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Autore: Darik    25/07/2004    5 recensioni
Davanti ad una grave perdita, possono solo soffrire.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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DOLORE

La sala era grande e silenziosa.

Sulle sue bianche pareti, alcune corone di fiori e una piccola fila di sedie di plastica.

Una fioca luce autunnale penetrava da alcune finestre ad arco e da un portone in finto legno anch’esso a forma di arco, e illuminava l’unico oggetto posto al centro della medesima sala, sopra degli appositi sostegni metallici.

Una bara bianca, con la parte anteriore del coperchio sollevata.

Il silenzio era assoluto, poi fu rotto da un rumore di passi proveniente dall’esterno, passi che si muovevano sopra la curatissima erba verde del cimitero.

Una donna entrò nel locale, e si fermò proprio sull’uscio della porta.

La nuova arrivata era vestita completamente di nero, con una gonna che le arrivava fino alle ginocchia, una giacca e un capello, che reggeva un sottile velo nero sul suo viso.

Rimasta ferma per alcuni secondi, avanzò verso la bara, e quando la raggiunse, poggiò una mano sul bordo, fissando la persona che giaceva immobile lì dentro.

La mano ebbe come un fremito, la donna se la portò al viso e cominciò a singhiozzare sommessamente.

Presa dal dolore, non si accorse che altre tre persone erano appena entrate nella stanza, due ragazzi e una ragazza, tutti vestiti a lutto.

I ragazzi rimasero fermi ad osservare la donna che piangeva, finché uno dei tre, con gli occhiali, si mosse con una certa titubanza verso di lei, e quando la raggiunse, le mise una mano sulla spalla e le parlò sottovoce.

“Signorina Katsuragi… gli altri sono arrivati… mi dica lei quando possono…”

“F…falli entrare pure, Hyuga..” rispose la donna guardando il ragazzo e abbozzando un sorriso, con le lacrime che le solcavano le guance.

Hyuga allora tornò dai suoi compagni, disse loro qualcosa e poi si avviò fuori.

Misato osservò per un momento i due ragazzi rimasti nella sala, che insieme a Hyuga erano gli operatori principali del ponte di comando della Nerv.

Maya Ibuki piangeva sommessamente e con lo sguardo basso, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto, mentre Shigeru Aoba, con un espressione triste, le aveva messo un braccio intorno alle spalle per consolarla.

E Katsuragi per qualche attimo non poté non restare commossa per il profondo dolore dimostrato da quei bravi ragazzi, che in fondo non avevano mai conosciuto veramente la povera Asuka.

Dopo questa piccola pausa però, ecco che il dolore per la scomparsa della sua protetta tornò prepotentemente a farsi avanti e quasi con violenza la costrinse a guardare il corpo freddo e pallido contenuto in quella altrettanto fredda e pallida bara.

E davanti a quella vista, le lacrime ricominciarono a uscire copiose dagli occhi del maggiore.

Mise una mano dentro la bara e toccò una ciocca di capelli rossicci.

“Oh Asuka…. Asuka… perché? Perché non mi hai dato retta? Quando ti ho ordinato di rientrare, perché non mi hai ubbidito? Se lo avessi fatto, ora saresti ancora tra noi”.

Misato si sentì il cuore stringersi in una morsa che rischiava di mozzarle il fiato, mentre la sua mente, quasi con sadismo, continuava a farle ricordare gli attimi terribili di tre giorni prima.

L’angelo di luce, il cui aspetto sembrava davvero quello di un messaggero celeste…

Il raggio di luce che partendo dall’angelo investiva lo 02…

Sembrava quasi una scena tratta da alcuni vecchi film, dove il Creatore parlava con una delle sue creature.

Ma a differenza di quelle vecchie pellicole, quella luce portava si un messaggio, ma un messaggio di morte.

Le grida di Asuka…

L’ordine di Misato di rientrare…

E Asuka che si rifiutava di ubbidire a quell’ordine!

Testardamente, dolorosamente, la ragazza con i capelli rossicci non ne voleva sapere di rientrare.

“Piuttosto che ritirarmi preferisco morire qui!”

Cosi aveva detto!

E mai parole si erano rivelate più profetiche.

Perché nonostante l’intervento di Rei fosse riuscito a distruggere l’angelo, per Asuka non ci fu nulla da fare.

Totale cessazione di ogni attività cerebrale.

Distrutti tutti i centri nervosi, compresi quelli che riguardavano l’attività muscolare, sia volontaria, come il movimento degli arti, sia involontaria, che riguardava le funzioni vitali.

Magari se Rei fosse intervenuta qualche secondo prima…

Maledetta stupida ragazzina tedesca!

Non ti avevano insegnato che bisogna sempre ubbidire agli ordini dei propri superiori?

Non eri in grado di mettere da parte per una volta il tuo smisurato orgoglio?

Avresti dovuto dare retta al maggiore.

Se lo avessi fatto, non ti sarebbe successa una cosa del genere.

Non saresti certo uscita completamente incolume, visto che la tua vita negli ultimi tempi stava andando in pezzi.

