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Autore: cassiana    05/08/2007    4 recensioni
Una ragazza in fuga ha solo un modo per essere lasciata in pace e a volte non basta neanche quello!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.



Quando la mano si serrò sul suo polso un brivido percorse la schiena della giovane ladra. Un uomo imponente sopra di lei la guardava con aria truce.
“Adesso dovrei fartela tagliare” sibilò con voce pacata. La mano era ancora parzialmente infilata nella sacca dell’uomo. Questi scrollò la testa.
“Sei ancora poco più di un bambino…” mormorò.
La ladruncola non osò contraddire il signore. Era talmente sporca e malvestita che a malapena s’indovinava il colore della sua pelle, figurarsi il sesso! I suoi occhi continuavano a guardarlo sgranati per il terrore. Ma inspiegabilmente l’uomo sospirò e alleggerì la stretta.
“Non mi piace questa città e non mi piacciono i suoi usi. Vieni, avrai fame”
La ladruncola annuì ancora con gli occhi sbarrati.
“Sei muto ragazzino?” chiese incuriosito e per niente impietosito l’uomo. La ragazza si affrettò a balbettare un no e alla richiesta dell’uomo lì per lì gli disse il primo nome che le passò per la mente.
“Bene Ratto ti sei guadagnato un pasto caldo”
Sempre tenendola per la mano, metà trascinandola, metà strattonandola giunsero ad una taverna. La giovane ladra non era sicura di potersi fidare, ma cosa avrebbe potuto lei nei confronti di quell’uomo? Era alto e grosso, i capelli biondi e riccioluti legati dietro al capo e una fluente barba anch’essa bionda. Mentre lei era piccola e scura, solo gli occhi verdi ed enormi risaltavano sul suo viso per il resto abbastanza insignificante. Certo non tanto da lasciare immuni i sensi di suo zio, giù alla fattoria. L’aveva accolta in casa quando era rimasta orfana, vivevano insieme ai suoi molti cugini, ma quando le sue forme erano cominciate a sbocciare lo zio aveva cominciato a guardarla con uno sguardo avido e quando l’aveva stretta in un angolo pronto a saltarle addosso lei era riuscita a divincolarsi e fuggire. La città era poco lontana e lei si era rifugiata lì sicura che tra le moltitudini dei ragazzi di strada sarebbe stata relativamente protetta dalle ricerche dello zio.
“Allora ti ho chiesto cosa vorresti da mangiare” le parole dell’uomo interruppero le sue riflessioni, si riscosse prontamente dandosi della stupida, era per distrazioni come quelle che si era trovata nei guai. Minah si lasciò cadere sulla sedia di fronte all’uomo e chiese un pasticcio di carne. L’uomo prese lo stesso e guardò per lunghi secondi il ragazzino di fronte a lui. Si era un ladro, si c’era poco da fidarsi, ma lui era rimasto l’unico del suo drappello di mercenari, era giunto in quella città sporco, esausto e ferito. Era rimasto giusto il tempo necessario per far guarire la sua ferita al braccio, poi si sarebbe messo in cammino. Non sapeva nemmeno perché si prendeva la briga di aiutare quel ragazzo, ma c’era un qualcosa che gli smuoveva una sensazione singolare dentro. Forse per i suoi enormi occhi che lo facevano somigliare ad un cucciolo smarrito. Jano l’osservò mangiare voracemente il suo pasto, le guance quasi deformate nella fretta di contenere più cibo possibile. Gli scappò una risata.
“Piano piano! Quella carne non scapperà da nessuna parte!”
Minah arrossì violentemente e posò il pane che stava per ficcarsi in bocca. Jano le parlò, le disse che aveva in mente di portarlo con sé, era rimasto solo e gli serviva qualcuno che lo aiutasse. Mentre lo diceva aveva lo sguardo incupito rivolto chissà a quale ricordo. Minah inghiottì lentamente il boccone, le stava chiedendo di andare con lui, lasciare quella puzzolente città, smettere di rubare per sopravvivere. Minah non riusciva a crederci, non poteva crederci. Che avesse capito che era una ragazza? Ma non vedeva come aveva potuto riuscirci.
“Allora piccolo, accetti di venire con me e magari imparare anche qualcosa? O preferisci vivere di stenti qui?”
Minah si buttò, aveva forse qualcosa da perdere? Ed accettò.

Camminavano sulla strada principale che portava ad ovest, il caldo era intenso e Minah sudava copiosamente infagottata com’era. Jano viaggiava a cavallo e si era tolto il mantello, la sua giubba color ruggine spiccava sulla camicia bianca. Più volte aveva invitato Minah a scoprirsi ma lei non ne aveva voluto sapere, troppa era la sua paura di mostrare troppo e farsi scoprire. Procedevano tranquilli verso il tramonto quando tre uomini saltarono fuori dai margini della strada intimando loro di mollare l’oro se avevano cara la vita. Minah rimase terrorizzata, il cavallo di Jano s’impennò e con gli zoccoli colpì al fianco uno dei briganti che lasciò cadere la sua spada.
