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Autore: LoveNotes    15/01/2013    1 recensioni
Mi ricordo ancora quel meraviglioso giorno d'autunno, quasi come se fosse ieri. Quello fu il giorno in cui incontrai la persona che mi fece cambiare idea sulla mia città; avevo sempre pensato fosse il luogo più brutto che ci potesse essere. Però, quando incontrai lui, quel posto mi sembrò il posto più bello, mi sembrava bello perchè ogni volta che uscivo, pensavo che forse avrei potuto incontrarlo, che forse se sarei andata in determinati luoghi, mi sarebbe venuto in contro con le braccia aperte. Invece, non lo rincontrai mai più, ma non persi mai la speranza. Ancora oggi, che sono vecchia e ho i nipoti, non è ancora andata via la speranza di rincontrarlo. Di riconoscere alcuni segni particolari che avevo tenuto in mente di quella sera. Mi sarebbe piaciuto ritrovarlo vecchietto, ma ancora con quei meravigliosi occhi verdi o mi sarebbe piaciuto riascoltarlo mentre parlava orgoglioso di essere militare. Non so se l'avrei mai più rivisto, ma lui era sempre nella mia testa.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quel giorno era come tanti altri. C’era un tempo magnifico: un velo di nuvole grigie copriva il sole, non pioveva ma ero più che certa che nel pomeriggio la situazione sarebbe peggiorata e che l’acqua avrebbe invaso le strade di questa stupida e inutile cittadina.
Io odiavo quel paese e tutti i suoi abitanti. Non c’era un perché, ma non mi era mai piaciuto avrei preferito nascere in un qualsiasi altro luogo. Purtroppo ero nata lì e mi dovevo accontentare. In sedici anni non ero riuscita a fare molte amicizie eppure ogni volta che mi guardavo allo specchio pensavo di non essere tanto male: avevo dei capelli lunghi, molto lunghi e marroni che sembravano neri, come gli occhi, ero magra e onde evitare diventare grassa, andavo ogni lunedì e ogni giovedì in palestra con altre mie due amiche: Anna e Simona, forse le mie uniche vere amiche.
La mattina, come ogni altra mattina andai a scuola, dove mi aspettava la ragazza più simpatica e carina che ci potesse essere Anna, lei sapeva tutto di me, non c’era una cosa che non conosceva, era molto curiosa ed era una scrittrice, qualsiasi cosa le dicessi, già pensava ad una storia da fare. Anche lei odiava questa città e insieme pensavamo sempre di trasferirci in un altro luogo più bello e accogliente, per avere questi requisiti ci voleva poco. Scrisse una storia quando decidemmo di “SCAPPARE” da qui e la intitolò ‘Un viaggio e due vite”; non era un titolo molto bello, ma la storia si, la nostra storia immaginaria!
“Dormigliona, finalmente sei venuta! Sono già entrati tutti, quasi tutti!” disse ridendo.
“Scusa, ma stavo pensando a come fosse brutta e triste questa città!” dissi triste.
“Ragazze scusate il ritardo!” disse Simona correndo verso di noi. Lei era la più solare fra noi, aveva molti amici e adorava questa città, era la ragazza più fortunata che conoscessi!  
“Sei sempre in ritardo!” dissi sorridendo.
“No, siete voi che siete troppo in orario!” disse lei ridendo.
“Non proprio! Comunque entriamo!” disse Anna. Questa scenetta veniva azionata ogni giorno, dicevano sempre le stesse parole alla stessa ora, ma ci divertivamo molto.
Entrammo a scuola e fortunatamente la prof. non era ancora qui. Ci sedemmo ai nostri posti, purtroppo le professoresse ci avevano divise e io sfortunatamente ero stata messa di fianco al peggiore ragazzo che potesse esserci. Si chiamava Antonio, uno dei ragazzi più popolari e più stronzo che ci potesse essere. Era biondo, con due occhi azzurro celo, insomma, uno dei ragazzi che farebbe perdere la testa ad ogni ragazza normale. Beh, io non lo ero e non ero stata catturata dal suo fascino o almeno non da inviargli messaggi anonimi al telefono - quello che facevano molte ragazze e questo lo sapevo, per mia sfortuna proprio per il mio posto.
