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Autore: rekichan    03/08/2007    12 recensioni
Cuore vuoto.
Sorriso vuoto.
Occhi vuoti.
Giù il saké.
Alla salute.

[threesome Team 7]
Genere: Malinconico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stessa storia, stesso posto, stesso bar
stessa gente che vien dentro consuma e poi va
non lo so che faccio quì
esco un pò
e vedo i fari delle auto che mi
guardano e sembrano chiedermi chi cerchiamo noi

Lo sciabordare del saké nei bicchieri non era cambiato, così come non lo erano le pareti incrostate d’unto e odoranti di quel fritto che, come ricordava, era la specialità della casa.

Lo stesso codice d’immutabilità valeva per gli avventori.

Ragazzi e ragazze di tutte le età, ben decisi a passare una serata diversa dalle altre dopo l’affaticante allenamento giornaliero che, però, non avevano trovato svago migliore dallo rinchiudersi in un fetido locale di periferia.

Allenamento…per diventare cosa, poi? Macchine assassine; esseri spietati che non esitavano ad uccidere.

Armi.

Gli tornò in mente un sillogismo che girava, ai suoi tempi – e sì che erano parecchio lontani “i suoi tempi”. Quell’espressione gli riportò alla mente il peso degli anni sulle spalle. – in accademia.

Tutto ciò che uccide è un’arma.

Un ninja uccide.

Un ninja è un’arma.

Se la memoria non lo ingannava, c’era anche un motivetto d’accompagnamento.

Ma quello proprio no, non lo ricordava.

Tuttavia non aveva importanza.

In fondo, non ne aveva mai avuta.

Era solo una canzoncina dei vecchi tempi; di quando i quarant’anni non erano così vicini e di quando il futuro non contava.

Ma quando mai aveva contato, per lui? Il passato era sempre stato il suo mondo.

Anche adesso che i capelli non stavano più in quell’improbabile pettinatura, - causa prima delle risate del suo migliore amico quando la sua ragazza, la loro ragazza, tentava di fargli assumere una piega decente, armata di spazzola – che le cicatrici sul corpo erano aumentate e che i lineamenti – non più infantili – erano coperti da quella sottile peluria scura vecchia di due o tre giorni; quella di quando ci si dimentica di radersi e che non serve a nascondere il viso.

Ci aveva provato, ma poi aveva posato il kunai che utilizzava di solito – uno di quelli vecchi; rovinato dalle troppe battaglie ma ancora buono per piccoli utilizzi quotidiani – e l’aveva lasciata.

Forse sperando di non essere riconosciuto.

Illusione.

Sapeva che i suoi occhi lo avrebbero tradito.

Loro riuscivano sempre a riconoscerli; perfino quando usava l’Henge.

Quando erano giovani, per la rabbia riflessa al loro interno.

Da adolescenti, per l’indifferenza; da ventenni spensierati, perché brillavano alla loro presenza.

Da adulti, perché erano vuoti.

Occhi vuoti. Non aveva più emozioni con cui colmare quelle pozze nere.

Non da quel giorno, quando l’unica certezza rimasta in vita era crollata.

Quando lui era morto. E non era stato lui ad ucciderlo.

Non aveva più reale intenzione di farlo, eppure il sapere della sua morte ad opera della stessa organizzazione cui faceva parte lo aveva distrutto.

Il sapere che era vivo, in un certo senso, era il fulcro della sua vita. Sparito quello, non aveva più saputo dove aggrapparsi, sebbene avesse sempre avuto due solidi scogli al suo fianco.

Ciò nonostante, non era riuscito ad aggrapparvisi. Quelle rocce erano solo la punta della montagna su cui poggiava i piedi e le fondamenta erano a terra.

Occhi vuoti.

Vuoti, semplicemente. Come la sua vita, passata senza averla vissuta realmente; come quegli anni che erano scivolati sulle sue spalle – larghe, una volt aveva conosciuto una donna che amava appoggiarvisi – senza che se ne accorgesse.

Come i frammenti di quel passato in cui aveva sempre vissuto e che, anche ora, rimpiangeva.

Ma quando sei abituato a vivere di rimpianti non ci fai più caso, finché non vedi i tuoi occhi [vuoti] riflessi sul vetro del bicchiere [pieno] e, allora, te ne accorgi.

Il risultato è solo un altro rimpianto.

