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Autore: Sovracidio    16/01/2013    0 recensioni
Un testo che descrive con profondità più o meno acuta cosa può avvenire nel mondo personale di chi corre per sfogo personale.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Spesso si chiedeva quanto fosse lunga la distanza di quel tragitto che spesso percorreva, tante volte per noia o forse mosso da un qualcosa di distruttivo.
-Un chilometro. Credo sia questa la distanza che percorro ogni volta che raggiungo una delle due estremità.
Quella sera il freddo non era certo pietoso, ma non lo preoccupava, il vero gelo era quello che gli bruciava il cuore e che lo portò quella sera come tante altre su quel sentiero, quel briciolo d'universo a quelli che a lui parevano 30 metri d'altezza.
La terra battuta scorreva monotona al suo passo repentino. Qui e là vi erano chiazze d'erba o piccole pozze, l'unico segno che egli aveva per capire di starsi muovendo in avanti e per rendersi conto di quanto fosse veloce. . . Intorno, il nulla. Non c'era illuminazione che non fosse quella della luna, quella luce evanescente che ora si rispecchiava in quella che appariva come il riflesso di piccole macchie d'acqua ai suoi piedi, per poi svanire una volta superate quest'ultime. Poi c'era quell'edificio, situato sull'esatto centro di quello che sembrava il nulla. Posto in un luogo 'sì desolato non riusciva mai a capirne la funzione. Ma sapeva che quella sagoma nera era l'obiettivo. Quella sera aveva ripercorso la strada parecchie volte. . .
-sono a 6 chilometri.
La città luminescente che si trovava di fronte non mostrava compassione, brillava di luce propria ed intensa, che quasi sembrava il sole, eppure la sua luce non penetrava attraverso quel vento. Quella luce non riusciva a farsi strada fino ad illuminbare il suo cammino. Una luce distante che si può solo ammirare.
-circa 300 metri fino all'edificio. Non ci pensava parecchio. I suoi pensieri erano concentrati su ciò che era successo ore prima e quella scansione della distanza percorsa era necessaria solo a smorzare la tensione sul suo cervello. A lasciare che sia il corpo a concentrarsi.
Accellerò, iniziava a sentirlo. Che forse stavolta non sarebbe riuscito a giungere all'edificio? Giungeva in se, quell'essere devastante che spesso si imposessava del suo cuore, facendone dolce agonia.
Sentiva una bestia in se imporgli di andare avanti e il dolore dilaniava i suoi muscoli come in morse fittissime, centimetro per centimetro ogni parte del suo corpo giungeva ad un astinenziale coma benchè non smettesse di correre. . . Giunto a tal punto sarebbe un peccato fermarsi. Si staccava, man mano che era più vicino la bestia si staccava dal suo corpo e come da un lato sentiva un qualcosa di lieto e caldo tornare in se, dall'altro l'assenza di quella furia in corpo gli toglieva l'energia di andare avanti.
Giunto alla bramata destinazione perse il controllo dei propri arti e cadde a terra. L'ultima immagine che ricordava fuorono le stelle, luccicanti, come la città. . . Brillavano di una luce intensa. . . Che mai avrebbero saputo illuminarlo.
Così restava là e abbassava le palpebre fino a cadere in uno stato di placata morte che lo carezzava. Poi un qualcosa interveniva sulla sua volontà e apriva gli occhi ritornando alla vita vera. . . E ogni volta che lo faceva pensava:
-Perchè mi sono svegliato?
  
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