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Autore: Subutai Khan    18/01/2013    6 recensioni
Vecchianza per tutti.
I giovinciuelli di Nerima crescono, si accoppiano, figliano e invecchiano.
Vediamo un po' cosa combinano. Perché non penserete che bastino un po' di acciacchi per fermare questi tizi scatenati, spero.
E preparatevi a conoscere Misaki ed Akira.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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30 aprile 2009.
Solitudine.

Era da tanto che non mi trovavo a pensare a questa parola, lo ammetto.
Un tempo la solitudine era la mia migliore, unica compagna di vita. Mi stava sempre a braccetto. Che mi trovassi nel Kantō, nel Kansai o nel Kyushu lei c’era, senza mollarmi un solo istante.
Potrei quasi dire che non ero solo. Ma mi prenderei in giro e sono abbastanza intelligente, nonostante tutto, per non farlo.
Perché questo rigurgito nostalgico, Hibiki? Quei tempi sono finiti. Sepolti. Passati.
Non sei più solo.
Mi giro verso destra, facendo attenzione a non muovere troppo le lenzuola. Non vorrei svegliarla.
Sta pian piano albeggiando, quindi anche se le tende sono chiuse filtra un po’ di luce. E così posso bearmi del suo splendido viso.
Devo dire che, per una volta, non mi spiace aver avuto difficoltà a dormire.
Guardala, santo cielo. Guardala.
È... è... è...
Incredibile. Dopo tutti questi anni mi ritrovo ancora a bocca asciutta nel descriverla. Va oltre ogni mia più rosea aspettativa.
La vedo muoversi e aprire piano gli occhi. No cavolo, non volevo disturbarla.
“Nnnnnnh...”.
“Buonina Ukyo, buonina” le dico accarezzandole piano i capelli “Torna a dormire, è ancora presto”.
Si gira in maniera scomposta, quasi rischiando di cadere.
“Che ci fai sveglio, matto?” sussurra. La voce è inevitabilmente impastata dal sonno.
“Ssssssh. Dormi, piccola Kuonji”.
A quanto pare decide di ignorare il mio saggio consiglio. Prende a fissarmi, lo sguardo molto confuso ma un sorriso a renderlo fin troppo dolce.
“Hai ancora avuto problemi nell’addormentarti?”.
“Purtroppo sì. Notte in bianco, cara mia”.
“Guarda che cominci ad avere una certa età e stare sveglio troppo a lungo ti fa male”.
“Quanto sei spiritosa. Potrebbe scoppiarmi la pancia dal ridere”.
“Sai che ho ragione. Ci avviamo verso gli anta, se te lo fossi dimenticato”.
“Sarà per quello che ti trovo più bella ogni giorno che passa”.
“Ruffiano” ridacchia mentre, ormai completamente sveglia, si alza. Emana grazia da ogni minimo movimento.
So cosa stai per dire: “Chi primo arriva meglio alloggia”.
“Chi primo arriva meglio alloggia”.
Come volevasi dimostrare. Vai vai, oggi niente beghe per il bagno. Mi sento troppo in vena di ricordi e ho voglia di starmene sdraiato nel bel mezzo del letto disfatto a rivivere la gioventù.
E che gioventù, signori.

