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Autore: ClaudsClauds    18/01/2013    1 recensioni
Ogni anno, due ragazzi, un maschio e una femmina, tra i dodici e i diciotto anni, vengono sorteggiati per partecipare agli Hunger Games.
Mi chiamo Lexi Leight e ho diciassette anni. Vengo dal Distretto 7.
Il mio nome è stato estratto. Parteciperò agli Hunger Games.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi asciugai con una mano la fronte.

Faceva molto caldo, per essere un giorno di fine ottobre.

Sollevai l'ascia sopra la mia testa e l'abbattei con forza sul pezzo di legno davanti a me.

Con il tonfo familiare che scandiva il ritmo della mia giornata, il legno si divise in due metà perfette.

Le feci scivolare giù dai due lati opposti del tronco che usavo come tavolo con la lama dell'attrezzo.

Raccolsi da terra un altro pezzo e lo disposi sul tronco.

Mi preparai a sferrare un nuovo colpo, quando una voce, familiare tanto quanto il rumore del legno che si spaccava, mi chiamò.

Mio fratello Maxwell, in piedi accanto al tronco di una conifera, sventolò una mano per farsi notare.

Appoggiai l'ascia contro il tronco e lo raggiunsi.

-Mi sono strappato la maglietta. Qui.- Mi spiegò, indicando uno strappo sulla manica sinistra.

-Ho lasciato l'ago e il filo a casa.- Gli risposi dispiaciuta.

-Per il momento la terrò così.- Dichiarò lui, scrollando le spalle.

Lo guardai allontanarsi dentro il bosco, poi tornai a concentrarmi sul mio lavoro.

Prima di morire, mia madre mi aveva insegnato a cucire.

D'altronde, lei era la migliore sarta del nostro distretto, ed io, ora, avevo preso il suo posto.

Questo però non significava che io potessi accantonare il mio lavoro come taglialegna.

Capitol City si aspettava grandi quantità di legname ogni anno, e tutti gli abitanti del Distretto 7, fin da piccoli, erano costretti a lavorare.

Quando il sole raggiunse il suo apice, riposi gli attrezzi e tornai a casa.

Maxwell non era ancora rientrato, così pensai di occuparmi io dei suo vestiti.

Fortunatamente, mio fratello aveva la stessa taglia di nostro padre, così estrassi con cura dall'armadio l'abito con cui lui e la mamma si erano sposati.

Era uno smoking nero ed elegante. Probabilmente il vestito più costoso che avevamo.

Lo guardai ammirata: era veramente un bel completo.

Lo spolverai con la mano e lo appoggiai sul tavolo.

Ci posai sopra una maglietta celeste e, ai piedi del tavolo, sistemai un paio di scarpe nere laccate.

Poi mi diressi nella mia stanza, alla ricerca di un abito per me altrettanto raffinato.

Avevo conservato anche il vestito da sposa di mia madre, ma non mi sembrava il caso di indossarlo.

Sebbene non potessimo permetterci altro che un vestito semplice e povero, era comunque un abito da sposa.

Inoltre non volevo infangare la purezza di quell'abito, simbolo della felicità e dell'amore dei miei genitori, indossandolo per assistere ad una condanna a morte.

Oggi era il giorno della mietitura.

I nomi di due ragazzi, miei coetanei, sarebbero stati estratti questo pomeriggio per partecipare alla 68^ edizione degli Hunger Games.

Anch'io, in quanto diciassettenne, sarei potuta diventare uno dei due tributi del nostro distretto, e l'idea mi spaventava molto.

Sapevo maneggiare bene l'ascia, certo, ma non sapevo di certo combattere.

Ed il mio carattere pacifista non sarebbe stato d'aiuto.

Non avevo nemmeno il coraggio di uccidere una mosca fastidiosa o un ragno, protagonista dei miei più spaventosi incubi, come potevo anche solo pensare di poter uccidere una persona.

Mi ricordavo ancora l'edizione dell'anno precedente, quando l'arena era costituita da una foresta fitta e selvaggia, piena di ragni.

In un posto del genere io non sarei mai nemmeno riuscita a mettere piede, figurarsi rimanerci intrappolata per essere trattata come un animale da macello.

Trovai il vestito che avevo indossato l'anno precedente, la prima mietitura senza i miei genitori.

Impedii alle lacrime di scendere e provai il capo d'abbigliamento.

Nell'ultimo anno mi ero alzata e le mie braccia erano diventate più muscolose, con la conseguenza che l'abito ora mi stava stretto.

Frugai negli scatoloni che conservavo infondo all'armadio, contenenti i vestiti di quando ero più piccola.

Con immenso piacere trovai una vecchia maglietta blu acciaio, che si abbinava perfettamente all'abito color lavanda.

