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Autore: AkaRen    15/01/2013    1 recensioni
L’alba. Da questa posizione posso vedere perfettamente la massa gialla del sole sorgere. Il cielo si dipinge lentamente di rosa e violetto, il mondo circostante assume una tonalità diversa. Sorrido, mi è sempre piaciuto vedere l’alba. Mi calma.
Il silenzio del posto mi fa sentire protetto. Mi avvolge in un caldo e rassicurante abbraccio.
Le luci dei lampioni si sono quasi spente, facendo finalmente spazio alla vera luce. L’unica luce che merita di esistere. L’unica luce che non mi abbandonerà mai.
Un ciuffo mi cade, ribelle, sugli occhi. Lo sposto con delicatezza, continuando a sorridere.
L’alba continua ad avvolgermi. Colma il vuoto che ho nel petto, mi fa sentire vivo. Come non lo sono mai stato.
E mi trasporta in alto con sé. Il mio spirito vola con lei, libero.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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22 novembre 2008

 
 
 
 
L’alba. Da questa posizione posso vedere perfettamente la massa gialla del sole sorgere. Il cielo si dipinge lentamente di rosa e violetto, il mondo circostante assume una tonalità diversa. Sorrido, mi è sempre piaciuto vedere l’alba. Mi calma.
Il silenzio del posto mi fa sentire protetto. Mi avvolge in un caldo e rassicurante abbraccio.
Le luci dei lampioni si sono quasi spente, facendo finalmente spazio alla vera luce. L’unica luce che merita di esistere. L’unica luce che non mi abbandonerà mai.
Un ciuffo mi cade, ribelle, sugli occhi. Lo sposto con delicatezza, continuando a sorridere.
L’alba continua ad avvolgermi. Colma il vuoto che ho nel petto, mi fa sentire vivo. Come non lo sono mai stato.
E mi trasporta in alto con sé. Il mio spirito vola con lei, libero.
 
