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Autore: Naky94    15/01/2013    3 recensioni
Indio e Iris, uno specilizzando e una matricola. Un'amicizia, un'amore, una famiglia magari? Solo che i loro adorati paparini...... Bhe, se vi va, scopriamolo insieme.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
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N.d.a pre capitolo: Saaaaaaalve!!!!!! Vi ricordate ancora di me? Si, sono la pazza scrittrice di questa storia, che prima vi da un capitolo due di sole 3 misere pagine Word, poi vi fa aspettare praticamente un mese, ed infine rilascia un’ Extra chilometrico (nel vero senso della parola) sperando di farsi perdonare.
Ma mi avete perdonato????
Bho, non si sa! A mia discolpa però posso dire che malattie varie, scadenze scolastiche, analisi che debilitano in continuazione e altre sciocchezze mi hanno impedito di dedicarmi a voi e alla fic.
Spero vogliate concedermi almeno questa attenuante....

 
Ma veniamo al capitolo. Si giocaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!
Cioè vis piego, nel cap sono stati inseriti 5 personaggi presi da telefilm o film vari. Voi dovrete indovinare da quale film/telefilm ho preso spunto.
Vi posso dire che è molto facile indovinare, quindi sono anche stata buona. Perciò.......
VIA!!!!!! GIOCO INIZIATO!!!!!!!!!
Per chi indovinerà tutto, risponderò a tre domande a sua scelta.
Su, su leggete!!!

 

 

 

 

