10. THIS AIN'T GOT NOTHING
AT ALL TO DO WITH ME
Aveva appena iniziato a vestirsi, quando sentì il suo cellulare suonare nella
borsa.
"Dove sei pazzoide?", tuonò Jutta.
"Sono in casa ancora...", rispose Mac ingenuamente.
"In casa? Sono le dieci! Stiamo tutti aspettando te e il tuo
materiale!"
"Cazzo!", fece Mac, ritornando nel mondo reale, "Arrivo
subito!"
Premette il tasto di fine chiamata e, in un batter d'occhio, era già nella sua
celestina, pronta per andare al lavoro... il suo ultimo giorno di lavoro,
perchè quando avrebbe mostrato loro cosa aveva fatto l'avrebbero buttata fuori
a pedate nel sedere.
Davanti alla porta della redazione prese un ampio respiro ed entrò. In un
attimo, Jutta si precipitò su di lei.
"Allora? Fammi vedere, fammi vedere!", disse lei, strappandole di
mano la custodia della macchina fotografica e della videocamera.
"Vedrai meno di quello che ti aspetti.", fece Mac, appoggiando la
borsa sulla scrivania dell'amica.
Jutta, senza nemmeno ascoltarla, collegò la macchina fotografica al pc e iniziò
a guardare le foto. In poco tempo una piccola folla di suo colleghi si radunò
alle sue spalle per vedere il risultato del suo lavoro. Scorse velocemente
tutte le fotografie, poi afferrò la telecamera e la collegò al computer.
"Adesso vediamo i video.", fece, senza dire altro.
Di nuovo, tutti in silenzio guardarono le riprese fatte da Mac. Alla fine, gli
sguardi si posarono su di lei.
"Nient'altro da mostrare?", le chiese Jutta, mentre gli spettatori
tornarono alle loro scrivanie parlottando.
"A dire il vero... no...", rispose Mac, preparandosi a vedere
spuntare il mega coltello affilato e lucente.
"Bene, l'intervista?", le domandò, incrociando le mani sulla pancia,
in attesa.
Mac non sapeva se la totale inespressività facciale di Jutta fosse un buono o
un cattivo segno. Di solito era un brutto segno. Pessimo.
"L'intervista? Beh... ancora devo sbobinare tutto il materiale e
quindi...", disse Mac, con voce tremolante.
"Non ti è bastata una notte intera per farlo? Eppure sicuramente qualcosa
hai fatto, viste le occhiaie che hai sulla faccia."
"Sì, è vero… ma è talmente tanto materiale che... non mi è bastata tutta
la notte.", aggiunse Mac, sperando che bastasse.
"Bene, allora domani voglio avere tutto sul mio tavolo per le otto."
"Le otto?", disse Mac, strabuzzando gli occhi. Tempo, le serviva
tempo…
"Vuoi più tempo?"
"Se fosse possibile...", tentò Mac.
"Mi dispiace.", le negò all’istante Jutta.
"Allora per domani alle otto.", sospirò Mac, sconfitta.
"Perfetto, porta queste fotografie a Karl per farle sviluppare."
Con notevole e malcelata riluttanza, Mac prese la macchina fotografica, ne
estrasse la memory card e andò al piano di sotto, dove aveva il suo studio
Karl, un fotografo professionista e free lance, che sviluppava anche per conto
di molte delle riviste e dei giornali della casa editrice Manila.
"Hey, com'è il rientro in redazione dopo un giorno da rockstar?", le
chiese lui appena la vide. Era un ragazzo sui trent'anni, rosso di capelli e
sempre ottimista e sorridente. I suoi genitori erano amici stretti del padre di
Mac e lo conosceva già da molto anni. Si ricordava sempre quando era bambina e
lui la portava in giro con la bicicletta, facendole sempre prendere grandi
spaventi quando si metteva a fare il pazzo per le discese ripide.
"Lasciamo perdere...", gli fece, con aria mesta.
"Nottataccia?", osò lui che, nonostante la luce rossa, aveva notato
le occhiaie sulla faccia di Mac, "Sembrano borse da fumo."
"Esatto, proprio così, ma tieni la bocca chiusa e sviluppa queste
fotografie.", disse Mac, dandogli la memory card.
"Ok, saranno pronte per le tre. Vuoi vederle prima di stamparle?", le
propose Karl.
"Volentieri... ancora non le ho viste per bene.", accettò lei.