Minah se la ritrovò in mano quasi contro la sua volontà e cominciò a menar fendenti, il più delle volte ad occhi chiusi. Sentiva i grugniti degli uomini che combattevano, le loro urla quando venivano colpiti. Prima di quanto pensasse la scaramuccia con i banditi era finita: a terra ne rimanevano due, un altro era fuggito. Ma il cavallo di Jano era rimasto gravemente ferito. Era disteso a terra e tremava, un lungo squarcio si apriva sul ventre.
“Mio buon amico” mormorava commosso il mercenario. Minah si lasciò cadere vicino la testa del cavallo accarezzandogli la criniera. Sentì le lacrime pungerle gli occhi, poi una solitaria scenderle lentamente lungo una guancia. Tirò su col naso.
“Sei un ragazzo sensibile e lui era un buon cavallo. Diamogli la pace, ecco come si comporta un uomo” e con un gesto veloce recise la giugulare dell’animale.
Minah trasalì, il sangue scuro si allargava sotto la testa del cavallo che tremò un ultima volta e rimase quieto. I suoi grandi occhi color cioccolato divennero opachi. L’uomo si alzò e per qualche secondo restò a osservare il fedele compagno.
“Avanti Ratto scaviamo una buca per lui, non lasciamo che gli uccelli si nutrano della sua carne”
Ancora scossa Minah si alzò tremando ed aiutò Jano a scavare una grande fossa. Ci gettarono dentro delicatamente il cavallo ricoprendolo di terra ed erba.
Poi Minah chiese che cosa avrebbero dovuto fare dei due uomini morti sulla strada, li guardò a malapena rabbrividendo.
“Per me possono essere lasciati ai vermi, presto verrà qualcuno a toglierli di lì” rispose l’uomo alzando le spalle con indifferenza.
“E così siamo rimasti appiedati…oh bè gamba in spalle amico mio” .
Minah si rese conto che non tutto il sangue che copriva Jano era dei banditi.
“Sei ferito!” esclamò. Jano fece un smorfia, accorgendosi solo allora del dolore. La gamba era stata colpita solo di striscio, ma sentiva un bruciore d’inferno al fianco destro.
“Adesso camminiamo, appena troviamo un posto adatto ci fermeremo”
Minah era colpita, lo guardò zoppicare davanti a lei e si affrettò a raggiungerlo.
Dopo un paio d’ore di cammino, durante le quali procedevano sempre più lentamente, scorsero in lontananza un abbeveratoio per animali. Abbandonarono la strada e si diressero da quella parte. Era una grande vasca collegata ad un pozzo lì accanto ed era piena di acqua dolce e fresca. Jano si tolse lentamente la giubba e la camicia ormai intrisa di sangue. Minah l’aiutò maldestramente. Il petto dell’uomo era possente e muscoloso, solcato da cicatrici, come le braccia. Chissà quante battaglie aveva combattuto. Sulla pelle chiara brillavano riccioli biondi. Minah toccò delicatamente la ferita al fianco cercando di pulirla. Non era mai stata così vicina ad un uomo prima d’ora, soprattutto non aveva mai toccato un uomo. Per fortuna Jano non si accorse del suo turbamento, aveva gli occhi chiusi.
“La ferita è aperta? “ domandò soltanto. Quando Minah rispose positivamente lui le ordinò di cucirla. Minah si rifiutò, non l’aveva mai fatto, aveva troppa paura di sbagliare. Ma Jano non volle sentire ragioni, se la ferita non si fosse richiusa si sarebbe infettata e lui, rivolto a Minah, doveva cominciare a diventare un uomo!
Minah sorrise amaramente, non aveva nessuna intenzione di diventare un uomo, ma avrebbe dovuto se questo era il prezzo della libertà. Nella sacca trovò del filo e degli aghi, con concentrazione estrema spinse l’ago nella carne del suo compagno che aveva cominciato a sudare. Il suo odore le fece girare la testa, ma Minah strinse i denti concentrandosi solo sul suo compito, fu delicata e veloce e ben presto riuscì a suturare la ferita. Quando sollevò la testa sorridendo vide che l’uomo la guardava, le contemplava le dita sottili. Di colpo si alzò in piedi e andò ad intridere una pezza nell’acqua fredda.
“Quanti anni hai Ratto?”
Ne aveva sedici, rispose quattordici. L’uomo continuava a guardare il suo corpo magro e flessuoso che si muoveva morbidamente. Poi distolse improvvisamente lo sguardo, confuso e infastidito, non avrebbe mai ammesso di essere attirato da un ragazzo, lui che aveva avuto tante donne quante erano le ferite sul suo corpo. Minah si accorse con orrore che aveva cominciato ad ancheggiare, ecco cosa accadeva a stare troppo vicina ad un uomo, il suo corpo la stava tradendo. Si sforzò di assumere un’andature più maschile, sperando che Jano fosse tropo preso dalla sua ferita per fare attenzione a lei. Fasciò il fianco dell’uomo con eccessiva rudezza facendo finta di non accorgersi che lui trasaliva. Quella notte fecero campo lì vicino.