 
Capitolo 3

 
Pov Iris

 
Nella vita di ogni figlio, arriva sempre il momento giusto per lasciare il nido materno.
Per me, quel momento, è arrivato.
Sono nella mia camera, a casa di mia madre. In questa camera ci sono nata e cresciuta, e so già che mi mancherà immensamente, non poter vedere ogni giorno queste pareti affrescate di rosa, che al loro interno racchiudono tanti ricordi. In parte belli, in parte brutti, ma che comunque hanno segnato la mia crescita in modo più o meno definitivo.
Ripongo le ultime cose nello scatolone e poi lo chiudo con lo scotch.
Sollevo lo scatolo ed esco dalla camera per andare a riporre tutto ciò che devo portare con me, in macchina. Sistemo tutto e do un’ultima occhiata per vedere se ho dimenticato qual’cosa.
A quanto pare ho preso tutto, quindi prendo borsa e giacca e mi dirigo alla porta.
“Iris sei ancora a casa?” sento provenire dal soggiorno la voce di mia madre. Sospiro stancamente e le rispondo.
“Si mamma. Ho preso le ultime cose per il trasloco e ora vado”e parlando mi dirigo verso di lei.
“Non avrai mica pensato di traslocare senza prima salutarmi, vero sciocchina?”. Veramente lo avevo sperato. Prendo un altro respiro profondo e poi parlo.
“No mamma, è solo che tu non eri a casa e non sapevo quando saresti tornata.” Bugia, sapevo perfettamente che sarebbe tornata questo pomeriggio dal suo “viaggio di lavoro”; se viaggio di lavoro si può chiamare l’accompagnare alla settimana della moda di Parigi, alcune sue modelle.
“Oh povera cara! Ma allora è un bene che io abbia preso il volo della notte scorsa e che sia ritornata in anticipo, così ci possiamo salutare” e senza neanche aver finito di parlare mi butta le braccia al collo stringendomi in un abbraccio soffocante.
Mi costringo a rispondere al suo abbraccio, e dopo un tempo relativamente lungo per me, la scosto gentilmente facendole presente che si sta facendo tardi, e che se voglio arrivare al campus senza trovare traffico, è meglio che vada.
La saluto frettolosamente e mi lascio la porta di casa alle spalle.
Arrivata alla macchina, prendo una boccata d’aria. Sa quasi di libertà, nonostante sia piena di smog. Entro in macchina, la accendo e parto dirigendomi verso il campus.
Purtroppo l’orario di punta, in cui tutta la gente di Londra si mette in macchina per andare a lavorare, è già cominciato, quindi rimango imbottigliata nel traffico.
Ripenso a mia madre, e al nostro rapporto burrascoso... All’inizio non era così.
O meglio, prima che divorziasse con papà non era così. Era la classica madre, premurosa ed apprensiva verso quelli che erano dei bambini di 2, 4 e 8 anni. Ma poi tutto cessò.
Non ho mai veramente capito perché lei e papà si siano lasciati; forse quando si sposarono erano troppo giovani e non avevano ancora ben capito cosa significasse crescere una famiglia. o forse, più semplicemente, l’amore fra di loro era finito e preferirono separarsi piuttosto che rimanere insieme e passare tutti i giorni a litigare.
Dal quel momento, mia madre cominciò a cambiare. Continuava sempre a volerci bene e a proteggerci, ma ci viziava, dandoci tutto ciò che chiedevamo e non ci rimproverava o puniva mai.
Una volta, quando Raf aveva 10 anni, non avendo trovato la baby-sitter disponibile, ci lasciò a lui per uscire con il suo nuovo ragazzo. Tutto andò bene, finché ormai passata l’ora di andare a letto, io e Raf ci accorgemmo che Rudi era scomparso.
Lo cercammo per tutta la casa e quando vedemmo la porta di casa aperta, pensammo subito che il nostro fratellino fosse scappato di casa. Subito uscimmo nel vialetto, urlando il suo nome a squarcia gola, sperando che non si fosse allontanato troppo e che potessimo riportarlo a casa al più presto.
Fortunatamente per me e mio fratello maggiore una vicina di casa, che aveva visto Rudy vagare per la strada, lo aveva fatto accomodare in casa per farlo riscaldare e sentendoci chiamarlo ci aveva aperto le porte di casa sua.
Rimanemmo un’oretta da lei, ma quando vedemmo la macchina di mamma entrare nella via, tornammo anche noi.
Tornati a casa, le raccontammo tutto. Lei non fece una piega. Non si arrabbiò, non si preoccupò per noi. Ci mandò a letto e il giorno dopo, al nostro risveglio, per colazione ci fece trovare le frittelle, per “rinfrancare lo spirito” dopo la nottata che avevamo passato.
Quando lo dissi a papà, lui andò tu tutte le furie. Se la prese con mia madre per non averci sorvegliato a dovere e averci lasciato da soli per andare a divertirsi.
Per poco non decise di chiedere l’affidamento esclusivo. Litigarono molto per questo e ricordo ancora mia madre rinfacciare a mio padre di essersi rifatto una vita senza di noi.
Mio padre, stranamente, non diceva niente per contraddirla e a dire il vero in quel periodo faceva lunghi viaggi di lavoro in America, ma poi tornava sempre in Inghilterra per passare quanto più tempo potesse con noi.
Comunque, sta di fatto che da quella volta in poi papà cercò di essere quanto più presente possibile e mamma continuò a viziarci, coccolarci e asfissiarci.
Ecco perché ho salutato come una liberazione il trasloco al campus. Dopo vent’anni passati con una madre che ti cresce nella bambagia, si finisce per odiare quel mondo e per cercarne uno in cui sia più facile e gradevole vivere.
Ci si potrebbe chiedere come mai, seppur ho potuto avere tutto ciò che una bambina potesse chiedere, non sono diventata egoista ed arrivista. Devo tutto a mio padre.
Per quanto mamma cercasse di far passare il messaggio che “i soldi possono tutto”-e di certo quelli non ci mancavano- c’era sempre lui pronto a far capire a me e ad i miei fratelli quanto fosse importante la cultura, la passione nel fare le cose, il rispetto per se stessi e verso le altre persone...