Occhi vuoti.

Giù il saké.

Alla salute.

Gli anni d’oro del grande Real
gli anni di Happy days e di Ralph Malph
gli anni delle immense compagnie
gli anni in motorino sempre in due
gli anni di che belli erano i film
gli anni dei Roy Rogers come jeans
gli anni di qualsiasi cosa fai
gli anni del tranquillo siam qui noi
siamo qui noi

Le stelle brillavano. Ed erano belle, le stelle.

Tre bambini, stesi su un prato.

Una bambina, col cuore pieno d’amore.

Un bambino, col sorriso colmo di gioia.

Un altro bambino, con gli occhi crucciati.

«Una stella cadente!»

«Esprimi un desiderio, Sasuke-kun!»

Squittì la ragazza, aggrappandosi al braccio di Sasuke.

«Sono cose da bambini.»

Sbuffò, staccandosi da quell’appiccicosa effusione.

In realtà gli faceva piacere. Però non amava ammetterlo.

«Abbiamo dodici anni! Siamo bambini!»

«Dai, Sasuke-kun…»

Il bambino sbuffò ancora, arricciò il naso.

Guardo l’amico e l’amica, poi, con tono annoiato, disse:

«Fatto…»

I due esultarono.

«Cosa hai chiesto, Sasuke-kun?»

«Di sicuro “uccidere suo fratello”. Non ha fantasia quello lì.»

Sasuke non rispose, fissando il cielo.

Avrebbe potuto dire a Naruto che si era sbagliato, perché aveva chiesto un’altra cosa.

«Tanto non si avvererà.» pensò.

E si imbronciò, consapevole di aver sprecato un desiderio per futili sogni di bambino.

Ma, in fondo, era un bambino.

Stessa storia, stesso posto, stesso bar
una coppia che conosco ci avrà la mia età
«Come va?»
salutano
così io
vedo le fedi alle dita di due
che porco giuda potrei essere io qualche anno fa

Due persone si alzarono dal proprio posto, dirigendosi verso il tavolino tondo nell’angolo destro del locale.

Lui non li vide, o finse di non farlo. Però non li potè ingorare. Non a lungo, almeno.

Faccia a faccia col suo passato. Faccia a faccia con un presente di cui non fa parte.

Di cui non aveva voluto far parte.

«Come va, Sasuke?»

Sorrise. O provò a farlo.

I suoi muscoli non erano più abituati a compiere quel gesto. Non lo erano mai stati, sin da ragazzo.

Loro lo sapevano.

Lo avevano sempre saputo.

Per questo, anche se non lo avrebbe mai ammesso, gli era sempre piaciuto stare in loro compagnia.

C a p i v a n o, senza bisogno di parole.

Anche adesso, a distanza di quanto? Dieci? Undici anni?

Tredici, Sasuke. Tredici lunghi anni.

Sì. Anche adesso capivano e fu in virtù di questa comprensione [innata] che apprezzarono quello sforzo che – lo sapevano – faceva solo ed esclusivamente per loro.

Si sedettero.

Quello era il loro tavolo. Era sempre stato il loro tavolo.

Vi avevano inciso le loro iniziali, intrecciate tra loro.

Iniziativa di quella stupida volpe; Sakura aveva acconsentito, lui aveva semplicemente grugnito.

Avevano capito che era un sì.

Poi Sasuke era corso in bagno a vomitare, seguito poco dopo da un Naruto, la cui troppa ridarella aveva dato la stoccata finale al suo già precario equilibrio intestinale.

Avevano bevuto troppo e Sakura aveva riso.

Solo per raggiungerli verde in viso nei minuti successivi.

Ma quelle lettere le avevano incise, anche se ubriachi.

Ed erano ancora lì.

Sbiadite, consumate come il locale e il legno su cui erano state intagliate.

Come loro.

Fissò Naruto, poi Sakura.

Si tenevano per mano, sotto il tavolo.

Una volta anche le sue avevano stretto quella libera di entrambi, ma adesso non c’era posto.

Lo capiva e, se un tempo il gesto di stringere la mano ad uno solo dei membri del terzetto era parso così incompleto e sbagliato ad ognuno di loro, adesso capivano che era soltanto dannatamente giusto.

«Sono passati tanti anni.» Naruto ruppe il silenzio. Era sempre stato lui a compiere quell’atto; lo replicò nuovamente.

