Falling
in love, dancing
Il mio amico
Nick me lo ripeteva da mesi: << Blaine, devi smettere di
stare in casa.
Dai, usciamo, andiamo a ballare, una volta ti piaceva tanto…
>>. E da
mesi la mia risposta era sempre la stessa: << Sono stanco
e non voglio
vedere nessuno. Lo sai, quando bambini non ci sono ne approfitto per
mettere in
ordine la casa, faccio il bucato, stiro e poi mi rilasso. Non mi va di
uscire e
tornare a casa tardi >>.
<< Magari andiamo a mangiare una pizza >>,
insisteva ancora Nick.
<< Una pizza forse sì, ma a ballare non ci
vengo >>, rispondevo io.
Non ho
voglia di andare in una discoteca, ho altro a cui pensare. I miei due
figli,
per esempio: Erick di sei anni e Sarah di quattro. Durante la settimana
vivono
con me, mentre nel weekend vanno dal papà, il mio ex marito
Alex.
Il
bellissimo, simpaticissimo, appassionatissimo Alex: era così
quando lo conobbi.
Io avevo diciotto anni, lui venticinque e bastarono poche settimane
perché
perdessi completamente la tesa. Anche lui era innamorato, di questo ne
sono
sicuro, ed eravamo così affiatati, così uniti da
sembrare una coppia destinata
a non separarsi mai. Fu Alex a dire: << Sposiamoci
>>. Io avrei
preferito convivere per un po’ di tempo, ma alla fine lui mi
convinse.
Mi sposai a
ventitré anni e decidemmo di avere un bambino dopo pochi
mesi. Ma dopo la
nascita di Erick le cose iniziarono a non funzionare. La vita in
famiglia stava
stretta a mio marito, non sopportava l’idea di starsene
così tante ore in casa
a badare a nostro figlio, non capiva che io alla sera ero sfinito e mi
addormentavo appena toccavo il cuscino.
Era sempre
irritabile e, siccome anch’io non ero per nulla tranquillo,
finivamo per
litigare tutti i giorni: quando lui la sera, tornava a casa, bastava un
sussurro fuori posto per far esplodere la tempesta. Il risultato? Alex
se ne
usciva subito, lasciandomi solo con Erick, e raggiungeva i suoi amici
al bar o
al campo di football.
A me non
dispiaceva affatto, così almeno potevo starmene tranquillo
con il mio bambino.
Mi dicevo: << Passerà, è solo un
brutto momento. Lui mi ama e mi amerà
ancora >>. Ma intanto andava sempre peggio: non
litigavamo quasi più,
semplicemente perché evitavamo di parlarci. Se non fosse
stato per il pianto
del bimbo, in casa nostra avrebbe regnato il completo silenzio.
Una mattina
Alex mi disse: << Stasera dormo da mia madre
>>. Io non risposi
neppure. Mio marito passava da casa quasi tutti i giorni: stava un
po’ di tempo
con il nostro piccolo e poi se ne andava. In quel periodo non avevamo
mai
parlato di separazione o divorzio, forse non avevamo il coraggio di
affrontare
la realtà e prendere una decisione.
Poi la
situazione cambiò. Alex cominciò a occuparsi
seriamente di Erick, vederlo
crescere lo rendeva orgoglioso e ogni sera faceva sempre più
fatica ad
andarsene. In quelle poche ore che stavamo insieme con il bambino, non
litigavamo più: parlavamo di lui, dei suoi progressi e il
tempo volava.
Una sera il
bambino aveva la febbre e mio marito disse: << Posso
fermarmi qui, così
starai più tranquillo >>. <<
Grazie >>, risposi io. Dormimmo
di nuovo insieme e quella fu la prima di una lunga serie di notti. Alex
era
davvero cambiato e tornammo ad amarci con passione, decidendo persino
di avere
un altro figlio.
Mai scelta
fu più sbagliata: prima della nascita di Sarah, io e mio
marito eravamo di
nuovo ai ferri corti e questa volta la separazione fu inevitabile. Da
allora
sono passati quattro anni e ho cresciuto i miei figli da solo
perché il mio ex
si è guardato bene a darmi una mano concreta.
Erick e
Sarah stanno con me tutta la settimana: io cucino e stiro per loro, li
porto
dal medico quando sono malati, aiuto Erick a fari i compiti, litigo per
non
farli rimanere troppo davanti alla Tv, faccio le corse per andare a
prenderli a
scuola e per portare il maschio al basket e la femmina in piscina. Ecco
perché
la sera sono stanco morto e non mi va di uscire, nonostante Nick
insista tanto.
<<
Non
puoi startene da solo all’infinito! >>, mi
ripete. Ma io ho paura di
incontrare un uomo e dirgli: << Piacere, Blaine. Ho
trent’anni, sono
separato e ho due figli a carico. Ti piaccio lo stesso?