La mattina seguente, mentre raccoglievano le proprie cose Minah si accorse di aver ancora con sé la spada del bandito, fece per lasciarla lì, ma Jano la convinse a prenderla.
“Ieri sei stato coraggioso, ma hai rischiato di far male quasi più a te stesso che a quei cani! Un po’ di lezioni non ti farebbero male!”
Minah guardò la spada che aveva in mano, era pesante, dall’impugnatura piuttosto rozza, non un’arma di gran fattura. Ma il filo era ancora tagliente e sporco di sangue. Per prima cosa Jano le insegnò che doveva sempre pulire la lama e riporla con cura nel fodero. La sua spada era tenuta in una custodia legata dietro la schiena, era il modo migliore per tenerla, sempre a portata di mano, ma senza intralciare i movimenti. Poi le fece vedere qual’era la posizione migliore: una volta sguainata la spada, le gambe larghe lievemente flesse e di sbieco nei confronti dell’avversario così da offrire un bersaglio minore all’attacco dell’altro. Le fece ripetere più volte i movimenti appena imparatati, guardia, affondo, stoccata, guardia, ancora e ancora fino a quando Minah lasciò cadere la spada a terra, esausta.
“Già stanco? – sogghignò Jano – va bene per oggi basta così!” e le scompigliò gli arruffati capelli neri. Minah sedette imbronciata nel suo angolo, tirandosi su le ginocchia tra le braccia e guardò intensamente l’uomo che le sedeva davanti.
“Raccontami qualche tua avventura!” implorò. Jano sorrise, c’erano cose che un ragazzino sensibile come lui non dovrebbe sentire. Il suo sguardo s’incupì, e cose che uomini valorosi non dovrebbero fare, pensò amaramente andando col ricordo all’ultima “impresa” compiuta dai suoi compagni d’arme…
”Adesso Ratto riposa, ti chiamo io per il tuo turno” e Minah si lasciò cadere su un fianco ascoltando il crepitio del fuoco e il respiro di Jano fino a che non si addormentò.

Man mano che procedevano verso occidente Minah si sentiva sempre più inquieta, cominciava a riconoscere luoghi a lei familiari, accorciava il passo, si guardava attorno sospettosa.
“Avanti Ratto che ti piglia? Conosci questi posti? Bene, allora saprai indicarmi una fattoria dove potremo fermarci. Questo maledetto fianco fa un male cane”
Minah lo guardò inorridita, era proprio l’ultima cosa che voleva fare! E se avesse incontrato qualcuno che l’avesse riconosciuta? Jano si fermò.
“Aspetta un momento…” le alzò il mento con una mano e la scrutò in viso attentamente.
“Ora ho capito…” il cuore di Minah fece una capriola poi smise di battere del tutto. Si costrinse a non tremare.
“Sei scappato di casa! Ed è qui che abitavi, giusto?”
Minah quasi svenne dal sollievo. Annuì più volte con forza e farfugliò qualcosa sullo zio, Jano non capì. Ma comprese la paura del ragazzo, vedeva bene che era piuttosto effeminato e probabilmente per quel motivo era fuggito di casa. Chissà se era solo timido, invece, fatto sta che dubitava sarebbe riuscito a trasformarlo in un uomo, ma forse a cavarsela da solo si.
“Va bene va bene! Calmati per l’amor degli dei! Ma troviamo un posto per rifugiarci, non lo senti il vento che si è alzato?”
In effetti il cielo si era scurito, nuvole di piombo gravavano su di esso col loro carico di acqua. Una goccia cadde su quel momento sul naso di Minah seguita da numerose sorelle fino a che le nubi non lasciarono andare tutto il proprio carico. I due cominciarono a correre infradiciandosi sempre di più. Minah ricordava che c’era un ricovero per animali, più avanti, ogni tanto si fermava per orientarsi e poi ricominciava a correre. Sentiva che Jano dietro di lei teneva il passo brontolando ed imprecando. Finalmente giunsero alla stalla, poco più che tre pareti di legno tirate su alla bell’e meglio, meglio di niente. Minah e Jano tremavano dal freddo. Accesero in fretta e furia un fuoco stentato e si accoccolarono vicino ad esso.
Minah tremava non solo per il freddo, avrebbe voluto accoccolarsi sul petto di Jano e stare così protetta e al caldo. Non si era mai sentita così, nessun uomo le aveva mai fatto battere il cuore in quel modo. Anzi nessuno le aveva proprio mai fatto battere il cuore. Non che ci fossero molti uomini alla fattoria a parte quello sporcaccione dello zio e in città…in città era troppo concentrata a sopravivere. Ma adesso si sentiva languida e anelava un contatto che non ci sarebbe stato. E non solo perché Jano fosse bello e forte, ma perché era gentile e buono in quel suo modo ruvido. Chissà cosa aveva dovuto vedere durante tutti quegli anni da mercenario. Ma nulla di ciò che provava doveva trasparire dal suo volto o dal suo comportamento, mai. Avrebbe tradito la sua fiducia in lui, lei…sorrise amaramente.