 
Il suono del clacson di una macchina dietro di me mi riporta alla realtà avvertendomi che il semaforo è scattato sul verde e che posso ricominciare a camminare.
Dopo altri minuti estenuanti, imbottigliata nel traffico, finalmente arrivo al campus e posteggio la mia macchinina.
Scendo e prendo un paio di borsoni dal cofano, il resto delle mie cose dovrà ancora aspettare finché potrò tornare a prenderli.
Mi dirigo verso il dormitorio e lì ritiro la chiave della camera da un custode che mi avverte che le mie compagne di stanza sono già arrivate.
Perfetto, così potremo già iniziare a dividerci gli spazzi.
Apro la porta della 221, che numero strano tra l’altro!, e ciò che mi si presenta davanti mi lascia completamente senza parole.
E’ tutto vuoto!!!
Eppure ricordo benissimo che la settimana scorsa, quando Indio mi ha mostrato l’appartamento era tutto arredato. E invece ora non c’è niente, solo la pittura sui muri è rimasta.
Saranno mica entrati i ladri?
Ma non può essere... se ne sarebbero sicuramente accorti, no? Qualcuno avrebbe dato l’allarme e sarebbero iniziate le ricerche!
Ancora sbigottita lascio che la tracolla del borsone mi scivoli dalla spalla e che lo faccia cadere con un sonoro tonfo.
Il rumore rimbomba per tutta la casa e immediatamente dopo vedo aprirsi una delle tante porte, che credevo adibite a camere da letto, dalla quale vedo uscire una persona.
“Hola niña! ¿Còmo estàs?... ¿Estàs bien?” guardo la piccola donna davanti a me senza aver capito neanche una parola. Ma evidentemente lei, dal mio sguardo perso, deve aver capito che non conosco lo spagnolo, ragione per cui ripete tutto ricominciando.
“Ciao! Come va? Tutto bene? Io sono Carla Espinosa una delle tue compagne di “stanza”, tu devi essere la piccola Iris vero?” però! Che parlantina!! Non ha prese neanche un attimo il respiro.
Le stringo la mano che mi ha porto e poi le rispondo sorridendole.
“Già sono io, piacere di conoscerti Carla, ma....” chiedo titubante.
“Sapresti spiegarmi dove sono tutti i mobili? Quando la settimana scorsa sono passata era tutto già arredato ed ora...” lascio vagare i miei occhi per la stanza desolata facendo capire chiaramente come avrei fatto finire la frase.
“Bhe vedi, è tutta colpa di quella pazza di Elliot. Ogni anno si mette in testa di rimodernare l’appartamento che ci assegnano, e quest’anno piccola tu sei capitata in mezzo alla baraonda. Scusala...” mi dice Carla con un sorriso di scuse.
La guardo perplessa, non riuscendo a capire a chi si riferisce.
“Elliot?” chiedo.
“Ah già non la conosci!” e si dirige verso una delle altre porte che conducono alle camere, iniziando a bussare violentemente su di essa.
“Elliot Reid, maleducatissima riccastra! Ma non lo senti che è arrivata la nostra nuova compagna? Esci subito da quella stanza o sarò costretta ad entrare e a spegnerti il generatore!”
Nel momento esatto in cui Carla finisce di urlare alla porta chiusa, essa comincia ad aprirsi lentamente fino a che sulla sua soglia non compare una ragazza bionda leggermente più alta di me, con un corpo da modella e due grandi occhi azzurri.
Quella che capisco essere Elliot, mi guarda e poi mi si catapulta addosso abbracciandomi con trasporto.
“Ma quanto sei carina!!!” mi urla nell’orecchio.