Andarono nella stanza adiacente la camera rossa dove Karl, con il suo computer,
mostrò le fotografie che Mac aveva scattato. Le caricò sul computer e poi le
trasferì dove poteva vederle meglio: appoggiato su una robusta scrivania di
legno, stava uno schermo gigante, forse di venticinque pollici, nel quale
comparivano uno alla volta tutti gli scatti, così da poter notare tutte le
imperfezioni delle foto.
Dopo una prima una visione veloce, si soffermarono su ogni singolo ritratto. Un
Karl professionale e concentratissimo premeva i pulsanti della tastiera, cliccava
qua e là, sistemava le impostazioni, estremamente silenzioso.
"Le hai fatte tu queste fotografie?", le chiese, accendendosi una
sigaretta, dopo qualche minuto, tra uno scatto e un altro..
"Sì, ma non ne ho fatte tante perchè.... insomma, non ho avuto
tempo.", disse Mac, cercando di giustificarsi.
"Un giorno intero con questi qua e non hai avuto tempo?", disse Karl,
guardandola di sbieco.
"Karl, loro avevano impegni di lavoro e non sempre potevo intromettermi e
fare fotografie a tutto spiano.", disse Mac, cercando di non scoppiare in
lacrime. Non era proprio la verità, anzi, era parte della verità, "Dici
che mi licenzieranno perchè ho fatto un cattivo lavoro?"
"Io non lo farei mai. Il tuo caffè è buonissimo.", le sorrise Karl,
aspirando con gusto la sua sigaretta.
"Sarà perchè premo i pulsanti del distributore molto più gentilmente di
tutti! Dai, parliamo seriamente."
"Te l'ho detto, io non ti licenzierei. Anzi...", fece Karl, posando
la sigaretta sul bordo della scrivania e tornando con le dita veloci sulla
tastiera, "Guarda queste qui, le ho selezionate perchè pensavo fossero le
migliori. Qui la luce è perfetta, l'angolazione anche... sembrerebbe quasi che
le abbia fatte io. Hai imparato molte cose al corso di fotografia a cui hai
partecipato."
"Grazie… ma lo pensi veramente?", fece Mac, aspettandosi un nuovo
scherzo dal suo collega.
"Davvero, non sto scherzando. Guarda questa foto."
Ne selezionò una che riprendeva Georg, con il basso in mano, durante le prove
della mattina precedente. Aveva la testa piegata da un lato, si notava un
sorriso compiaciuto molto carino, nascosto in parte da un ciuffo di capelli.
"Anche se la luce è un po' bassa c'è un gioco di ombre che la rende...
particolare. Mi piace."
"Grazie Karl!", fece Mac, abbracciandolo.
"Portami un caffè, piuttosto. E fai qualcosa per quelle occhiaie,
spaventapasseri!"
"Sarà fatto!", disse Mac, saltellando per l'ufficio tutta contenta.
“E poi…”, la recuperò Karl, “Se dovessero licenziarti… c’è sempre una porta
aperta per te qua.”
Mac gli sorrise, gli fece la linguaccia e uscì dallo studio.
David
chiese di creare un'atmosfera poco luminosa, dato che aveva paura che quei
quattro spaventassero il pubblico televisivo con le loro maledette occhiaie.
Non potevano certo starsene con gli occhiali da sole sulla faccia e, per
evitare un calo di audience, così dovette pregare il regista di tenere le luci
abbassate.
I ragazzi, nel loro camerino, si stavano cambiando e trovarono l’occasione
giusta per parlare un po' della serata trascorsa.
"Mi ricordo poco e nulla.", disse Gustav, sedendosi su uno sgabello
per togliersi le scarpe ed i pantaloni, "Sono rimasto lucido fino alla
seconda sigaretta."
"Secondo me Mac ci ha fatto mettere qualcosa di poco legale.", disse
Tom, che stava gia indossando la t-shirt che aveva scelto.
"Può darsi... dopo il terzo tiro mi sembrava di camminare sulle nuvole. Ma
non ho poi così tanti vuoti di memoria...", disse suo fratello,
togliendosi la maglietta.
"Gustav,”, gli fece Georg, “ti sei seduto sui pantaloni che devo
mettermi..."
"Ah... pardon!”, si scusò il ragazzo, alzandosi dallo sgabello su cui si
era accomodato.
Georg li prese e se li mise, guardandosi allo specchio per vedere come gli
calavano addosso.
"Perfetto!", disse poi.
"Non cambi la maglietta?", gli chiese Tom, disinteressato.
"No... mi piace questa qui. E poi penso che quella mi faccia più grasso di
quello che sono.", si giustificò Georg.