Jano era perso nei suoi pensieri, ricordava quando qualche mese prima aveva lasciato pieno di disgusto la sua compagnia, uomini d’onore che si erano comportati come animali. Il loro capitano era stato ucciso in uno scontro con i mercenari della parte avversaria, pieni di rabbia e dolore si erano dati ad inseguirli fino a giungere ad un villaggio e lì…lì…sospirò, a che serviva ricordare ancora e rodersi il fegato. Lui si era rifiutato di seguire il loro esempio, aveva voltato il cavallo appena in tempo. Scrollò la testa, com’era possibile che uomini d’onore si comportassero come animali…se lo ripeteva giorno e notte, come una cantilena, il punto di partenza e d’arrivo di ogni sua riflessione. Ratto accanto a lui tremava, era bagnato come un pulcino ma stava discosto, per conto suo. Gli dei solo sapevano che problemi avesse!

Erano diversi giorni che camminavano e Minah non aveva la più pallida idea di dove stessero andando. Neanche Jano lo sapeva, la sua idea era quella di bighellonare fino a quando non avesse trovato un ingaggio, certo con quel ragazzino appresso non sarebbe stato facile. Improvvisamente si fermò e Minah incespicò dietro di lui, andandogli quasi a sbattere contro.
“Ascolta Ratto, io devo cercarmi un incarico, ma tu non sei abbastanza grande e forte per venire con me. Sei molto coraggioso e diligente, ma – alzò le spalle – non tutti possono fare i guerrieri.”
Minah sentì il mento tremare ma non avrebbe pianto.
“Mi allenerò di più! E puoi dire che sono tuo figlio e…”
“Al prossimo villaggio cercheremo qualcosa da farti fare. Mi dispiace, ma è la soluzione migliore…Sei un bravo ragazzo” l’interruppe Jano curvando un po’ le spalle.
“Ma non puoi! Perché mi hai preso con te allora! Perché non lasciarmi in città! Non andrò in uno stupido villaggio a fare uno stupido lavoro! Voglio venire con te Jano!!”
“Va bene, va bene, quando saremo lì ci penseremo” capitolò per il momento il grosso uomo biondo.
Minah camminava davanti a lui a grandi passi, era delusa, infuriata. Aveva visto giusto allora, non c’era da fidarsi degli uomini, di nessun uomo! E per fortuna che la prendeva per un ragazzo! Al diavolo la sua barba bionda, al diavolo i suoi occhi buoni, al diavolo tutto!
Jano la guardava un po’ dispiaciuto un po’ divertito, era un ragazzo, gli sarebbe passata, o almeno così sperava.
Sulla strada non potevano tornare, ormai i corpi dei banditi dovevano esser stati scoperti e c’era il pericolo che le guardie li stessero cercando per riportarli in città, interrogarli e magari incarcerarli o peggio. Conveniva che continuassero a tagliare per i campi, o i boschi come quello che si apriva davanti a loro. Vi si addentrarono con decisione.
“Sei mai stato da queste parti Ratto?”
“Non così lontano”
Ma la foresta sembrava innocua. Si addentrarono nel folto. Il sole creava strani ghirigori arabescati nel sottobosco dando alla foresta l’aspetto di un arazzo formato da grovigli bizzarri. S’inoltrarono sempre più nella ombrosità verde. Gli uccelli cantavano, trillavano, fischiavano, ogni tanto un musetto faceva capolino tra i cespugli per poi immergersi di nuovo nel sottobosco, industriosi scoiattoli correvano su e giù lungo i tronchi degli alberi secolari.
Camminavano lentamente, adesso, godendosi la pace del bosco. Man mano che passavano le ore il caldo si faceva più opprimente e i loro stomaci borbottavano insistentemente. Prepararono un bivacco. Minah ne approfittò per allenarsi con la spada. La rabbia le dava la forza per violenti colpi ai cespugli decapitandone parecchi. Jano vedendo quella scena rise di cuore creando un altro impeto di rabbia nella ragazza che raddoppiò i suoi sforzi. Jano la prese da dietro.
“Adesso basta, ragazzo, basta”
Minah sembrò calmarsi al tocco delle sue mani robuste, appoggiandosi brevemente al suo petto ampio, ansimava, ma non poteva rilassarsi e ricominciò a divincolarsi sempre più violentemente. Come avrebbe potuto fargli capire che l’unica cosa che desiderava al mondo era farsi tenere stretta da lui? Ma Jano aveva perso la pazienza, la prese di peso e la scaraventò a terra. Minah boccheggiò per l’impatto. La guardava dall’alto, sprezzante.
“Portarti con me? Un ragazzino isterico?” e si voltò allontanandosi a grandi passi. Minah si raggomitolò su se stessa, le braccia doloranti per la stretta, il fianco sul quale era caduta le faceva male, digrignò i denti, non avrebbe pianto, serrò gli occhi per impedire che le lacrime inondassero il suo viso smunto.