Dopo quindici minuti la professoressa entrò e iniziò a spiegare. La giornata passò velocemente, avevamo iniziato la scuola da circa un mese e né le professoresse né noi avevamo voglia di interrogare ed essere interrogati; quando finalmente finirono quelle 5 ore di tortura, io e le ragazze andammo a mangiare qualcosa nel bar vicino scuola.
Come suo solito Simona scriveva messaggi a più non posso a… in realtà io e Anna abbiamo sempre fatto teorie a chi scrivesse, cercavamo di indovinare e quando chiedevamo a lei ed era giusto, Simona ci raccontava la storia di come aveva incontrato quella persona etc etc. La cosa alcune volte mi scocciava anche se spesso ci facevamo le migliori risate, Anna invece era sempre molto interessata per scrivere nuove storie o aggiungere nuovi personaggi alle storie, le piaceva basarsi sulla realtà, anche se quando inventava da sola le persone e i paesaggi, io ne andavo matta, era un genio!
“Allora, oggi con chi messaggi?” chiese Anna curiosa.
“Indovinate!” disse lei misteriosa.
“Antonio?” dissi io quasi del tutto convinta.
“NoNo!” disse maliziosa. I due avevano avuto tipo una storia e non si erano mai del tutto mollati, non erano amici, ma non erano fidanzati, non si sapeva realmente cosa fossero.
“Un ragazzo, giusto?” chiese Anna. La ragazza continuando a scrivere annuì.
“Bello?” chiesi ridendo.
“Minimo!” disse lei facendo l’occhiolino.
“Lo conosciamo?” chiese Anna.
“No…!” disse iniziando a ridere.
“Grazie!” dissi ironica.
“Si chiama Luca, abita qui da un secolo, siamo, purtroppo, solo amici e non lo conoscete perché ha diciotto anni!” disse lei tenendo ancora gli occhi sul telefono.
“Vogliamo la foto!”disse Anna entusiasta.
Simona schiacciò qualche pulsante sul suo telefono poi ci mostrò la foto; era un ragazzo a dir poco bellissimo, aveva occhi verdi e i capelli rasati che mi fecero subito pensare ai militari, quasi neri, nella foto indossava una giacca da baseball, che gli stava d’incanto! Ok, era tanto figo!
“È bello e non poco!” dissi sorridendo.
“Lo so, ma siamo solo amici! È tipo il fratello che non ho mai avuto… tipo!” disse pensierosa.
“Eppure non ce ne hai mai parlato!” disse Anna.
“Voi, non me l’avete mai chiesto!”
“Ok! Io vado a casa!” dissi guardando l’orologio.
“Ci vediamo dopo in palestra!” disse Simona distogliendo finalmente lo sguardo da quel maledetto telefono.
“Ciao!” dissi urlando, ormai già di spalle.
Tornai a casa molto lentamente, volevo stare molto lontana da quella casa, ma sarei dovuta tornare prima o poi. Quella casa era molto triste per me, lì avevo visto molte volte i miei genitori litigare e in fine divorziare; nel soggiorno di casa mia quando avevo cinque anni, avevo visto morire il mio cane Duke; lì avevo visto la mia nonna, Anna, per l’ultima volta prima di morire. Non avevo avuto un’infanzia felice, ma dopotutto, non era stata tanto male, mi ricordo di quando io e la mamma una domenica mattina, ci dedicammo al giardinaggio, piantando tantissimi fiori che ora erano appassiti, ma quel giorno fu il più bello dopo che loro divorziarono. Non l’ho mai capito, il loro divorzio, ma ora quando li vedo, sono più felici.
Arrivai a casa prima di quando volessi. Come suo solito quella casa era vuota, la mamma era a lavoro; era sempre a lavoro, questo significava due cose: potevo fare quello che volevo per circa dieci ore; non vedevo la mia mammina per circa dieci ore.