"Dai, poche storie prima che David si spazientisca!", esclamò Bill,
lanciandogli la t-shirt che avrebbe dovuto indossare.
Georg la prese al volo, perplesso se doveva farlo o no…
Fece un lieve sospiro e si voltò.
"Hey hey hey... cosa fai? Ti vergogni adesso?", disse Gustav, notando
quell’improvviso bisogno di privacy del bassista.
"No, non mi vergogno...", fece l'altro, che nel frattempo si era
sfilato la sua maglietta e frettolosamente si stava mettendo l’altra.
"Allora voltarsi prego! Cos'è questa storia che ci dai le spalle!",
borbottò ancora Gustav.
"Lasciami in pace Gustav.", disse l'altro, stizzito..
"Eh no! Adesso ti volti!", insistette Gustav.
"Va bene!", fece l'altro, ormai spazientito.
Si voltò e mostrò quello che aveva cercato invano di non far loro vedere.
"Quella cos'è...", fece Tom, avvicinandosi all'amico bassista,
"Rock my life... quando te la sei scritta? Ma sei scemo?"
Come se fosse stato sotto l’occhio indagatore dell’Inquisizione, Georg avvampò,
cercando di trovare una scusa plausibile a quella scritta che aveva sul petto.
Gustav stava trattenendo una risata, mordendosi le labbra fino a farle
diventare viola. Bill, invece, stava già macchinando qualcosa.
"Stupido, come può averla scritta lui?", esclamò poi Bill,
"Ovviamente l'ha scritta qualcun altro... nevvero Georg?"
"Sì... nemmeno me lo ricordo come è successo.", fece lui, abbassando
gli occhi e cercando di mantenere la pazienza.
"Com'è che tu ce l'hai e noi no?", gli chiese Gustav.
"E che ne so io? Ti ho detto che non mi ricordo come è stata fatta!",
disse Georg.
"E comunque non è nessuna delle nostre scritture...”, fece Bill,
toccandosi il mento con l’aria dello Sherlock Holmes della situazione, “Quindi,
se ci autoescludiamo, rimane solo una persona..."
"E' stata Mac.", concluse il fratello, quale suo fedele Watson.
"Elementare Kaulitz...", disse Bill, incrociando le braccia, "E
siccome posso affermare con certezza di ricordarmi quasi tutti gli avvenimenti
della serata... non mi viene a mente nessuna scena in cui Mac ti scriveva sul
petto... Quando te l’ha scritta?"
"Hai detto che di ricordarti quasi tutto... ma non tutto tutto
tutto.", disse Georg, la cui sicurezza iniziava a vacillare. Con gli altri
tre che stavano lì a guardarlo con le braccia conserte, era sotto
interrogatorio. Più che lui voleva mantenere il riserbo, più loro insistevano.
"Georg, come te l'ha fatta quella scritta?", gli chiese ancora
Gustav.
"Non me lo ricordo.", fece l'altro, seccamente.
"Non mentire.", puntualizzò Bill.
"Non me lo ricordo.", ripetè Georg, che stava perdendo le staffe.
"Ragazzi... e se vi dicessi che ieri notte ho avuto bisogno del bagno e
l'ho trovato chiuso a chiave?", disse Tom.
"E questo cosa c'entra con me?", fece Georg, perplesso.
"Forse ero abbastanza stordito, ma mi sembra che né tu né Mac eravate
dove vi avevo lasciato prima di addormentarmi.", si spiegò lui.
"Non vedo perchè dovrei darvi spiegazioni.", fece Georg, infilandosi
la maglietta arrabbiato, "Non devo rendervi conto di niente!"
Detto questo uscì dal camerino e lasciò gli altri alle loro supposizioni.
Gabriel,
il capo redattore di Pop My Life aveva già scelto quali fotografie
pubblicare sul giornale e quali mettere su internet. Guardò il video fatto
durante la mattinata, ma decise che lo avrebbe tenuto in futuro per altre cose.
Mac tirò un sospiro di sollievo, sperò che fosse finita, ma tornò di nuovo a tremare
quando Gabriel le chiese dell'intervista. Gli spiegò che ancora aveva gran
parte del materiale da trascrivere, che non aveva avuto tempo perchè era notte
fonda e aveva sonno…
"Perchè non mi hai portato il materiale che intanto avevi
trascritto?", le domandò, interrompendola nel mezzo della sua lista di
scuse.
"Perchè pensavo che lo volesse completo, rivisto e corretto da
Jutta.", disse Mac, sentendosi come vacillante sull’orlo di un burrone.