Jano camminava furioso, più con se stesso che con Ratto. Non avrebbe voluto trattarlo così duramente, ma non era pentito. Ratto ne aveva bisogno o non sarebbe mai diventato un uomo. Aveva la stoffa per farlo, era solo molto giovane. Quando l’aveva stretto a sé aveva provato un calore strano. Quando Ratto si era appoggiato al suo petto, quell’unico momento, aveva sentito dentro una ben nota sensazione, una sensazione che non aveva mai provato per un ragazzo e ciò lo aveva spaventato e disgustato ed era per questo che l’aveva gettato a terra, lontano da lui. Non voleva sentirsi attratto da un maschio, non era un maledetto invertito! Razionalmente si era convinto che l’affetto che provava per lui fosse dettato dalla pietà che provava per Ratto, piccolo, solo, patetico ragazzino, e non nascesse da quei suoi occhi verdi come pascoli montani o dai suoi fianchi rotondi o… maledizione!
Durante le sue elucubrazioni non aveva mai perso di vista il sentiero che aveva preso dal bivacco ed era arrivato ad un piccolo laghetto alimentato da un fiumiciattolo che si perdeva tra il folto. Un bagno, ecco, un bel bagno freddo avrebbe fatto bene a tutti e due! E tornò sui suoi passi.
“Vieni con me” disse ad una Minah ricomposta e più cupa che mai. Seguì l’uomo fino alla polla d’acqua, la guardò con desiderio.
“Avanti Ratto siamo luridi!”
“Vai avanti tu, io mi bagnerò dopo…” provò a rimandare Minah.
“Dopo non c’è tempo” l’interruppe Jano togliendosi la camicia. Minah si strinse ancora più nei suoi stracci. Jano era pressoché nudo solo i lombi erano coperti da corte braghe. Si voltò, sicuro che Ratto si fosse spogliato, anzi stupito che ancora non si fosse buttato con impeto nell’acqua schiamazzando e ridendo come facevano tutti i ragazzi della sua età. E invece lo trovò là con gli occhi sbarrati ancora tutto vestito. Ma che razza di problema aveva? Esasperato Jano lo prese nuovamente di peso e lo buttò nell’acqua tuffandosi poi a sua volta…e che diamine!
Minah riemerse sputando e imprecando, senza sognarsi di levarsi nessuno dei suoi stracci che però le intralciavano i movimenti portandola a fondo. Jano in un primo momento aveva riso, poi l’aveva presa tra le braccia cercando di toglierle gli indumenti pesanti non senza fatica
“Buono su, sei allergico all’acqua? Eh – rise – ora capisco oerchè ti chiamano Ratto!”
Minah era disperata, doveva uscire di lì prima che lui riuscisse del tutto a spogliarla, prima che si rendesse conto che lei non era un dannato ragazzo! Perciò continuò ad agitarsi, a scalciare mentre sempre più strati di vestiti venivano via galleggiando nell’acqua.
“Ehi ma che diavolo…”
Ecco! Minah chiuse gli occhi, Jano aveva appoggiato le mani sui suoi seni, una era scivolata lungo il fianco. Jano, al colmo della sorpresa fece un balzo indietro lasciandola finalmente andare. Minah arrancò fuori dall’acqua raccogliendo i vestititi che trovava sulla sua strada. L’unica tunica che le era rimasta addosso aderiva bagnata alla pelle modellandosi sulle sue curve.
Jano era completamente sbalordito.
”Oh per gli dei, per tutti gli stramaledettissimi dei, sei un feminèn! Sei uno di quegli scherzi di natura metà maschi e metà…”
Minah avrebbe voluto ridere se non le fosse venuto da piangere. Possibile che per quel grosso stupido uomo fosse così impossibile che lei fosse una ragazza, che fosse in grado di sopravvivere tutta sola e imparare a combattere! Ma annuì stancamente, disperatamente.
Jano era ancora stupefatto, uscì dall’acqua e velocemente si rivestì. Non disse una parola, mentre accendeva il fuoco e rimase pensieroso tutta la sera. E il giorno dopo le parlò solo quando era strettamente necessario. Minah procedeva a testa china, non sapeva neanche cosa poteva fare ancora. Sapeva che il suo destino era segnato, sapeva che lui ora provava solo disgusto per lei, forse compassione, perché era un mostro, e si sarebbe liberato di lei il più presto possibile. Perché allora non dirgli la verità, lei non era un mostro, lei era solo una sciocca e maldestra ragazza che chissà cosa credeva di fare. Stava quasi per indursi a parlare quando un verso ferino ferì loro i timpani. Dalla vegetazione uscì un enorme orso con la bava alla bocca e lo sguardo folle. Si fermò con sguardo malevolo solo un istante prima di avventarsi su di loro. Minah urlò sguainando la spada, non vedeva dov’era Jano, non le importava quasi più, le zanne della bestia si chiusero un attimo prima che il compagno la buttasse a terra con una spallata. Adesso era lui di fronte all’orso selvaggio.
