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Autore: letmerawr    15/01/2013    2 recensioni
"Riattaccò. Era ancora come la ricordava, la sua voce.
Devo smetterla, sono ridicola. Perché cavolo l’ho fatto?
Gli occhi le divennero lucidi. Cercò di cacciare indietro le lacrime ma le si era formato un groppo in gola. E poi iniziarono i flashback."
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Entrò nella camera d’albergo sbattendo la porta.
Era davvero sfinita.

I tour mondiali erano la cosa che amava fare di più al mondo, poter ringraziare i fan per quello che fanno per lei ogni giorno, sentirli cantare le sue canzoni e ballare, vedere alcuni di loro piangere quando gli abbraccia..ma la stancava anche un sacco, fisicamente.
Lasciò la borsa sul pavimento accanto alla porta ed entrò in bagno. Si levò i vestiti lasciandoli cadere sul pavimento ed entrò nella doccia.
Quando uscì lo specchio era appannato, si sorprese a fare disegnini sul vetro, con indosso ancora l’asciugamano e i suoi riccioli biondi che le ricadevano sulle spalle bagnati e spettinati. Mentre si vestiva suonò il telefono della stanza e corse ad alzare la cornetta.
-Pronto?-
-Tayy, ti va di venire nella nostra stanza? Liz ha comprato del cibo cinese. Pigiama Party?-
-Scusa Caitlin ma stasera non me la sento, sono davvero sfinita.-
-Oh certo. Sicura che sia tutto okay?-
-Sisi, certo, divertitevi.-
-Okay, ciao.-
Taylor attaccò senza aggiungere altro. La realtà è che non stava affatto bene. Nonostante lui avesse smesso di chiamare, non riusciva a toglierselo dalla testa.
No, devo smetterla di pensarci. Non torneremo mai insieme. Adesso basta.
Rimase immobile a fissare il telefono, sollevò la cornetta e se la mise all’orecchio, compose il numero e aspettò mentre il l’apparecchio suonava, senza sapere veramente perché lo stesse facendo.
-Pronto?
Riattaccò. Era ancora come la ricordava, la sua voce.
Devo smetterla, sono ridicola. Perché cavolo l’ho fatto?
Gli occhi le divennero lucidi. Cercò di cacciare indietro le lacrime ma le si era formato un groppo in gola. E poi iniziarono i flashback.

Erano in macchina, in una sperduta strada di una cittadina ancora più sperduta. Le foglie degli alberi autunnali iniziavano a ricoprire il suolo e si sentiva nell’aria un freddo pungente che preannunciava l’arrivo dell’inverno. Stavano correndo con la musica al massimo, cantavano insieme. Lui la guardava con quello sguardo che aveva sempre avuto e sorrideva. Poi inchiodò perché si accorse che il semaforo era rosso. Ridevano insieme, e si baciavano.

E ancora.

Erano a casa sua, nella sua cucina con le luci spente. L’unica a illuminarli era la luce che emetteva il frigorifero, stavano ballando vicini, senza nessuna musica. Era lui a canticchiare per lei.

Poi si fecero più veloci e confusi. Era come se il tempo si fosse fermato nel passato.

Ricordò i caffè presi all’angolo di quella strada e quando andavano a trovare sua sorella, quando lui le raccontava della sua infanzia e lei lo prendeva in giro. E poi ricordò le litigate, le urla, le telfonate che erano durate ore. Le notti in cui lei divvenne sua e lui divenne suo. E più di tutti i ricordi quello che la ruppè fu l’immagine di lei, il giorno del suo compleanno. Immobile in piedi mentre tutti le cantavano tanti auguri, vestita con il suo vestito migliore, ma lui non c’era per vederla. Lui non c’era. Quello era stato il momento in cui aveva capito tutto per la prima volta. Da lì in poi era stata solo una montagna russa, un tira e molla continuo, finchè lei non aveva detto basta.

