N.d.a pre capitolo:
Saaaaaaalve!!!!!! Vi
ricordate ancora di me? Si, sono la pazza scrittrice di questa storia,
che
prima vi da un capitolo due di sole 3 misere pagine Word, poi vi fa
aspettare
praticamente un mese, ed infine rilascia un’ Extra
chilometrico (nel vero senso
della parola) sperando di farsi perdonare.
Ma mi avete
perdonato????
Bho, non si
sa! A mia discolpa però posso dire che malattie
varie, scadenze scolastiche, analisi che debilitano in continuazione e
altre
sciocchezze mi hanno impedito di dedicarmi a voi e alla fic.
Spero vogliate
concedermi almeno questa attenuante....
Ma veniamo al capitolo. Si
giocaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!
Cioè vis piego, nel cap sono stati inseriti 5 personaggi
presi da telefilm o film vari. Voi dovrete indovinare da quale
film/telefilm ho
preso spunto.
Vi posso dire che è molto facile indovinare, quindi sono
anche stata buona. Perciò.......
VIA!!!!!! GIOCO INIZIATO!!!!!!!!!
Per chi indovinerà tutto, risponderò a tre
domande a sua
scelta.
Su, su leggete!!!
Capitolo 3
Pov Iris
Nella vita di ogni figlio, arriva sempre il momento giusto
per lasciare il nido materno.
Per me, quel momento, è arrivato.
Sono nella mia camera, a casa di mia madre. In questa camera
ci sono nata e cresciuta, e so già che mi
mancherà immensamente, non poter
vedere ogni giorno queste pareti affrescate di rosa, che al loro
interno
racchiudono tanti ricordi. In parte belli, in parte brutti, ma che
comunque
hanno segnato la mia crescita in modo più o meno definitivo.
Ripongo le ultime cose nello scatolone e poi lo chiudo con
lo scotch.
Sollevo lo scatolo ed esco dalla camera per andare a riporre
tutto ciò che devo portare con me, in macchina. Sistemo
tutto e do un’ultima
occhiata per vedere se ho dimenticato qual’cosa.
A quanto pare ho preso tutto, quindi prendo borsa e giacca e
mi dirigo alla porta.
“Iris sei ancora a casa?” sento provenire dal
soggiorno la
voce di mia madre. Sospiro stancamente e le rispondo.
“Si mamma. Ho preso le ultime cose per il trasloco e ora
vado”e parlando mi dirigo verso di lei.
“Non avrai mica pensato di traslocare senza prima salutarmi,
vero sciocchina?”. Veramente lo avevo sperato. Prendo un
altro respiro profondo
e poi parlo.
“No mamma, è solo che tu non eri a casa e non
sapevo quando
saresti tornata.” Bugia, sapevo perfettamente che sarebbe
tornata questo
pomeriggio dal suo “viaggio di lavoro”; se viaggio
di lavoro si può chiamare
l’accompagnare alla settimana della moda di Parigi, alcune
sue modelle.
“Oh povera cara! Ma allora è un bene che io abbia
preso il
volo della notte scorsa e che sia ritornata in anticipo,
così ci possiamo
salutare” e senza neanche aver finito di parlare mi butta le
braccia al collo
stringendomi in un abbraccio soffocante.
Mi costringo a rispondere al suo abbraccio, e dopo un tempo
relativamente lungo per me, la scosto gentilmente facendole presente
che si sta
facendo tardi, e che se voglio arrivare al campus senza trovare
traffico, è
meglio che vada.
La saluto frettolosamente e mi lascio la porta di casa alle
spalle.
Arrivata alla macchina, prendo una boccata d’aria. Sa quasi
di libertà, nonostante sia piena di smog. Entro in macchina,
la accendo e parto
dirigendomi verso il campus.
Purtroppo l’orario di punta, in cui tutta la gente di Londra
si mette in macchina per andare a lavorare, è già
cominciato, quindi rimango
imbottigliata nel traffico.