24 settembre 1993.
“Ma dico, ti ha dato di volta il cervello? Perché non hai fatto nulla?”.
“Cosa dovevo fare, Ukyo? Cominciare a sparare Shishi Hoko Dan a destra e a manca? Avrei raso al suolo il dojo dei Tendo”.
“E a ‘fanculo il dojo dei Tendo, maledizione! Non pensavo ti saresti rassegnato così...”.
Per un attimo il veleno contenuto nelle sue parole mi blocca.
Com’era facile da prevedere sta soffrendo come un cane. È in buona compagnia, capiamoci.
Vedere Ranma e Akane... sposati.
Fa male come neanche i pugni di quello sgherro di Herb. Ancora adesso, a distanza di ore, sento il petto bruciarmi.
Poi però mi ricordo dei motivi che mi hanno spinto a starmene buono durante la cerimonia: rispetto nei loro confronti, innanzitutto. E forse una piccola dose di maturità, quel tanto che bastava per farmi davvero realizzare che con Akane non avrei mai ottenuto nulla di quel che sognavo.
Lo stesso vale per te, Ukyo. Lascialo andare. Attaccartici tipo zecca ti incancrenisce e basta.
I due novelli sposi si amano. Solo un paio di cocciuti sognatori senza sale in zucca non potrebbero rendersene conto. Non dopo tutto quello che è successo e tutte le dimostrazioni di affetto sconfinato che c’è fra di loro.
Feh. Ne ho la controprova definitiva: tutto quello che lui ha fatto per Akane sul monte Hooh l’avrei fatto anch’io. Tutto, per filo e per segno. E solo un innamorato sfida una divinità fenice per salvare la vita della sua bella.
So che, ci fosse stato Ranma al posto di Akane, tu avresti fatto lo stesso. Quando la vita di chi ami più di te stesso è in pericolo sei disposto a gettarti via.
Non ti basta come esempio?
“Ukyo” trovo la forza di rispondere “a volte rassegnarsi è la cosa più adulta che si possa fare. Continuare a rincorrere i mulini a vento non porta da nessuna parte, se non girare in tondo senza un reale scopo. Quindi...”.
SCIAFF.
Uno schiaffo. Non me lo aspettavo.
“Taci, imbecille! Taci! Non ti permetto di fare la tirata filosofica su come sia giusto così. Non m’interessa un fico secco di quel che è giusto! L’ho perso, te ne rendi conto o no? L’ho perso per sempre”.
“Sì che me ne rendo conto. L’hai perso come io l’ho persa. Siamo sulla stessa barca”.
“Macché stessa barca! Tu sei caduto fuori bordo e ti sono affogati tutti i pochi neuroni che avevi! Vattene và, vattene. Non so neanche perché ti ho chiesto di venire qui all’Ucchan”.
Vorrei potermi tenere la guancia offesa dalla sua furia, ma sarebbe una bugia. E io ho chiuso con le bugie, specialmente quelle verso me stesso. Mi limito a guardarla mentre dà il peggio di sé, totalmente travolta dall’onda emotiva che la porta a sproloquiare di vendetta, agguati e altri eventi poco piacevoli. Mi sarei potuto aspettare tutto questo da Kodachi e Shan-Pu, ma non di certo da te.
Devo dire che mi stai deludendo, Ukyo Kuonji.
Ma ti getterò lo stesso un’ancora di salvataggio, se mi è concesso lanciarmi in metafore azzardate.
“Sai bene perché mi hai chiamato qui, invece” la provoco, ben conscio del rischio di prendere un sacco di legnate dato il suo stato mentale attuale “Non volevi restare sola. Non dopo che hai visto i tuoi sogni romantici andare in frantumi come un cristallo di Boemia”.
Il suo sguardo è fuoco puro. Ho colpito nel segno.
Trattiene a fatica le lacrime, e non so dire se sono di dolore o di rabbia o di entrambe le cose.
Il silenzio che offre mi consente di prendermi ulteriore spazio: “Inutile che mi squadri con quell’aria omicida. Sappiamo entrambi che è così. E, se devo essere sincero, avere una spalla amica che capisce non può che far bene a tutti e due”.
Sei sbruffone, Hibiki. Pericolosamente sbruffone. Se la situazione precipita potrebbe anche metterti le mani addosso, e il tuo codice d’onore ti impedisce di picchiare una ragazza. Anche se ne sarei giustificato.
“Dimmi che non ho ragione”. Piazzo con finta noncuranza la stilettata finale.
O raccoglie e mi gonfia come una zampogna, o accetta e mi scoppia a piangere addosso. A quel punto la seguirei. Per quanto mi piaccia atteggiarmi a saggio della congrega non sono immune a questo avvenimento. Tutt’altro.
Abbassa la testa, apparentemente sconfitta.
Ma quando apre bocca non è per darmi la conferma che mi aspettavo: “Sparisci. Meglio la solitudine che averti qui”.
Un tono glaciale che non ho mai sentito uscire prima d’ora da quelle labbra.
Incasso con grazia. Me la sono cercata, non lo nego.
“Va bene, Ukyo” dico alzando le mani “me ne vado. Te lo chiederò un’unica volta: lo vuoi davvero? Perché mi conosci, sai che se mai dovessi cambiare idea sarò disperso da qualche parte in giro per il Giappone e sarà troppo tardi”.
“Vai via”.
Inutile insistere.
“Ok, hai vinto. Arrivederci”.
Mi volto e mi avvio, preparandomi psicologicamente a un lungo peregrinare con la mia solita compagna invisibile.
Cammino lento. Se non sapessi che non è la mia intenzione cosciente mi verrebbe da dire che sto rallentando di proposito per darle secondi utili, coi quali può pensare di rimangiarsi tutto questo astio nei miei confronti.
Sono ormai alla porta.
Faccio per aprirla.
Mi sento cingere la vita dalle spalle.
“Non andare! Non lasciarmi sola anche tu!”.
Non sono riuscito a sentirla avvicinarsi. Forse neanche volevo.
La mia maglia gialla si bagna sulla schiena. Tutto come avevo previsto, e non ci voleva di certo una laurea in astrologia per arrivarci.
Ecco, arrivano anche le mie.
Per lunghi minuti lasciamo che la nostra frustrazione, la nostra impotenza, la nostra sofferenza sgorghino fuori. Tenersi tutto dentro ci avrebbe uccisi lentamente.
“Rimani...” bisbiglia fra i singulti.
“Tutto il tempo che vuoi” rispondo senza pensarci.
Spero non avrò di che pentirmene.