Ma finché il tuo cuore avesse continuato a battere, ci sarebbe stata sempre la possibilità di riprendersi.

E invece hai imboccato la strada della morte.

Che spazza via ogni possibilità.

“Stupida..” mormorò Misato tra le lacrime, e si sentì le ginocchia fremere leggermente.

Ma siamo sicuri che la vera stupida sia stata solo lei?

O forse è stata molto stupida anche una certa donna con il grado di maggiore, che diceva di essere sua amica, e invece l’ha mandata incontro alla morte?

“Io…. Io volevo aiutarti…”

Si, ma in parte è come se l’avessi uccisa tu stessa, permettendole di andare là fuori, contro un nemico sconosciuto, in quelle condizioni mentali, che potevano prevedibilmente portarla a compiere gesti pericolosi.

“Io… non potevo sapere…”

Lo vedi? Lo ammetti anche tu.

Proprio perché non sapevi che cosa l’aspettasse, non avresti dovuto permetterlo.

Il tuo gesto è stato irresponsabile quanto quello di Asuka, se non di più.

“…volevo aiutarti…”

La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

“…io….”

Sai benissimo che sei in parte responsabile della sua morte.

E questo il motivo che ti ha spinto a venire qui.

“…no…i-io…”

E’ il rimorso che ti ha spinto a venire, impedendoti di stare tappata in casa a sfogare il tuo dolore ubriacandoti.

Il rimorso per averla assecondata troppo.

Il rimorso per aver tentato di aiutarla quando tu non sei neppure in grado di aiutare te stessa.

Speri che venendo qui, lei possa in qualche modo perdonarti per la tua incapacità.

Per la tua arroganza di sapere sempre cosa è meglio per questi poveri quattordicenni.

“S-si… n-no… NO!”

Ma chi potrebbe perdonare una persona falsa e ipocrita come te?

Le gambe di Misato cedettero, e la donna cadde con le ginocchia per terra.

Non sentì molto dolore, toccando quel pavimento freddo e duro.

Mise le mani sulla bara, per non crollare del tutto, mentre Shigeru e Maya prontamente accorsero per aiutarla ad alzarsi.

Quando fu di nuovo in piedi, Shigeru le consigliò di andare a sedersi, perché doveva essere molto stanca.

Misato assentì, ma prima volle dare un ultimo sguardo ad Asuka, e le sussurrò qualcosa.

“…perdonami…”

Quando Misato si sedette, arrivarono altre persone, anche loro ovviamente vestite a lutto.

C’era la capoclasse Hikari Horaki, che si muoveva lentamente, e sembrava incapace di guardare la bianca bara, ed era accompagnata da Kensuke Aida.

Era presente anche Ritsuko, che aveva un espressione alquanto fredda e distaccata.

Ma questo non stupiva Misato, sapeva che Ritsuko non avrebbe mai potuto essere troppo sconvolta per la morte di Asuka, perché non aveva mai stabilito con lei un rapporto che andasse oltre quello del mero lavoro.

E comunque doveva essere lo stesso grata alla dottoressa, perché grazie al suo aiuto Misato era riuscita ad evitare che il corpo della povera Asuka subisse l’ultima profanazione ad opera di alcuni scienziati della Nerv che avevano avanzato l’idea di asportare il cervello della ragazza e studiarlo, visto che era entrato in contatto con la mente di un angelo.

Misato si era opposta con tutte le sue forze, e grazie all’intervento di Ritsuko, l’aveva spuntata, riuscendo cosi ad organizzare un vero funerale.

Inutile attendersi il comandante Ikari, perché per lui la perdita di un Children era una delle prevedibili conseguenze della guerra contro gli angeli.

Non ci può essere un conflitto senza vittime.

Dopo Ritsuko poi, entrarono un uomo e una donna, che Misato riconobbe essere il padre e la matrigna di Asuka.

E se la matrigna, nonostante un ottimo autcontrollo, aveva chiaramente gli occhi lucidi, il padre di Asuka sembrava invece del tutto indifferente a quella situazione.

Come se fosse venuto solo per dovere, e non per dare l’ultimo saluto alla sua unica figlia.

“Che razza di uomo…” bofonchiò Misato.

Un tipo del genere, che col suo atteggiamento menefreghista aveva notevolmente contribuito a rovinare la già orribile infanzia della figlia, Misato sarebbe stata capace anche di aggredirlo verbalmente, ma quello non era il luogo giusto per mettersi a litigare.

E inoltre… era consapevole del fatto che ogni tentativo di addossare la colpa agli altri, sarebbe stato solo un meccanismo di autodifesa utilizzato dal suo subconscio per rimuovere la sua responsabilità nella morte di Asuka.

Un meccanismo grazie al quale la colpa era degli angeli, del comandante Ikari, del padre di Asuka, di Asuka stessa magari, ma non del maggiore.

Tutti colpevoli, tranne lei.

Quindi abbassò la testa e mormoro: “E che razza di donna che sono…”

E fu in quel momento, che si rese conto che mancava qualcuno.

Qualcuno che avrebbe dovuto esserci.

*********

Non se l’era sentita di scendere dalla macchina.