Ripenso a mia madre, e al nostro rapporto burrascoso...
All’inizio non era così.
O meglio, prima che divorziasse con papà non era
così. Era
la classica madre, premurosa ed apprensiva verso quelli che erano dei
bambini
di 2, 4 e 8 anni. Ma poi tutto cessò.
Non ho mai veramente capito perché lei e papà si
siano
lasciati; forse quando si sposarono erano troppo giovani e non avevano
ancora
ben capito cosa significasse crescere una famiglia. o forse,
più semplicemente,
l’amore fra di loro era finito e preferirono separarsi
piuttosto che rimanere
insieme e passare tutti i giorni a litigare.
Dal quel momento, mia madre cominciò a cambiare. Continuava
sempre a volerci bene e a proteggerci, ma ci viziava, dandoci tutto
ciò che
chiedevamo e non ci rimproverava o puniva mai.
Una volta, quando Raf aveva 10 anni, non avendo trovato la
baby-sitter disponibile, ci lasciò a lui per uscire con il
suo nuovo ragazzo.
Tutto andò bene, finché ormai passata
l’ora di andare a letto, io e Raf ci
accorgemmo che Rudi era scomparso.
Lo cercammo per tutta la casa e quando vedemmo la porta di
casa aperta, pensammo subito che il nostro fratellino fosse scappato di
casa.
Subito uscimmo nel vialetto, urlando il suo nome a squarcia gola,
sperando che
non si fosse allontanato troppo e che potessimo riportarlo a casa al
più
presto.
Fortunatamente per me e mio fratello maggiore una vicina di
casa, che aveva visto Rudy vagare per la strada, lo aveva fatto
accomodare in
casa per farlo riscaldare e sentendoci chiamarlo ci aveva aperto le
porte di
casa sua.
Rimanemmo un’oretta da lei, ma quando vedemmo la macchina di
mamma entrare nella via, tornammo anche noi.
Tornati a casa, le raccontammo tutto. Lei non fece una
piega. Non si arrabbiò, non si preoccupò per noi.
Ci mandò a letto e il giorno
dopo, al nostro risveglio, per colazione ci fece trovare le frittelle,
per
“rinfrancare lo spirito” dopo la nottata che
avevamo passato.
Quando lo dissi a papà, lui andò tu tutte le
furie. Se la
prese con mia madre per non averci sorvegliato a dovere e averci
lasciato da
soli per andare a divertirsi.
Per poco non decise di chiedere l’affidamento esclusivo.
Litigarono molto per questo e ricordo ancora mia madre rinfacciare a
mio padre
di essersi rifatto una vita senza di noi.
Mio padre, stranamente, non diceva niente per contraddirla e
a dire il vero in quel periodo faceva lunghi viaggi di lavoro in
America, ma
poi tornava sempre in Inghilterra per passare quanto più
tempo potesse con noi.
Comunque, sta di fatto che da quella volta in poi papà
cercò
di essere quanto più presente possibile e mamma
continuò a viziarci, coccolarci
e asfissiarci.
Ecco perché ho salutato come una liberazione il trasloco al
campus. Dopo vent’anni passati con una madre che ti cresce
nella bambagia, si
finisce per odiare quel mondo e per cercarne uno in cui sia
più facile e
gradevole vivere.
Ci si potrebbe chiedere come mai, seppur ho potuto avere
tutto ciò che una bambina potesse chiedere, non sono
diventata egoista ed
arrivista. Devo tutto a mio padre.
Per quanto mamma cercasse di far passare il messaggio che “i
soldi possono tutto”-e di certo quelli non ci mancavano-
c’era sempre lui
pronto a far capire a me e ad i miei fratelli quanto fosse importante
la
cultura, la passione nel fare le cose, il rispetto per se stessi e
verso le
altre persone...
