbe fatto della sua vita. Sebbene recentemente le cose stessero migliorando per lui, grazie anche all’ambiente universitario, decisamente diverso e più accogliente rispetto a quello del liceo, si sentiva ancora estraneo al mondo, fuori posto.
Spesso pensava di trasferirsi su Marte, sperando di trovare almeno lì forme di vita più simili a lui.
Esausto, sussurrò un incantesimo e fece apparire un intero cielo stellato sul soffitto della sua stanza. Contando le stelle, una ad una, cadde in un sonno profondo e senza sogni.


Arthur stava camminando avanti e indietro per la sua stanza da circa un’ora. Sapeva che probabilmente era solo frutto della sua immaginazione, eppure aveva quella persistente sensazione che qualcuno, mentre stava tornando a casa, lo avesse seguito.
Questa storia del serial killer, a piede libero per le strade di Londra, lo stava facendo impazzire. Come se non bastasse, lui rientrava perfettamente nel suo target.
Arthur aveva perso entrambi i genitori. Sua madre, infatti, era deceduta durante il parto, a causa di alcune complicazioni; era riuscita a sentire solamente le prime urla del suo bambino mentre la vita scorreva via dal suo corpo. Suo padre, invece, era deceduto meno di un anno primo, a causa di una malattia al cuore che lo aveva colto all’improvviso sul posto di lavoro. Sebbene Arthur non avesse avuto un rapporto molto stretto con il padre, ne sentiva spesso la mancanza.
Inoltre Arthur era molto, molto ricco, quindi rientrava anche nelle fasce di reddito elevate che tanto sembravano infastidire il serial killer.
Ovviamente la sua villa era circondata da sistemi di allarme e guardie del corpo erano costantemente al suo fianco, soprattutto in queste ultime settimane.
A volte rimpiangeva che suo padre gli avesse lasciato una tale eredità.
Uther, infatti, era il proprietario della catena di gioiellerie più famose d’Inghilterra.
Ciò faceva di Arthur uno dei giovani più ricchi, se non dell’intera isola, almeno della città di Londra.

“Tyron?”chiamò Arthur, in preda alle allucinazioni. Avrebbe giurato di aver appena visto un’ombra muoversi fuori dalla finestra della sua stanza. Ed era al secondo piano.
Quando il giovane cameriere tardò ad arrivare, Arthur lo chiamò nuovamente.

“TYRON!” urlò questa volta. Il giovane, con i capelli scompigliati per la corsa e il respiro affannato, quasi cadde a terra quando entrò nella stanza. Arthur lo aveva da poco assunto al suo servizio. Non che avesse realmente bisogno di un cameriere per casa, però a volte gli faceva piacere avere qualcuno con cui parlare o a cui dare ordini. Si era pentito però quasi subito. Il giovane Tyron, aveva circa la sua età, era pieno di acne e una massa di capelli rossicci sempre scompigliati. Al liceo, Arthur, lo avrebbe definito un disagiato sociale. Aveva le capacità sociali di un muro e la maggior parte delle loro conversazioni finivano per essere a senso unico, con sproloqui da parte di Arthur, e Tyron che annuiva ripetutamente con la testa.
“Si, signore” chiese Tyron, cercando di riprendersi e deglutendo per inumidire la bocca secca.

“Dove diavolo eri finito? Dì a Leon di fare un giro con le guardie, qui fuori. Mi sembra di aver visto qualcosa muoversi” disse poi Arthur al ragazzo, il quale,
annuendo rapidamente, si preparò per correre di nuovo giù per le scale.

“Ah e, Tyron,” aggiunse Arthur, “già che ci sei, portami una tazza di tè” il ragazzo lo guardò per qualche secondo, poi annuì nuovamente e uscì dalla stanza.
Arthur rimase in silenzio, lo sguardo fisso sulle ombre che le luci della sua casa proiettavano sul giardino sottostante.
Quando Tyron aprì la porta per entrare di nuovo nella stanza, il suo cuore perse un battito.