Nonostante avesse accettato di venire al funerale, nonostante fosse già vestito a lutto, alla fine si era ritrovato incapace di parteciparvi.

Magari la signorina Misato lo avrebbe cercato, oppure avrebbe mandato qualcun altro a farlo, ma non gli importava.

Gli avrebbe detto che non aveva intenzione di scendere.

Fine.

Non aveva alcune intenzione di entrare in quel mondo, di addentrarsi in quella realtà.

Molto meglio starsene al sicuro dentro un guscio.

Si, era quella la condizione migliore.

Stare isolati da tutto e da tutti.

E in quel momento, quale guscio migliore di una macchina, per proteggersi da quella atmosfera che aleggiava nel cimitero?

E anche nella vita di tutti i giorni, era decisamente meglio starsene ognuno per i fatti suoi, ciascuno alla giusta distanza, piuttosto che cercare di stare insieme.

Perché lo stare insieme genera sofferenza.

Ogni cosa in qualche modo collegata allo stare insieme, genera sofferenza.

Compreso l’interessarsi alla morte di qualcuno.

E lui non voleva soffrire.

Perciò non avrebbe partecipato al funerale.

Anzi, si stava pentendo persino di essere venuto fin lì.

Poi vide qualcuno in lontananza.

Una persona vestita di nero, che camminava con calma tra le lapidi in marmo, distribuite in ordinate file in mezzo a quel grande prato verde.

“Sarà qualcuno venuto a salutare un proprio caro” pensò, e cominciò a guardarsi le mani.

Non sapeva quanto sarebbe durata la cerimonia, ma non gli importava.

Tanto aveva un modo perfetto per passare il tempo.

Ovvero non pensare a niente.

Svuotare completamente la sua mente da ogni cosa, estraniarsi completamente.

In questo modo, il tempo trascorreva velocissimo.

Però in quel momento non ci riusciva.

Il suo pensiero rifiutava di scomparire e continuava a tornare a quella persona che aveva visto camminare nel cimitero.

Sembrava anzi diventare una sorta di tormento, aumentava sempre di più, e alla fine non resistette.

Scese dalla macchina e si avviò verso il cimitero.

Perché doveva assolutamente sapere chi fosse.

L’erba era davvero soffice sotto i suoi piedi.

Quel cimitero era decisamente migliore dell’altro che conosceva, una spianata di arida terra con tante croci bianche in fila.

“Accidenti, mi chiedo che cosa sto facendo. Voglio dire, perché sto cercando senza motivo una persona che nemmeno conosco?”

Nel suo peregrinare in mezzo al cimitero, sentì il rintocco di una campana, e guardando in lontananza, vide che un gruppo di persone stava uscendo da un edificio bianco in stile neogotico.

E alcune di queste persone stavano portando a spalle una bara bianca.

Il funerale!

Fece per girarsi e per andarsene.

Ma si fermò.

Perché dopo aver visto la bara, si rese conto che non poteva farlo.

Non poteva prendere in giro se stesso.

Non poteva credere di poter ignorare la perdita di Asuka.

Perché con quella ragazza se ne era andata anche la sua speranza di poter cambiare.

La possibilità di poter in qualche modo prendere da lei la sua sicurezza, la sua capacità di imporsi.

E soprattutto, aveva perso anche l’unica persona che aveva più possibilità di comprenderlo, anche se magari non subito e con difficoltà.

C’entrava anche l’amore?

E chi poteva dirlo.

Lui non aveva la più pallida idea di che cosa volesse dire essere innamorati.

Certo, quando gli era capitato di vederla in alcune, ‘pose sexy’, lui era arrossito, ma quello non era amore.

Tuttavia erano cose che ormai non avevano più importanza.

Lei se ne era andata.

E lui non l’avrebbe mai più rivista.

Un vuoto si era ormai creato nella sua vita, un vuoto incolmabile.

E quel vuoto era la prova che alla fine il destino lo aveva fregato.

Nonostante i suoi tentativi di non lasciarsi coinvolgere, si era lasciato infatti sedurre subdolamente dalla tentazione di intrecciare rapporti con gli altri.

Una tentazione che il destino sembrava aver creato apposta per far soffrire gli uomini.

E lui vi aveva ceduto.

Quindi era inutile che tentasse di estraniarsi, inutile anche che cercasse di fermare il dolore che come un fiume in piena sentiva salire dal suo cuore.

“Asuka…” mormorò Shinji cadendo a terra e mettendosi a piangere in posizione fetale.

“Asuka… perché mi hai lasciato… solo….”

Mentre Shinji piangeva, e il corteo funebre si muoveva lentamente verso il punto in cui la bara sarebbe stata seppellita, una persona stava osservando entrambi da una piccola collinetta, in parte coperta da alcuni alberi.

Rei Ayanami, con indosso una gonna e un maglione neri, in silenzio guardava Shinji sfogare in silenzio il dolore che si era rifiutato di affrontare.

Quando poi la bara fu calata nella terra, la ragazza si girò e si incamminò verso l’uscita del cimitero.

FINE

  
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