Pentirsi? Eri proprio un ragazzino scemo, Ryoga.
Sei rimasto, più di quanto potessi credere.
Hai messo radici in questo ristorante.
E dentro di lei. E lei dentro di te.
Dalla porta chiusa del bagno giunge un'allegra canzone enka.
Guarda te se quella lì non è riuscita a togliersi ‘sto vizio. Sono quasi vent’anni che ogni santa mattina mi trapana le orecchie con Kumi Iwamoto, Jero e Yolanda Tasico. Non c’è proprio più rispetto per i fidanzati zerbini.
“Ah, sai che ieri ho visto Misaki? Quella bambina cresce a vista d’occhio” dice distrattamente.
“Tiene ancora i boccoli?”.
“Sì, ma quando le ho fatto notare per la miliardesima volta quanto le stanno bene mi ha risposto grugnendo. Credo stia entrando nella fase adolescenziale”.
“Mi sembra anche normale. Ha ormai... quanto, quattordici anni?”.
“Li fa il mese prossimo, smemorato che non sei altro. A proposito, dobbiamo farle il regalo”.
“Niente di più facile: un karategi. Ha preso dai suoi genitori”.
“Ma povera ragazza, le usciranno dalle orecchie. Conta che ha riciclato anche quelli di sua madre”.
“E allora pensaci tu. Sai che sono negato per queste cose”.
“Va bene, va bene. Dai, ora riposati un po’. Fra un paio d’ore devi essere al cantiere”.
“Sigh. Lo so. Ma dormire poco non serve a nulla, per tanto così mi basta chiudere gli occhi e rilassarmi”.
“Il solito tragico. Guarda che prima scherzavo con la storia dell’età. Sei ancora vispo e prestante. Ne so qualcosa”.
“Anch’io ne so qualcosa, grazie tante. Tendo a esserci in quei momenti. A meno che tu non abbia un amante”.
“Non dire assurdità già di prima mattina”.
Ridiamo.
“Ukyo?”.
“Sì?”.
“Sai, ero in vena di ricordi prima...”.
“E cosa ricordavi di bello?” chiede uscendo dal bagno, vestita solo di uno striminzito asciugamano.
Non la stavo adulando quando ho detto che più il tempo passa e più fiorisce come un bocciolo di rosa. È uno schianto. I capelli sempre lunghi e fluenti e il viso identico alla prima volta in cui l’ho vista.
Comincia a trafficare nell’armadio alla ricerca di abiti. Pffff, tanto finirà col mettersi la solita divisa da cuoca.
“Nulla di che. Ripensavo solo al momento più fausto e intelligente della mia vita”.
“Cioè quando ti sei trovato un lavoro?”.
“No, scemetta. Quando ho deciso di darti retta, quel giorno di tanti anni fa, e sono rimasto”.
“Sì, non posso dire che tu abbia fatto male”.
“E tu che volevi cacciarmi. Tsk”.
“Ero giovane e scapestrata, tesoro. Spero che mi fossero concessi dei colpi di testa”.
“Nessuno vuole toglierti le follie lecite a quell’età”.
“Oh Ryoga, ne approfitto per fare un annuncio” dice improvvisamente voltandosi verso di me, raggiante. Quando sorride in quella maniera mi sciolgo come un budino.
Mi pizzica la base del collo. Succede sempre quando sta per accadere qualcosa di grosso.
“Prego”.
Non dice niente e si accarezza lievemente la pancia.
Uh.
Altro che solitudine. Qua fra un po’ si rischia di non starci più.



Note dell'autore
Dunque. Di solito non lascio commenti in fondo. Ma questa volta voglio fare un'eccezione per questa immagine. Uno perché merita tantissimo. Due perché è decisamente appropriata per questa storia. Diciamo che la sera, prima di addormentarsi (o nel caso di Ryoga fissare il soffitto senza pace), probabilmente si sono dati alla pazza gioia. E niente. Tutto qui.
   
 
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