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Autore: dreamlikeview    15/01/2013    16 recensioni
Due ragazzi innamorati credono ardentemente nel loro amore, ma dopo un incidente saranno costretti a rivalutare tutta la loro unione. Il loro amore sarà forte o crollerà come un castello di carte al vento?
[It's Larry.]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'All about them.'
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And in another life
I would be your girl (boy)
We keep for our promises
Be us against the world
(The one that got away - Katy Perry)



Fuori nevicava forte, mentre due ragazzi se ne stavano tranquilli davanti al camino a scaldarsi tra di loro, sotto una coperta verde bottiglia di pile. Il più grande, un ragazzo dagli occhi azzurri come il cielo, dai capelli castani sempre spettinati, dal viso dolce come pochi, dal sorriso perenne tanto dolce da sembrare sempre un bambino, nonostante avesse da poco compiuto ventun’anni, di nome Louis, coccolava il suo ragazzo, di tre anni più piccolo, che se ne stava rannicchiato tra le sue braccia sotto la coperta con lui. Harry, diciannove anni,solleticava con i suoi ricci scuri il mento del fidanzato e teneva i suoi occhi smeraldini chiusi,e beandosi del battito del cuore e delle carezze del compagno si addormentò tra le sue braccia. Il maggiore reclinò la testa all’indietro sulla spalliera del divano, addormentandosi in quella posizione.
 
Il giorno dopo, Louis si svegliò con un forte torcicollo, e ridacchiò leggermente infastidito dal dolore al collo che provava in quel momento, mentre il suo ragazzo dormiva ancora. Sorrise dolcemente guardandolo. Adorava le sue guance paffute, la sua espressione da bambino quando dormiva, i suoi ricci, i suoi occhi smeraldo.. adorava tutto di quel ragazzo che era il suo. Amava ogni sua sfaccettatura, sia negativa che positiva.
Delicatamente, il ragazzo lo distese sul divano, avvolgendolo come si deve nella coperta di pile, e fissò il camino spento per degli istanti che sembrarono ore. Poi finalmente decise di alzarsi ed andò in cucina, dove si mise ai fornelli. Non era un asso in cucina, ma per il suo ragazzo tentava quanto meno di preparare la colazione, al resto ci pensava Harry. Louis ridacchiò,  mentre in una ciotola miscelava con una frusta gli ingredienti per preparare l’unica cosa che realmente sapesse cucinare. Le frittelle. E sapeva che Harry le adorava, specialmente quelle con la cioccolata. Ridacchiò tra sé e sé, e imburrò una padella iniziando, poi, a versarvi dentro la pastella appena fatta. Man mano che le preparava, le metteva in fila in un piatto, creando una torre di cinque o sei frittelle. Fece lo stesso procedimento, preparando un’altra porzione, e ancora una terza nel caso Harry avesse avuto voglia di avere la doppia razione. Appena ebbe finito ai fornelli, preparò due tazze di caffè fumante con la pratica macchinetta elettrica, mise tutto su un vassoio, e poi nella tazza di Harry versò qualche goccia di latte, perché al suo ragazzo il caffè piaceva macchiato; depose su di esso anche i diversi condimenti per le frittelle e con passo lento si diresse dall’amato con la colazione.
Trovò il ragazzo con gli occhi leggermente aperti, che si guardava intorno con un’aria smarrita, da bambino piccolo.
“Buongiorno piccolo..” – sussurrò il maggiore abbassandosi su di lui e regalandogli un tenero bacio sulla paffuta guancia e il più piccolo allungò le braccia verso di lui, come un bambino fa con la mamma appena sveglio.
In fondo, Louis per Harry era stato tutto. Prima migliore amico, poi fratello, poi gli aveva fatto da padre e da madre, e poi, infine, da fidanzato. Si conoscevano da quando erano piccoli.
Louis si era trasferito dalla sua città d’origine, quando all’età di sette anni aveva perso i genitori, ed era stato affidato a sua nonna, che era nientemeno che la vicina dei genitori di Harry. Harry aveva solo quattro anni, quando aveva conosciuto Louis, e l’aveva da sempre visto come una sorta di eroe, fin da quella volta in cui il suo gattino si era arrampicato sull’albero e non riusciva più a scendere, e Louis era salito sull’albero per portarlo giù. Da quel giorno, Harry aveva iniziato a guardare Louis con occhi incantati, come quelli di un bambino che guardava il proprio supereroe preferito. Passò qualche anno, e Harry all’età di dieci anni perse i genitori. Louis ormai ne aveva tredici e aveva superato lo shock. Convinta sua nonna a tenere Harry con loro, il piccolo crebbe ancora tra le braccia del suo migliore amico, che gli fece un po’ da mamma e un po’ da papà, compensando l’assenza dei genitori.
I due, all’età di diciotto e vent’anni, salutarono l’amata nonna di Louis e si trasferirono a Londra, dove da migliori amici divennero fidanzati veri e propri. Erano da sempre stati legati da qualcosa che andava oltre l’amicizia, oltre il volersi bene, oltre anche l’amarsi. Erano sicuri, che qualsiasi cosa fosse successa da quel momento, le loro decisioni sarebbero state prese insieme, di comune accordo; sapevano che l’uno ci sarebbe stato per l’altro anche nelle situazioni più disastrose, loro si sarebbero sempre supportati, si sarebbero salvati a vicenda.
Al ricordo di tutto questo, Louis sorrise, depose il vassoio sul tavolino davanti al divano, e sedendosi, lo accolse tra le sue braccia, stringendolo al petto con amore, protezione e un pizzico di possessione.
“Buongiorno amore..” – sussurrò il più piccolo, stringendosi al petto dell’amato, respirando il profumo della sua pelle, mentre il più grande gli accarezzava i ricci, trascinandolo contro di sé e legandolo a sé mettendogli le gambe attorno ai fianchi. Harry si fece spazio sul suo petto, stringendosi a lui con forza, e poi annusò l’aria.
“Hai preparato la colazione..?” – chiese in un sussurro baciando il collo del più grande, sorridendo, per poi piantare i suoi occhi verdi in quelli ghiacciati di Louis.
“Sì, tutta per te, amore mio” – fece il più grande, strofinando il naso contro quello del più piccolo, lasciandogli poi un casto bacio sulle labbra. Il minore sorrise sulle labbra dell’altro, e non si staccò, beandosi del sapore delle labbra di Louis, che sempre e comunque erano dolci. Louis si beò di quella posizione, ancora scomoda per lui, e poi una fitta al collo lo fece  fremere.
“Amore, va tutto bene?”
“Uhm, tranquillo solo un po’ di torcicollo. Ho dormito storto..” – ridacchiò il più grande.
Harry sorrise furbetto e si staccò da Louis,allungando una mano verso il tavolino per prendere il vassoio contenente la colazione, che Louis aveva preparato con tanto amore, e afferrò un piattino passandolo al più grande, e poi spruzzare sopra la cioccolata. A Louis piaceva vedere il sorriso da bambino adorabile che aveva Harry quando metteva il cioccolato sulle frittelle. Erano quelle piccole cose che amava di lui, che pian piano negli anni lo avevano portato ad amarlo più di qualsiasi altra cosa.
Louis ne era sicuro. Se mai tra lui ed Harry fosse finita, non l’avrebbe mai dimenticato, tuttavia sapeva che Harry non l’avrebbe mai lasciato, nemmeno se fosse stato costretto.
Loro erano fatti per stare insieme. Erano due metà che si completavano.
Non che i litigi non ci fossero stati, ma anche se c’erano sciamavano in poco, e la loro relazione tornava stabile, anzi si rafforzava, perché ciò che non distruggeva, fortificava.
Dopo la colazione, Louis fece per alzarsi, ma Harry lo fermò con una mano.
“Riposa oggi, Boo. Mi occupo io di tutto.”
“Ma dai, stupido..”
“No, davvero.” – sorrise –“voglio aiutarti, tu fai tanto per me. Aspettami qui.” – afferrò il vassoio dalle mani di Louis e lo portò in cucina, lasciandolo come capitava nel lavabo. Prese della pomata dal frigo e tornò da Louis.
“Togliti la maglietta, forza.” – lo canzonò divertito, posizionandosi dietro di lui.
“Harry?”
“Tranquillo, ti farò un bel massaggio con le mie manine. Ti fidi di me?” – si sporse verso di lui, mostrando i suoi occhioni verdi, dannatamente verdi e brillanti, e il suo sorriso si sciolse dalle sue labbra come se nulla fosse stato.
“Sì, certo che mi fido, Harreh..” – sussurrò, mentre Harry appoggiava le labbra sulle sue, allungava le mani verso la sua maglietta e gliela sfilava via appoggiandola sul divano.
“Rilassati amore..” – gli sussurrò all’orecchio, mettendosi la pomata sul palmo di una mano, fregò i palmi tra di loro e posò le mani fredde sul collo di Louis, che tremò appena. Harry mosse i pollici sulla nuca di Louis, con movimenti circolari, e il giovane si immobilizzò. Gli faceva davvero male in quel punto.
“Louis, rilassati, non ti mangio mica..” – gli sussurrò il compagno all’orecchio, continuando a massaggiarlo dolcemente, intensificando di tanto in tanto la pressione delle dita sul collo del ragazzo, che un po’ gemeva per il dolore, ma pian piano cominciava a rilassarsi sotto i tocchi dolci e delicati dell’altro. Passò alle spalle, continuando a massaggiarlo con energia e dolcezza, facendolo sorridere ancora.
Harry continuò così per una mezz’oretta, fino a che non lo sentì completamente rilassato, segno che il dolore stava sparendo,o che Louis si fosse addormentato a causa delle carezze.
Harry sapeva che i massaggi erano il suo punto debole. Non resisteva ai massaggi, o si eccitava o si addormentava.
Il riccio ridacchiò tra sé e sé, fece appoggiare la testa del castano dalla spalliera del divano, e notò che effettivamente si era addormentato. Non ci pensò due volte, lo distese lì e lo coprì con la coperta di pile che la notte precedente avevano usato in due e dopo avergli dato un bacio a fior di labbra, andò a sistemare la cucina che sapeva essere in discreto disordine, perché il castano aveva preparato lui la colazione.
Harry si mise a canticchiare, mentre sistemava, rassettava e puliva la cucina. Non si era mai sentito più felice, più completo di come lo era con Louis. Era il suo tutto, in un certo senso. Senza di lui, non sarebbe stato nulla. Senza di lui sarebbe stato come un soffio di vento in riva al mare, come un’ape senza il suo alveare, come un musicista senza uno strumento. Senza Louis non era niente, senza di lui era perso, senza di lui era inutile. Non era se stesso.
Forse dipendeva troppo dalla sua presenza, ma fin da piccolo Louis era stato una figura presente nella sua vita. Era il suo punto fisso, la sua bussola, il suo punto di riferimento.
Odiava quando litigavano, perché in quel momento temeva di perderlo. Temeva di crollare, temeva che tutto quello che avevano costruito insieme crollasse come un castello di carte al vento.
Ogni volta che Harry litigava con Louis e questo minacciava di andare via, Harry si aggrappava al suo braccio, pregandolo di restare, perché non voleva che lui soffrisse, non voleva separarsi da lui, nemmeno se era arrabbiato con lui. E Louis restava, sempre e comunque gli restava accanto.
Era vero, i litigi fortificavano la coppia, ma Harry ne era terrorizzato.
Dentro di sé, sapeva che Louis non avrebbe mai fatto crollare quello che erano loro, perché Louis a lui ci teneva, ed anche molto.
Harry era dannatamente geloso di qualsiasi essere respirasse che si avvicinava a Louis, era terrorizzato anche da questo, perderlo per qualcuno migliore di lui, sapeva di essere imperfetto, sapeva che prima o poi il suo caratteraccio l’avesse stufato, e lui l’avrebbe perso per sempre.
Cercò di scacciare via questi pensieri dalla mente, mentre fissava il sugo, che aveva messo a cuocere, ribollire nella pentola. Deglutì diverse volte.
Se davvero avesse perso Louis, cosa ne sarebbe stato di lui?
Non si dava pace,Harry aveva paura che il suo amore, il suo punto fisso, il suo Louis svanisse sotto i suoi occhi in un attimo. Per questo, lasciò la pentola sul fuoco, senza curarsi di spegnere il gas, e corse via, in salotto, lanciandosi tra le braccia di un addormentato Louis, che sobbalzò sentendo il peso del riccio su di lui.
“Non andare via, non andare via, non andare via..” – iniziò a ripetere, mentre il più grande lo avvolgeva tra le braccia, e lo rassicurava che lui ci sarebbe sempre stato per lui, che lui non l’avrebbe lasciato, che lui era lì, era suo e di nessun altro.
“Ho paura che tu vada via, Boo. Ne ho la fottutissima paura” – confessò Harry in un mormorio contro il petto dell’amato, dopo questo lo ebbe finito di tranquillizzare.
“Ehi” – gli alzò il viso, proiettando i suoi occhioni azzurri in quelli smeraldi del riccio –“io ti amo, non ti lascerò, non lo farò mai. Nemmeno se tu dovessi sbattermi fuori di casa a calci nel sedere, tornerei indietro” – gli sfiorò le labbra con le sue in un bacio castissimo –“sei la mia calamita.”
“Tu sei la mia bussola.” – sorrise Harry, baciandolo stavolta con più foga, distendendosi completamente su di lui, ma non approfondirono ulteriormente il rapporto, perché furono bloccati da un odore terribile di bruciato.
“Oh no! Il sugo!” – urlò disperato Harry, riprendendosi.
Louis scoppiò a ridere, abbracciando il fidanzato.
“Oh Harreh, io non so cucinare, ma tu mica scherzi!”
“Smettila, William!” – rise prendendogli delicatamente il petto a pugni, pugni così leggeri che a Louis facevano solamente il solletico. Louis continuò a ridere fino a che Harry non si decise ad alzarsi e ad andare a controllare cosa fosse accaduto e si disperò facendo ridere ancora il compagno che lo raggiunse per dargli una mano.
Alla fine, i due si prepararono un panino veloce, per poi decidere di uscire ed andare a fare una passeggiata al centro di Londra. Era tanto che non uscivano a causa del freddo di gennaio.
“Harreh! Metti il giubbotto, cacchio!” – sbottò Louis vedendo il fidanzato indossare solo una misera maglietta.
“Boo, dai..”
“Almeno metti il maglione, dai per favore.”
“Il tuo?”
“Eh okay, prendi il mio” – ridacchiò il ragazzo, mentre il più piccolo correva nella loro camera a recuperare uno dei maglioni del fidanzato e indossandolo in fretta, per raggiungerlo di nuovo.
Uscirono di casa, per raggiungere la macchina parcheggiata sul vialetto, davanti casa loro, e con il sorriso sulle labbra, i due amanti entrarono in auto. Louis alla guida ed Harry nel posto passeggero. Una volta allacciate le cinture, il castano mise in moto e si diresse verso il centro di Londra, dove ai due attendevano un pomeriggio e una serata indimenticabili. Abitavano non molto lontano dal centro della città, al massimo era un’oretta di macchina, avevano tutto il tempo di passare un divertente pomeriggio insieme e poi svagarsi da qualche parte, sempre insieme.
 