“Sembri una bambolina. Da questo momento ti vestirò, ti truccherò, ti coccolerò, sarai la mia sorellina minore!” la pazza continua ancora a stringermi, nonostante io dia chiari segni di sofferenza fra le sue braccia, e alla fine imploro Carla di aiutarmi.
Se è riuscita a farla uscire dalla camera sarà anche in grado di fermarla, o no?
Carla capisce al volo che ho bisogno di aiuto, e con un’occhiata raggela Elliot che all’istante mi lascia libera, tornandosene sulle sue.
Prendo un respiro e torno a guardare le due ragazze. Sono l’una l’opposto dell’altra. Elliot sembrerebbe la classica Barbie della situazione, mentre Carla con il suo metro e cinquanta di rigore militare sembra più una mamma caparbia ma buona.
Credo che potrei trovarmi bene con loro.
“Ma se siamo senza mobili, come facciamo? Dove dovrei dormire? O studiare?” chiedo alle due, anche se la mia domanda è più rivolta ad Elliot.
Ed è proprio lei che mi risponde.
“Oh non ti preoccupare, ho già ordinato tutto, entro oggi pomeriggio al massimo porteranno tutto.” Menomale, almeno non dovrò preoccuparmi di dove dormire.
Lascio le mie cose nell’ultima camera libera, ovviamente completamente vuota, ed esco fuori per prendere gli altri scatoloni, che erano ancora chiusi nella macchina.
Mentre trasporto le cose, vedo il camion di una ditta di traslochi avvicinarsi al palazzo e cominciare a trasportare mobili su mobili.
Arrivata all’appartamento lo tropo pieno di uomini che montano, martellano e trapanano da ogni parte. Spero che non dimentichino niente o saremo veramente nei guai.
Quando tutti gli uomini della squadra di montaggio se ne sono andati, facciamo un giro nell’appartamento, e devo dire che il nuovo arredamento in stile contemporaneo fa proprio la sua bella figura. E’ tutto sulle tonalità del bianco e del nero senza però scadere nell’asettico.
Esprimo la mia approvazione e Elliot mi ringrazia.
“Non per niente ho quasi una laurea in arredamento d’interni” mi comunica.
“E tu Carla?” chiedo all’ispanica che si è messa dietro i fornelli per prepararci il pranzo.
“Io sto studiando per la laurea in Architettura Eco-sostenibile” mi risponde rimestando dentro una pentola dalla quale esce un odorino veramente invitante.
Con ancora il sorriso sulle labbra, mi dirigo verso camera mia, felice di poter avere uno spazio tutto mio. Apro la porta e...
Oh No!
Oh NO!!!
“Lo sapevo! Non poteva essere tutto così semplice!” urlo disperata.
Sapevo che avrebbero dimenticato qualcosa quei tizi, e ovviamente con la fortuna che mi ritrovo hanno proprio dimenticato di montale le cose in camera mia.
Sento Elliot e Carla avvicinarsi alle mie spalle, e quando mi giro verso di loro le trovo con delle espressioni dispiaciute sui volti.
“Mi dispiace piccolina, ti giuro che non lo sapevo! Pensavo avessero montato tutto” mormora Elliot terribilmente dispiaciuta.
La guardo desolata e per poco, le lacrime che mi salgono agli occhi non iniziano a debordare.
“Non fare così Iris, vedrai che ora sistemiamo tutto su!” mi sussurra Carla stringendomi.
“Ora facciamo pranzo con la pasta che ho preparato e dopo facciamo attaccare Elliot al telefono finché non riesce a riportare qua la squadra per montarti la camera, ok? Su non piangere”.