L’animale lo incalzava con gli artigli incredibilmente affilati, facendosi via via sotto. L’uomo saltellava cercando di tenersi lontano dalla portata delle zanne e delle unghie dell’orso ma non tanto da non poterlo colpire con la sua arma. Minah si riscosse, maschio o femmina che fosse Jano era suo amico e doveva aiutarlo. Con esasperante lentezza e il più silenziosamente possibile si portò dietro l’enorme schiena dell’orso, fulminea lo colpì ad un fianco affondando fino all’elsa la sua spada. La fiera s’inarcò urlando e lasciando indifesa la gola.
Jano affondò allora la sua spada nella gola dell’orso, ma quello con un ultimo impeto si girò verso Minah e le artigliò una gamba. Poi cadde pesantemente a terra, già impregnata del suo sangue scuro. Jano dopo essersi assicurato che l’orso fosse realmente morto si lanciò a soccorre il ragazzo. Le unghie avevano colpito ad una coscia, i pantaloni di Minah stavano inzuppandosi di sangue. Jano, senza che lei potesse impedirglielo li tagliò per lasciare scoperta la ferita. Minah gemette. Con fare esperto Jano pulì la lesione mormorando parole incoraggianti. Per fortuna non era niente di grave, non c’era neanche da ricucire. Le mani di Jano si muovevano delicatamente sulla gamba bianca ed affusolata della ragazza, il suo tocco lieve trasmetteva un delizioso brivido di piacere misto a dolore. L’uomo era concentrato sul suo lavoro cercando di non farsi distrarre dalla pelle sottile e morbida del ragazzo.
“Fatto!” esclamò alzandosi.
“Ce la fai a camminare?” ad un cenno affermativo di Minah l’aiutò ad alzarsi in piedi e lentamente, appoggiandosi l’uno all’altro proseguirono per qualche altro tempo nel bosco. Finalmente si lasciarono la foresta alle spalle ritrovando un tratto di strada, forse quella che avevano lasciato qualche giorno prima.
“La cosa migliore da fare è trovare un qualche posto dove poter riposare un po’, mangiare come si deve e magari anche bere un buon boccale di birra!”
Minah era troppo esausta per rispondere ma approvava con tutto il cuore. Jano improvvisamente sbottò a ridere.
“Ma guardaci! Facciamo proprio una bella coppia! Sembriamo due cani randagi!” Minah ridacchiò.
C’era un po’ di traffico lungo la strada, dei contadini portavano i prodotti dei loro campi su carretti, un paio di cavalieri, alcune donne che camminavano serratamente. Una locanda si affacciava proprio sulla strada, Minah e Jano la guardarono con sollievo allungando il passo per raggiungerla il prima possibile.
Sedettero ad uno dei tavolacci, mangiando e bevendo silenziosamente. Mentre Jano andava dal locandiere per prendere una stanza e altra birra, Minah si guardava attorno, stava calando la sera e molti uomini lì dentro stavano bevendo da prima ancora che i due entrassero. Un uomo la guardava insistentemente, lei distolse in fretta lo sguardo, l’uomo si chinò verso il suo compagno mormorando una volgarità e l’altro rise sguaiatamente. Poi i due si alzarono.
“Ehi ragazzino il tuo uomo ti ha lasciato solo!” Minah abbassò gli occhi ma non rispose.
“Allora, finocchio!” l’uomo era visibilmente ubriaco, Minah sentì la rabbia montarle dentro, aveva una spada e sapeva usarla.
“Il finocchietto non parla, hai visto Buth, chissà quanto ne ha preso!”
Minah si alzò in piedi di scatto, intenzionata a sguainare la spada. Non aveva ancora detto una parola, ma avrebbe sbudellato quel fanfarone. Dietro gli uomini comparve Jano pallido di rabbia, diede uno sguardo d’intesa a Minah che si rilassò. Gli uomini si voltarono e si ritrovarono uno Jano dagli occhi di brace, furioso ma spaventosamente calmo. Gli uomini smisero di ridere.
“Adesso ve ne ritornate nella fogna dalla quale siete usciti mentre io accompagnerò questo ragazzo nella sua camera” disse con voce mortalmente bassa, i muscoli guizzanti di energia repressa. Gli uomini non ebbero il coraggio di replicare. Jano e Minah salirono le scale in silenzio entrambi risentiti ed accigliati.
“Lo vedi? Vedi anche tu che cosa succederebbe ogni giorno!” sbottò Jano una volta in camera. Ma Minah non voleva cedere.
“So difendermi da solo! L’hai visto, hai visto contro l’orso! Se solo mi dessi un po’ di fiducia accidenti!” Jano scrollò la testa spazientito.
“Senti la questione non è questa. La questione è che io non sono un invertito e non voglio sembrarlo e lo sembro invece con te appresso!” aveva alzato la voce, Minah fece un passò indietro. Adesso era davvero furibonda e triste e stufa di tutta quella commedia e cominciandosi a togliere i vestiti urlò:
“Ma io non sono un maledetto ragazzo! Jano non lo sono!”