>>. No, grazie,
meglio starsene in casa. Però il mio amico non demorde e
così alla fine cedo.
<<
Domani ho un appuntamento con un ragazzo. Viene con un amico e tu non
puoi
lasciarmi solo >>, mi dice lui.
È
sabato
sera, Erick e Sarah sono con il papà. Mangio qualcosa in
fretta e mi preparo
controvoglia, però alla fine vince il mio senso della moda:
metto un jeans
attillato, una camicia viola e delle semplici scarpe. So di essere
carino.
Nick mi
aspetta sotto casa sua. << Andiamo con la mia macchina,
sali >>, mi
dice. << Ma dov’è
l’appuntamento? >>. << Ci
troviamo
direttamente in discoteca >>, risponde lui.
<< Ma io non voglio
ballare! >>, ribatto irritato. << Troppo
tardi >>, sorride.
Arrivammo in
discoteca, un locale all’aperto in un bellissimo giardino
appena fuori città. I
nostri due “cavalieri” ci aspettano
all’ingresso e Nick mette in chiaro le
cose: << Jeff è quello con i capelli biondi,
con lui ci ballo io. L’altro
si chiama Kurt: non fartelo scappare! >>.
<<
Sono io che voglio scappare >>, ribatto. Mi presento ed
entriamo nel
locale. Nick e Jeff non perdono tempo e scendono subito in pista,
mentre io mi
siedo accanto a Kurt. È carino, avrà qualche anno
in più a me e non ha ancora
pronunciato una parola, però continua a guardarmi cercando
di non farmelo
notare. Poi si fa coraggio e dice: << Dai, andiamo a
ballare >>.
<< Non so se sono ancora capace >>, dico
io. << Segui il
ritmo, al resto ci penso io >>, risponde Kurt.
Mi stringe a
parte. È bravissimo! In pista sembra un’altra
persona: la sua timidezza
scompare, balla sorridendomi e guardandomi fisso negli occhi. Mi
stringe sempre
di più e io mi lascio andare. Mentre stiamo ballando,
appoggio la guancia
contro la sua e lasciamo che la musica ci catturi. Balliamo una serie
infinita
di canzoni, scendiamo dalla pista esausti e beviamo qualcosa di fresco
mentre
investo Kurt di domande.
<<
Ho
trentuno anni, vivo da solo, lavoro in un’agenzia di moda e
vado a ballare con
Jeff almeno tre volte a settimana >>, risponde lui. Poi
chiede: <<
E tu, invece? >>.
<<
Ho
trent’anni, sono separato in attesa di divorzio, faccio il
commesso, ma mi
piacerebbe cantare e questa è la prima volta che ballo dopo
tanti anni
>>. Non gli dico tutta la verità, fingo che
Erick e Sarah non esistono,
tanto sono sicuro che non rivedrò Kurt. Però me
ne vergogno, mi sembra di
rinnegare i miei figli, ma il pensiero svanisce in un attimo
perché arrivano
Nick e Jeff.
<<
Hai
visto che sei ancora capace di ballare >>, dice Nick.
Poi, rivolgendosi a
Kurt: << Blaine ha proprio bisogno di un
ballerino… >>. Io lo
strattono, irritato: non tace mai e si mette sempre in mezzo. Kurt
sorride e
balbetta qualcosa tipo: << A me piacerebbe…
forse se tu… >>. Questa
volta sono io a trascinarlo in pista per vincere l’imbarazzo
di entrambi.
Balliamo e ci scateniamo: sotto la sua guida, le mie gambe ricordano ed
eseguono i passi che avevo dimenticato.
<<
È
ora di andare >>, dico quando il deejay annuncia le
ultime canzoni.
Mentre Nick saluta Jeff, Kurt mi passa un bigliettino: <<
È il mio numero
di telefono. Se hai voglia di ballare, chiamami e organizziamo una
serata
>>. Lo ringrazio però non gli prometto nulla.
Però, una volta a casa,
penso a lui e all’emozione che mi ha fatto provare in pista.
Al mattino
mi sveglio, è domenica, ne approfitto per mettere a posto la
casa, lavare,
stirare e chiamo il mio ex per sapere come stanno i bambini. Poi ricevo
una
telefonata, è Nick.
<<
Allora, come è andata? Mi sembra che tu abbia trovato un
nuovo amico, avete già
deciso quando rivedervi? >>, mi chiede Nick.
<< Non riesci proprio
a farti gli affari tuoi! Kurt è carino, ma non credo che lo
rivedrò >>.
<< Fai male, Jeff mi ha detto che la notte scorsa, mentre
tornavano a
casa, Kurt non ha fatto altro che parlare di te: lo hai cotto in una
sola sera!