 
***

 
Ovviamente il sabato pomeriggio non c’è neanche una ditta aperta per mandare un misero addetto al montaggio qui da noi.
La risposta comune di tutti i posti in cui abbiamo provato a chiamare è stata “Al momento siamo chiusi, provi a richiamare lunedì mattina”.
E certo! E nel frattempo io dove dormo? Sul pavimento???
Mi verrebbe quasi voglia di chiamare papà per chiedergli aiuto. O magari potrei chiamare Raf. Uhmm..... No non posso!
Mi ero ripromessa che avrei cominciato a cavarmela da sola, e non ho intenzione di venir meno al mio proposito.
Ma... ma dell’aiuto mi serve! Questa volta è davvero indispensabile.
Non so come si tiene in mano un martello, figuriamoci un trapano o un cacciavite.
Mi spremo le meningi al fine di trovare una soluzione al mio problema, quando improvvisamente ho una folgorazione.... Indio!
Posso chiedere a lui. Non se la prenderà a male se gli chiedo un piccolo aiutino, vero?
Scorro la rubrica del telefono fino a trovare il suo numero e faccio partire la chiamata.
Risuona qualche squillo, prima che io possa sentire la sua voce leggermente annoiata.
“Pronto?” chiede svogliato.
“Ciao Indio, sono Iris” dico incerta.
“Ehylà come va Iris? Ti sei già sistemata al campus?” chiede, e questa volta nella sua voce risuona una chiara nota di curiosità.
“E’ proprio per questo che chiamo, in verità” e poi passo a raccontargli la mia imbarazzante disavventura. Ciononostante lui si mostra subito disposto a darmi una mano e mi fa sapere che in un paio di minuti potrà essere da me ad aiutarmi.
Chiudo la chiamata e vado ad avvertire le mie compagne di stanza.