Il suono del clacson di una macchina dietro di me mi riporta
alla realtà avvertendomi che il semaforo è
scattato sul verde e che posso
ricominciare a camminare.
Dopo altri minuti estenuanti, imbottigliata nel traffico,
finalmente arrivo al campus e posteggio la mia macchinina.
Scendo e prendo un paio di borsoni dal cofano, il resto
delle mie cose dovrà ancora aspettare finché
potrò tornare a prenderli.
Mi dirigo verso il dormitorio e lì ritiro la chiave della
camera da un custode che mi avverte che le mie compagne di stanza sono
già
arrivate.
Perfetto, così potremo già iniziare a dividerci
gli spazzi.
Apro la porta della 221, che numero strano tra l’altro!, e
ciò che mi si presenta davanti mi lascia completamente senza
parole.
E’ tutto vuoto!!!
Eppure ricordo benissimo che la settimana scorsa, quando
Indio mi ha mostrato l’appartamento era tutto arredato. E
invece ora non c’è
niente, solo la pittura sui muri è rimasta.
Saranno mica entrati i ladri?
Ma non può essere... se ne sarebbero sicuramente accorti,
no? Qualcuno avrebbe dato l’allarme e sarebbero iniziate le
ricerche!
Ancora sbigottita lascio che la tracolla del borsone mi
scivoli dalla spalla e che lo faccia cadere con un sonoro tonfo.
Il rumore rimbomba per tutta la casa e immediatamente dopo
vedo aprirsi una delle tante porte, che credevo adibite a camere da
letto,
dalla quale vedo uscire una persona.
“Hola niña! ¿Còmo
estàs?... ¿Estàs bien?”
guardo la piccola
donna davanti a me senza aver capito neanche una parola. Ma
evidentemente lei,
dal mio sguardo perso, deve aver capito che non conosco lo spagnolo,
ragione
per cui ripete tutto ricominciando.
“Ciao! Come va? Tutto bene? Io sono Carla Espinosa una delle
tue compagne di “stanza”, tu devi essere la piccola
Iris vero?” però! Che
parlantina!! Non ha prese neanche un attimo il respiro.
Le stringo la mano che mi ha porto e poi le rispondo
sorridendole.
“Già sono io, piacere di conoscerti Carla,
ma....” chiedo
titubante.
“Sapresti spiegarmi dove sono tutti i mobili? Quando la
settimana scorsa sono passata era tutto già arredato ed
ora...” lascio vagare i
miei occhi per la stanza desolata facendo capire chiaramente come avrei
fatto
finire la frase.
“Bhe vedi, è tutta colpa di quella pazza di
Elliot. Ogni
anno si mette in testa di rimodernare l’appartamento che ci
assegnano, e
quest’anno piccola tu sei capitata in mezzo alla baraonda.
Scusala...” mi dice
Carla con un sorriso di scuse.
La guardo perplessa, non riuscendo a capire a chi si
riferisce.
“Elliot?” chiedo.
“Ah già non la conosci!” e si dirige
verso una delle altre
porte che conducono alle camere, iniziando a bussare violentemente su
di essa.
“Elliot Reid, maleducatissima riccastra! Ma non lo senti che
è arrivata la nostra nuova compagna? Esci subito da quella
stanza o sarò
costretta ad entrare e a spegnerti il generatore!”
Nel momento esatto in cui Carla finisce di urlare alla porta
chiusa, essa comincia ad aprirsi lentamente fino a che sulla sua soglia
non
compare una ragazza bionda leggermente più alta di me, con
un corpo da modella
e due grandi occhi azzurri.
Quella che capisco essere Elliot, mi guarda e poi mi si
catapulta addosso abbracciandomi con trasporto.
“Ma quanto sei carina!!!” mi urla
nell’orecchio.
