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Autore: furetchen90    19/01/2013    0 recensioni
Un sacrificio inizialmente vendicativo, finalmente trova pace e quiete.
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La dea

Ero la figlia di qualcuno, e fui portata sin qui proprio il giorno del (festività random). Venni annoiata, non me ne volli andare via da qui. Non mi piaceva stare tra tutti quegli anziani, boriosi e biascicanti. Inoltre, mi osservavano tutti quanti avidi, quasi volessero possedermi. Non era quello, il concetto, ma qualcosa di molto peggio: volevano esperimentare su di me la trasformazione da persona a dea.
Ci riuscirono.
Divenni il loro idolo, la loro dea: i miei pensieri, le mie conoscenze, le mie memorie si miscelarono al karma spiritico della natura, rinchiuso poi in una statua dalle mie presunte fattezze da adulta, scolpita dal mastro scultore del villaggio.
Non mi piacque, il vedere ucciso mio padre e l’essere uccisa, pensavo avessero approfittato della di lui e mia ingenuità, pensavo avessero voluto sbarazzarsi di noi, due. Quando il coltello trafisse il mio petto ed il sangue sgorgò dalla bocca, mi vidi in terza persona accasciarmi al suolo. Ricordo niente di quello che avvenne durante il cerimoniale. Ricordo solo che rinacqui come spirito e come tale potevo di tutto, nel bene e nel male, invisibile agli occhi degli uomini, ma avvertita dalle menti pure – i bambini e gli animali.
Inizialmente, capricciosa, scatenai tempeste e permettevo ai vulcani di eruttare. Non potevo più parlare con le persone, non potevo più provare emozioni, avevano ucciso davanti i miei occhi mio padre, ma potevo vedere il mondo di cui un tempo ero abitante, e ciò mi adirava ulteriormente. Avrei potuto vendicarmi, ma ero sempre stata buona, e non avrei potuto cambiare carattere così, immediatamente, soprattutto una volta diventata spirito.
Ci fu, poi, un particolare susseguirsi di eventi che mi fecero cambiare attitudine completamente.
Col tempo mi accorsi delle abitudini delle genti del posto, osservandole tutte dal mondo del noumeno: chi veniva a pregarmi per auspicarsi una vittoria su un rivale, chi offriva parte dei loro raccolti in mio nome per vedersi crescere il proprio orto in modo migliore, chi voleva guadagnare, in qualche maniera, il mio rispetto e il perdono. Non mi ero accorta di aver vissuto oltre cinquant’anni, scatenando soltanto intemperie ed ingiurie alla terra mia, ferendo anche i figli innocenti dei miei assassini.
Nonostante i loro genitori mi avessero scelto per divinizzarmi, perché nacqui come Oni, e nonostante non avessi più nessuno con me, decisi di adeguarmi alle loro richieste, smettendo di causare guai e aiutando le genti come meglio potevo. Per oltre cinquecento anni aiutai gli abitanti di quel villaggio, nel quale il mio corpo di pietra era segregato, ma a cui il mio spirito non era relegato, perché divisosi in più parti, ognuna delle quali direttasi in diverse zone del Giappone.
Un giorno, nessuno si presentò al santuario.
La mia frazione spirituale rimasta lì si chiese come mai di quell’assenza persistente di” fedeli”, quando ecco che vide qualcuno tanto disperato da voler sacrificare la propria figlia per potersi augurare una vincita al gioco – molti di quelli venuti a venerarmi, durante tutti quei numerosi decadi, erano degli egoisti, ma le loro richieste erano innocenti e, tutto sommato, altruiste, mentre costui era un folle vero e proprio – quindi decisi di intervenire e uccisi l’uomo scaraventandogli un fulmine sul suo corpo prima che il coltello tranciasse la gola della fanciulla.
Vidi la bambina rimanere in lacrime, e non potevo consolarla o aiutarla a sorpassare quel momento, immaginandomela esattamente come me: una vittima di una società distopica. Siccome non mi era possibile incarnarmi, mi sforzai di poter concepire qualcosa di materiale e vivo con i poteri acquistati durante il lungo tempo che ero stata spirito. Riuscii, dopo alcuni continuii tentativi, a trasformare una volpe li vicina, in una donna molto giovane, bella ed intelligente. La donna, però, si sarebbe comportata come una volpe antropomorfa, se non avessi conferitole un’anima e, non potendo creare io stessa un’anima, mi chiesi se fosse possibile traslare la mia anima, racchiusa nella statua, nel corpo di quel corpo anch’esso privo di anima.
A mia sorpresa, riuscii nel mio intento e, per la prima volta, dopo cinquecento anni, respirai aria e potetti toccare quello che mi era intorno.
A lungo rimasi affascinata dal mio ritorno, e risi di fronte a
quell’idolo di pietra, adesso un mero sigillo vuoto.
Non sapevo quale fosse stato il destino delle altre frazioni della mia anima, ma non mi interessava più, ormai, perché sentivo me stessa, il mio vero ego, nuovamente libero e materiale.
Mi avvicinai alla fanciulla, rimasta in lacrime sull’altare, davanti l’idolo di pietra. Quando mi vide avvicinarmi, non distolse lo sguardo dal mio corpo, coperto da un manto rossiccio e bianco, proprio come il pelo della volpe che un tempo era stato quel corpo in cui risiedevo. La piccola mi corse vicino, vedendomi con le braccia tese verso di lei in segno di amicizia, e, continuando a effondere lacrime, si fece stringere al mio petto. Le assicurai gentilmente speranza, di vedermi come una guida. Solo così avrei potuto raggiungere il mio obiettivo: dare a quella fanciulla una famiglia, permetterle di vivere felice e lontana da quei ricordi angoscianti.
I progressi furono lenti, la piccola rimase ancora in uno stato di tristezza per lungo tempo, impedendomi di raggiungere l’obiettivo prefissatomi in precedenza. Mi considerava sua mentore e amica, comunque, e questo mi bastava ad ispirarmi fiducia.

  
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