Era mezzanotte, ormai. I due ragazzi erano in auto e stavano tornando a casa.
Dopo il pomeriggio di relax, si erano diretti in un pub, per passare una serata diversa. Harry aveva leggermente esagerato con le birre, ma per Louis non era un problema, conosceva il suo ragazzo, avrebbe iniziato a dire cose senza senso facendolo ridere, una volta a casa avrebbe chiesto una tazza di the, e poi si sarebbe addormentato sulla prima superficie liscia che avesse trovato, e poi Louis l’avrebbe portato in camera, per mettergli il pigiama e poi rimboccargli le coperte esattamente come si faceva con i bambini.
Improvvisamente, Harry scoppiò in una fragorosa risata, che incuriosì il castano, che si girò di scatto verso di lui e ne studiò i momenti con minuzia, poi la sua attenzione tornò sulla strada.
“Louis..” – mormorò il riccio, mentre l’interpellato guardava la strada –“Louis perché quel ragazzo ci provava con te?” – chiese, riferendosi probabilmente ad un ragazzo che aveva fermato Louis per chiedergli se avesse un accendino, e Louis cordialmente gli aveva risposto che non fumava.
“Harry, te l’ho già detto, mi ha solo chiesto un accendino, e io l’ho liquidato visto che non fumo” – rispose calmo.
“No! No! Io lo so! Lui ti piace!”
“Amore sei ubriaco, calmati, okay?” – continuò il castano, girandosi definitivamente verso di lui, cercando il suo sguardo per tranquillizzarlo.
“Perché non mi vuoi più?” – urlò Harry. Louis staccò una mano dal volante e cercò di accarezzargli il ginocchio, tenendo d’occhio la strada con la coda di un occhio, e con l’altro cercava di tenere d’occhio il suo ragazzo.
“Harry, io amo te, dannazione! Non fare scenate mentre guido!” – sbottò il castano, aumentando ulteriormente la tensione che si respirava nella macchina, e peggiorando la situazione.
“No! Io faccio quello che voglio, quando voglio!” – urlò ancora Harry –“guardami, Louis!”
“Sto guidando, accidenti! Sei ubriaco! Non ho cagato nessuno se non te!” – urlò a sua volta Louis, in sua difesa. Che poi era la verità, non aveva interesse verso altri, non poteva averne, amando Harry.
“Io lo sapevo, la mia paura che tu ti innamori di un altro era vera! Tu te ne andrai, te ne andrai..” – fece Harry ad alta voce, ma con un tono leggermente più basso di prima.
Louis riuscì ad afferrargli il ginocchio e l’accarezzò per tranquillizzarlo. Ma Harry era troppo irrequieto, si sporse verso Louis, cercando di togliergli il volante dalle mani, per ottenere tutta l’attenzione del più grande. Louis esasperato si voltò verso di lui, perdendo completamente di vista la strada.
“Smettila, Harry, smettila! Stai delirando per l’alcol, per favore, adesso basta, sto cercando di tornare a casa.”
Il riccio sembrò non dargli ascolto, continuava a delirare, e a dire cose senza senso su Louis che prima o poi sarebbe andato via da lui.
“L-Lou..” – balbettò il riccio, improvvisamente, guardando davanti a sé terrorizzato.
Louis si accorse del tono di voce del fidanzato, e guardò anche lui nel punto che il riccio guardava. C'era il vuoto, il nulla davanti a loro, e con quel buio Louis non riusciva a capire se fosse un muro o altro.
Scansò il riccio dal volante e lo prese tra le mani, cercando di svoltare nella direzione opposta a quella dove stavano andando, ovvero fuori strada, riuscì a frenare a qualche metro dal ciglio della strada. Forse però, non si rese conto che in quella stradina non erano soli ed un auto spuntò fuori dal nulla. Louis la vide avvicinarsi come se fosse stata una scena al rallentatore, si sarebbe schiantata nella fiancata dove c’era Harry. Con un’agilità che non l’aveva mai caratterizzato, spostò il riccio dalla portiera, facendolo finire nei sedili posteriori, ma la lucidità lo abbandonò dopo pochi secondi, perché l’impatto fu inevitabile.
 