"Ma intanto avrei potuto dargli un'occhiata. Spero che sia molta roba,
perchè ho intenzione di pubblicarlo in più parti, per garantirci maggiori
vendite per i prossimi mesi."
"Sì... non la deluderò.", disse Mac titubante.
"Bene, puoi andare. Grazie Mac.", disse lui, tornando al suo lavoro.
Mac non lo aveva temuto tanto come in quei momenti, anche perchè non aveva
avuto mai veramente a che fare con lui, essendo una semplice assistente di
redazione.
Già si vedeva domani, in piedi davanti a Gabriel, mentre lui la offendeva per
il suo lavoro fatto con i piedi e che poi le diceva: 'SEI LICENZIATA!'.
Ebbe la conferma che questo sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro.
Non
aveva ancora ritrovato le chiavi di casa e Mac dovette di nuovo sperare che
Thiago la sentisse mentre bussava pesantemente alla porta. Fu fortunata, di
solito a quell’ora se ne stava in biblioteca a studiare, oppure a lezione, ma
quel giorno se ne era rimasto profeticamente a casa.
"Domani ne facciamo un’altra copia, ciccia bella.", disse il ragazzo,
mentre le teneva la porta aperta per farla entrare.
"Lasciamo perdere le chiavi…Thi, mi hanno licenziato!", disse lei,
buttandosi a peso morto sul divano.
"Davvero?", esclamò Thiago, sorpreso. Si sedette accanto a lei,
pronto per consolarla.
"Non ancora... ma succederà presto, sicuramente domani mattina.",
piagnucolò Mac sulla sua spalla.
"E perchè, il tuo lavoro non è piaciuto?", le domandò.
"Le fotografie sì, il video no. Ma ancora devono avere
l'intervista.", frignò Mac, disperata.
"Che problema c'è? Ti metti giù e ricopi quello che hai scritto.",
fece Thiago, che non vedeva la situazione così nera come Mac.
"Thiago... non c'è nessuna intervista! Ci siamo fumati tre canne e abbiamo
bevuto come sfondati! Non eravamo lucidi nemmeno per trovarci la bocca!"
"Allora sei nei guai ragazza... butta giù la storiella della giornata,
forse andrà bene lo stesso. Anzi, sono sicuro che andrà bene!", provò a
consolarla ancora Thiago, sapendo però che quando Mac cadeva nel baratro
dell’autocommiserazione, era meglio lasciarla rosolare per bene nelle sue
lacrime, perchè nessuna parola estranea sapeva consolarla.
"Vuoi il portatile?", le chiese, dato che non poteva ormai fare più
niente per lei.
"Sì... vedo se scrivo qualcosa."
Il ragazzo si alzò e le portò il suo pc. Mac cercò di razionalizzare la passata
giornata come meglio poteva, ma non era mai stata molto brava nella scrittura e
tutto quello che appariva sullo schermo le sembrava una stronzata. Thiago
preparò la cena, sperando che l'amica e coinquilina facesse una pausa per
rifocillarsi un po', ma lei rifiutò ogni tipo di cibo per concentrarsi sul
lavoro. Non era giusto quello che stava passando, pensò Thiago: lei non era una
giornalista e non credeva fosse corretto affibbiarle tutte le responsabilità al
riguardo. Avrebbero dovuto farla accompagnare da qualcuno che conosceva il
mestiere, non lasciare tutto nelle sue mani!
Sorseggiava
una tazza di tè sulla terrazza quando sentì che il cellulare di Mac stava
squillando, totalmente ignorato dalla sua proprietaria.
"Rispondi Thi per favore.”, disse Mac, senza scollare gli occhi dallo
schermo e le dita dalla tastiera, “Penso di aver scritto la prima cosa sensata
dopo tre ore di scervellamento."
"Va bene...", fece l'altro.
Recuperò il telefono e, tornando seduto sul terrazzino, premette il tasto per
accettare la chiamata.
"Pronto?", disse.
"Pronto... posso parlare con Mac?", disse una voce maschile.
"E' occupata adesso. Vuoi lasciarle un messaggio?", fece, cercando di
capire a chi potesse appartenere. Non era di qualcuno a lui conosciuto… Mac gli
stava nascondendo di avere una tresca con qualcuno? Il suo interesse si fece
sempre più vivido.
"Beh... Proverò a ricontattarla domani con calma."
"Va bene... tu sei?", gli chiese.
"Ah, già, scusami. Io un suo amico."
“Amico e basta? Se devo dirle che hai chiamato, dovrò anche fornirle un qualche
nome.”, insistette Thiago, che voleva proprio sapere chi fosse e non si
accontentava di un semplice ‘richiamerò più tardi’.
