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Autore: dedidicit    17/01/2013    1 recensioni
"Almeno l'acqua porterà via quel terribile odore di disinfettante, sembra di stare in ospedale!" gli aveva detto Sherlock, che odiava gli ospedali, come John aveva avuto modo di apprendere da quando l'aveva conosciuto; il detective era piuttosto restio a farsi curare da qualcuno che non fosse il suo coinquilino.
John non aveva risposto, l'aveva solo guardato. Aveva osservato i suoi capelli scuri riempirsi d'acqua, i suoi strani occhi chiari, il suo cappotto.
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tutto purtroppo non mi appartiene: Holmes e Watson sono della fantastica penna di sir Arthur Conan Doyle, e John e Sherlock di Moffat e Gatiss: chiaramente non ne ricaverò mai nulla...

 

 

 

A-normalità

 

 

Sherlock è confuso.

La situazione non è nulla di nuovo -cadavere ritrovato sulle sponde del Tamigi, colpo di pistola alla testa e assenza della mano destra- anzi, prima si stava pure chiedendo perché mai Lestrade l'avesse chiamato quando la soluzione a lui sembra così ovvia. Certo, c'è da dire che stava passando la sua giornata da solo, sul divano di casa, alla disperata ricerca di qualcosa con cui distrarsi nell'attesa che John rientrasse a casa dall'ambulatorio – aveva rotto due penne il giorno precedente continuando a cliccare per fare uscire e rientrare la punta, ma la colpa era solo di John, che questa volta aveva nascosto così bene le sue sigarette da non riuscire a trovarle, nonostante avesse quasi ribaltato la casa. Così aveva accolto la telefonata di Lestrade con infinito piacere, così tanto da non chiedergli nemmeno cosa era successo: si era fatto dare l'indirizzo del luogo dell'omicidio e si era fiondato lì. Ma, a questo punto, aveva ricevuto un enorme delusione alla vista del corpo, il che aveva comportato la ripresa del suo broncio solito, uguale a quello di un bambino capriccioso, come gli diceva sempre John.

Soltanto Anderson poteva non rendersi conto che l'uomo trovato morto era un importantissimo uomo d'affari, la cui mano serviva per l'apertura dei codici con le impronte digitali. Soltanto Anderson poteva non riconoscere quell'uomo.

In realtà, nemmeno Sherlock all'inizio se ne era accorto. All'arrivo sulla scena del delitto, dopo essersi lamentato con Lestrade per la presenza di Anderson e per la terribile banalità del caso che gli aveva proposto, aveva scritto a John.

 

John, mi servi per un omicidio. SH

Subito. SH

 

Sherlock, sono in ambulatorio, sai che non posso lasciare le persone malate qui, senza di me, perché devo rispondere alle chiamate di un consulente investigativo!

 

John, metà di quelle persone non hanno nessuna malattia. SH
E hai altri colleghi. SH

Dai. SH

 

Dove?

 

Sherlock aveva sorriso, perché sapeva che sarebbe riuscito a convincere John con pochissimi messaggi, e gli aveva indicato il luogo. In un quarto d'ora lui era arrivato – con addosso quel terribile odore di disinfettante tipico, ma era arrivato. E non appena aveva visto il corpo, aveva esclamato:
"Ma come avete fatto a non accorgervi di avere fra le mani uno degli uomini più importanti della finanza inglese?!"

Lestrade aveva finto di non accorgersi delle parole del dottore, come la maggior parte dei suoi colleghi; John aveva scosso la testa, dicendo loro che era già da qualche giorno su tutti i giornali per un affare appena concluso con un'importante compagnia di assicurazioni.

Allora, subito Sherlock aveva capito tutto.

 

 

 

"Stai fermo, o non riuscirò a curarti" lo rimprovera John, che sta cercando di bendargli il braccio destro.

"Ma mi fa male!" replica Sherlock, disteso sul tavolo della cucina -sgombrata in un lampo dal dottore, nonostante le proteste del detective.

"Vorrà dire che la prossima volta ci starai più attento... Un colpo meglio assestato e quel coltello ti avrebbe fatto finire in pronto soccorso!" gli dice John, ma i suo gesti contraddicono il tono volutamente paternale che ha usato; accarezza gentilmente il braccio ferito in tutta la sua lunghezza, fino ad arrivare ad intrecciare le sue dita con quelle di Sherlock. "Sei il solito testone. Se mi ascoltassi ogni tanto non dovrei curarti ogni volta che hai un caso" continua, avvicinando le loro mani alla sua bocca, dove lascia un bacio gentile sulle dita pallide del detective, che sussulta. Non è abituato a gesti di tenerezza così espliciti, e per John è così facile sorprenderlo.

"So che non lo farai mai, anche se me lo prometti sono sicuro che domani o dopodomani ti dovrò rimettere in sesto. Però cerca di capirmi, non ostinarti nel tuo 'sono un sociopatico': per me è difficile vederti tornare a casa sempre ferito, ho paura che un giorno o l'altro non tornerai del tutto, al tuo posto ci sarà solo Lestrade ad avvertirmi che qualche folle ti ha ucciso definitivamente" conclude il dottore, guardandolo fisso negli occhi.