“Il suo tè, signore” disse il ragazzo, posando sulla scrivania un vassoio con una teiera e una piccola tazza di porcellana con già del tè dentro.
Arthur non disse nulla, si sedette sulla poltrona e strinse tra le mani la tazzina con il liquido caldo e ambrato.
Era sempre stato coraggioso. Sin da piccolo aveva seguito corsi di scherma e lotta libera; il suo sogno era sempre stato quello di vivere nell’epoca medievale, tra combattimenti, draghi e spade. S’immaginava sempre con indosso una splendente armatura, a cavallo, mentre comandava il suo esercito di soldati. Ora però, con questo assassino a piede libero, si sentiva terribilmente fragile e a tiro.
Perché mai dovrebbe arrivare a me? Si disse, mentre sorseggiava lentamente il tè. Poi pensò a tutti quei ragazzi innocenti, dilaniati nelle loro case, e si chiese che male avessero fatto per andare incontro a tale fine.
Si sentiva impotente di fronte a queste scie di sangue che non poteva fermare.
Avrebbe tanto voluto avere il potere di cancellare il male che affliggeva la sua città, ma non era altro che un cittadino comune senza alcun potere.

Merlin aveva lezione ogni mattina. Nonostante sua madre avesse più volte espresso la sua preoccupazione riguardo al fatto che, girare per le strade in quel periodo non fosse cauto, lui aveva deciso comunque di continuare ad andare in università. Non poteva certo permettersi di perdere dei corsi a causa di quel pazzo killer; e in fondo, se anche si fossero trovati faccia a faccia, solo lui e quel folle assetato di sangue, forse avrebbe finalmente potuto rendersi utile. Certo, nulla di permanente. Avrebbe potuto tramortirlo, lasciarlo svenuto giusto il tempo di chiamare la polizia.
Camminando lungo il Tamigi, Merlin sentì qualcuno alle sue spalle chiamare il suo nome.
Quando si voltò, vide William, suo migliore amico da sempre, le guance rosse e il cappuccio che gli cadeva quasi sugli occhi.

“E’ circa mezz’ora che ti seguo, diamine” disse il ragazzo quando ebbe raggiunto l’altro.
Merlin si limitò a sorridere. Tra lui e William era tutto naturale; le loro madri si conoscevano da prima delle loro rispettive nascite e quindi era sembrato normale che anche i loro figli divenissero amici.
Erano andati a scuola insieme fino a che l’università aveva segnato diversi percorsi. Mentre Merlin, infatti, aveva scelto la facoltà di medicina, William era entrato in quella d’ingegneria. Non che ciò li avesse allontanati. Erano sempre uniti, forse anche più di prima.

“Ti sei alzato tardi, come al tuo solito?” chiese Merlin, riprendendo a camminare.

“Cosa dici mai! Il problema sei tu! Tu esci di casa decisamente troppo presto,” lo rimbeccò William.
Effettivamente Merlin adorava uscire da casa in anticipo, in modo da potersi godere una tranquilla passeggiata sul Tamigi. Soprattutto in inverno, adorava vedere i rami spogli degli alberi, le strade deserte di prima mattina, le persone incappucciate per cercare di coprirsi dal freddo, il cielo tempestato di nubi.

“Dovresti provarci anche tu, di tanto in tanto” si limitò a rispondere all’amico, il quale gli diede un’amichevole spallata.
William, oltre ad essere amico di vecchia data, era anche un ottimo confidente; era l’unico, infatti, oltre a Hunith, ad essere a conoscenza del segreto di Merlin.
I tempi delle streghe bruciate al rogo erano ormai ovviamente finiti, ma il mondo non era ancora pronto a prendere conto che persone con poteri magici non appartenevano solamente a leggende folkloristiche, esistevano davvero.

“Dovresti aspettarmi quando finisci lezione oggi, io e Cassie abbiamo deciso di fare un giro al centro commerciale assieme” disse poi William, mentre la struttura del suo campus iniziava a intravedersi tra le case.

“Vieni con noi ovviamente” aggiunse poi. Merlin alzò lo sguardo.

“Non so, William, non vorrei fare il terzo incomodo tra voi due” William scoppiò a ridere alzando gli occhi al cielo. I suoi occhi, generalmente verde acqua, quel giorno erano leggermente grigi, riflettendo il colore del cielo.

“Ma quale terzo incomodo! Io e Cassie siamo solamente amici” rispose poi, fissando la punta delle sue scarpe e con un tono di voce che diceva quanto, neanche lui, fosse convinto di ciò che stava dicendo.
La verità era che, praticamente parlando, entrambi ritenevano di essere solamente amici. Il problema era che non si comportavano come tali e Merlin era sicuro che non provassero sentimenti reciproci, limitati all’amicizia.

“Certo” ribatté Merlin, beccandosi un’altra spallata.