Harry si risvegliò dallo stato di trance, e sentì dei pezzi di vetro addosso, un dolore lancinante alla gamba, e alla testa, ma non sentiva la voce di  Louis.
“Lou..?” – lo chiamò, flebilmente, ma non ottenne risposta. Cercò di tirarsi su, e notò la fiancata opposta a dove si trovava lui completamente distrutta, ecco perché il dolore alla gamba. Ma non ci pensò, si sporse verso i sedili anteriori e tutte le sue paure gli passarono davanti come un film.
Vide tutto quello che lui e Louis avevano passato insieme sciamargli davanti. Il castello di carte era appena crollato.
Louis in una posizione inumana, gli occhi chiusi, la bocca leggermente aperta ed era ricoperto di sangue. Harry non ebbe il coraggio di toccargli il petto – anch’esso pieno di sangue – per vedere se respirasse ancora. Afferrò il cellulare sperando che non si fosse distrutto, e tremando chiamò l’ambulanza.
Le parole gli uscivano a tratti, tremava visibilmente, aveva paura di perdere Louis o forse l’aveva già perso, non lo sapeva, ma aveva paura.
“Louis, ti prego non lasciarmi, scusa per prima, non ero in me, ti prego apri gli occhi, ti prego amore mio, ti prego, non lasciarmi, lo hai promesso, lo hai promesso Louis..” – cercò di non piangere, ma la voce gli tremava, ripeteva le parole come una cantilena, non riusciva a parlare –“a-amore ti prego, i-io non sono n-niente senza di te.. s-svegliati..”
Da Louis non arrivava alcuna risposta. Louis continuava a stare in quella posizione.
Ad Harry sembrò che fossero passati anni, quando sentì le sirene dell’ambulanza avvicinarsi.
“Amore, stanno arrivando ti prego, non morire, Louis ti prego non morire, non morire..” – fece Harry, respirando a malapena –“dobbiamo finire di litigare, ricordi? Poi io ti dico di non andare via, tu torni indietro, mi abbracci, mi baci e poi facciamo l’amore dimenticandoci di tutto, vero amore? Amore ti prego..” – continuava a piangere.
 Non sapeva nulla dell’altra auto, si preoccupava solo del suo Louis. Tutto quello che lo circondava era sciamato. Non gli importava della sua gamba ferita, della testa che pulsava in una maniera atroce. Quasi non si accorse nemmeno che i paramedici lo stavano liberando da quella scatola infernale che era diventata quell’auto.
“Aiutate Louis, aiutate Louis!” – continuava a ripetere il ragazzo. –“vi prego, salvatelo, salvatelo..” – ripeté prima di svenire e vedere tutto buio.
 
Harry aprì gli occhi trovandosi davanti una sala completamente bianca, così bianca da mettergli i brividi.
Cercò di alzarsi, ma fu trattenuto al letto da qualcosa. Si voltò verso la sua sinistra e vide una flebo che terminava nel suo braccio. Sbiancò appena la vide.
La scena di Louis pieno di sangue nella macchina, privo di sensi, lo fece rabbrividire e fece riempire i suoi occhi di lacrime. Riuscì a togliere l’ago dal braccio, ma quando fece per alzarsi sentì un peso alla gamba sinistra. Alzò le coperte e vide la caviglia completamente fasciata. Non ingessata, probabilmente non era rotta, ma non poteva muoverla.
E urlò. Urlò quanto più fiato avesse in gola. Urlò sfogando tutto quello che aveva dentro. Urlò per Louis. Urlò per riaverlo con sé. Urlò per convincersi che quello fosse solo un sogno. Urlò perché voleva urlare.
Un’infermiera accorse subito, cercando di calmarlo, ma Harry continuava ad urlare, cercando con la voce di smettere di soffrire, cercando di smettere di sentire un peso all’altezza del cuore, cercando di tornare indietro nel tempo – sebbene non fosse possibile – per evitare tutto quel casino, cercando di richiamare a sé Louis.
 
Quando ormai non ebbe più voce, si lasciò cadere senza forza sul cuscino del letto d’ospedale, cercando di frenare con le mani le lacrime che copiose uscivano ancora dagli occhi.
“L-Louis do-dov’è?” – chiese senza voce, in un sussurro.
“In sala operatoria. Stiamo facendo il possibile, ha avuto un forte trauma cranico, più altre lesioni al resto del corpo.”
“M-ma ce-ce la fa-farà?”
“Non posso ancora esprimermi a riguardo. Le faremo sapere più tardi.”
Harry chiuse gli occhi sperando ardentemente che quello fosse solo un brutto sogno.
“Posso scendere dal letto, almeno?” – chiese, cercando di mantenere la voce seria, quando in realtà gli tremava da morire. Tutte le sue paure si stavano avverando. Il suo mondo stava violentemente crollando addosso a lui.
Il suo Louis, la sua spalla, il suo amore, la sua bussola lo stava lasciando. Ed era tutta colpa sua. Era solo colpa sua se ora erano in quella situazione. Non avrebbe mai dovuto essere geloso, non avrebbe mai dovuto distrarlo.. doveva essere lui al suo posto. Lui meritava di stare in quelle condizioni, non Louis, solo lui lo meritava.
“Per oggi è meglio che lei resti a letto, domani potrà alzarsi.”
“La prego, devo vedere Louis, io..”
“Oggi non potrebbe vederlo comunque, si riposi, domani le faremo vedere il suo amico.”
Harry si morse l’interno della guancia, volendo trattenersi dal rivelare quello che lui e Louis erano.
Fece un cenno con la testa, sprofondando di nuovo nel cuscino.
Poi ebbe il coraggio di chiedere dell’altro uomo, quello che gli era andato a finire addosso, e la frase dell’infermiere lo lasciò di stucco.
“E’ morto sul colpo. Il suo amico è fortunato, lei ancora di più.”
Il senso di colpa lo invase ancora. Era tutta colpa sua, e cosa era successo a lui che era la causa? Nulla, assolutamente nulla. Aveva solo una gamba ferita.
Fissò il soffitto logorato dentro. Aveva fatto realizzare tutte le sue paure. Aveva fatto far del male a Louis. Ma la cosa peggiore era stata che avesse dubitato di lui. Aveva dubitato di Louis, del suo Louis, del suo ragazzo perfetto,del ragazzo che gli era sempre stato accanto, di quello che l’aveva salvato, di quello che gli aveva fatto da mamma, da papà, da fratello,da amico, da ragazzo.
Aveva dubitato del suo tutto.
Harry non riusciva a capacitarsi di quello che aveva fatto. Non ci credeva.
La colpa era dell’alcol, ma anche di quella paura che era finalmente venuta fuori, che finalmente aveva aperto gli occhi a Louis, probabilmente prima di farlo morire.
Harry tremò a quel pensiero.
Non poteva morire. Non il suo Louis. Non poteva lasciarlo. Lui l’aveva promesso.
Aveva promesso ad Harry di non lasciarlo mai solo, di rimanere con lui, di non abbandonarlo. Louis non poteva morire ora, si sarebbe salvato perché l’aveva promesso ad Harry.
Vero che ti salverai perché l’hai promesso a me?  - chiese mentalmente Harry, in una silenziosa preghiera.
I suoi verdi occhi si bagnarono ancora di lacrime, che ripresero a scendere lungo le sue paffute guance.
Si guardò la gamba fasciata e si maledì. Non poteva aver avuto solo una fasciatura, quando Louis rischiava la vita.
Provò a non pensarci, cercando di chiudere gli occhi, immaginando Louis accanto a sé che lo cullava e gli diceva di non preoccuparsi, che era solo un sogno.
Ma Harry non era mai riuscito a sfuggire alla realtà.
Harry, io ci sarò sempre. – sentì nella sua mente una delle frasi di Louis, una di quelle che gli erano rimaste dentro –sei la mia calamita –  ancora. Come aveva potuto pensare che il suo Louis potesse anche solo pensare di tradirlo? Non l’avrebbe mai fatto. Harry era davvero un caso perso ad averlo pensato. –ti amo, Harry, ti amerò per sempre.
Gli occhi di Harry si riempirono ancora di lacrime, salate e calde lacrime che gli scivolarono lungo le guance, fino al mento, fino al collo, fino alle coperte. Ed Harry non fece niente per fermale, le lasciò scorrere, lente e leggere, fredde e calde contemporaneamente.
“Perché lui? Perché?” –urlò –“dovevo essere io sotto i ferri non lui!” – continuò ad urlare, dimenandosi nel letto, cercando una spiegazione a quello che era successo. E poi come un flash gli tornò in mente una sua frase.
Ti proteggerò sempre Harry, in qualsiasi situazione, anche la più disastrosa, sarò il tuo scudo.
“Stupido, stupido, stupido!” – urlò ancora Harry tirando pugni nelle lenzuola –“dovevo essere io al tuo posto non tu, non tu, stupido”
E pianse. Pianse ed urlò fino allo sfinimento, fino a che non si addormentò stremato dal troppo urlare e dal troppo piangere. Si addormentò stremato dalla disperazione che dilaniava in lui.
E non conosceva ancora le condizioni di Louis, come poteva dormire in quel momento?
Era stata la stanchezza,fosse dipeso da lui, sarebbe rimasto sveglio notte e giorno per stare accanto al suo Louis, ma aveva esaurito le sue energie ad urlare e a piangere. I medici non avevano potuto far niente per calmarlo.
Probabilmente lo avrebbero fatto parlare con lo psicologo se avesse avuto un altro crollo come quello.
Anche i medici l’avevano lasciato sfogarsi da solo.
Harry non voleva sfogarsi, Harry voleva morire.
 