“Sembri una bambolina. Da questo momento ti
vestirò, ti
truccherò, ti coccolerò, sarai la mia sorellina
minore!” la pazza continua
ancora a stringermi, nonostante io dia chiari segni di sofferenza fra
le sue
braccia, e alla fine imploro Carla di aiutarmi.
Se è riuscita a farla uscire dalla camera sarà
anche in
grado di fermarla, o no?
Carla capisce al volo che ho bisogno di aiuto, e con
un’occhiata raggela Elliot che all’istante mi
lascia libera, tornandosene sulle
sue.
Prendo un respiro e torno a guardare le due ragazze. Sono
l’una l’opposto dell’altra. Elliot
sembrerebbe la classica Barbie della
situazione, mentre Carla con il suo metro e cinquanta di rigore
militare sembra
più una mamma caparbia ma buona.
Credo che potrei trovarmi bene con loro.
“Ma se siamo senza mobili, come facciamo? Dove dovrei
dormire? O studiare?” chiedo alle due, anche se la mia
domanda è più rivolta ad
Elliot.
Ed è proprio lei che mi risponde.
“Oh non ti preoccupare, ho già ordinato tutto,
entro oggi
pomeriggio al massimo porteranno tutto.” Menomale, almeno non
dovrò
preoccuparmi di dove dormire.
Lascio le mie cose nell’ultima camera libera, ovviamente
completamente vuota, ed esco fuori per prendere gli altri scatoloni,
che erano
ancora chiusi nella macchina.
Mentre trasporto le cose, vedo il camion di una ditta di
traslochi avvicinarsi al palazzo e cominciare a trasportare mobili su
mobili.
Arrivata all’appartamento lo tropo pieno di uomini che
montano, martellano e trapanano da ogni parte. Spero che non
dimentichino
niente o saremo veramente nei guai.
Quando tutti gli uomini della squadra di montaggio se ne
sono andati, facciamo un giro nell’appartamento, e devo dire
che il nuovo
arredamento in stile contemporaneo fa proprio la sua bella figura.
E’ tutto
sulle tonalità del bianco e del nero senza però
scadere nell’asettico.
Esprimo la mia approvazione e Elliot mi ringrazia.
“Non per niente ho quasi una laurea in arredamento
d’interni” mi comunica.
“E tu Carla?” chiedo all’ispanica che si
è messa dietro i
fornelli per prepararci il pranzo.
“Io sto studiando per la laurea in Architettura
Eco-sostenibile” mi risponde rimestando dentro una pentola
dalla quale esce un
odorino veramente invitante.
Con ancora il sorriso sulle labbra, mi dirigo verso camera
mia, felice di poter avere uno spazio tutto mio. Apro la porta e...
Oh No!
Oh NO!!!
“Lo sapevo! Non poteva essere tutto così
semplice!” urlo
disperata.
Sapevo che avrebbero dimenticato qualcosa quei tizi, e
ovviamente con la fortuna che mi ritrovo hanno proprio dimenticato di
montale
le cose in camera mia.
Sento Elliot e Carla avvicinarsi alle mie spalle, e quando
mi giro verso di loro le trovo con delle espressioni dispiaciute sui
volti.
“Mi dispiace piccolina, ti giuro che non lo sapevo! Pensavo
avessero montato tutto” mormora Elliot terribilmente
dispiaciuta.
La guardo desolata e per poco, le lacrime che mi salgono
agli occhi non iniziano a debordare.
“Non fare così Iris, vedrai che ora sistemiamo
tutto su!” mi
sussurra Carla stringendomi.
“Ora facciamo pranzo con la pasta che ho preparato e dopo
facciamo attaccare Elliot al telefono finché non riesce a
riportare qua la
squadra per montarti la camera, ok? Su non piangere”.
***
Ovviamente il sabato pomeriggio non c’è neanche
una ditta
aperta per mandare un misero addetto al montaggio qui da noi.
La risposta comune di tutti i posti in cui abbiamo provato a
chiamare è stata “Al momento siamo chiusi, provi a
richiamare lunedì mattina”.