>>. << Qui di cotto
c’è solo il pranzo che sto preparando per
domani >>, scherzo io. Poi, se rimanente, aggiungo:
<< Non ho
intenzione di chiamarlo e tu non impicciarti >>.
La domenica
sera il mio ex mi porta Erick e Sarah e tutto torna come prima. Il tran
tran
quotidiano prende il sopravvento, devo ammetterlo, non riesco a
dimenticare
Kurt: mi torna in mente il modo in cui mi ha tenuto stretto.
Venerdì
sera
mi chiama Nick. “Ho dato il tuo numero a Kurt, visto che tu
non l’hai chiamato.
Tira fuori i tuoi vestiti migliori e scatenati”, dice il mio
amico. “Sei una
iena, perché non pensi ai tuoi uomini invece che ai
miei?”, chiedo inviperito.
“Perché io di uomini ne ho parecchi e non mi sento
solo, mentre tu…”. “ Io
cosa? Sentiamo”. “Tu… tu sei un vecchio
gallo solitario. Ciao”.
Insopportabile,
Nick è davvero insopportabile, ma so che si impiccia dei
miei affari perché mi
vuole bene e sa quanto ho sofferto. Sto pensando a questo quando
squilla il
cellulare. So già chi è.
“Scusami
se
mi sono fatto dare il tuo numero da Nick, ma ho una proposta che non
può
aspettare: sabato c’è una festa in un locale
bellissimo. Vieni?”, mi chiede
Kurt senza preamboli. Che cosa faccio? Gli dico di sì?
Silenzio. “Ci sei?”,
insiste lui. “Ok, ci sarò”, rispondo
alla fine, ma sono già pentito. “Se mi
dici dove stai, vengo a prenderti”. “No, ci vediamo
nel parcheggio di fronte al
municipio”. Non voglio che scopra altro su di me e sulla mia
vita. “Bene, a
domani”, chiude lui. Beh, in fondo si tratta solo di ballare.
Me lo merito o no
un po’ di divertimento?
Sabato sera,
mi preparo: un jeans blu, una maglietta grigia con una giacca nera.
Kurt
è già
arrivato, salgo sulla sua macchina e partiamo. Chiacchieriamo dei
nostri rispettivi
lavori, della passione per la musica, delle canzoni che ci piacciono di
più e
io gli racconto persino qualcosa del mio matrimonio fallito,
naturalmente senza
dire nulla dei bambini.
Arriviamo a
destinazione. È un locale sul lago, con la pista da ballo
accanto alla riva e
l’acqua illuminata dalle luci dei paesi rivieraschi. Andiamo
subito a ballare.
Canzoni semplici, da discoteca e poi arriva una canzone difficile da
dimenticare, A Thousand Years. Kurt mi stringe e mi guarda negli occhi,
appoggio la guancia alla sua e ci lasciamo trascinare dal ritmo.
Non so chi
l’abbia deciso per primo, se io o lui, ma ci baciamo:
è un bacio timido, appena
accennato. Non ce ne diamo altri, di baci, ma Kurt mi stringe un
po’ di più.
<<
Ci
vediamo domani sera? La domenica si balla in un locale dopo
l’aperitivo
>>, mi chiede lui a fine serata. Non posso certo dirgli
che è proprio a
quell’ora che il mio ex mi riporta Erick e Sarah.
<< No, non posso
>>, rispondo senza aggiungere altro. <<
Allora mercoledì. Andiamo a
ballare a… >>. << No
>>, lo interrompo, << durante la
settimana sono troppo stanco per uscire. Facciamo sabato prossimo
>>.
<< A sabato prossimo >>, dice Kurt prima di
salutarmi con un altro
piccolo bacio.
Sono
attratto da lui, inutile negarlo, e questa volta sono io a chiamare
Nick per
raccontargli tutto. Lui, come sempre, non usa mezzi termini:
“Sabato prossimo,
dopo il ballo, invitalo a casa tua e così vedrà
tutte le foto dei tuoi figli e
i loro giochi sparsi per le stanze. Se scappa, fattene una ragione, se
resta
portatelo a letto”. “Sei sempre il
solito”, ribatto io. “Mi diverto un sacco a
ballare con Kurt, posso continuare così, poi si
vedrà…”. “Prima o poi dovrai
affrontare la realtà”, tronca Nick.
Durante la
settimana, io e Kurt ci scambiamo una miriade di messaggini e
stabiliamo un
nuovo appuntamento. Sabato passiamo un’altra bellissima
serata, ballando e
baciandoci, e questa volta i nostri non sono timidi baci. Lui vorrebbe
vedermi
il prima possibile, ma io sono irremovibile, non prima di sabato
prossimo.