 
Dieci minuti e sento qualcuno bussare alla porta.
Apro e mi ritrovo davanti Indio, accompagnato da due ragazzi a me sconosciuti.
“Salve!” dicono in coro.
“Io sono John Michael Dorian, ma puoi chiamarmi J.D. ed ho portato il martello. Ma che bell’appartamento che avete. Uhhhh ma quelle sono delle nacchere??” e dopo avermi stretto frettolosamente la mano di precipita sulle nacchere, che non so neanche da dove sono uscite.
“Coso ma un po’ di tatto no? Saaaalve! Io sono Christopher Duncan Turk e ho portato il trapano” e anche lui, dopo avermi stretto la mano si precipita dall’amico.
Guardo i due ragazzi spiazzata per poi girarmi verso Indio che mi guarda con aria mortificata.
“Scusali, sono i miei compagni di appartamento, e si annoiavano così mi hanno praticamente costretto a portarmeli con me. Spero che non diano troppo disturbo”. Gli sorrido dolcemente e lo lascio entrare.
“Oh non potranno mai essere più pazzi delle mie compagne” sussurro mentre accompagno la porta per farla chiudere.
Conduco Indio nella mia “camera” e gli mostro il disastro. Lui guarda con attenzione tutto quanto  finché lo vedo prendere da terra un ammasso di carte.
“Ecco qui ci sono le istruzioni per il montaggio. Da questo momento in poi tutto dovrebbe essere più semplice” e sorridendomi lo vedo appoggiare in terra una cassetta di metallo dall’aria pesante, dentro la quale presumo ci siano cose come cacciaviti, bulloni, pinze e altri aggeggi vari.
Torno dai ragazzi e mi fermo a guardarli giocare alla tele con la play. Neanche sapevo di averla la play qui.
Anche loro, esattamente come Carla ed Elliot, sono estremamente diversi, fra loro, ma allo stesso tempo sembrano anche conoscersi fin da piccoli.
J.D. sembra il classico ragazzino smilzo sempre sperso nel suo mondo dei sogni, mentre invece Turk ricorda più l’amicone, quello che è sempre pronto a proteggerti quando ne hai bisogno, ma sul quale sai che potrai sempre contare quando ci sarà da imbastire una burla o uno scherzo.
Li vedo divertirsi come due bambini con le corse delle macchine, sbeffeggiandosi a vicenda quando uno sorpassa l’altro, e mi riscuoto solo quando sento la porta dell’appartamento aprirsi e vedo entrare le mie compagne.
Mi avvicino a loro iniziando a fare le presentazioni, e noto subito gli sguardi interessati che J.D. lancia ad Elliot e che similmente Carla lancia a Turk.
Soddisfatta della situazione creatasi, torno nella mia stanza e noto che Indio è già riuscito a montare l’armadio.
“Wow! Ma sei velocissimo!” esclamo sorpresa. Lui si gira verso di me e mi sorride.
“Prima di venire a studiare qui, davo una mano a mia madre. E’ agente immobiliare, e spesso, quando le capitava di mostrare delle case, doveva anche mostrare delle possibilità d’arredamento, così mi sfruttava come manodopera a basso costo.” spiega tranquillamente.
“E come c’è finito un’ Americano, qui in Inghilterra?” chiedo curiosa.
“Suppongo che ci sia finito perché ero stufo della California e di tutto quel clima da figli di papà, cosa che per altro io non sono mai stato. Così quando mio padre ha cominciato a venire sempre di più qua, per questioni di lavoro, ho colto la palla la balzo e mi sono trasferito.”
“Oh” sussurro, sedendomi per terra e prendendo fra le mani un asciugamano bianco. L’avevo preso per lui, nel qual caso avesse avuto bisogno di rinfrescarsi visto il caldo afoso di questi primi giorni di settembre.
Solo ora, che mi ritrovo ad osservarlo mentre lavora, mi rendo conto che ha la canottiera bianca imperlata di sudore e che delle piccole gocce d’acqua sono ben visibili sulla sua fronte.
Mi riscopro a seguire con gli occhi il percorso di una di esse.
La vedo percorrere lentamente il suo profilo, concentrato nel leggere le istruzioni. La seguo mentre scende lungo il suo collo per poi inoltrarsi sul suo torace e andarsi a confondere con la stoffa.
Sono io, o qui improvvisamente fa moooolto più caldo?
Scosto lo sguardo da lui, e mi costringo a soffermarlo su qualsiasi cosa che non sia il suo corpo muscoloso che si staglia davanti a me.
Ancora impegnata a non guardarlo, sento una leggera musica, provenire da chissà dove, che pian piano aumenta sempre di più fino a diventare quasi assordante.
Infastidita mi alzo ed esco dalla camera alla cerca della fonte di disturbo, sto quasi per rimproverare le mie compagne quando mi rendo conto che in soggiorno tutti i ragazzi sono con le mani a coprirsi le orecchie, come una delle tre famose scimmiotte, per cercare di attutire il suono.
Stordita ormai dalla canzone che riconosco essere “Voulez vous coucher avec moi?”  esco dalla porta d’ingresso e mi dirigo all’appartamento accanto, iniziando a bussare.
Ma dopo il secondo tocco, mi rendo conto che la porta è aperta e senza chiedere permesso entro.
Ciò che trovo dentro è molto simile al camerino di una ballerina. Parrucche, abiti pieni di paillettes e lustrini di ogni colore, boa piumati ovunque.
Al centro di questa baraonda trovo una ragazzina bionda, con dei profondissimi occhi castani, che si muove a ritmo con la musica, apparentemente inconsapevole del disturbo che sta procurando a tutto il piano.
Mi affretto ad abbassare il volume della musica, e solo quando ormai esso sembra quasi essersi placato del tutto, vedo la ragazza bloccarsi e guardarmi stupita.
“Era troppo alta vero?” mi chiede con imbarazzo la biondina.
“Esattamente, volevi farci diventare tutti sordi per caso?” le chiedo, leggermente alterata.
“Ohhh scusami! E’ che Tess mi ha detto che devo migliorare le mie mosse, e così stavo provando.” La guardo perplessa, indecisa se crederle o meno.
“Io sono Alice Rose, ma puoi anche chiamarmi Ali. Sono originaria dell’Haiowa ma mi sono trasferita qui quando ero molto piccola, e ora per pagarmi gli studi ballo al “Burlesque”, un locale qui vicino. Ti va di venirci qualche volta? Non ti faccio neanche pagare, così per sdebitarmi.” La vedo guardarmi con gli occhioni da cucciolo bastonato, e mi si stringe il cuore a fare la cattiva con lei, motivo per cui accetto le sue scuse.
“Va bene! Va bene! Ma la prossima volta, magari abbassa un po’ il volume. Io comunque sono Iris Law e sto nell’appartamento qui accanto.” Ci stringiamo la mano e infine la invito da me a conoscere anche tutto il resto della combriccola, infondo un pazzo in più che sarà mai?