 
Il giorno dopo, il riccio si svegliò leggermente rilassato. Sentiva che qualcosa nell’aria era diverso.
Aveva una bella sensazione addosso. Forse era la morfina a farlo sentire così, ma almeno non avvertiva tutto il peso di quello che era successo.
Si fece dare delle stampelle e come se niente fosse accaduto si alzò dal letto d’ospedale, dirigendosi da qualcuno che avrebbe potuto aiutarlo. Vide un’infermiera, e le si avvicinò lentamente.
“Scu-scusi, vorrei sa-sapere come sta il mio ragazzo..” – si morse internamente la guancia, sperando di non aver turbato troppo la donna con la confessione della sua omosessualità.
La donna gli sorrise cordiale, e gli indicò un chirurgo che usciva da una stanza, che Harry lesse essere la 213.
E subito la bella sensazione di prima fu sostituita da ansia ed angoscia. Era bravo a mentire anche a se stesso, stava certamente negando a se stesso le emozioni. Così come era successo quando era piccolo.
Quando fu dal chirurgo e gli chiese le condizioni del fidanzato, una frase, una sola frase, breve, lapidaria, lo pietrificò sul posto, rendendogli impossibile il respiro per una manciata di secondi.
“E’ in coma, non si sa quando e se si risveglierà.”
Harry restò lì come un cretino,davanti alla porta della stanza 213.
Appoggiò le mani al vetro e il suo cuore si fermò nel petto. Disteso, immobile, attaccato ai tubi e alle macchine, una grande fasciatura intorno alla testa, e altre bende sparse un po’ ovunque.
Lasciò una mano contro il vetro, facendone cadere una lungo il fianco, cercando di trattenere le lacrime che stavano arrivando a quella vista. Il suo ragazzo in quelle condizioni, solo perché aveva deciso di proteggere lui. Era doppiamente colpa sua.
Abbassò la testa, facendo scorrere via le sue lacrime, e abbassò l’altro braccio lungo il fianco,strinse i pugni conficcandosi quasi le unghie nel palmo della mano e decise di farsi coraggio. Per Louis, per se stesso, per tutti.
Per la loro relazione, per il loro bene.
Harry doveva farcela, Harry doveva superarlo.
Harry doveva aiutare Louis a riprendersi.
Harry doveva fare qualcosa.
Harry non doveva più piangersi addosso.
Saltellando su un solo piede, ritornò nella sua stanza e si sedette fissandosi la gamba. Appoggiò i gomiti alle ginocchia e si mise le mani tra i capelli, cercando di pensare a cosa fare, a come essere utile al suo ragazzo in quel momentaccio. Come poteva fare?
Come poteva farlo riprendere?
Harry la tua voce farebbe risvegliare i morti! – ripeté la voce di Louis nella sua testa, ed Harry capì.
Harry capì cosa doveva fare per salvare il suo Louis.
Per una volta doveva essere lui a salvarlo e non il contrario. Doveva cantare. Cantare per lui.
Parlargli, cantare, raccontargli le cose, stargli accanto come Louis aveva tempo con lui prima quando si era ammalato. L’aveva curato, gli aveva tenuto la mano, gli aveva raccontato le favole e altre cose, che Harry aveva apprezzato. Certo, non avrebbe potuto preparagli il brodo di pollo, come aveva fatto lui, ma poteva rendersi utile in altri modi, di sicuro. Chiamò l’infermiera che accorse immediatamente.
“Quanto mi ci vorrà per guarire con la gamba?” – chiese cauto.
“Se non ti fa male, puoi usare le stampelle e camminare.”
“E per prendere delle cose a casa?” – chiese ancora Harry.
“Questo non lo so, penso che ti dimetteranno tra oggi e domani. Oggi ti teniamo in osservazione, poi puoi andare via.”
“Oh. Ho capito, grazie mille.”
Se non era costretto a star lì poteva benissimo fare tutto quello che aveva in mente di fare. ma ora che ci pensava non sapeva nemmeno dove si trovasse.
Aveva la morte nel cuore e cercava di essere forte per il suo ragazzo che non stava bene, cercava di essere forte per il suo amore, che non meritava di essere in quelle condizioni.
Ma Harry aveva la morte nel cuore. Quella frase lo aveva ucciso come se fosse stato trafitto da mille lame, quella frase era stata la conferma che il castello di carte era crollato al vento.
La loro relazione era in bilico. E toccava ad Harry, fare qualcosa per Louis. Aveva le idee più o meno chiare su ciò che doveva fare, doveva solo essere dimesso.
Ti salverò Louis, fosse l’ultima cosa che faccio.
 
 
Ormai era un mese che vedeva quella stanza.
213.
Era diventato il suo incubo. Odiava quel numero, era una condanna.
Era la conferma che tutti i suoi sforzi non servivano a nulla, era la conferma che lui stava fallendo e stava lasciando andare Louis.
Entrò per l’ennesima volta lì dentro. I medici lo guardavano con ammirazione. Ogni giorno portava un fiore diverso. Ognuno con un significato diverso. Ogni giorno lasciava il fiore sulla macchina che segnava i battiti del giovane in coma, ogni giorno Harry era lì, a stringergli la mano.
“Ehi amore, ciao..” – disse –“mi manchi Louis, sai? La notte è impossibile dormire. Ho freddo, non ci sono le tue braccia calde a proteggermi. Ho iniziato a mettere i tuoi maglioni strambi. Sai, quelli enormi? Quelli che vanno grandi anche a me..” – rise nervosamente –“vuoi che ti racconti qualcosa di bello..uhm fammi pensare.. la nonna ha chiamato, dice che appena ti svegli ti prepara i tuoi biscotti preferiti, sai quelli con le gocce di cioccolata? Quelli che so fare anche io? Ecco.. Lou, svegliati ti prego..” –abbassò la testa sul petto del suo ragazzo.
“Mi manca baciarti, mi manca amarti, mi manca tutto di te. Ti prego, perdonami, perdonami amore mio, non volevo, non volevo essere geloso, non volevo..” – gli strinse la mano nelle sue.
“Ti amo, ti amo Louis, ti amo torna da me..”
L’unica risposta che ebbe fu il bip bip lento e regolare dei battiti del cuore di Louis, dettati da quella macchina infermale.
“Ti canto una bella canzone, che ne dici? L’ultima volta t’ha fatto bene, il tuo cuore è andato un po’ più veloce, significa che mi senti!”
Strinse la mano a quella di Louis, e mentre lente lacrime riprendevano a scorrere giù dai suoi occhi, cantò una delle canzoni che a loro piaceva cantare insieme. Non era la loro canzone, non aveva ancora provato con quella. Aveva paura che fallisse anche quella,allora provava tutte quelle che a loro piacevano.
 