“Dille che ha chiamato Bill.”, disse il ragazzo, anche se con
riluttanza.
Thiago, in circa un nanosecondo, si chiese quanti Bill potesse conoscere Mac.
"Aspetta un attimo... Mac non conosce nessun Bill tranne uno, cioè tu.
Quindi… sei Bill Kaulitz!" disse Thiago.
Lanciò una rapida occhiata a Mac ma sembrava non aver sentito niente, era
ancora concentrata e pensierosa sul suo portatile.
"Beh... sì, a dire il vero sono io...", balbettò l’altro.
“Sì certo… pensi che ti creda?”, sbottò subito Thiago, “Bellezza, dimmi chi sei
veramente!”
“Ok, ok… la richiamo io tra qualche ora.”, disse il ragazzo, abbastanza
stizzito.
“Dammi una prova…”, riprese subito Thiago.
Il fantomatico Bill sospirò vistosamente.
"L’ho chiamata solo per dirle che abbiamo trovato la sua maglietta e un
mazzo di chiavi. E anche che dopo domani partiamo, torniamo dalle nostre
famiglie. E’ sufficiente?”, disse poi.
"Potevi dirlo subito che eri veramente tu!", esclamò Thiago,
sentendosi quasi mancare, “Te la chiamo all’istante. Mac!”
La ragazza alzò gli occhi dal computer per vedere cosa voleva il suo amico, lui
le stava facendo segno di raggiungerlo sulla terrazza.
"Che c'è? E’ per me?", gli chiese, vedendolo con il suo cellulare in
mano.
"C'è qualcuno che ti vuole...", disse lui, facendo gli occhi
ammiccanti.
Stancamente, Mac prese il cellulare.
"Speriamo sia un bel ragazzo.", borbottò Mac, sottovoce
"Pronto?"
"Se sono un bel ragazzo dovresti giù saperlo!", disse Bill, che
evidentemente l’aveva sentita alla perfezione.
"Ecco mister modestia Bill Kaulitz...", fece Mac, senza nascondere un
certo imbarazzo per essersi fatta scoprire. Ma soprattutto perchè quella
chiamata poteva voler dire che… era successo tutto con lui. Magari lui la stava
chiamando perchè… voleva mettere in chiaro la situazione. Inghiottì il magone
che le era salito in gola e si impose di calmarsi.
"Sì, proprio io. Ascolta Mac, hai lasciato in camera di Georg la tua
maglietta e un mazzo di chiavi. Noi dopo domani ripartiamo, possiamo fartele
avere se non possiamo incontrarci.", disse Bill, spedito come una macchina
da corsa.
Mac sentì il sudore freddo scenderle lungo la schiena.
"Non credo che sia un problema... sicuramente domani mi licenzieranno
perchè non vi ho fatto l'intervista...", disse, cercando di non balbettare
troppo.
"Solo per questo? Ma dai, fai un giro su internet e ricaverai
un'intervista coi fiocchi... oppure faccela quando ci incontriamo.", le
disse Bill ridendo.
"Sarebbe un'idea fantastica ma devo consegnarla domani mattina alle
otto.", disse Mac.
"Mi dispiace allora Mac...", disse Bill.
Cacchio, ma che atteggiamento era quello di Bill? Era stata con lui oppure no?
Dall’impressione che le stava dando, avrebbe detto di no ma… altre tremila
domande le piombarono in testa: se non era lui allora con chi? E l’altro se lo
ricordava oppure no, come lei? Bill lo sapeva?
"Dai, Telespalla Bob non chiede mai scusa.", disse, scacciando via
tutte le domande.
"Nemmeno Barbie rock'n'roll?", fece l'altro ridendo.
"No neppure lei.”, sbottò Mac, ridendo, “Comunque verso che ora possiamo
trovarci domani?"
"Va bene alle quattro di pomeriggio?", le propose lui.
"Perfetto! Dove?"
"Allo studio?"
"Benissimo!”, disse Mac.
Presto avrebbe saputo con chi...
“Hey, ma chi ti ha dato questo numero?", esclamò poi Mac, rendendosi conto
che non lo aveva dato a nessuno di loro.
"Ho fatto un paio di telefonate.", fece l'altro, “Sai… David ha
diverse conoscenze in giro.”
“Mafiosi che non siete altro!”, proruppe Mac, ridendo.
"Cosa non si fa quando si è famosi... allora a domani alle quattro!",
disse Bill, chiudendo la chiamata.