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Autore: Mikaeru    04/08/2007    7 recensioni
“Perché dovrebbe essere un sogno?”
“Mph… perché è troppo perfetto.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Touka Koukan è una balla

Il Touka Koukan è una balla.

Parole che gli rimbombano in testa, senza la minima intenzione di dargli pace.

Le mani premute sulle orecchie, quasi a fargli male, non servono a nulla.

Esse non sono voci esterne, ch’è possibile fermare.

Vengono dall’interno.

E neppure le suppliche gridate al cielo lo possono aiutare.

Il Touka Koukan è una menzogna.

Voci sottili e maligne che non fanno altro che pizzicare come spilli.

Il Touka Koukan non esiste.

Sadiche come un torturatore che non trova altro godimento che nel dolore e nel patimento.

Il Touka Koukan non ti ridarà mai il tuo tesoro.

E lo vede lì.

In un lago di sangue.

Gli occhi chiari divenuti come fantasmi.     

Le mani giunte in una preghiera ad un Dio che, nell’impossibile eventualità ch’esista, è talmente sordo o disinteressato da non averlo ascoltato nemmeno nel momento culmine della sua esistenza.

La bocca semi aperta, come se stesse sussurrando qualcosa.

Un aiuto, forse.

Richieste perse nell’aria, inesaudite.

La voce gli si congela in gola, le vene si bloccano, come esplodendo.

E addio al cuore, al cervello.

Il Touka Koukan ti ha fottuto.

 

 

Si risveglia in un bagno di sudore. La canottiera gli aderisce al petto che non riesce a smettere di muoversi isterico. Gli occhi dilatati e la pelle così pallida da sembrare quella di un morto.

Si risveglia e si rende conto di non aver più buio intorno. Dalle tende delle finestre penetra il forte Sole estivo di una mattina inoltrata.

Domenica, di sicuro, altrimenti non sarebbe ancora a poltrire.

Un altro. Ancora un altro.

L’ennesimo.

Devono smetterla! Smettete, smettete!

Un incubo, un incubo, un fottutissimo e palpabile incubo. Così nero e così denso – come petrolio, come fango – che quasi lo stava per inghiottire.

Gli è sembrato tutto così vero, così doloroso – come le esperienze vere e vissute – che il petto gli duole in modo inimmaginabile.

Si guarda le mani, portandole agli occhi, e tremano, incessantemente.

E gli ordini che lui dà loro vengono completamente ignorate.

Come se le sue mani fossero quel Dio in cui non ha mai creduto, e in cui continuerà a non credere, di cui seguiterà a professare l’inesistenza fin quando avrà fiato.

Il respiro non ha intenzione di farsi regolare, disubbidente anche lui di fronte agli ordini del proprio padrone.

Mormorii sconnessi escono dalla sua bocca, sillabe senza senso, pezzi di puzzle impossibili da unire.

Neppure lui sa se abbiano un senso.

Sono lettere nate da vocaboli saturi di paura liquida, inframmezzate da singhiozzi che gli agitano, convulsi, la spina dorsale.

Poi muove la testa di lato.

Un gesto che neppure vorrebbe compiere, ma è come se il capo si muovesse per cavoli suoi – quasi sadico nei suoi confronti nel volerlo farlo scontrare con la verità.

Con l’assoluta certezza di non trovare nessuno al fianco, con la convinzione di tastare l’altra parte di materasso e trovarla fredda, gelata – forse appena tiepida per il Sole. Come ieri, come l’altro ieri, come i mille giorni trascorsi nell’ascoltare solo il proprio respiro e il solo proprio battito cardiaco.

Ma si ritrova ad avere di nuovo gli occhi sbarrati.

Lì c’è qualcuno.

Ronfa beato con la testa perfettamente nel mezzo del cuscino.

Capelli castano chiaro, che emanano un buon profumo, sembrano essere appena stati tagliati.

Canottiera e boxer, questi abbassati fino all’inizio del sedere.

Tutto sommato, dorme in modo abbastanza composto.

Si mette a boccheggiare, perché non sa inizialmente riconoscerlo.

E quello si sveglia. O, meglio, inizia a farlo.

Sbadiglia apertamente, con grande movenza della bocca. Si alza a sedere e si sfrega gli occhi, poi stiracchiandosi.