Turnaround bright eyes
Every now and
then I fall apart
And I need you now tonight
And I need you more than ever
And if you'll only hold me tight
We'll be holding on forever
And we'll only be making it right
 
Cantò Harry stringendo  la mano del compagno, cercando con quel canto di risvegliarlo dal suo sonno lungo.
Le uniche risposte che aveva erano un battito lento del cuore, e quel fastidioso bip.
 
Cause we'll never be wrong together
We can take it to the end of the line
Your love is like a shadow on me all of the time
I don't know what to do and I'm always in the dark
We're living in a powder keg and giving off sparks
I really need you tonight
Forever's gonna start tonight
 
Harry stringeva la mano di Louis, cercando di infondergli la vita che a lui stava scivolando via. Harry rivoleva il suo Boo, il ragazzo che lo proteggeva. Il suo ragazzo, la sua vita. Non ne poteva più di quella stanza 213.
Voleva tornare a casa, accucciarsi tra le sue braccia e vivere ancora finalmente con lui, quella meravigliosa magia che era nata tra loro.
 
Turnaround bright eyes
 
Mormorò al suo orecchio, crollando ancora sfinito sul petto dell’altro. La mano era fredda, quasi cadaverica. Le ferite si erano rimarginate tutte. Era lui che non voleva svegliarsi.
“Ti prego Louis, ti prego, Boo..”
Gli baciò il dorso della mano, e poi gli lasciò un bacio sulle labbra fredde, restando lì a parlare al vuoto per tutta la giornata, per tutto il tempo che aveva a disposizione. Non poteva credere che il suo amore era in quelle condizioni, dopo tutto quel tempo, non voleva crederci si rifiutava.
Lo salutò con un casto bacio sulle labbra, e un sussurrato “ciao amore mio”.
Tornò a casa sconsolato, ma con una sola certezza, Louis si sarebbe dovuto risvegliare prima o poi.
 
 
Sei mesi. Altri sei mesi d’inferno.
In tutto sette, da quando l’incubo era iniziato.
Harry non sapeva più cosa fare. Aveva provato di tutto, tranne quella famosa loro canzone. In fondo, ora aveva tentato davvero tutto, mancava solo quella canzone. Non ci sperava più, che lui si risvegliasse, ormai si stava rassegnando a passare i suoi giorni nella 213, con un vegetale, senza più amore, senza più Louis nella sua vita.
Harry gli accarezzava il dorso della mano, raccontagli cose a caso, giusto per fargli sentire che c’era.
 
The smile on your face
Lets me know
That you need me
There's a truth
In your eyes
Saying you'll never leave me
The touch of your hand says
You'll catch me
Whenever I fall
You say it best
When you say
Nothing at all
 
E poi la cantò. La loro canzone. Quella in cui entrambi si riconoscevano. Quella che involontariamente si erano dedicati una sera al karaoke, quella canzone che riassumeva i loro sentimenti in poco più che quattro minuti.
 
All day long
I can hear people
Talking out loud
But when you hold me near
You drown out the crowd
Try as they may
They can never define
What's been said
Between your
Heart and mine
 
Eccola. Quella era la parte che Harry amava. La parte che parlava di quello che lui sentiva nei confronti di Louis, quel senso di protezione quando si abbracciavano, quel senso d’amore che provavano insieme.
I battiti del cuore di Louis, improvvisamente aumentarono, e il castano mosse leggermente la mano, quella stretta nella mano di Harry.
Harry boccheggiò un po’, prima di chiamare gli infermieri, senza osare lasciargli la mano, fino a che,pochi istanti prima che i medici entrassero, gli occhi di Louis si spalancarono in tutto il loro azzurro, quell’azzurro così particolare con sfumature verdi e cristalline,quegli occhi che avevano rapito Harry fin dal primo momento. Ad Harry sembrò che tutto stesse tornando al proprio posto in quel momento.
“E-e t-tu c-chi s-sei..?” – chiese il castano, guardando spaesato il riccio che gli teneva la mano.
La base del castello cadde di nuovo, lasciando Harry con un terribile senso di vuoto.
Non riuscì a rispondere che i medici arrivarono in fretta, spostarono Harry da Louis e lo visitarono, mentre il riccio sconsolato usciva dalla stanza, e andava a sedersi su una sedia, mettendosi le mani tra i capelli riccissimi.
Non riusciva a darsi una spiegazione.
Aveva dimenticato tutto..? Lui, il loro amore, tutto?
Sentì gli occhi pizzicare, come non avevano mai fatto, bruciavano quasi. E lente lacrime iniziarono ad uscire dai suoi occhi, bagnandogli il viso per l’ennesima volta in quel lungo periodo. Da quell’incidente Harry non viveva più, Harry piangeva, picchiava il muro, urlava, distruggeva cuscini, ma non viveva.
“Ehi signore, perché piangi?” – chiese una bambina, avvicinandosi a lui.
Harry alzò lo sguardo su di lei. Capelli ricci, come i suoi e occhi azzurri come quelli di Louis.
Dannazione, lo vedeva ovunque. Non era possibile.
“E’-è successa una cosa un po’ brutta piccolina” – sorrise triste, scompigliandole i ricci.
Lei fece un sorriso e allungò le braccia verso di lui. Harry si lasciò scappare un sorriso e la prese in braccio facendola sedere sulle proprie gambe, la bambina gli asciugò gli occhi.
“La mia mamma e il mio papà sono volati in cielo” – disse la bimba –“io sono qui da tanto tempo, ho visto tante persone piangere, ma nessuna mi ha mai preso in braccio come te, tu sei un bravo signore!” – sorrise la ricciolina al ragazzo, che si lasciò scappare un sorriso.
“Il mio fidanzato non si ricorda più di me, ha perso la memoria.” – confessò Harry.
Si sentiva stupido. Stava parlando con una bambina, dopo mesi e mesi che non aveva un contatto umano, a parte Louis e il suo macchinario dal bip fastidioso.
“Uh..” – fece la bimba –“e tu fallo ricordare! Come nelle favole, gli dai un bacio e lui ricorda!” – esclamò lei felice.
“Forse hai ragione, lo porterò a casa e gli farò ricordare tutto.” – sorrise, davvero, il riccio. –“io mi chiamo Harry, e tu?”
“Io sono Hope!”
Hope. Che buffa coincidenza. La bambina che gli stava dando una speranza, si chiamava Hope.
Harry sorrise e le diede un bacio sulla fronte.
“Harry?” – chiese la bimba.
“Sì?”
“Quanto il tuo fidanzato si ricorda, tu ti ricorderai di me?” – chiese.
Harry sorrise, e un buffo pensiero balenò nella sua mente. Lui era orfano. Lui sapeva cosa si provava a perdere i genitori, lui sapeva cosa significava essere soli al mondo. Lui sapeva.. lui non era mai stato realmente solo, lui aveva avuto Louis, sempre al suo fianco.
Non seppe perché e come. Ma nella sua mente, balenò il pensiero di adottarla, non appena Louis avesse ricordato tutto.
“Mi ricorderò di te, Hope, promesso”
La bambina gli porse il mignolo, come per saldare quella promessa appena fatta, ed Harry lo afferrò con il suo, sorridendo. Non aveva fatto nulla di male in fondo, la bambina aveva dato lui un barlume di speranza, e Louis aveva bisogno di lui, come mai in vita sua. Ma poi, lui avrebbe dovuto ricambiare, in qualche modo, il favore alla bambina, per questo glielo promise.
La sarebbe andata a prendere appena l’incubo fosse finito, appena tutto fosse passato, lui sarebbe tornato dalla bambina e l’avrebbe portata a casa con sé, non c’era nulla di male, apparentemente.
 