“Dai amico, ci divertiremo” cercò di persuaderlo William. Alla fine Merlin sbuffò ed annuì. Era sempre così con William. Qualsiasi cosa proponesse, alla fine Merlin diceva di sì, si trattasse di una semplice passeggiata per negozi o di scalare una montagna.

“Va bene, vi aspetto all’ingresso” William era ormai giunto di fronte all’ingresso del suo campus, quindi Merlin lo salutò e si avviò verso il ponte che collegava le due sponde del Tamigi. Il suo campus, infatti, si trovava dall’altro lato.
Era un piccolo dipartimento di un’importante università, una delle più conosciute a Londra. Merlin era riuscito a entrare grazie ai suoi enormi sforzi, tra cui anche quelli economici. La retta universitaria, infatti, era cara. Merlin però era riuscito a vincere un’ingente borsa di studio che copriva più di metà della retta.
Adorava girare per i corridoi del suo campus. Spesso, nelle ore di pausa, si sedeva sul porticato di colonne, che dava su un piccolo giardino interno, e leggeva qualche libro.
Arrivato di fronte all’aula di fisica, lasciò scivolare a terra il suo zaino e si posizionò in uno dei banchi, pronto a due ore di noia mortale.


Arthur, la mattina seguente, era ancora in preda alle allucinazioni.
Ovunque andasse, qualunque strada attraversasse, sentiva qualcuno fissarlo.
Nonostante fosse affiancato da due delle sue migliori guardie, si sentiva terribilmente allo scoperto. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto rintanato in casa l’intero giorno, le intere settimane seguenti, fino a che la polizia non avesse catturato l’assassino.
I suoi doveri però lo chiamavano. Avere un’eredità così grande, infatti, non toglieva che dovesse frequentare l’università e trovare una propria strada nella vita; seguire le orme di suo padre non era mai stato il suo sogno.
Aveva così intrapreso gli studi di economia presso una delle più prestigiose università di Londra.
Ovviamente, nonostante le alte rette, Arthur non aveva alcun problema a pagare l’università e il costo della sua vita, grazie alle enormi entrate dei negozi di suo padre.
Inoltre, la sua spigliatezza, e ovviamente anche i soldi, gli avevano assicurato un’ampia cerchia di amici all’interno del campus.
Ogni mattina, con un gruppo di ragazzi, si recava a fare colazione sulle rive del Tamigi, prima di andare a lezione.
La maggior parte degli appartenenti al suo gruppo erano ragazzi con situazioni economiche agiate ma, nonostante ciò, Arthur non riteneva di essere uno di quei ricconi spilorci che giudicava il resto delle persone come plebaglia da cui tenersi alla larga.
Proprio per mettere a tacere voci del genere, nei primi mesi della sua entrata nell’università, aveva intrapreso il suo percorso in alcune associazioni di beneficienza, donando ogni mese larghe somme di denaro.

“Avete sentito di questo pazzo omicida che continua ad uccidere ragazzi ricchi?” chiese Jake, uno degli amici più stretti di Arthur.
Erano seduti ad uno dei tavolini della tavola calda universitaria. Le lezioni iniziavano solamente per l’ora di pranzo e quindi avevano deciso di riunirsi e mangiare qualcosa prima di gettarsi nelle aule.

“Vi prego, non parliamone. Mi sta procurando gli incubi la notte questa storia” disse Arthur, cercando di affogare il proprio terrore in una bottiglia di birra.

“La polizia sta facendo proprio un bel lavoro! Sette vittime, e ancora nemmeno un sospettato” ribatté Robert, che Arthur aveva conosciuto prima dell’inizio dell’università, durante un corso di scherma.
In risposta, Jake scosse la testa.

“Se ci fossi io a capo del dipartimento, avrei fatto un lavoro migliore” disse poi. Gli altri annuirono.

“Direi di entrare a far parte del corpo di polizia e stendere quest’assassino, che dite?” aggiunse poi scherzando, Kyle. I ragazzi scoppiarono a ridere e la tensione un po’ si smorzò.
Arthur continuò a bere dalla sua bottiglia guardandosi attorno furtivamente.

“Arthur, amico, tranquillizzati” lo ingiunse Kyle.

“Si, amico, sei tanto a rischio tu quanto noi” cercò di tranquillizzarlo Jake, senza troppo successo.

“Sto bene ragazzi, davvero” disse Arthur, cercando di sorridere.
Eppure continuava a sentirsi come se qualcuno gli stesse puntando una pistola sulla schiena. E non aveva tutti i torti.
   
 
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