E certo! E nel frattempo io dove dormo? Sul pavimento???
Mi verrebbe quasi voglia di chiamare papà per chiedergli
aiuto. O magari potrei chiamare Raf. Uhmm..... No non posso!
Mi ero ripromessa che avrei cominciato a cavarmela da sola, e
non ho intenzione di venir meno al mio proposito.
Ma... ma dell’aiuto mi serve! Questa volta è
davvero
indispensabile.
Non so come si tiene in mano un martello, figuriamoci un
trapano o un cacciavite.
Mi spremo le meningi al fine di trovare una soluzione al mio
problema, quando improvvisamente ho una folgorazione.... Indio!
Posso chiedere a lui. Non se la prenderà a male se gli
chiedo un piccolo aiutino, vero?
Scorro la rubrica del telefono fino a trovare il suo numero
e faccio partire la chiamata.
Risuona qualche squillo, prima che io possa sentire la sua
voce leggermente annoiata.
“Pronto?” chiede svogliato.
“Ciao Indio, sono Iris” dico incerta.
“Ehylà come va Iris? Ti sei già
sistemata al campus?”
chiede, e questa volta nella sua voce risuona una chiara nota di
curiosità.
“E’ proprio per questo che chiamo, in
verità” e poi passo a
raccontargli la mia imbarazzante disavventura. Ciononostante lui si
mostra
subito disposto a darmi una mano e mi fa sapere che in un paio di
minuti potrà
essere da me ad aiutarmi.
Chiudo la chiamata e vado ad avvertire le mie compagne di
stanza.
Dieci minuti e sento qualcuno bussare alla porta.
Apro e mi ritrovo davanti Indio, accompagnato da due ragazzi
a me sconosciuti.
“Salve!” dicono in coro.
“Io sono John Michael Dorian, ma puoi chiamarmi J.D. ed ho
portato il martello. Ma che bell’appartamento che avete.
Uhhhh ma quelle sono
delle nacchere??” e dopo avermi stretto frettolosamente la
mano di precipita
sulle nacchere, che non so neanche da dove sono uscite.
“Coso ma un po’ di tatto no? Saaaalve! Io sono
Christopher
Duncan Turk e ho portato il trapano” e anche lui, dopo avermi
stretto la mano
si precipita dall’amico.
Guardo i due ragazzi spiazzata per poi girarmi verso Indio
che mi guarda con aria mortificata.
“Scusali, sono i miei compagni di appartamento, e si
annoiavano così mi hanno praticamente costretto a portarmeli
con me. Spero che
non diano troppo disturbo”. Gli sorrido dolcemente e lo
lascio entrare.
“Oh non potranno mai essere più pazzi delle mie
compagne”
sussurro mentre accompagno la porta per farla chiudere.
Conduco Indio nella mia “camera” e gli mostro il
disastro.
Lui guarda con attenzione tutto quanto
finché lo vedo prendere da terra un ammasso di
carte.
“Ecco qui ci sono le istruzioni per il montaggio. Da questo
momento in poi tutto dovrebbe essere più semplice”
e sorridendomi lo vedo
appoggiare in terra una cassetta di metallo dall’aria
pesante, dentro la quale
presumo ci siano cose come cacciaviti, bulloni, pinze e altri aggeggi
vari.
Torno dai ragazzi e mi fermo a guardarli giocare alla tele
con la play. Neanche sapevo di averla la play qui.
Anche loro, esattamente come Carla ed Elliot, sono
estremamente diversi, fra loro, ma allo stesso tempo sembrano anche
conoscersi
fin da piccoli.
J.D. sembra il classico ragazzino smilzo sempre sperso nel
suo mondo dei sogni, mentre invece Turk ricorda più
l’amicone, quello che è
sempre pronto a proteggerti quando ne hai bisogno, ma sul quale sai che
potrai
sempre contare quando ci sarà da imbastire una burla o uno
scherzo.