Entrai in cucina, presi un po’ di pasta del giorno prima, la scaldai e iniziai a mangiare letteralmente come una porca! Dopo essermi ingozzata, mi andai a sedere sul divano e guardai la TV per una buona mezz’ora. Mi stavo per addormentare quando sentii il telefono squillare.
“Pronto?”
“Ciao! Sono la signora Concetta!” disse l’anziana vecchietta che quasi ogni giorno chiamava mia madre. Come ogni giorno le spiegai che la mamma tornava tardi, ma lei iniziò a raccontarmi ogni cosa che le passasse per la testa: mi raccontava di come faceva la caprese, il suo dolce preferito, di come le mancava suo marito - quando lo faceva, mi scendevano delle lacrime silenziose lungo le guance - di suo figlio che si era sposato e a seconda di cosa accadeva, dei suoi nipoti che avevano la febbre o che avevano preso un brutto o bel voto a scuola. In poche e semplicissime ore mi raccontava la sua vita, la vita di suo figlio, dei nipoti e del marito.
Però in fondo non mi dispiaceva, fra le storie, mi piacevano molto quelle del marito e quelle di suo nipote Luca - tante coincidenze. Aveva diciotto anni ed era un vero e proprio “BRICCONCELLO” come le piaceva definirlo.
 “Signora Concetta, come sta suo nipote?” dissi urlando, era un po’ sorda.
“Non c’è male; oggi, quel bricconcello, mi è venuto a trovare, e mi ha raccontato molte cose…” quella frase era la sua preferita - e mi ha raccontato tante cose - perché quello era l’inizio di ogni suo racconto.
Quando furono le quattro decisi di troncare la telefonata con un “Mi scusi Signora Concetta, ma è suonato il campanello e devo andare. Arrivederci!” quello era una dei prototipi per troncare una telefonata, il modo più stupido per farlo. Ma ogni volta ci cascava in pieno.
Subito dopo salii sopra, nella mia stanza, e iniziai a “Studiare” cioè ad ascoltare la musica. Frale miecanzonipreferitecisono: Give me love, Carry on, Don’t you worry Child, I know you care, We are young e Smile diCharlie Chaplin.
La musica per me era una cosa meravigliosa, la cosa più bella. Quando non ce la facevo più e non volevo parlare con nessuno, c’era la musica che mi tirava su di morale e in quei momenti, mi faceva urlare e cantare a squarcia gola.
Dopo questo momento di pausa iniziai seriamente a studiare; avevo poche cose da fare e subito le finii. Così ebbi l’opportunità di ascoltare un altro po’ di musica e di fare un giro sui Social Network che avevo - Facebook e Twitter.
Stavo cercando di ammazzare il tempo prima della palestra così chiamai Anna.
“Ehi!”
“Ciao!” disse lei felice.
“Come va?”
“Benone! Te?”
“Bene!”
“Perché mi hai chiamato? Fra poco ci dobbiamo vedere?”
“Intanto che aspettavo il ‘Fra poco’ dovevo pur fare qualcosa!”
“Beh, perché non fai un po’ di compiti tipo per dopodomani?” Anna era un po’ scorbutica e faceva troppe domande, cercava di mettere sempre il dito fra le piaghe, ma lo faceva solo perché era fatta così; non sarebbe cambiata per nulla al mondo nemmeno se l’avessi pagata.
“Perché se li faccio oggi, domani che cosa faccio?”
“Mi chiami! Normale, no?” disse lei ridendo.
“Oh Dio! È tardi, ci vediamo dopo in palestra!” dissi guardando l’orologio.
“Ciao!”
Tornai in camera mia, presi la borsa, mi cambiai velocemente con la mia tuta, misi le mie meravigliose Converse, scesi giù, presi l’ombrello e uscii di casa.
Stava piovendo come immaginavo e io ero decisamente troppo scoperta!
Iniziai a correre sui marciapiedi, sotto la pioggia, cercando di non bagnarmi, ma la cosa era praticamente impossibile. Fortunatamente, la palestra era vicino casa e subito arrivai, bagnata, ma ci arrivai.