Sorride leggermente – quel che gli consente il cervello ancora annebbiato dalla lunghissima dormita (dodici ore di fila, circa, si è concesso per ricaricare le batterie del corpo).

“Buongiorno, niisan. Dormito bene?”

E la persona interpellata avrebbe bisogno di un secchio d’acqua gelata in faccia per rendersi conto che non è tutta una visione onirica.

 

E’ stato solo un incubo.

Ma è stato così forte da convincerti?

E’ stato l’incubo a fregarti. Non il Touka Koukan.

E’ stato lui a prenderti in giro.

Lui che hai davanti è reale.

Tutto quel che hai intorno è reale.

Ti sei reso conto che non hai più un braccio meccanico, no?

No, probabilmente no.

Troppo preso ad ansimare.

E dire che non stai nemmeno facendo l’amore…

 

Al… Al?”

“Sì, niisan, so come mi chiamo, non credo ci sia bisogno di ripetermelo…”

Sei… vivo?”

“Eh?”

“Sei… qui?”

“Certo che sei strano stamattina, niisan… hai fame?”

Al mette i piedi sul pavimento, stirandosi, e fa per andare via dalla loro camera da letto, quando il suo niisan lo prende per la vita, costringendolo a tornare a letto, tra le sue gambe allargate, appoggiato al suo petto.

Wa!!”

“Non andartene…”

Affonda il naso tra i suoi capelli. E’ l’artificiale profumo dello shampoo – non è alla frutta, alla crema, o chissà quale vezzoso aroma perlopiù adatto alle donne, è al sapor di… shampoo –, ma gli è impossibile non marchiarlo come quello di Al.

Giura a se stesso di non fargli mai cambiare marca di shampoo.

“Niisan, non vado a morire! Ma sei tu che morirai se non mangi qualcosa subito! Sento i rimbombi del tuo stomaco! E probabilmente li sente anche Winry, a casa sua…”

Edward mormora e mugola, senza pronunciare una parola in merito.

“Certo che sei strano…”

E’ una leggera risata quella che rimbomba nelle pareti del cranio di Ed.

Come acqua pulita le puliscono dalle parole colanti sporco del suo incubo.

“Sì, sono strano…”

Il naso passa alla spalla nuda – scesa la spallina per volere della mano di Edward – e si inebria anche dell’odore della sua pelle.

“Non siamo in un sogno, vero, Al?”

Quello pensa bene di tirargli un pizzicotto alla coscia, torcendo un po’ la carne tra le dita.

“… no, non lo è, dann…”

E il niisan risponde. Ma l’altro non replica nuovamente, o non finirebbero mai.

Perché dovrebbe essere un sogno?”

Mph… perché è troppo perfetto.”

Troppo bello per sembrargli vero.

Come le statue di cristallo, come le tazze di porcellana, come i quadri antichi.

Così belli, così intoccabili. Così impalpabili.

Così falsi.

Non c’è nulla di vero nel cristallo, nella porcellana finemente cesellata, nella tempera stesa a regola d’arte.

E’ tutta un’imitazione della realtà.

Ma quella non deve (non deve non deve non deve non deve) essere un’imitazione, un falso.

(O impazzirà.)

Gli accarezza il collo con le labbra, salandosele col suo sapore.

“Talmente perfetto che ho paura che si spezzi da un momento all’altro. Le cose belle finiscono, o si rompono.”

Cazzate, niisan. Tu non sei ancora finito. E nemmeno tutto questo finirà. Baka no niisan.”

La stretta intorno alla vita si fa più forte, e il respiro sulla sua pelle più caldo.

Il dolore alla coscia gli ricorda, ancora una volta nel giro di un paio di minuti, che è tutto vero, che deve smetterla di essere scettico.

Qui non si tratta di credere in Dio.

Lì non c’è Dio.

C’è solo Alphonse.

Ch’è un po’ meglio.

Perché lui lo ascolta.

 

 

 

Scritta in poco meno di un paio d’ore, solo per colei a cui la dedico. Una piccola sorpresa per quando ritornerà.

E’ bruttina, inutile, niente di che – niente, al confronto di quelle che lei mi dedica.

Gliela dedico con tutto il mio amore.

Lei dovrebbe intuire.

E s’è tontola come le dico sempre di essere, le do un piccolo indizio: tredici agosto.

E’ un po’ quello che credo penserò ogni mattina anch’io.

Mio piccolo Aru.

  
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