Li vedo divertirsi come due bambini con le corse delle
macchine, sbeffeggiandosi a vicenda quando uno sorpassa
l’altro, e mi riscuoto
solo quando sento la porta dell’appartamento aprirsi e vedo
entrare le mie
compagne.
Mi avvicino a loro iniziando a fare le presentazioni, e noto
subito gli sguardi interessati che J.D. lancia ad Elliot e che
similmente Carla
lancia a Turk.
Soddisfatta della situazione creatasi, torno nella mia
stanza e noto che Indio è già riuscito a montare
l’armadio.
“Wow! Ma sei velocissimo!” esclamo sorpresa. Lui si
gira
verso di me e mi sorride.
“Prima di venire a studiare qui, davo una mano a mia madre.
E’ agente immobiliare, e spesso, quando le capitava di
mostrare delle case,
doveva anche mostrare delle possibilità
d’arredamento, così mi sfruttava come
manodopera a basso costo.” spiega tranquillamente.
“E come c’è finito un’
Americano, qui in Inghilterra?”
chiedo curiosa.
“Suppongo che ci sia finito perché ero stufo della
California e di tutto quel clima da figli di papà, cosa che
per altro io non
sono mai stato. Così quando mio padre ha cominciato a venire
sempre di più qua,
per questioni di lavoro, ho colto la palla la balzo e mi sono
trasferito.”
“Oh” sussurro, sedendomi per terra e prendendo fra
le mani
un asciugamano bianco. L’avevo preso per lui, nel qual caso
avesse avuto
bisogno di rinfrescarsi visto il caldo afoso di questi primi giorni di
settembre.
Solo ora, che mi ritrovo ad osservarlo mentre lavora, mi
rendo conto che ha la canottiera bianca imperlata di sudore e che delle
piccole
gocce d’acqua sono ben visibili sulla sua fronte.
Mi riscopro a seguire con gli occhi il percorso di una di
esse.
La vedo percorrere lentamente il suo profilo, concentrato
nel leggere le istruzioni. La seguo mentre scende lungo il suo collo
per poi
inoltrarsi sul suo torace e andarsi a confondere con la stoffa.
Sono io, o qui improvvisamente fa moooolto più caldo?
Scosto lo sguardo da lui, e mi costringo a soffermarlo su
qualsiasi cosa che non sia il suo corpo muscoloso che si staglia
davanti a me.
Ancora impegnata a non guardarlo, sento una leggera musica,
provenire da chissà dove, che pian piano aumenta sempre di
più fino a diventare
quasi assordante.
Infastidita mi alzo ed esco dalla camera alla cerca della
fonte di disturbo, sto quasi per rimproverare le mie compagne quando mi
rendo
conto che in soggiorno tutti i ragazzi sono con le mani a coprirsi le
orecchie,
come una delle tre famose scimmiotte, per cercare di attutire il suono.
Stordita ormai dalla canzone che riconosco essere “Voulez
vous
coucher avec moi?” esco
dalla porta
d’ingresso e mi dirigo all’appartamento accanto,
iniziando a bussare.
Ma dopo il secondo tocco, mi rendo conto che la porta è
aperta e senza chiedere permesso entro.
Ciò che trovo dentro è molto simile al camerino
di una
ballerina. Parrucche, abiti pieni di paillettes e lustrini di ogni
colore, boa
piumati ovunque.
Al centro di questa baraonda trovo una ragazzina bionda, con
dei profondissimi occhi castani, che si muove a ritmo con la musica,
apparentemente inconsapevole del disturbo che sta procurando a tutto il
piano.
Mi affretto ad abbassare il volume della musica, e solo
quando ormai esso sembra quasi essersi placato del tutto, vedo la
ragazza
bloccarsi e guardarmi stupita.
“Era troppo alta vero?” mi chiede con imbarazzo la
biondina.