 
***

 

 
E’ ormai sera, e sono sola con Indio nell’appartamento.
Ali era di servizio questa sera, pare che sia l’attrazione speciale del locale.
Carla ed Elliot avevano una festa a cui presenziare in non so quale confraternita, e J.D. e Turk dovevano incontrarsi con un uomo di cui non ricordo il nome.
Siamo solo noi due, distesi su i due divani del salottino che ci godiamo un po’ di pace e silenzio dopo la baraonda di questo pomeriggio.
“Non te l’ho ancora chiesto” inizia indio.
“Ma.... che cosa ti ha portato a questa facoltà?” chiede curioso.
Ci penso bene, prima di parlare, ma quando apro bocca per parlare, un fiotto di parole si riversa, senza neanche che io lo abbia programmato. E mi ritrovo a parlargli del mio sogno verde, del rapporto conflittuale con mia madre, dell’importanza della figura di mio padre nella mia vita.
“Forse è proprio perché non ho mai capito cosa l’abbia spinta a chiedere il divorzio da mio padre, che ho sempre cercato di scappare da lei. Infondo non è forse vero che ogni bambina vede nel proprio padre il suo primo grande amore?” chiedo retorica, più a me stessa che a lui.
“Bhe non saprei, di certo non sono mai stato innamorato di mia madre, nonostante anche i miei abbiano divorziato quando ero ancora un bambino” afferma cercando di alleggerire la situazione, ma riesco lo stesso a cogliere una impercettibile nota di dispiacere nella sua voce.
Mi alzo dal mio divano per andarmi a sedere vicino a lui, che mi fa spazio accanto a se.
“Per cosa si sono separati?” chiedo gentilmente, pur sapendo che non dovrei interessarmi ad un fatto del genere.
Lo vedo rifletterci su per un po’ quasi volesse scegliere le parole più adatte con cui parlare, per poi dirmi.
“Non so di preciso, ma credo che quando presero la decisione c’erano già stati alcuni tradimenti da entrambe le parti. O almeno questo è quello che mi dissero. Ora però le cose fra di loro si sono sistemate, e sembrano essersi rifatti entrambi una vita. Mio padre si è addirittura riscoperto gay” e un sorriso gli sfugge al ricordo di non so cosa.
“Bhe sei stato fortunato. I miei genitori invece non sono stati capaci di riprendere i rapporti. Mio padre ha ancora paura che mia madre possa combinare qualche altro guaio, come quando eravamo piccoli; e a ragione per giunta. Lei si comporta ancora come un’immatura, nonostante abbia 3 figli” sospiro tristemente e mi abbandono alla memoria delle sue ultime bravate.
 Sento una mano di Indio appoggiarsi sulla mia spalla, per poi stringermela delicatamente cercando di darmi coraggio.
“Ehi, non devi affliggerti per lei. Non sei tu il genitore qui, non è colpa tua.”
Gli sorrido debolmente, ringraziandolo, e mi soffermo a guardare i suoi occhi scuri.
Sono coloro cioccolato, ma hanno anche delle piccole pagliuzze dorate al loro interno. Infondono serenità.
Sembrano quasi emanare calore. Sono bellissimi.
Mi perdo a guardare quelle pozze di cioccolato fuso, quando il suono penetrante di un cellulare rompe la bolla di silenzio che si era venuta a creare.
Vedo Indio tastarsi le tasche dei pantaloni della tuta, alla ricerca della fonte di rumore, e quando lo trova risponde subito.
“Sophie che c’è?” chiede allarmato.
“Gli hai già dato le gocce che la dott.ssa Dora ha lasciato sul bancone?” ascolta attentamente chi gli parla.
“Oh capito, arrivo subito. Aspettami li e non toccarlo. Potrebbe morderti e farti male.” chiude la chiamata e poi si alza.
“Scusami Iris, ma devo andare. C’è stata un’emergenza all’ambulatorio veterinario e hanno bisogno di me.” mi alzo anche io, accompagnandolo alla porta e aprendogliela.
“E’ stato un piacere aiutarti piccolina. La prossima volta che hai bisogno chiamami” e così dicendo mi lascia un bacio sulla guancia e fugge via.
Rimango qualche minuto sulla porta, immaginando forse che possa ritornare e tocco il punto in cui le sue labbra hanno toccato la mia pelle.
Sembra quasi che esso sia più caldo del resto del corpo.
Chiudo la porta alle mie spalle e mi dirigo in camera, andandomi ad infilare subito nel letto dove mi lascio concupire dolcemente dal bel Morfeo.

 

 

 

 

 
N.d.a. (Quelle normali): Allora? Avete indovinato??????
Si? Ma braviiiiii/eeeeee mi congratulo con voi!
No? Ma come si fa?????? Come si può non conoscere quel telefilm e quel film???? Personalmente li amo tutti e due!
Ma veniamo al capitolo... Vorrei puntualizzare che contro Sadie non ho proprio niente, il mio accanimento contro lei è funzionale solo alla fic. E cmq questa è una AU quindi posso fare questo ed altro. Tutta la parte al campus coi vari problemi di montaggio e i nuovi personaggi, è il delirio puro e non mi sento di parlarne, anche perché come si spiega il delirio???
La parte finale, con quella sorta di avvicinamento fra Iris e Indio, bhe forse era ora no?
Infondo devono pur cominciare a conoscersi in qualche modo quei due.
E poi basta.... credo.
Ah si, il cap non mi piace in generale. C’è qualcosa che mi turba ma non so cosa... voi avete capito?
Se si, ditemelo, grazie!

 
Ma passiamo alle cose serie..... Purtroppo non so quando avverrà il prossimo aggiornamento. A) perché non ho ancora deciso di chi parlare e che cosa far accadere. Ma è molto più importante la motivazione B) Quest’anno sono di maturità, e come tutti potrete ben capire, la scuola da qui in poi esigerà sempre più tempo. Quindi mi trovo costretta, a malincuore, non a sospendere del tutto la scrittura, ma a ritardare, finché non uscirò pazza e vorrò scrivere a tutti i costi, gli aggiornamenti.
Spero di non dovervi fare aspettare troppo, ma nel qual caso sapete cosa mi impedisce di dedicarmi a voi
E dopo queste note più lunghe del capitolo stesso.......
Baci baci, e Commentate, Commentate, Commentate!

 
Naky

   
 
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