“Buonasera!” dissi alle ragazze che erano sedute dietro il bancone.
“Ciao! Come va?” chiese una delle due.
“Sono, un po’ bagnata, ma va tutto bene! Te?” dissi sorridendo.
“Diciamo, oggi è l’inizio di un nuovo mese, quindi guarda lì!” disse indicando un tavolo alle mie spalle, pieno di patatine, pop corn, coca cola e schifezze varie “Voi fate palestra e anche se mangiate, li perdete i grassi! Ma noi, noi stiamo sempre qui, con quelle schifezze che ci chiamano e ci dicono ‘Mangiateci’” disse lei cambiando voce.
“Si dice ‘Occhio non vede, cuore non duole’, quindi potreste coprirlo con qualcosa, tipo con un piatto così non lo vedete, non lo mangiate e non ingrassate!” dissi ridendo.
“Mi sa tanto di pubblicità… però può funzionare!” disse la signorina sorridendo.
“Io scendo giù! Ciao!” dissi scendendo nei spogliatoi.
Entrai nello spogliatoio e le ragazze già erano lì, stavano ridendo.
“Sciaoo!” dissi entrando.
“Ciao!” dissero in coro.
“Perché siete così… così?” dissi indicandole.
“Perchè lei continua a messaggiare e io a stare qui tutta sola!” disse Anna.
“Awww… piccolina, ma lo sai che stavo arrivando, fatti abbracciare!” dissi, ancora tutta bagnata, andandole incontro.
“Hai detto una cosa bellissima … ma nemmeno per idea!” disse lei iniziando a scappare.
Uscì dagli spogliatoi e iniziai a rincorrerla per la palestra, dopo un po’ si fermò, si mise una mano sul mento e iniziò a borbottare:
“Poi, la ragazza iniziò a rincorrerla e dopo tante figure, riuscì a riprenderla…! Ok, devo ricordarlo!” disse sicura di dimenticare tutto dopo cinque minuti.
“Stai sempre a scrivere storie, tu?” chiesi diventando rossa perché ci stavano guardando tutti. Compreso il ragazzo in palestra che mi piaceva tanto, il ragazzo che prima di andare via mi faceva l’occhiolino e lo stesso ragazzo che ogni volta, ogni santissima volta, non mi rivolgeva la parola. Alla fine, i ragazzi sono tutti uguali, non hanno le palle per dirti le cose in faccia, mai!
“Ma non sono belle?” disse lei facendo gli occhi da cucciolo.
“Sarebbero belle anche senza che tu mi facessi quella faccetta!” dissi rientrando nello spogliatoio. Mi avvicinai alla stufa, perché ero ancora bagnata dalla pioggia e sentivo freddo, molto freddo. Quel freddo che ti fa accapponare la pelle e che se ci pensi, ti viene ancora più freddo.
“Allora usciamo da qui e iniziamo a fare qualcosa?” chiese Simona, posando il cellulare.
“Ed ecco che Simona ritorna dal mondo dei sogni!” disse Anna dandole un bacio sulla guancia.
“Dai, muoviamoci che sono già le sei!” dissi cambiando argomento.
Salimmo nella sala, dove ogni donna ingrassata, a causa della gravidanza o semplicemente ogni donna che adora mangiare, viene a fare quattro o cinque ore di tortura, sudore e mal di testa per la musica troppo alta. Io andai sul tapis roulant e subito presi il mio meraviglioso MP4 e iniziai a correre, le altre invece iniziarono con la cyclette. In realtà dovevamo stare in quella saletta per poco tempo; dopo, come altre volte, ci spostavamo nell’altra sala dove avevamo da fare parecchie flessioni, piegamenti e pesi. Fortunatamente, con la musica nelle orecchie e parlando di argomenti vari con Anna e Simona, il tempo passava in fretta e subito si fecero le otto.