«Sì, ma non siete cambiati molto.» sei parole. Un record.

Sospiro. Naruto si passò la mano tra la zazzera bionda.

Gli occhi stanchi.

Non aveva dormito.

Il messaggio di Sasuke che annunciava il proprio ritorno e la richiesta di incontrargli al vecchio locale lo avevano tenuto sveglio tutta la notte.

Era imbarazzo quello che provava? Sì. Lo era. E si malediva per quello.

«Cambiamo tutti, Sasuke. Sei tu che vuoi vederci uguali ad un tempo.» mormorò.

Sakura restò in silenzio.

Si alzò, silenziosa, solo quando una vivace ragazzina di circa tredici anni fece il suo ingresso nel locale, correndo verso di lei.

«Kaa-san!» urlava. Sakura rispose al richiamo, parandosi di fronte alla figlia.

Scoccò un’occhiata di scuse a Sasuke.

«Hanako-chan, ti avevo detto che…

Si allontanò; i rimproveri persi nel brusio del locale.

In fretta. Molto, troppo rapidamente perché Sasuke potesse scorgere la bambina.

Intuì che, per qualche motivo, non desiderava che la vedesse.

Acconsentì a quella muta richiesta, non tentando di sporgersi per scorgerla, o chiedendo di presentargliela.

«Scusala…Hanako-chan è una peste quando vuole. Di solito non fa così, ma…»

«E’ vostra figlia?»

Interruppe bruscamente il flusso di parole di Naruto.

Questi alzò lo sguardo su Sasuke, poi annuì.

«Sì, è mia figlia. Ci siamo sposati quattro anni dopo la sua nascita. Non avremmo dovuto, ma…» sospiro «…non ce la faceva più ad aspettarti. Non ce la facevamo più. Sei sparito dopo che hai saputo della morte di Itachi. Sei andato via e…e noi dovevamo compensare in qualche modo. Non sapevamo se eri vivo…né se…» si portò una mano alla fronte, appoggiandovi il peso; negli occhi azzurri il riflesso dell’angoscia e della disperazione. Quando tolse la mano, appariva assai più vecchio dei suoi trentanove anni «Mi dispiace.»

«Avete fatto bene.»

In fondo non poteva chieder loro di aspettarlo. Non di nuovo.

Naruto si morse il labbro inferiore; gli occhi cerulei intenti a studiare la superficie del tavolo si posarono sulle lettere sbiadite.

Le carezzò con i polpastrelli.

«Mi dispiace.» ripeté.

Alzò il viso e sorrideva.

«Però adesso sei tornato! Tornerà tutto come prima!»

Inguaribile ottimista.

Entrambi sapevano che nulla sarebbe mai stato come prima, ma avevano paura di ammetterlo.

«Mh.»

«Vado a chiamare Sakura, vorrai parlarle.»

Si alzò e raggiunse la moglie.

Non riusciva più a guardare quegli occhi vuoti.

Dietro il bicchiere [vuoto], l’ombra di un sorriso [vuoto] che, forse, non era mai stato pieno.

Sorriso vuoto.

Occhi vuoti.

Giù il saké.

Alla salute.

Gli anni d’oro del grande Real
gli anni di Happy days e di Ralph Malph
gli anni delle immense compagnie
gli anni in motorino sempre in due
gli anni di che belli erano i film
gli anni dei Roy Rogers come jeans
gli anni di qualsiasi cosa fai
gli anni del tranquillo siam qui noi
siamo qui noi

Tre ragazzi, ad un tavolo.

Una ragazza, col cuore pieno d’amore.

Un ragazzo, col sorriso colmo di gioia.

Un altro ragazzo, con gli occhi che brillavano sereni.

«Alla salute del Team 7, ragazzi!»

Esordì la ragazza, alzandosi in piedi e sollevando il bicchiere colmo d’alcool.

«E a Sakura che finalmente ce l’ha data!»

Sakura avvampò, lanciando il bicchiere in testa a Naruto.

Sasuke ghignò.

Nella mente, i ricordi della notte precedente, dove tutto era stato così naturale da sopperire a qualsivoglia spiegazione.

«Sasuke-kun! Digli qualcosa!»

Sasuke alzò il bicchiere.

«A Naruto, o meglio al suo sedere. L’unica cosa che, se adeguatamente stimolata, è in grado di non fargli aprire bocca a sproposito.»