L’uomo rimase per un momento sorpreso di fronte il suo corpo che si denudava poi cercando qualcosa per coprirla borbottò.
“Adesso calmati su, lo so, sei un feminèn, lo so, l’ho visto…”
“E non sono neanche un mezzo maschio del cavolo…Oh Jano, accidenti a te, sono una ragazza!!” esclamò infine togliendosi l’ultima tunica e restando davanti all’uomo nuda e con il mento proteso in avanti in segno di sfida.
“Stupido uomo ottuso”
Jano boccheggiò dalla sorpresa, Ratto non era un ragazzo, lui non era un invertito. Lo sapeva, lo sapeva, allora il suo corpo non si sbagliava, non era attratto da un maschio, lui era una ragazza…e lo aveva ingannato, si era presa gioco di lui. Il suo sguardo s’incupì. Gli venne voglia di schiaffeggiarla, di farle del male, ma poi la prese per le spalle e l’attirò violentemente a sé. Minah non fece resistenza, sentì che lui le stringeva le spalle con rabbia, sentì le sue labbra ruvide contro le sue, socchiuse la bocca e lui la baciò rudemente, con furia. Rimase inerte, non era così che se l’era immaginato.
Quando sentì le lacrime sul volto della ragazza Jano si fermò. L’allontanò da sé,
“Vestiti” disse solamente con voce arrochita poi uscì sbattendo violentemente la porta.
Minah si asciugò con rabbia le lacrime, poi si vestì alla bell’e meglio con le mani che tremavano. Era tutto perduto, adesso Jano l’avrebbe voluta meno che mai. Si accoccolò sul letto, che importava ormai, doveva imparare a contare solo su sé stessa.
Jano sedeva rabbuiato in un angolo con un boccale di birra in mano, ancora intatto. Si sentiva ridicolo, uno stupido, come aveva potuto essere cieco per così tanto tempo. Aveva avuto tante di quelle donne, alcune le aveva amate, sapeva riconoscere una donna quando ne vedeva una, per dio! Non si capacitava come aveva potuto essere tanto lento a capire questa volta. La verità era che si sentiva solo, era abituato a muoversi con altri uomini, quando aveva lasciato i suoi compagni a fare quello che stavano facendo, una smorfia comparve sul suo volto, non si era reso conto che la cosa che più gli sarebbe mancata era il cameratismo che condivideva con i suoi compagni di ventura. Si sentiva talmente derelitto che perfino un ladruncolo gli era sembrato meglio della solitudine. E quando il suo corpo gli aveva lanciato dei segnali d’allarme lui li aveva ignorati, comportandosi come l’ultimo dei cretini. E lei, invece, lei era solo da ammirare, si rese conto. Una ragazzetta magra e arruffata che si era impegnata per diventare forte, indipendente, una ragazza che aveva più lealtà e coraggio della maggior parte degli uomini che conosceva.
Un’ombra gli fece alzare gli occhi.
“Il tuo finocchietto si è addormentato?” berciò un uomo alto e dalla pancia prominente del forte bevitore di birra.
“Gli hai tappato la bocca per bene eh?”
Jano si alzò lentamente col boccale di birra ancora in mano.
“Ne vuoi anche tu?” disse spaccando il boccale contro il tavolo e creando con l’impugnatura un rudimentale ma letale tirapugni. I frammenti di vetro brillavano pericolosi alla fioca luce delle candele. L’individuo impallidì.
“Oh uomo, stavo solo scherzando”
“Bhe, non farlo” e lanciò il boccale rotto sul tavolo, poi lentamente lasciò la sala. Nessuno ebbe il coraggio di fiatare finché lui rimase in vista.
Jano aprì piano la porta, la stanza era in penombra, solo il pallido fuoco del braciere e la luce della luna la illuminavano. Ratto era là, sveglio ad aspettarlo. Ratto, che razza di nome! Jano fece un sorrisetto.
“Dimmi almeno il tuo nome – lei glielo disse con voce piana come svuotata – Minah…meglio di Ratto sicuramente eh?” lei lo guardò con quei suoi grandi occhi color bosco e sorrise alzando le spalle. Lui le sedette accanto, non sapeva cosa fare
“Ti chiedo scusa per prima…e per essere stato così idiota”
Minah scosse la testa, come a dire che non ce n’era bisogno.
“Che ne sarà di te?” mormorò ancora Jano. Rimasero in silenzio per un po’. L’uomo guardava il profilo delicato di Minah e si sentì ardere dal desiderio di toccarla, quasi senza accorgersene si trovò da accarezzare il suo volto. Lei appoggiò il viso alla sua mano sospirando. Lui le prese il volto con entrambe le mani e la guardò negli occhi, affogando l’uno negli occhi dell’altra. Jano sorrise amaramente.
“E io che volevo trasformarti in un uomo..”
Minah lo interruppe appoggiandogli un dito sulle labbra, il cuore ruzzolava nel suo petto, emozionata ma risoluta.