“Dai, rimani un altro po’ con noi! Facciamo le otto e mezza e ce ne andiamo tutte insieme!” disse Simona prendendomi la mano e facendo una faccina irresistibile. Era una cosa assurda, la maggior parte delle persone riuscivano a fare quella faccia da ‘Cucciola’ e io se provavo solo a farla mi dicevano: “Ma che ti stai sentendo male?”
“Simo, sono stanchissima! Poi da te non me lo aspettavo, tu sei la prima a voler andare via!” dissi alzando un sopracciglio.
“Hai ragione, ma vedi da quando siamo venute c’è Paolo che non mi toglie gli occhi di dosso e sono curiosa di sapere il motivo!” disse supplicandomi. Effettivamente i due si scambiavano occhiatine da quando avevamo messo piede nella sala; ero stata proprio io a dirlo a Simona e, riflettendoci, se potessi tornare in dietro, non gli avrei detto nulla.
Come ho detto prima, Simona era una di quelle ragazze che conosceva tutti e la maggior parte di quelli li conosceva perché ci era stata insieme. Una volta, ci raccontò di aver baciato persino una donna, ma alla fine ammise che baciare un maschio era tutt’altra cosa. Era a dir poco una troietta, ma le volevamo bene e in vita sua, non aveva mai fatto del male a qualcuno, nemmeno emotivamente: ogni volta che lasciava un ragazzo, lo lasciava con un sorriso sulla faccia… e ne aveva lasciati parecchi!
“Va bene! Comunque, come vorresti scoprire il motivo di questo flirt?” chiesi alzando nuovamente il sopracciglio.
“Guarda e impara tesoro!” disse alzandosi e andando verso Paolo e chiedendogli semplicemente: “Scusa, ma per caso, ho qualcosa che non va?”
Il ragazzo imbarazzato e sorpreso le disse: “No. Perché?”
“Mi stavi guardando da un po’ e ho pensato che forse avevo qualcosa fuori posto?” disse lei facendo una vocina timida.
“È solo che oggi ti trovo molto carina!” disse il ragazzo che divenne un po’ rosso. Paolo era un suo amico delle medie, aveva preso una cotta per lui da quando lo aveva visto, ma questa cotta le era subito passata, vedendolo muoversi insieme ad altri compagni di classe come una scimmia per scherzare. Subito capì che era un grosso stupido e lasciò perdere. Ma il ragazzo era cresciuto e anche molto bene: era alto, non era molto muscoloso, ma era molto carino, occhi chiari, capelli scuri e un carattere che avrebbe fatto innamorare ogni ragazza e che avrebbe potuto far dimenticare a chiunque il siparietto con gli amici delle scimmie!
“Mi accompagni negli spogliatoi, così ci iniziamo a preparare?” dissi ad Anna.
“Andiamo!” mi disse sorridendo.
Entrammo nello spogliatoio e iniziammo a cambiarci, facendo battutine di tanto in tanto.
Quando finimmo di prepararci, uscimmo dallo spogliatoio e andammo a salutare Simona, che stava parlando con Paolo che, sembrava molto contento.
Dopo uscimmo dalla palestra e accompagnai Anna a casa.
“Che ne pensi, riusciranno a combinare qualcosa?” mi chiese Anna.
“Boh! Beato chi capisce Simona. Cambia in continuazione idea su tutto e se ora le piace è possibile che domani, non le vada a genio!” dissi alzando le spalle.
“Questo è vero, meno male che non ha cambiato idea su di noi!” disse ridendo.
“Già!” dissi sorridendo.
“Hai fatto biologia?” mi chiese pensierosa.
“Si, non ci ho capito molto, ma si! Tu?”
“Ho la faccia di una che ha studiato biologia?” chiese con un sopracciglio alzato.
“In verità si!” dissi ridendo.
“Infatti hai ragione, ci ho messo pochissimo!” disse iniziando a ridere.
“Secchiona!” dissi ridendo.
“Scansafatiche!” disse fra l’offesa e la divertita.
“Comunque, visto che hai capito tutto molto bene, domani me lo spieghi?” dissi facendo la faccia da cucciola smorzata.
“Certo! Uno di questi giorni mi devi insegnare a fare quei disegni che fai!” disse sorridente.