Telefono
ancora Nick e gli racconto tutto. “Lui è cotto, tu
peggio”, sentenzia lui.
“Avete già…?”. “Lui
mi ha invitato a casa sua, ma io ho rifiutato. Però, la
prossima volta non credo che riuscirò a dirgli di
no”.
Arriva il
sabato tanto atteso e io mi sono preparato a puntino per una serata
importante.
Sono già sulla porta quando il mio ex mi chiama allarmato.
“Mia madre si è
sentita male, la porto in ospedale. Devi venire subito a prendere i
bambini e
tenerli con te anche domani”, mi dice Alex. Corro da lui e
intanto chiamo Kurt
al telefono inventandomi una scusa: “Mi è venuta
la febbre, non posso uscire,
mi dispiace”. “Se hai bisogno di qualcosa posso
fare un salto da te”, si offre.
“No, grazie, non sto così male. Ci
sentiamo”, e chiudo la conversazione.
Mi richiama
il giorno dopo per sapere se sto meglio, chiacchieriamo per
un’ora a telefono
(mi sono chiuso in bagno perché lui non senta le voci dei
bambini) e Kurt mi
dice che ha tanta voglia di rivedermi e di ballare con me. Mi invita
ancora ad
uscire durante la settimana e io rispondo di no, allora prendiamo
appuntamento
per il sabato successivo. Ma la sfortuna è dalla mia parte.
Questa volta
è Erick ad avere la febbre, davvero e non per finta. Chiamo
Kurt e mi invento
un’altra scusa, ma lui è meno accomodante del
solito, le mie parole non lo
convincono del tutto. “Senti, Blaine, se non vuoi
più uscire con me dimmelo. Ci
tengo tanto a te ma so come affrontare una delusione”, dice
scontroso. “No, non
è questo… è che io non
posso…”, balbetto senza trovare una vera risposta.
“Chiamami tu, quando avrai un po’ di tempo per
me”, e chiude piuttosto
arrabbiato.
Lo sto
perdendo, accidenti. Forse aveva ragione Nick: dovevo dirgli la
verità. Ma ora
sarebbe peggio: gli ho mentito più volte, mi sono inventato
un sacco di scuse e
lui lo ha capito. Soffro e maledico quel primo ballo che abbiamo
ballato
stretti, stretti, era meglio se non lo conoscevo.
Visto che
Erick è malato, la domenica i bambini rimangono con me.
Passo il pomeriggio
provando la febbre a mio figlio, che sembra stare decisamente meglio e
ogni
tanto penso al mio ballerino: sono triste, di una tristezza che non
provavo dai
temi della separazione.
Squilla il
campanello e vado ad aprire, spesso la vicina, sbadatissima, viene a
chiedermi
un po’ di sale o di zucchero. Ma non è la mia
vicina, è Kurt.
<<
Non
potevo stare senza vederti, così ho costretto Nick a darmi
il tuo indirizzo
>>, mi travolge lui. Oddio, vorrei che scomparisse
all’istante, anzi
vorrei scomparire io e non tornare più. << Mi
fai entrare o mi lasci
sulla porta? >>, chiede Kurt. Entra, e i bambini gli
vanno incontro
incuriositi. << Tu devi essere Erick e tu Sarah, la mamma
mi ha parlato
tante volte di voi >>, dice lui sorridendo.
Bugiardo. Lo
so chi ha parlato: Nick, è stato lui a dirgli la
verità. Non riesco a muovere
un passo e nella mia mente passano mille pensieri diversi che si
intrecciano
lasciandomi sbigottito. Kurt, invece, è perfettamente a suo
agio. Si siede sul
divano, prende in mano la bambola di Sarah e chiede a Erick se ha la
playstation
e se gli piacciono le figurine dei cartoni animati.
Mentre io mi
riprendo dalla sorpresa, loro tre iniziano a giocare come se si
conoscessero da
sempre. << Ho due nipotini più o meno della
vostra età, mi diverte
tantissimo con loro. Anche a me piacerebbe avere dei figli
>>, dice Kurt
ai bambini, ma capisco che sono parole rivolte a me.
È
quasi
l’ora di cena, metto l’acqua sul fuoco e chiedo a
Erick e Sarah: << Che
preparo? >>. << La pasta >>,
gridano in coro. Poi Sarah si
rivolge a Kurt: << Ti piace pure a te la pasta?
>>. << Sì,
moltissimo >>. << Allora preparo per
quattro >>, dico io
sorridendo.
Credevo che
le sofferenze del mio matrimonio mi avessero indurito e reso
insensibile alle
emozioni, ma non era vero: mentre metto i piatti a tavola, infatti, una
lacrima
di gioia mi scende lungo la guancia.