“Esattamente, volevi farci diventare tutti sordi per
caso?”
le chiedo, leggermente alterata.
“Ohhh scusami! E’ che Tess mi ha detto che devo
migliorare
le mie mosse, e così stavo provando.” La guardo
perplessa, indecisa se crederle
o meno.
“Io sono Alice Rose, ma puoi anche chiamarmi Ali. Sono
originaria dell’Haiowa ma mi sono trasferita qui quando ero
molto piccola, e
ora per pagarmi gli studi ballo al “Burlesque”, un
locale qui vicino. Ti va di
venirci qualche volta? Non ti faccio neanche pagare, così
per sdebitarmi.” La
vedo guardarmi con gli occhioni da cucciolo bastonato, e mi si stringe
il cuore
a fare la cattiva con lei, motivo per cui accetto le sue scuse.
“Va bene! Va bene! Ma la prossima volta, magari abbassa un
po’ il volume. Io comunque sono Iris Law e sto
nell’appartamento qui accanto.”
Ci stringiamo la mano e infine la invito da me a conoscere anche tutto
il resto
della combriccola, infondo un pazzo in più che
sarà mai?
***
E’ ormai sera, e sono sola con Indio
nell’appartamento.
Ali era di servizio questa sera, pare che sia l’attrazione
speciale del locale.
Carla ed Elliot avevano una festa a cui presenziare in non
so quale confraternita, e J.D. e Turk dovevano incontrarsi con un uomo
di cui
non ricordo il nome.
Siamo solo noi due, distesi su i due divani del salottino
che ci godiamo un po’ di pace e silenzio dopo la baraonda di
questo pomeriggio.
“Non te l’ho ancora chiesto” inizia indio.
“Ma.... che cosa ti ha portato a questa
facoltà?” chiede
curioso.
Ci penso bene, prima di parlare, ma quando apro bocca per
parlare, un fiotto di parole si riversa, senza neanche che io lo abbia
programmato. E mi ritrovo a parlargli del mio sogno verde, del rapporto
conflittuale con mia madre, dell’importanza della figura di
mio padre nella mia
vita.
“Forse è proprio perché non ho mai
capito cosa l’abbia
spinta a chiedere il divorzio da mio padre, che ho sempre cercato di
scappare
da lei. Infondo non è forse vero che ogni bambina vede nel
proprio padre il suo
primo grande amore?” chiedo retorica, più a me
stessa che a lui.
“Bhe non saprei, di certo non sono mai stato innamorato di
mia madre, nonostante anche i miei abbiano divorziato quando ero ancora
un
bambino” afferma cercando di alleggerire la situazione, ma
riesco lo stesso a
cogliere una impercettibile nota di dispiacere nella sua voce.
Mi alzo dal mio divano per andarmi a sedere vicino a lui,
che mi fa spazio accanto a se.
“Per cosa si sono separati?” chiedo gentilmente,
pur sapendo
che non dovrei interessarmi ad un fatto del genere.
Lo vedo rifletterci su per un po’ quasi volesse scegliere le
parole più adatte con cui parlare, per poi dirmi.
“Non so di preciso, ma credo che quando presero la decisione
c’erano già stati alcuni tradimenti da entrambe le
parti. O almeno questo è
quello che mi dissero. Ora però le cose fra di loro si sono
sistemate, e
sembrano essersi rifatti entrambi una vita. Mio padre si è
addirittura
riscoperto gay” e un sorriso gli sfugge al ricordo di non so
cosa.
“Bhe sei stato fortunato. I miei genitori invece non sono
stati capaci di riprendere i rapporti. Mio padre ha ancora paura che
mia madre
possa combinare qualche altro guaio, come quando eravamo piccoli; e a
ragione
per giunta. Lei si comporta ancora come un’immatura,
nonostante abbia 3 figli”
sospiro tristemente e mi abbandono alla memoria delle sue ultime
bravate.