 
Quattro settimane dopo, Louis fu dimesso ed affidato ad Harry, ma non si fidava di lui.
Lo guardava sempre sospettoso, con astio, quasi, ed Harry moriva sempre un po’ di più, guardandolo.
Non riconosceva il suo ragazzo, non riconosceva il suo amore, non riconosceva nemmeno casa sua.
Si schiarì la voce, una volta dentro casa.
“Allora, questo è l’ingresso..” – lo condusse dentro –“qui c’è il salotto” – lo mostrò –“lì la cucina” – indicò la sala accanto –“sopra le scale la nostra camera, ma tranquillo dormirò sul divano fino a che non ti fiderai di me.” – cerco di sorridere –“e poi il bagno, sempre al piano di sopra. Hai fame?” – chiese una volta finito l’elenco delle stanze che Louis avrebbe dovuto conoscere.
“Un po’..” – rispose Louis. Harry gli sorrise e lo portò in cucina.
“Sai? Non sai cucinare, sei negato”-ridacchiò-“ma fai le migliori frittelle dell’intera Londra. Poi sei un disordinato, un gran disordinato!” – rise ancora cercando una pentola –“t-tu sei di-disordinato e-e io ma-maniaco dell’ordine, e-e ci co-completiamo..”- iniziò a balbettare e tremare mentre cercava di aprire l’acqua.
“Mi dispiace” –disse solo Louis, senza lasciar trapelare emozioni.
“Tranquillo, ambientati pure..” – fece Harry, respirando a fatica a causa delle lacrime che avrebbero voluto uscire dai suoi occhi, a causa di tutto quel dolore che aveva dentro.
Louis iniziò a vagare per la casa, imbattendosi in diverse foto appese ai muri, raffiguravano lui e il ragazzo riccio in cucina. Alcune erano sulle giostre, altre per la strada, in altre erano bambini, e una in particolare catturò l’attenzione di Louis. Allungò una mano verso di essa e la prese. Incorniciata alla perfezione, raffigurava lui e il ragazzo riccio intenti a baciarsi sotto la neve, in un camping. Avevano fatto campeggio in inverno? Dovevano essere pazzi!
Ripose immediatamente la foto e osservò la piccola libreria ai accanto al caminetto.
Con un dito scorse tutti i libri, soffermandosi su uno dalla copertina troppo dura per essere un libro. Ne accarezzò il bordo e poi lo tirò fuori.
Boo and Babycake ’s  adventures.” – era un album di foto. Chissà che foto raccoglieva dentro.
Sorrise. E chissà, chi erano questi Boo e Babycake. Tornò in cucina da Harry che continuava a preparare la cena piangendo.
“Ehm, Harry..?” – chiese Louis, cercando di non essere invadente.
“Di-dimmi amo- cioè Louis..”
“Ho trovato questo..” – alzò l’album, mostrandolo al giovane.
“Oh l’hai trovato, beh.. Boo sei tu e Babycake sono io..” – sorrise timido, asciugandosi con il dorso della mano una lacrima scappata dagli occhi.
“Voglio ricordare Harry.. aiutami..” – lo supplicò il ragazzo, guardandolo.
Harry si morse le labbra con fare nervoso. Ovvio che l’avrebbe aiutato, non si aspettava mica che il ragazzo tutt’un tratto decidesse di ricordare..
Magari, Harry doveva semplicemente mantenere la speranza viva dentro di sé.
 
 
Erano passati quattro mesi da quando Harry aveva riportato Louis a casa, ma questo sembrava ancora non ricordare un tubo di quello che avevano passato insieme. E ne avevano passate tante.
Era passato un anno, un fottutissimo anno da quell’incidente maledetto. Perché doveva accadere a lui? Perché?
Non potevano semplicemente tornare ad essere i Louis ed Harry di un tempo?
C’era come un muro tra di loro, il muro era la memoria di Louis, che non voleva tornare.
Dopo sette mesi di coma, un mese di convalescenza, quattro mesi con Harry, Louis non ricordava nulla.
Nulla di nulla.
Era asfissiante per Harry, era come se il suo ragazzo non volesse ricordare di proposito, il perché?
Un mistero.
Era una nevosa serata di gennaio, Harry era sul letto con le gambe divaricate e Louis davanti a lui con la testa appoggiata al petto di Harry, le ginocchia al petto e l’album di foto sulle gambe.
“Quindi,il tuo gatto non sapeva scendere dall’albero, io mi sono arrampicato per prenderlo e tu mi hai considerato un eroe?” – ridacchiò Louis, sfogliando le foto.
“Sì, il giorno più bello della mia vita.”
“Perché?”
“Ho conosciuto te, il mio tutto.”
Un flash nella mente di Louis, una canzone.
Iniziò a canticchiarla come se niente fosse, come se fosse una cosa normalissima.
 
I'll be your shelter
I'll be your storm
I'll make you shiver
I'll keep you warm
Whatever weather
Baby I'm yours
 
Canticchiò il castano tra le braccia del riccio, che spalancò gli occhi.
Quella era un’altra delle loro canzoni, possibile che Louis la stesse cantando così a caso?
 
Be your forever
Be your fling
Baby I will be your everything
 
Canticchiò ancora, girandosi verso Harry che non capiva assolutamente cosa stesse accadendo in quella stanza, quando improvvisamente si trovò le labbra di Louis sulle sue, a caso.
 
Baby I will,
Baby I will,
Baby I will be your everything..
 
Completò Harry contro le labbra del maggiore, ancora estasiato da quello che era appena successo, quasi in trance.
Louis sorrise avvicinandosi di più al riccio, baciandolo con maggiore trasporto di prima.
Harry non capiva assolutamente nulla, ma si lasciò trasportare dal bacio che Louis gli stava donando, dopo tutto quel tempo, le sue labbra gli erano mancate, e ora non riusciva più a staccarsi.
Il maggiore si staccò improvvisamente da lui e sorrise, e ad Harry sembrò che quel sorriso avesse illuminato tutta la casa, tanto che era luminoso.
“Allora ricordi?” – chiese speranzoso Harry, respirando velocemente dopo quel bacio che l’aveva trasportato in un altro mondo.
Louis scosse piano la testa, dispiaciuto, e il suo sorriso lentamente scomparve di nuovo.
Harry ci restò malissimo, ma non lo diede a vedere, allungò le braccia verso di lui e lo strinse forte al petto, per tranquillizzarlo. Mentre nel suo cuore, la paura di vederlo andar via, lo tormentava ancora, e ancora, e ancora.
“Però hai ricordato una delle nostre canzoni” – cercò di tranquillizzarlo –“non hai ricordato tutto, ma almeno..”
Louis sorrise contro il petto di Harry, allora non era destinato a non ricordare nulla, non era destinato a restare uno smemorino per tutta la vita. E poi dentro di sé, lo sentiva che c’era qualcosa che lo legava ad Harry, sentiva che c’era qualcosa di profondo che li univa.
Harry gli accarezzò la schiena per confortarlo e tranquillizzarlo, e Louis si accucciò tra le sue braccia, perché nonostante tutto, si sentiva a casa con Harry.
“Ricorderai, ricorderai. Fosse l’ultima cosa che faccio, ti farò ricordare.” – disse serio Harry, mentre stringeva ancora Louis tra le sue braccia, facendolo sentire stranamente al sicuro e protetto.
Ad Harry mancava tremendamente la vita allegra con Louis prima, mancavano i loro momenti. Non riusciva più a trovarsi in quella situazione. Si rifiutava di credere, dopo un anno dall’incidente, che stava vivendo una cosa simile. Non era possibile, si ripeteva, non era possibile che Louis non ricordasse assolutamente nulla.
“Tu non mi odi, vero?” – chiese tremante Louis.                           
“Non potrei mai essere arrabbiato con te.”
“Perché mi ricordo.. cioè.. tu urlavi e io cercavo di farti calmare..”
Ad Harry mancò un battito nel petto. Aveva ricordato un litigio.
Non importava perché proprio quello, ma aveva ricordato. Louis aveva ricordato qualcosa di loro due, finalmente.
“Abbiamo litigato qualche volta, ma abbiamo sempre fatto pace” – rispose Harry tranquillo, accarezzandogli la schiena.
“E come facevamo pace?”- chiese l’altro, alzando la testa dal petto del compagno, e guardandolo con uno sguardo tipico di un bambino curioso che vuole scoprire qualcosa.
Harry si lasciò sfuggire un sorriso, e gli raccontò di ogni litigio avuto, di come Louis una volta fuori la porta fosse tornato dentro per le suppliche di Harry, di tutte le volte che erano finiti con il fare l’amore dopo aver discusso, e Louis lo ascoltava in silenzio, lasciandosi sfuggire di tanto in tanto sorrisi e risolini, e dopo il racconto di Harry, cercò ancora le sue labbra. Le cercò come se fossero l’unica cosa a cui valeva la pena aggrapparsi, l’unica cosa che lo facesse sentire vivo. L’unica cosa che gli dava ancora la speranza, e che non lo faceva sentire un errore.
“Non mi ricordo niente, è vero. Ma..” – gli prese una mano portandosela all’altezza del petto, appoggiandola sul suo cuore –“ma lui ricorda tutto, sono sicuro, altrimenti non mi sentirei così bene con te.”
“Sai, qual è la cosa strana, Louis?” – chiese Harry, a pochi millimetri dalle sue labbra.
“Quale..?” – chiese Louis fissandogli le labbra. Quelle labbra rosee e carnose.
“Che è sempre stato il contrario, ti sei sempre preso cura tu di me, io non ho mai fatto niente di veramente importante per te..”
“Io non credo, altrimenti il mio cuore non avrebbe ricordato niente di te..”
Harry sorrise e lo baciò ancora, attirandolo più sopra di sé, stringendolo di più al suo petto, beandosi del contatto che finalmente, dopo tanto tempo avevano avuto entrambi.
Magari stava ricordando, magari no.
Forse era solo la sua immaginazione, magari erano solo le sue speranze che cercavano di uscire fuori, magari era tutto solo un’illusione e Louis non ricordava ancora nulla.
Harry non se ne importava, continuò a baciarlo come se non ci fosse stato un domani, come se Louis fosse sparito da un momento all’altro davanti ai suoi occhi, come se quello fosse stato il loro ultimo bacio.
 