“Ma puoi rendermi donna…se vuoi” mormorò arrossendo. Jano deglutì in preda all’incertezza, poteva? O si stava approfittando di lei? Ma Minah avvicinò le labbra alle sue e l’uomo abbandonò ogni scrupolo assaporando il respiro caldo della ragazza. Le labbra si erano trovate e si erano unite. Lui la esplorò accendendosi via via sempre più intensamente, la strinse a sé sentendo i battiti del suo cuore amplificati, o forse erano quelli di lei.
Minah rovesciò la testa, una sensazione di calore si diffuse per tutto il corpo, gli occhi chiusi furono sfiorati delicatamente dalla labbra dell’uomo, poi scesero lentamente lungo la guancia, sfiorarono il lobo dell’orecchio, scesero ancora lungo il collo curvato di Minah. Dolci brividi la facevano gemere piano. Jano sentì il fuoco dentro di lui farsi sempre più impellente, ma si costrinse ad attendere, rendendo ogni movimento dolorosamente lento. Il collo della ragazza era latteo e una sottile vena blu pulsava del suo sangue affrettato, la baciò in quel punto, con una mano le accarezzava i capelli, la schiena inarcata, i fianchi rotondi. Stava quasi impazzendo dal desiderio. Minah si allontanò da lui, e insicura cominciò a togliergli il camiciotto, quando il suo petto fu nudo sfiorò con dita incerte ogni cicatrice che solcava quel torace. Quelle che aveva creato lei al fianco erano ancora gonfie e livide, lui le fermò la mano. La serrò ancora a sé, baciandola più intensamente. L’aiutò a liberarsi della sottile veste, scoprì a poco a poco i piccoli seni impertinenti, il ventre rotondo, la mano seguì la stoffa accarezzando la pelle sottile. Non avevano detto una parola, non ce n’era bisogno, adesso erano i loro corpi che parlavano, comunicandosi a vicenda il desiderio che per tanto tempo era stato represso. Delicatamente Jano fece sdraiare la ragazza, continuando con tormentosa lentezza a suscitare la sua passione, baciandola sull’ombelico rotondo, giocando con i piccoli bottoncini irrigiditi sui suoi seni. Minah si struggeva al suo contatto, Jano non pensava, non c’era niente da pensare, solo non riusciva più a prolungare quella deliziosa tortura. Quando Minah lo sentì entrare uno spasimo la pugnalò, morirò, pensò, si morirò, aggrappandosi più forte a lui, muovendosi seguendo il suo ritmo. Jano accelerò il movimento e Minah fu invasa da una calda marea pulsante, s’inarcò gemendo mentre Jano si abbandonava su di lei, respirando forte sulla sua spalla.
Giacquero immoti per lunghi minuti aspettando che il loro respiro si calmasse e i loro cuori tornassero a battere regolarmente. Minah era esausta ma un leggero sorriso le piegava gli angoli della bocca. Jano si appoggiò sul fianco sano guardandola.
“Sembri un gatto che si è mangiato l’ uccellino” anche le sue labbra s’incurvarono in un sorriso.
“E ora?” la ragazza ebbe un impeto di paura.
“E ora? Mi dici come faccio adesso a separarmi da te…topolino?”
Minah si stirò languidamente mentre l’uomo, il suo uomo?, la baciava sui capelli.
“Credi che quelli là sotto ci rimarrebbero male se ci vedessero adesso?”
“Non lo so, so che se un altro uomo ti vedesse come ora ti vedo io..non sopravvivrebbe per raccontarlo!” rispose trucemente Jano. Minah sogghignò poi fintamente indignata rispose:
“Ma io so difendermi da sola, ricordi? Ho ucciso un orso!” agitandogli scherzosamente un dito davanti. Jano lo prese e lo baciò. Poi si fece serio
“Seriamente, non so cosa faremo”
“Tu vorresti cercarti un altro ingaggio da mercenario? Vuoi continuare a combattere?”
Minah non era sicura che fosse la vita che voleva ma non sognava neanche di diventare una grassa fattrice circondata da bambini…biondi come Jano. Insomma non lo sapeva. Da parte sua l’uomo era insicuro, combattere era l’unica cosa che sapesse fare, ma era stanco di sangue e morte.
“Non lo so. Adesso so solo che ciò che voglio è stare qui con te. Al resto ci penseremo domani”
“Si…domani” mormorò Minah, improvvisamente stanca, chiudendo gli occhi.





NOTA DELL’AUTRICE

Visto che mi piace essere corretta: la storia me l’ha ispirata un racconto di L.D. Woeltjen: Muori da uomo (cfr Storie fantastiche di draghi, maghi e cavalieri, a cura di M. Zimmer Bradley, vol. II, Mondatori 1994). Io ho solo ripreso la situazione iniziale.


Mannu: ho modificato un pò il layout della storia, spero che ora sia più leggibile.
ReadernotViewer: Ovviamente so che è un clichè molto usato, ho cercato di narrarlo dal mio punto di vista.
Grazie di cuore a tutti e due! ^__^
   
 
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