Sento una mano di
Indio appoggiarsi sulla mia spalla, per poi stringermela delicatamente
cercando
di darmi coraggio.
“Ehi, non devi affliggerti per lei. Non sei tu il genitore
qui, non è colpa tua.”
Gli sorrido debolmente, ringraziandolo, e mi soffermo a
guardare i suoi occhi scuri.
Sono coloro cioccolato, ma hanno anche delle piccole
pagliuzze dorate al loro interno. Infondono serenità.
Sembrano quasi emanare calore. Sono bellissimi.
Mi perdo a guardare quelle pozze di cioccolato fuso, quando
il suono penetrante di un cellulare rompe la bolla di silenzio che si
era
venuta a creare.
Vedo Indio tastarsi le tasche dei pantaloni della tuta, alla
ricerca della fonte di rumore, e quando lo trova risponde subito.
“Sophie che c’è?” chiede
allarmato.
“Gli hai già dato le gocce che la dott.ssa Dora ha
lasciato
sul bancone?” ascolta attentamente chi gli parla.
“Oh capito, arrivo subito. Aspettami li e non toccarlo.
Potrebbe morderti e farti male.” chiude la chiamata e poi si
alza.
“Scusami Iris, ma devo andare. C’è stata
un’emergenza
all’ambulatorio veterinario e hanno bisogno di me.”
mi alzo anche io,
accompagnandolo alla porta e aprendogliela.
“E’ stato un piacere aiutarti piccolina. La
prossima volta che
hai bisogno chiamami” e così dicendo mi lascia un
bacio sulla guancia e fugge
via.
Rimango qualche minuto sulla porta, immaginando forse che
possa ritornare e tocco il punto in cui le sue labbra hanno toccato la
mia
pelle.
Sembra quasi che esso sia più caldo del resto del corpo.
Chiudo la porta alle mie spalle e mi dirigo in camera,
andandomi ad infilare subito nel letto dove mi lascio concupire
dolcemente dal
bel Morfeo.
N.d.a. (Quelle normali):
Allora?
Avete
indovinato??????
Si? Ma
braviiiiii/eeeeee mi congratulo con voi!
No? Ma come si
fa?????? Come si può non conoscere quel
telefilm e quel film???? Personalmente li amo tutti e due!
Ma veniamo al
capitolo... Vorrei puntualizzare che contro
Sadie non ho proprio niente, il mio accanimento contro lei è
funzionale solo
alla fic. E cmq questa è una AU quindi posso fare questo ed
altro. Tutta la
parte al campus coi vari problemi di montaggio e i nuovi personaggi,
è il
delirio puro e non mi sento di parlarne, anche perché come
si spiega il
delirio???
La parte
finale, con quella sorta di avvicinamento fra Iris
e Indio, bhe forse era ora no?
Infondo devono
pur cominciare a conoscersi in qualche modo
quei due.
E poi
basta.... credo.
Ah si, il cap
non mi piace in generale. C’è qualcosa che mi
turba ma non so cosa... voi avete capito?
Se si,
ditemelo, grazie!
Ma passiamo alle cose serie..... Purtroppo non so quando
avverrà il prossimo aggiornamento. A) perché non
ho ancora deciso di chi
parlare e che cosa far accadere. Ma è molto più
importante la motivazione B)
Quest’anno sono di maturità, e come tutti potrete
ben capire, la scuola da qui
in poi esigerà sempre più tempo. Quindi mi trovo
costretta, a malincuore, non a
sospendere del tutto la scrittura, ma a ritardare, finché
non uscirò pazza e
vorrò scrivere a tutti i costi, gli aggiornamenti.
Spero di non dovervi fare aspettare troppo, ma nel qual caso
sapete cosa mi impedisce di dedicarmi a voi
E dopo queste note più lunghe del capitolo stesso.......
Baci baci, e Commentate, Commentate, Commentate!
Naky