“Harry, Harry!” – urlò Louis dal bagno, la mattina dopo.
Si vedeva che entrambi quella mattina fossero realmente felici per quello che era accaduto tra di loro.
Erano felici perché si stavano lentamente ritrovando.
“Dimmi Lou” – fece Harry, entrando di corsa in bagno, trovandolo solamente in boxer.
“Mi spieghi cos’è questa chiave sulla caviglia?” – chiese con un’espressione dolce sul viso.
“Oh. Quello l’abbiamo fatto al mio diciottesimo compleanno, tu la chiave, io il lucchetto” – gli mostrò il polso e il piccolo lucchetto che aveva tatuato sopra. E Louis sorrise.
Aveva pensato a qualcosa di simile, ma la sua mente non riusciva a mandargli l’impulso giusto, era sempre nel dubbio se ricordava le cose giuste o meno. Era sfiancante per lui. Non vedeva l’ora di recuperare totalmente la memoria, non ne poteva più di vedere Harry triste ogni volta che un “no” usciva dalla sua bocca; non ne poteva più di non ricordare. Da quello che aveva visto la sua vita era felice come non mai, allora perché non ricordava?
“E perché io la chiave?” – chiese curioso Louis, bramoso di ricordare più cose possibili.
“Perché tu hai la chiave del mio cuore, e quindi il lucchetto da aprire sono io” – sorrise Harry, e gli si avvicinò lentamente. Fece unire le loro fronti e lo guardò negli occhi.
 “Ho giurato a me stesso che t’avrei fatto ricordare tutto.” – Louis gli mise le braccia attorno al collo, avvicinandolo di più a sé.
“Io voglio ricordare tutto, Harry, voglio farlo ma non ci riesco..”
“Non sforzarti amore, vedrai che ricorderai.” – sorrise dandogli un bacio a fior di labbra, e solo sfiorandole fece battere all’impazzata il cuore di Louis, che finalmente iniziava ad avere le reazioni giuste ogni volta che Harry era nei paraggi.
“Mi hai chiamato amore..” – sorrise chiudendo gli occhi e appoggiandosi alla spalla di Harry,che si preoccupò per la sua salute e lo avvolse in un asciugamano e poi tornò a stringerlo tra le braccia con fare protettivo.
“Sì, ti ho sempre chiamato così.”
“E io come ti chiamavo?”
“Piccolo..” – ridacchiò Harry, ricordandosi che la prima volta che Louis l’aveva chiamato così era stata anni prima quando erano ancora adolescenti.
Louis ridacchiò e lo strinse più forte. Sperò con tutto se stesso di tornare a ricordare, perché insomma, non ne poteva davvero più di essere così stupido.
Ma era come se la sua mente fosse velata da una strana aura nera che intrappolava tutti i suoi ricordi.
“Vado a prepararti qualcosa di buono” – disse Harry, staccandosi dall’abbraccio.
“Oh sì! Io finisco di lavarmi, fa-fa quello che vuoi..” – mormorò il castano, mentre Harry lo lasciava e si avvicinava alla porta.
“Vuoi chiedermi qualche altra cosa?” – chiese Harry, notando l’espressione del ragazzo sul volto.
Louis si torturò le mani, ed arrossì vistosamente. Voleva chiederlo davvero? Stava per chiederglielo..?
Strinse gli occhi, e abbassò la testa.
“Vuoi fare l’amore con me..?” – emise in un sussurro, che Harry sentì per miracolo, ma sorrise sentendo quella richiesta dal suo compagno. Magari quello l’avrebbe aiutato, no? Nei film funzionava sempre.
Harry si avvicinò di scatto e gli alzò il viso verso di lui.
Non rispose, semplicemente lo baciò con trasporto, come non faceva da tempo, e tutta la passione,tutto l’amore che il riccio provava per il liscio stavano venendo fuori, si stavano risvegliando in quel bagno che si riempiva d’amore e di speranza. E lì dentro loro due fecero l’amore di nuovo. Dopo un anno che non si toccavano, dopo un anno di sofferenza, dopo un anno che non sentivano più il calore del corpo dell’altro, finalmente si erano ritrovati, finalmente si erano uniti di nuovo, finalmente entrambi tornavano a respirare l’amore.
 
 
Era il compleanno di Harry. Louis finalmente aveva ricordato tutto.
Una mattina, si era svegliato e dopo aver guardato Harry, tutto era tornato nella sua mente, aveva avuto uno strano flash in cui tutto quello che c’era stato tra loro due, gli era passato davanti come un fulmine a ciel sereno. E si era ritrovato a sorridere. Ricordava anche quando era il compleanno di Harry, e per questo aveva tenuto nascosto tutto dentro di sé, e quel primo di febbraio, gli avrebbe raccontato tutto, come se fosse stato una specie di regalo di compleanno per il suo ragazzo che compiva vent’anni, e aveva buttato i suoi diciannove a prendersi cura di lui. Chi l’avrebbe mai fatta una cosa simile? Nessuno.
Gli era stato accanto come mai nessuno c’era stato per lui nella sua vita, c’era stato sempre.
E anche se aveva avuto la morte nel cuore perché Louis non ricordava nulla di lui, c’era stato. Non l’aveva abbandonato. Louis per questo aveva deciso di dirgli tutto il giorno del suo compleanno, di fargli quella sorpresa.
Il suo piano prevedeva di dargli qualche indizio, per poi dirgli tutta la verità a fine giornata.
Okay, aveva ricordato anche di non essere un bravo cuoco, ma poco importava. Ad Harry sarebbe piaciuto tutto.
“Buongiorno piccolo!” – strillò Louis, vedendolo scendere le scale con il solito passo lento, e si ritrovò a sorridere dolcemente alla vista di un Harry ancora un po’ bambino dentro di sé, anche se era sicuro che quell’esperienza l’avesse cambiato. –“buon compleanno” - continuò con nonchalance, ridacchiando.
“Oh.. grazie amore” – fece Harry ancora stralunato, avvicinandosi a Louis e regalandogli un bacio sulle labbra.
Louis chiuse gli occhi beandosi di quel contatto, di quella dolcezza e premura che Harry avesse nei suoi confronti, e si ritrovò a stringerlo possessivamente tra le braccia. Non doveva dire nulla, doveva resistere fino alla sera.
Harry si staccò da lui e vide due piatti pieni di frittelle, e strabuzzò gli occhi.
“Hai ricordato come si fanno le frittelle?” – chiese titubante.
Louis annuì, sorridendo.
Il riccio ancora addormentato si sedette e iniziò a mangiare lentamente le frittelle preparategli dal suo ragazzo, quando una consapevolezza lo prese in pieno.
“Louis, tu hai ricordato, hai ricordato!”
Louis si morse le labbra, ed annuì. Non ce la faceva, non riusciva ad aspettare la sera per dirgli tutto.
“Ogni cosa amore, tutto. Tutto quello che c’è stato, tutto.”
Il cuore di Harry si fermò nel suo petto per una manciata di secondi, prima che Louis si rendesse conto di qualcosa, il riccio gli saltò completamente in braccio, stringendolo forte.
Quanto gli era mancato il suo Louis?
Quanto aveva sperato che quel giorno arrivasse?
Quanto aveva voluto che finalmente ricordasse?
E lo baciò. Lo baciò come non aveva mai fatto prima, lo baciò con amore e passione, lo baciò come se fosse stato – ancora – l’ultimo bacio.
“Dimmi che non è un sogno, dimmi che non è un sogno, dimmi che n-“ – Louis lo fermò mettendogli una mano sulle labbra, prima di baciarlo di nuovo, confermando che quello non era un sogno, ma la realtà.
“Mi dispiace per tutto quello che t’ho fatto passare, ma sono tornato, sono di nuovo io..” – sussurrò il castano contro le labbra dell’amato baciandolo a stampo tra una parola e l’altra.
“Ti amo così tanto..” – sussurrò Louis baciandolo ancora.
“Mi dispiace, è stata colpa mia se sei stato in quelle condizioni, non potrò..”
Louis lo zittì ancora. interrompendolo definitivamente.
“Basta, non pensiamo più al passato. Ci siamo solo io e te, basta,”
Harry annuì e lo baciò di nuovo.
Finalmente il castello di carte era tornato tutto intero, al riparo dal vento e dalle intemperie.
 