Improvvisamente mi risveglio dal mio sogno. Apro gli occhi, cercando di mettere a fuoco la stanza. Non è camera mia.
L’odore di chiuso mi riempie le narici. Non mi piace, mi fa sentire oppresso.
Aggrotto le sopracciglia, guardandomi velocemente intorno. Dove mi trovo?
Le pareti sono tutte completamente bianche. Nessun rosa a riscaldarle, a renderle vive.
Mi sento a disagio in questa mancanza di vita. Mi mette i brividi. Ho bisogno del rosa dell’alba.
Ma quando mi affaccio alla finestra non vedo l’alba.
Solo una massa indistinta di nero, schiarita malamente dallasporca luce dei lampioni.
Vorrei urlare, gridare al mondo il mio malessere, ma il bianco mi trattiene. Mi chiude nella sua morsa e non mi permette di fare niente. Nemmeno un suono indistinto esce dalle mie labbra.
Mi ritrovo a tremare. Il mio corpo si muove convulsamente.
Riflette il mio fastidio, esponendolo agli altri. Se ci fosse qualcuno.
Mi piacerebbe anche solo la presenza di un adulto accanto a me. Ma non c’è. Nessun’anima viva a farmi compagnia in questo momento.
Sono solo ad affrontare l’inferno: l’assenza dell’alba.
Sento qualcuno bussare, come se mi avesse letto nel pensiero. Un suono secco e deciso, che si mescola perfettamente con la crudeltà del bianco.
Allungo un orecchio, cercando di captare altri suoni. Ma non sento niente, non c’è più nessun rumore.
Quindi mi giro, dando le spalle alla finestra. La porta davanti a me è uguale alle pareti. Vorrei scappare da questo posto, ma il mio corpo non si muove. Vorrei urlare, ma la mia bocca rimane chiusa.
Davanti a me appare un ragazzo con indosso un abito bianco. Ha i capelli tinti dello stesso colore. Non riesco a vedere altro. Sono incapace di distogliere lo sguardo da quella massa informe.
Quel colore pallido mi dà la nausea. Il mio stomaco è stretto sempre di più in una morsa.
Mi piego in avanti, osservando il pavimento. Bianco.
Metto le mani sulle gambe, e rigetto. Tiro fuori l’anima, tiro fuori il mio disagio. Tiro fuori tutto, fino a che non mi rimane nulla. Nemmeno la più piccola luce di speranza.
Mi accorgo di aver chiuso gli occhi e lentamente li riapro, fissando il ragazzo. Quest’ultimo mi guarda sbigottito, gli occhi spalancati. Probabilmente non sa che fare. O cosa dirmi.
E probabilmente è rimasto sulla soglia perché non si vuole sporcare con il mio vomito.
Continuo a guardarlo, senza sbattere ciglio. Trovo salvezza solo nei suoi occhi: rosa. Non mi interessa che porti le lenti a contatto, quel rosa mi salva e mi porta via con sé. Come l’alba.
Lui tossisce, imbarazzato. Si tocca una ciocca di capelli. I lunghi ciuffi bianchi arrivano fino al mento e gli incorniciano il volto.
“Ehm.. ecco.. numero cinquantotto?” mi chiede, come se non fosse ovvio. Ho il cartellino attaccato al petto, davanti al grande camice bianco.
Annuisco solamente, continuando ad osservarlo. Ora che ho trovato quella salvezza, non la voglio perdere. Non voglio staccare nemmeno per un attimo lo sguardo da quel rosa.
Non so quanto tempo dovrò stare qui, ma fino al momento in cui finalmente me ne andrò, sarò salvo solo grazie a quegli occhi. Solo grazie a quell’alba.
Lui sembra indugiare. Non sa che dire, e forse è proprio perché non c’è niente da dire.
L’unica domanda che mi pongo è come mai sono qui, cos’è questo posto. Vorrei chiederglielo, ma quando apro la bocca non esce nemmeno un filo di voce. Riapro e richiudo le labbra per un altro po’ di volte. Poi lascio perdere.
Non riesco a mormorare niente, credo di aver perso la voce. Non so il momento in cui è successo, ma dev’essere stato mentre dormivo. Mentre sognavo di fondermi con l’alba.
Lui se ne accorge e sorride. Vorrei chiedergli cosa abbia da ridere e lui sembra intuire i miei pensieri.
“Niente. Davvero, non preoccuparti. Non ce l’ho con te”. Rimango fermo. Non annuisco. Sposto solamente gli occhi dal rosa ipnotico e accarezzo con gli occhi la forma del suo viso.
I capelli bianchi continuano a darmi il voltastomaco e cerco di non farci caso. Ma non è facile ignorare quel bianco, se gli incornicia così perfettamente il volto. Fa parte di lui. Non riesco a non sfiorare anche quella massa bianca, morbida.
“Comunque non è un grosso problema il non riuscire a parlare!” mi rassicura. Si guarda intorno. Non dovrebbe essere così titubante nel chiacchierare con me. Sono un suo paziente, dopotutto. E lui è un infermiere.
Mi accorgo di non tremare più. Le convulsioni si sono fermate.
Una lacrima mi scivola sulla guancia. Me la tolgo con rabbia. Ho sempre odiato le lacrime. Non meritano di stare sul viso di nessuno.
L’infermiere mi guarda spalancando gli occhi. Vedo un riflesso nel rosa. Non mi piace. Il rosa è puro, sacro. Non deve in alcun modo essere mischiato con qualcos’altro.
No.Penso. Come se lui potesse sentirmi, come se potesse captare in qualche modo il mio pensiero.
“Allora, numero cinquantotto..” comincia, ritornando a sorridere.
Ma io lo guardo con fastidio. Non sono un numero. Chi ha inventato i numeri? A cosa servono le cifre?
Ho un nome. Voglio essere chiamato con quello. Sono Seunghyun.
“Hai un ricordo felice?” mi chiede, alzando un sopracciglio. Ho sempre odiato quel gesto.
Ripensando alla mia vita vorrei dire di no. Non ho mai avuto bei ricordi. Odiavo i miei genitori. Odiavo mia sorella. Odiavo il mio cane. Odiavo il mio gatto. Odiavo la gente.
Invece annuisco. Perché infondo qualcosa di bello ce l’ho. L’unica cosa che mi fa vivere, l’unica cosa per la quale mi sveglio ogni mattina. L’alba, come i suoi occhi.
Il suo sorriso si allarga, sembra andare da un orecchio all’altro. Questa cosa mi dà fastidio.
“Bene. Meglio. E ricordi qualcosa del motivo per cui sei qui?” continua a chiedermi. Mi sembra di essere sotto un interrogatorio.
Stavolta faccio cenno di diniego. Non so perché sono qui. L’ultimo ricordo che ho è che stavo litigando con i miei genitori. Come al solito. E che è entrata mia sorella. Ho litigato anche con lei.
“Mhm..” sembra pensare un attimo. Si mette la mano sotto il mento nel classico movimento di chi riflette. Scrive qualcosa su un taccuino, poi continua le sue domande.
“Ok, ci lavoreremo su. Odiavi la gente in generale o solo i tuoi genitori e tua sorella?”. Come fa a sapere del mio odio per la mia famiglia? Vorrei chiederglielo, ma mi limito a rispondere.
La gente in generale. Ma litigavo solo con la mia famiglia. Vorrei dirgli anche questo, ma non lo faccio; non mi fido ancora abbastanza di lui per raccontargli più cose su di me. Risponderò solo alle dovute domande, se non si spingeranno troppo in là nella mia vita privata.
Però lui non mi capisce. Aspetta una mia risposta, non riesce a sentire i miei pensieri. E, da una parte, è meglio così.
Non riesco a parlare, quindi non posso dargli una risposta. Il solo pensiero di emettere di nuovo un suono mi fa tremare.
Lo sento sospirare. Che cosa si aspettava? Lo vedo annuire e concludere il nostro primo incontro.
“Ok. Lavoreremo anche sulla tua voce. Non riesco ancora a sentire i tuoi pensieri. A domani”. Si alza e mi dà un’ultima occhiata.
Riguardo velocemente i suoi occhi rosa. Racchiudono in loro l’alba. Sono stato molto fortunato ad avere questo infermiere. Guardarlo mi rilassa. La gente non ha tutti i giorni la fortuna di incontrare occhi rosa.
Si gira e si incammina verso la porta. Uscendo dalla camera.
Ripiombo nel bianco. Mi dà ancora la nausea. Ma almeno ho qualcosa per cui restare: due occhi. Rosa come l’alba.
   
 
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