“Quali disegni?” chiesi un po’ sbalordita.
“Quelli che, alcune volte, disegni sul banco!” disse come se la cosa fosse più che ovvia.
“Per favore, non chiamarli ‘disegni’, quelli si chiamano Manga! M-A-N-G-A!”
“Calma!” disse spaventata.
“Ok! Ma tu non chiamarli ‘DISEGNI’!” dissi sorridendo.
“Ok! Mi devi insegnare a disegnare i MANGA!” disse calma.
“Va bene! Ma ci metterò un bel po’, sei troppo dura con la matita!” dissi in modo professionale.
“Siamo arrivate! Grazie, di avermi accompagnato, anche se hai allungato la strada!” disse facendo un sorriso troppo tenero.
“Prego! Sei troppo carina, come potrei lasciarti andare da sola a casa? Qualcuno potrebbe farti male!” dissi seria.
“Ma dai! Cosa potrebbe succedere?” disse ridendo.
“La domanda è un’altra: Cosa non è successo?” dissi facendo la finta seria.
“Ciao!” disse ridendo.
“Ciak!Ciak!” dissi andando via.
Così, iniziò la mia corsa contro il tempo, se non arrivavo a casa entro le nove, mia mamma mi uccideva, - erano le otto e quarantacinque - ma a me piaceva stare con Anna e davvero non mi piaceva che andasse per quella strada, tutta da sola. Soprattutto ora, che si dicevano tante cose in giro e soprattutto di quella strada.
Iniziai, letteralmente, a correre come una matta e, per la fretta, non me ne andava dritta una! Scivolai due volte a terra, mi feci male al piede e al polso. Tutta la sfiga di questo mondo era con me. Fino a quando il telefono mi iniziò a squillare.
“Pronto?” chiesi più calma di quanto fossi.
“Ciao, sono la mamma. Ti volevo dire che sto uscendo, ho un’importante cena di lavoro. Non fare tardi e non aspettarci presto. Ciao!” disse mia madre di corsa. La telefonata più corta della mia vita. Lei era sempre occupata e io riuscivo a vederla poche ore alla settimana, alcune volte lavorava anche di domenica e mi mancavano le domeniche di quando ero piccola, al parco con la mamma! Mentre stavo riattaccando, girandomi dall’altro lato andai a sbattere contro un ragazzo. E che ragazzo!
“Oh Dio! Scusami tanto! Non l’ho fatto apposta! Scusami!” iniziai a giustificarmi.
“Oh no, scusami tu, ero un po’ distratto e non ti ho vista venire verso di me!” disse lui. Era il ragazzo più carino che potesse esserci: aveva i capelli corti, come i militari, aveva gli occhi verde acceso e un fisico da fare invidia.
“Per sdebitarmi, ti offro un caffè?” chiese guardandomi con quei occhi a cui non avrei potuto dire di no.
“Va bene, ma vista l’ora, forse sarebbe meglio prendere una pizza e se non ti bastano i soldi, dividiamo!” dissi con troppo entusiasmo.
“Certo, ma non farei mai pagare a una ragazza una cena!” disse facendomi l’occhiolino.
“Va bene!” e così dicendo mi offri il suo braccio, dove voleva che mi appoggiassi per andare(?). L’unica cosa che riuscii a pensare in quel momento è: “Ma io me lo sposo!”
Più tempo gli stavo vicino e più mi sembrava avesse una faccia conosciuta, non sapevo dove lo avessi visto, ma più parlava più mi guardava e io più pensavo a qualcuno.
“Ah! A proposito, io sono Luca!” disse sorridendo, mentre stavamo per entrare nella pizzeria. Subito pensai ‘Ora capisco tutto!’

Salve gente! 
Come va? Questa è una piccola storia a cui ho pensato svariate volte e finalmente mi ci sono messa e l'ho scritta. Scrivetemi e ditemi se vi è piaciuta, se ci sono degli e troppi errori. Scrivetemi per una qualsiasi cosa.
Grazie di aver letto questa storia!
Ciao Tsue 
  
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