Toccò a Naruto arrossire, poi alzò a sua volta il bicchiere.

«A Sasuke Uchiha. Tanto rapido come ninja, quanto nelle prestazioni.»

«Quando c’è la compagnia adatta, contenersi è dura, caro usuratonkachi.»

Naruto sorrise. Sakura anche.

Era quanto di più vicino ad una dichiarazione potessero aspettarsi dall’Uchiha.

«Sono contenta di stare qui con voi.»

Esordì Sakura, ad un tratto.

I due ragazzi si voltarono a guardarla.

Un po’ stupiti, un po’ felici.

«Ricordate la notte delle stelle cadenti? Avevo chiesto questo.»

«Anche io.» ammise Naruto. «E tu, Sasuke?»

Prese la mano di Sakura e porse quella libera a Sasuke.

Questi non rispose alla domanda, arricciando appena il naso.

«Non vi riguarda.» sbottò.

Ma prese le mani e trattenne un sorriso.

«Le stelle ogni tanto ci ascoltano.» pensò.

E per una volta credette che i sogni dei bambini si avverano.

Ma, in fondo, era solo un ragazzo.

Stessa storia, stesso posto, stesso bar
sta quasi chiudendo

Poi me ne andrò a casa mia

Solo lei, davanti a me.

«Cosa vuoi?

Il tempo passa per tutti lo sai

Nessuno indietro lo riporterà neppure noi.»

Era seduta di fronte a lui.

E sorrideva.

Sasuke studiò il sottile formarsi delle rughe attorno ai suoi occhi verdi.

La pelle aveva perso d’elasticità e il corpo era appesantito dall’età e dalla gravidanza passata, nonché da quella in corso.

Aveva sempre pensato che Sakura sarebbe stata bella, una volta incinta. Non si era sbagliato.

Quando l’aveva conosciuta, l’aveva ritenuta una ragazzina sciatta e assillante.

Poi…era cambiata e il “brutto anatroccolo” era mutato in uno splendido cigno dagli occhi color bosco.

Adesso era più anziana; piccole ciocche grigie cominciavano a mostrarsi tra i capelli del colore dei fiori cui portava il nome, ma era sempre bella.

Una bella donna. Il fiore era sbocciato e lo aveva fatto con eleganza; i fianchi appesantiti dal frutto che portava in grembo.

«Sei bella come sempre.» mormorò. Ed era vero, perché ai suoi occhi [vuoti] non era cambiata.

Non riusciva a vedere che, quella che aveva di fronte, era una pianta logorata dall’attesa su cui il tempo ha lasciato facilmente il suo marchio.

Sasuke e Naruto erano sempre stati vivaci uccelli, pronti a volare sempre più in alto. Sempre.

Lei era l’albero a cui tornavano per riposarsi e che gli accoglieva tra le proprie fronde, ascoltando i loro cinguettanti racconti.

Ma l’albero, se gli uccelli non tornano, si preoccupa e appassisce.

Naruto era una rondine, tornava sempre al nido.

Sasuke era un corvo.

Non tornava mai, o lo faceva di rado. E quando accadeva, era disgrazia.

«Non è vero.» rispose lei.

Sasuke notò che non lo guardava negli occhi, ma rifuggiva il suo sguardo.

Non se la prese, in fondo non avrebbe avuto niente da vedere, ma per uno strano senso di ripicca infantile, continuò a fissarla con insistenza. Come il bambino che cerca le attenzioni dei genitori.

Le mani di lei, cinte sul grembo, erano rovinate dal lavoro di ninja medico, ma carezzavano con dolcezza il ventre rigonfio.

«Sì, invece. I tuoi occhi non sono cambiati.»

«I tuoi sì.» pensò lei, ma non diede voce a quelle parole.

Sasuke le percepì ugualmente, ma non vi diede peso.

Era cosciente del proprio mutamento, anche se, ostinatamente, lo negava.

«Quanti mesi sei?» domandò, accennando con un sorriso al pancione sotto la blusa bianca premamàn.

«Sette.» sorrise. E perse vent’anni.

«Sono contento. Ti meritavi una famiglia felice e numerosa.»

«Dovevi esserci anche tu in questa famiglia, Sasuke.»

Il rimprovero.

Se lo aspettava.

«Hanako-chan…» proseguì. «…ha tredici anni. È nata dopo…»

«E’ mia figlia, vero?»