Ma i ricordi tornano sempre. E lei si ricordava ogni minimo dettaglio, si ricordava tutto. Si ricordava di quando era iniziato, e di quando era finito con lui che le aveva ridato le sue cose. Ma non la sua sciarpa. Quella maledetta sciarpa se l’era tenuta. Per quale assurdo motivo?
Forse perché anche lui si ricordava tutto perfettamente. Forse lui non voleva dimenticare. Forse voleva ricordare di come avesse perso l’unica cosa che aveva mai conosciuto veramente. Voleva ricordarsi di tutte le volte che le aveva detto che l’amava e di quando l’aveva allontanata dicendo che aveva bisogno di più spazio.
Lei sapeva cosa doveva fare.
Doveva fare ciò che le riusciva meglio.
Si alzò dal letto dove si era accorta di essere sdraiata, prese la chitarra, gli occhi talmente lucidi per le lacrime che faceva fatica a vedere con chiarezza.
Prese il suo quaderno e una penna e si sedette sul pavimento, ai piedi del letto.
Iniziò a suonare una melodia, quella melodia ben presto divenne una canzone.
Poi iniziò a scrivere parole. Scrisse tutto, tutto quello che ricordava e che non voleva dimenticare. Scrisse di come aveva perso se stessa lungo quella strada piena di curve, di salite e di discese. Poi provò a suonarla e a cantarla quella canzone. Forse era troppo lunga e troppo personale ma in quel momento non le importava. Iniziò a piangere mentre cantava, con la voce spezzata dai singhiozzi, i fogli si macchiarono di alcune lacrime ma lei continuò a suonare, finchè la canzone non finì.


La mattina dopo si svegliò presto grazie alla sua sveglia, che le ricordava che doveva fare i bagagli per un altro paese, per un altro show. La vita continuava.
Si era addormentata sul pavimento, fra la stanchezza e lo sgomento della sera precedente.
Si stava preparando e stava cercando di rendere i capelli decenti quando squillò il cellulare. Pensando che fosse una delle ragazze che la chiamava per sapere se era pronta rispose senza guardare il mittente.
-Pronto?-
-…Taylor..mi fa piacere sentire la tua voce.-
Le si fermò il respiro. Non poteva essere. Era lui.
-…Perché mi hai chiamata?-
-Senti, lo so cosa pensi ma questa non è la millesima telefonata in cui ti chiedo di ripensare alla nostra situazione. Volevo solo dirti che sto imparando a dimenticare. Tutto qui, volevo farti sapere che è tutto okay, che smetterò di chiamarti e che accetto il fatto che sia finita per davvero. Volevo essere sincero con te, dopotutto.-
Non sapeva cosa dire, il sangue le si era gelato nelle vene. Le lacrime stavano tornando, come se non ne avesse versate abbastanza la notte prima.
-Mi fa piacere. Ora scusami ma devo andare.-
-Okay, mi ha fatto piacere sentirti…e un’altra cosa…ieri ho ricevuto una chiamata da un numero privato. Non ho capito chi fosse perché mi ha attaccato il telefono in faccia…ecco..non è che eri tu? Magari volevi dirmi le stesse cose che ti sto dicendo adesso..sai..solo un’ipotesi.-
-Non so di cosa tu stia parlando. Comunque lo penso anche io e…e mi fa piacere che tu sia felice. Anche io lo sono.-
Questa frase le sembrò così falsa perché a metà le cadde la voce. Aveva quasi ricominciato a piangere. Doveva resistere, non poteva scoppiare adesso.
-Okay. Allora stammi bene.-
Taylor non rispose e attese che lui mettesse giù. Quando sentì finalmente il suono della linea che cadeva, mise giù la cornetta e si sedette sul letto.
Si asciugò le lacrime dalle guancie, prese il quaderno che era rimasto sul pavimento e aggiunse un’ultima deprimente frase alla canzone, quasi come un urlo del dolore che la stava consumando dentro. Ora era perfetta.

«And you call me up again just to break me like a promise, so casually cruel in the name of being honest.»


  
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