L'occhio esperto da sarta di mia madre mi aveva insegnato anche a riconoscere le varie tonalità di colori.

Era un'abilità inutile nel nostro distretto, ma io ero fiera di possederla.

Senza esitazioni, impugnai ago e filo ed inizia a lavorare sul vestito.

Tolsi le maniche strette e lo allungai con la stoffa della vecchia maglietta.

Dalla stoffa che avanzò ricavai una cintura che legai attorno alla vita, annodandola in un fiocco sul fianco.

Indossai la mia creazione e rimasi piacevolmente impressionata a guardare il mio riflesso nel vetro della finestra, usato come specchio.

Raccolsi poi i capelli in un chignon perfetto, impreziosito da qualche pervinca tra una ciocca di capelli e l'altra.

Lasciai che una delle ciocche mi scivolasse sul viso, accentuando le linee del mio volto.

Stavo pulendo con uno strofinaccio i miei stivali, mio unico paio di scarpe, quando la porta si aprì, lasciando entrare in casa mio fratello.

Vide i vestiti sul tavolo e fece una smorfia.

-Detesto tutto questo. Perchè dobbiamo vestirci elegantemente per andare al macello?- Sbottò.

Accantonai il fatto di aver fatto io stessa, poco prima, quello stesso pensiero e lo ripresi:- Non dire queste cose ad alta voce, Max. potrebbe sentirti qualcuno.

Il ragazzo sbuffò, prese senza tante cerimonie i vestiti da tavolo e sparì nella sua stanza, sbattendosi la porta alle spalle.

Sospirai.

Per quanto Maxwell avesse ragione a pensarla così, era sempre meglio evitare di lamentarsi del governo di Capitol City ad alta voce.

L'ultima persona che l'aveva fatto era stata frustata in piazza da un pacificatore e, dopo pochi giorni, era scomparsa misteriosamente senza lasciare traccia.

Finii di pulire gli stivali, poi andai a vedere se mio fratello era pronto per andare in piazza.

Lui aveva diciannove anni, perciò non c'erano più possibilità che lui venisse estratto.

Ma era obbligatorio per tutti partecipare all'estrazione dei nomi, così come lo era seguire gli Hunger Games in televisione.

Si era vestito e, come avevo immaginato, il vestito gli calzava a pennello.

Mi avvicinai e gli sistemai il colletto spiegazzato della camicia.

-Sei agitata?- Mi chiese lui.

-Terrorizzata. Non ricordo neanche più quante volte il mio nome compare in quell'urna.- Riposi, tentando di metterla sul ridere.

Ma entrambi sapevamo che non c'era niente su cui scherzare.

Casa nostra era vicina alla piazza, così non fummo costretti a camminare a lungo prima di arrivarci.

Davanti al palazzo del comune sorgeva un largo ed imponente palco, su cui, ai due lati opposti, stavano le due grandi urne di vetro contenenti i nomi di tutti i ragazzi del distretto.

Lascia mio fratello davanti alle corde che limitavano l'area destinata ai possibili estratti e raggiunsi il settore dei diciassettenni.

Intorno a me vidi i visi familiare dei miei vicini di casa, dei miei compagni di classe, delle persone che richiedevano il mio lavoro da sarta.

Tutti volti sfigurati dall'inquietudine e dalla paura, per se stessi, per i propri figli, nipoti, amici, fratelli.

Il volto di mio fratello era dipinto dalla stessa espressione angosciata degli altri.

Gli sorrisi, tentando di rassicurarlo, e lui mi rispose con un sorriso tirato e spento.

Poi un uomo, chiaramente proveniente da Capitol City, salì sul palco e attirò l'attenzione di tutti i presenti picchiando con le dita sul microfono.

Tutti gli occhi, compresi i miei, si puntarono su di lui.

Aveva la pelle ambrata e i capelli verde muschio dritti in un'alta cresta.

Mi chiesi quanto fosse il vero lui e quanto il frutto della chirurgia della capitale.

Il suo smoking verde smeraldo ricoperto di lustrini e di paillettes brillò sotto i raggi del sole.

Dopo il discorso introduttivo di rito, si avvicinò all'urla contente i nomi delle ragazze.

Con estrema lentezza, immerse la mano nella boccia ed estrasse un striscia di carta bianca piegata a metà.

E l'aprì.

Il mio cuore batteva così forte che potei sentirlo rimbombare nelle orecchie.

-Lexi Leight.- Annunciò.

La voce dell'uomo rimbombò nella piazza, all'improvviso silenziosa.

Vidi persone tirare sospiri di sollievo, altre con espressione preoccupata guardavano me e mio fratello.

Poi capii.

Lexi Leight. Ero io.

  
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