Sakura annuì.

«Ha i tuoi occhi. Ed è un genio. All’accademia hanno detto che un prodigio simile non si vedeva dai tempi di…»

Bloccò la frase a mezz’aria. Di nuovo quel nome. Quello che non osavano pronunciare perché ogni volta che era entrato nella loro vita tutto si era disgregato, scombinato, come il vento che spazza lontano le foglie secche.

Abbassò lo sguardo e fissò le lettere.

Appassite. Come loro.

«Ce l’eravamo promesso…» mormorò «Sempre insieme. Tutti e tre. Ognuno per gli altri. Ricordi?»

«Ricordo.»

«Che ne è stato di quella promessa?» singhiozzò. «Che ne è stato?»

Lui non rispose.

Lei attese.

Invano. Ancora una volta.

Con un sospiro malinconico, si alzò.

Ormai le lacrime erano finite da tempo e l’albero si era stufato di aspettare il ritorno del corvo.

Si chinò su di lui, baciandolo sulle labbra. In superficie.

Dietro il bicchiere [vuoto], l’ultima carezza di un cuore [vuoto], che si era logorato per il troppo amore.

Cuore vuoto.

Sorriso vuoto.

Occhi vuoti.

Giù il saké.

Alla salute.

Gli anni d’oro del grande Real
gli anni di Happy days e di Ralph Malph
gli anni delle immense compagnie
gli anni in motorino sempre in due
gli anni di che belli erano i film
gli anni dei Roy Rogers come jeans
gli anni di qualsiasi cosa fai
gli anni del tranquillo siam qui noi
siamo qui noi

Tre ragazzi, dentro ad un bar.

Un ragazzo dagli occhi bianchi che sorride divertito.

Un ragazzo dagli occhi azzurri che si diverte a proiettare ombre sul muro.

Un’altra ragazza, con i capelli rosati stretti in una coda; le ciocche che sfuggono da questa e gli occhi neri persi nel vuoto.

«Hanako-chan, riscuotiti.»

La stuzzicò il ragazzo dagli occhi bianchi, Hizashi.

«E smettila di tenere il muso. Smile, donna. Smile!»

Esortò Mamoru, afferrando le guance della compagna e piegandole in un sorriso.

Lei schiaffeggiò la mano e si alzò, uscendo dal locale.

Lontana da quel ritrovo stupido.

Lontana da quei giochi stupidi.

Lontana da quelle stupide persone.

Hanako Uzumaki era diventata genin molto presto.

Similmente, aveva superato rapidamente l’esame chuunin e a quindici anni suonati era jonin.

Hanako, però, possedeva un’abilità ormai morta a Konoha.

Lo sharingan.

Abilità maledetta, dicevano, quindi non la usava, perché a nulla serviva essere la figlia del Rokudaime contro le chiacchiere della gente.

«Ragazzina, che ci fai in giro da sola e con quel muso lungo?»

Una voce di uomo bloccò la sua camminata.

Si girò, incrociando solo la maschera felina di un Ambu.

Con un “tsk” di disprezzo, riprese a camminare.

Sentendo, comunque, lo sguardo dell’uomo su di sé, da dietro la maschera.

Questo la infastidì e la indusse a voltarsi.

«Perché mi segui?»

Sbuffò.

«Torna dai tuoi amici.» le disse «Perché a nulla ti servirà lo sharingan, se non hai un posto dove tornare.»

Hanako non replicò, studiando lo sconosciuto.

«E a te cosa importa?»

«A me? Nulla.»

L’uomo sorrise.

Sorrise, e lo capì anche se indossava la maschera.

«Soltanto, so per esperienza che non devi farli aspettare, se gli vuoi bene. Fai i tuoi voli, ma non ti allontanare troppo dal nido. Rischi di trovarlo distrutto. Se poi non ti interessa…» fece spallucce «Allora buon volo solitario.»

E se ne andò.

Hanako rimase immobile per qualche secondo.

Pensierosa.

Poi fece marcia indietro e tornò al locale.

Sasuke Uchiha, da dietro la maschera, sorrise.

Questa cosa...boh, mi andava di scriverla. La canzone è "Gli anni" degli 883. Non ha senso. O meglio, per me ce l'ha. Non so per altri XD!
Dedicata a Mika perchè...boh, perchè mi va°°.

   
 
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