 
La settimana dopo, una coppia di ragazzi si dirigeva all’ospedale.
Louis doveva fare un controllo, per vedere se c’era il rischio di ricaduta nella perdita di memoria, ed Harry era preoccupato a morte. Soprattutto, perché Louis gli aveva chiesto esplicitamente di non entrare con lui durante la visita, ed Harry a malincuore aveva accettato il volere del fidanzato.
Una volta in ospedale, Louis entrò nella stanza con il dottore, mentre Harry restò in sala d’attesa, sospirando più e più volte.
La sua attenzione fu catturata da un gruppo di bambini che uscivano da un’ala dell’ospedale, e come un flash gli ritornò in mente Hope, la bambina riccia dagli occhi azzurri che l’aveva confortato quando aveva appreso che Louis avesse perso la memoria. Con un balzo, raggiunse quei bambini e la vide mentre chiacchierava con un amichetta.
“Ciao Hope!” – esclamò Harry.
La bimba si girò e lo studiò, cercando di ricordare chi fosse quel ragazzo che l’aveva chiamata. Harry si inginocchiò a terra per farsi vedere meglio, e lei lo riconobbe.
“Ciao Harry!” – esclamò lei, uscendo dalla fila ordinata e lanciandosi tra le sue braccia –“hai ricordato, hai ricordato, hai ricordato!” – urlò stringendolo forte. Harry la prese in braccio, alzandosi in piedi
“Sì, certo! E anche Louis ha recuperato la memoria, lo vuoi conoscere?” – sorrise il riccio, tenendo la bambina tra le braccia. Lei annuì energicamente e si aggrappò al collo di Harry che sorrise.
“Signore, ma cosa fa?” – chiese un infermiere che sopraggiunse vicino ai bambini.
“Uhm. Adotto la bambina.”
Quello spalancò gli occhi, grattandosi la testa. Così su due piedi un ragazzo decideva di adottare una bambina a caso tra tutti i bambini che c’erano? Sì, era una cosa positiva, perché tutti quei bambini affidati all’ospedale, sarebbero finiti negli orfanotrofi e dai servizi sociali.
“Se proprio vuole, ma dovrà fornire i documenti necessari”
“Sì certo, dopo faccio tutto con il mio fidanzato” – sorrise Harry, congedandosi dall’infermiere e raggiungendo la sala dove era entrato Louis. Chiacchierando con la bambina, attese che Louis uscisse di lì per raccontargli tutto. Era stata una mossa avventata. Come potevano prendersi la responsabilità di una bambina?
Ma quella bambina aveva una storia simile alla loro alle spalle, e non aveva nessuno.
Una cosa era certa, Louis non avrebbe mai detto di no ad adottarla. Era adorabile solo guardandola. E poi, anche lui teneva particolarmente ai bambini, quindi perché non adottare? Non avevano mai parlato di questo, ma probabilmente prima o poi l’avrebbero fatto.
Louis uscì dalla stanza del dottore con un’espressione indecifrabile sul volto, ed Harry si preoccupò immediatamente.
Corse da lui tenendo ancora la bambina tra le braccia, e cercò di capire cosa avesse.
“Sto bene, Harry, sto bene tranquillo..” – fece con un sorriso. –“ha detto che non devo avere emozioni forti, o altro almeno per un po’ di tempo. E devo stare a riposo.”
“Louis, sembra dalla tua faccia che tu sia stato condannato a morte.”
“Scusa, è che non mi piacciono gli ospedali, dovresti saperlo.” – sorrise teneramente poi girandosi verso la bambina –“ehi e lei chi è?” – chiese prendendo le manine della bimba e giocandoci.
“Io sono Hope! Un’amica di Harry!” – ridacchiò la bambina.
“E quando vi siete conosciuti? Guarda che io sono geloso!” – rise Louis, e sembrò che tutta la tensione che aveva prima fosse scivolata via, fugacemente.
“Quando tu hai perso la memoria, sei Louis, vero?”
“Sì, sono io. Credo che Harry ti abbia raccontato qualcosa, dico bene?”
“Sì!” – rise lei, portandosi le manine vicino alla bocca, sopprimendo la risata che le stava uscendo dalle labbra.
Louis guardò Harry e gli sfiorò le labbra con le sue, coprendo gli occhi della piccola.
“Vuoi chiedermi qualcosa, Harreh?” – chiese, mentre il riccio annuiva.
“Adottiamola, Lou, la sua storia è come la nostra. Ma lei non ha un Louis bambino che la protegge.”
Louis sorrise, annuendo. Non ci pensò molto, non sapeva nulla della bambina, ma qualcosa dentro di lui gli diceva di tentare, di provare, anche per Harry, che finalmente sorrideva davvero.
“D’accordo, adottiamola. Ci farà bene avere una piccola peste in giro per la casa.” – sorrise il maggiore, mentre il più piccolo si sporgeva verso di lui, baciandolo teneramente sulle labbra.
“Ehi togli la mano, non vedo!” – strillò Hope, mentre Louis le copriva ancora gli occhi, restando contro le labbra dell’amato.
Forse era una mossa azzardata a vent’anni, ma dopo tutto quello che avevano passato, un po’ di tranquillità familiare avrebbe fatto bene a tutti e due.
“E potremmo tornare a Doncaster dalla nonna per un periodo” – fece Louis –“Hope si divertirebbe, e noi due potremmo rilassarci un po’.. che ne dici?” – chiese in un sussurro.
Harry annuì, e confermò. Sarebbero andati dalla nonna appena adottata Hope.
 
Le pratiche durarono pochi mesi, e finalmente Harry e Louis avevano messo su famiglia, cosa che era il loro desiderio nascosto fin da piccoli. Entrambi avevano perso i genitori, ed entrambi avevano tanto amore da donare, e per questo quella piccola bambina sarebbe cresciuta nella situazione giusta, con due persone che si amavano e che l’avrebbero amata come loro figlia.
Quando, dopo le pratiche, Harry e Louis la portarono a Doncaster dalla nonna,  la bambina fu felice di avere anche una nonna, oltre i suoi due papà che le volevano tanto bene.
“Sai cosa sarebbe meraviglioso?” – chiese Louis.
“Cosa?” – ribatté Harry.
“Sposarti.” – sorrise il maggiore arrossendo leggermente.
“Oh si, lo voglio.” – fece Harry, sbilanciandosi verso le labbra dell’amato e baciandolo con dolcezza e amore.
Louis tirò Harry contro di sé, continuando a baciarlo, infischiandosene di quello che accadeva tutt’intorno a loro, infischiandosene se c’era qualcuno in casa. C’erano solo loro e basta.
“Harry, Louis, i biscotti sono pronti!” – urlò la nonna dal piano di sotto e i due dovettero a malincuore separarsi, e ricomporsi. Ridacchiarono, raggiungendo la cucina,dove Hope stava mangiando già i biscotti, senza aspettarli.
“Ma come, li mangi tutti da sola?” –fece il castano ridendo allegro.
“Sì, voi ci mettete sempre tanto ad arrivare!” – protestò la bambina.
Harry trattenne una risata e corse vicino a lei iniziando a farle il solletico.
“Non rispondere così a tuo padre” – esclamò il riccio, facendo ridere la bambina.
“Harry!” – fece il maggiore unendosi a loro –“lasciala stare su!”
“Tu sei diseducativo, amore.”
Tutti e quattro, compresa la nonna, che osservava la scena metà commossa e metà fiera dei due ragazzi, scoppiarono a ridere sonoramente. Quella sì che era la vera felicità.
Il castello di carte che immaginava Harry?
Era diventato un solido e stabile palazzo di cemento armato, che nemmeno un terremoto avrebbe potuto buttare giù.
 



No, Jimmy Protested!

Lo so, lo so, lo so, dovrei aggiornare il Boy of Doncaster, e sarà mia premura continuare oggi stesso il capitolo e riuscire a postarlo.. domani o dopodomani c:
Ma.. comunque, il mio karma se n'era andato a fanculo per un po' di tempo, quindi non riuscivo a scrivere un tuborg ç_ç
No ma.. non sto molto bene per fare una roba del genere, ma comunque.
I miei piccoli Boo e Hazza aw nooo dai, sono l'ammmore, specialmente Harry che si dipera, a noi piace Harry che soffre.
Ma perchè faccio soffrire sempre Harry? Non lo so, non chiedetemelo. ç_ç
Oh e poi news credo mi farò ask, così se volete chiedermi qualcosa, sapete a dove chiedere azdecrfve contente?
Non so cosa dire oggi.
Spero vi sia piaciuta e ci vediamo alla prossima puntata, shao :3333

Ah si, volevo ringraziarvi con il cuore  <  3 (stile Zayn)  per aver fatto arrivare una mia OS a 30, e dico 30 preferitil.
Cazzo. Quando l'ho visto mi è venuto un infarto.
Grazie davvero.
Anche alle meraviglioe 136 persone che mi hanno tra gli autori preferiti, grazie, grazie mille!

Now, io vi saluto, shaaaaaaaaaaaao :3 
*woosh*

Vi linko qui le canzoni citate, stavolta non sono ritardata da dimenticarlo :3
La prima è Total Eclipse of the Heart - Bonnie Tyler 
La seconda è When you say nothing at all - Ronan Keating, o anche conosciuta come colonna sonora del film Notting Hill 
E la terza è Be your everything - Boys like girls

Ho finito, shao :3
   
 
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