Sherlock sostiene il suo sguardo, ma dentro di sé inizia a capire come si sente il suo coinquilino, mentre gli viene in mente come si è sentito lui quando l'ha visto legato a delle bombe da Moriarty.

"Almeno sarà Lestrade. Pensa se dovesse venire Anderson..." dice sorridendogli appena, avvicinandosi a lui per abbracciarlo, e John, affondando il volto nella camicia di Sherlock, non riesce a trattenere una breve risata.

 

 

 

Il problema era venuto subito dopo aver detto a Lestrade che l'assassino era -banalmente, è noioso!- l'amante dell'uomo gelosa del figlio che lui stava per avere con la moglie. Aveva deciso di vendicarsi di lui cercando di lasciarlo al verde, ma l'uomo si era mostrato recalcitrante ad offrire la sua mano destra per aprire i codici -"Chissà come mai", non era riuscito a trattenersi dal commentare John-, e così lei non aveva avuto altra scelta che tagliargliela. A quel punto, dato che si lamentava troppo, aveva deciso di sparargli per farlo stare zitto. Solo a quel punto si era accorta del disastro che aveva appena combinato, e aveva cercato di far sparire il corpo, affidandolo alle acque del Tamigi. Sempre più noioso.

Era a quel punto, solo dopo che Sherlock aveva ricordato ad Anderson che non sarebbe stato in grado di riconoscere nemmeno un gatto da un ippopotamo che John si era avvicinato al detective. Aveva iniziato a piovigginare dal suo arrivo sul Tamigi, e il dottore aveva già i capelli fradici.

"Almeno l'acqua porterà via quel terribile odore di disinfettante, sembra di stare in ospedale!" gli aveva detto Sherlock, che odiava gli ospedali, come John aveva avuto modo di apprendere da quando l'aveva conosciuto; il detective era piuttosto restio a farsi curare da qualcuno che non fosse il suo coinquilino.

John non aveva risposto, l'aveva solo guardato. Aveva osservato i suoi capelli scuri riempirsi d'acqua, i suoi strani occhi chiari, il suo cappotto.

Lì si era fermato. Sembrava averci pensato un attimo, prima di decidersi, e poi l'aveva fatto: gli si era avvicinato ancora di più, fino ad avvolgersi nella sua giacca, lasciando Sherlock senza parole.

 

 

 

John non è ancora sicuro di essere sveglio. Sente qualcosa che si muove sulla sua schiena nuda, leggero e rapido, ma non sembra un movimento casuale, sembra studiato.

Apre piano gli occhi per non essere abbagliato dalla luce che entra dalla finestra. Vicino a lui c'è Sherlock -spettinato, a torso nudo. Allora John capisce che sulla sua schiena è il detective che sta muovendo le dita, tracciando degli strani segni; John è certo che non sia un disegno senza significato, Sherlock non fa mai nulla che non abbia un significato.

"Buongiorno, John. Non volevo svegliarti" dice il suo coinquilino, senza smettere di muovere le mani.

"Buongiorno, Sherlock. Non preoccuparti, anzi, sei molto rilassante..." risponde, stiracchiandosi come un gatto sotto al suo tocco leggero, che continua a ripetere.

"Sherlock, posso chiederti cosa stai disegnando sulla mia schiena?" chiede John, dopo averlo lasciato continuare per quello che gli è sembrato un'infinità di tempo, vista la sensazione di straordinario benessere che ne ricavava.

Lui si imbroncia un po'. "Non sto disegnando."

John non riesce a non sorridere quando lo vede fare quella faccia. "Va bene, scusami, cosa stai scrivendo, allora?"

Sherlock non risponde subito, ma continua a tracciare segni sulla sua schiena.

John sbuffa appena. "Ok, se non me lo vuoi dire non fa niente! Però mi dispiace interromperti, ma devo alzarmi da qui, devo andare a lavorare" gli dice, sollevandosi e cercando di scavalcarlo per uscire dal letto.

Sherlock gli blocca un polso.

"Era Rachmaninov, la tua preferita al mio violino".*

 

 

 

Il vero problema per Sherlock non era tanto essere abbracciato a John in mezzo a metà Scotland Yard, anzi, di loro non gliene importava assolutamente nulla -Yarders, assomigliano tutti ad Anderson...

Però, a quanto era riuscito a capire, era a John che situazioni come quelle davano fastidio. L'amico (Compagno? Fidanzato? Sherlock non era ben sicuro su cosa fosse diventato per lui, al momento) era ancora piuttosto reticente ad ammettere di essere attratto dal detective, soprattutto dopo essersi fatto vedere da metà Londra in compagnia di molte donne diverse. Sembrava che fuori da Baker Street John avesse parecchie difficoltà a rendersi conto di essere Sherlocksessuale, dopo aver passato la vita da eterosessuale.

"John?" chiede. "John, sai che questa situazione è-"

"Chiudi un po' la bocca Sherlock, mi sembra che tu abbia potuto parlare abbastanza prima, spiegando il caso."

Sherlock è sul punto di replicare qualcosa, ma le braccia di John si avvolgono intorno ai suoi fianchi, dal contatto con il suo petto riesce a sentire il cuore del dottore battere contro le sue costole.

E gli basta così.

 

 

 

* In "Uno studio in rosso" si dice che Watson a volte chiede a Holmes di suonargli qualcosa, spesso Rachmaninov.

  
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