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Autore: furetchen90    19/01/2013    0 recensioni
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Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Diurnale di chi è confuso sul tema dell’amore


Noele. Noele. Noele. Noele. Noele. Noele. Noele. Noele. Noele. Noele.”

Quante volte crespitavo io, Jean Fèvrier, il nome di quella fiera, quella striggine, quella meretrice, la cui abalietà col sopruso e l’algolagnia è ora ineruttabile rimescolio, sulle pagine del mio effemeride!
E’ impolverato, il diario, perché l’ho abbrancato dopo mesi di percussione: eiettato nella latebra della mia casa, effuggito per dedicarmi a faccende molto più urgenti che stendere sulla carta le mie personali considerazioni sulla mia vita – essere poliziotto, in una città costiera come Marsiglia, è esoso, si prioritizza il manto cittadino. Per questo non mi sono potuto nemmeno maritare. Inizialmente, ero poco propenso al connubio, ma pensavo di poter recuperare successivamente. Giammai! Ormai, è tutto diverso. Da quando è arrivata lei, solo lama nel nostro ufficio – per lo meno, questa è la mia impressione, perché i miei colleghi o riescono a sopportarla o le sono complici. Riportiamo i fatti: quandunque scartabellassi il casellario per ordinare il catarnao di fogli scombuiati, oppure squadrassi un’imbastitura per essenzializzare le manovre per la missione successiva (nessuno m’orbava dell’arredo di essere sconfiggitore del crimine, per lo meno), ero seduto innanzi il mio bureau, ed ogni volta, la stessa routine, oh!, che
algie: “eccola pertingersi sino al mio ufficio per spincionare con quel suo sgrignolio di Tarrasque infando e di abondevole zibetto” putavo, mentre la scorgevo,con l’occhio, bussare alla porta per rapportare.
Agguatava per comprendere i momenti più castranti della giornata in cui poter transire nel mio ufficio per cloroformizzarmi, quella meretrice. Mi appallava al punto da rendermi così bestino da sperarla premorta o svergolarta dalla mia stessa MAB Model A: un proiettile dentro il coppo, ed è finita!

Si, volevo anciderla, la volevo abapicale. Eppure non riuscivo, perché, sebbene provasi nimistanza indentro, così tanta da rendermi un villano, quelle mie querimonie sollazzevoli sarebbero trasfumate. Avrei scrutato Noele, a mia sorpresa, una calmucca da cui avocare verve.

Quel sembiante di lei, identico a quello sororio, a quello dell’esaninata… sapevo di dovermene sfangare, di quella labbia. Si, doveva finare, liverare, procombere! Uccisala, la sua presenza non mi avrebbe più squassato, le leptosille l’avrebbero crapulata nel suo tumulo! Certo, disfarmene era la mia lesca, ma non ero pronto ad attuarla. Pensavo di essermi preparato a sufficienza, ma qualcosa mi ha bloccato, l’altro giorno. Sono stato sconfidato dall’ucciderla.
Stavo lì, soprasseduto come sempre divanti il pergameno, mentre raggiavo su qualche foglio, sfastidito dal tempo inesorabile e coninuo. Rivangando adesso la noia, viene allisa ancor più la merce. Dopo un’ora barbogia, qualcuno bussò. Mi sussurai malignamente che fosse Noele a bussare, e trasecolare per aver premonito il suo arrivo. L’entusiasmo di saggiare coi luccicanti la mia ributta – lei, però, era ignara di questo suo status – m’astrinsce ad acconsentirle l’ingresso, in veto alla repulsione di subire la totina. Aprì la porta.
Mi ammalava il suo livello. Mi avvicinai a lei, chiedendole di che abbisognasse, aggiungendo del pizzicore alla voce, sperandomi la lippa più conscia della situazione. Attesi una risposta accennando un ringhio. Niente. Mi girai. Stava ridendo di me silenziosamente?
Mi volsi. Un cipiglio. Frustra esprimeva il turore , seppur sottana al commissario del reparto investigativo.
Ci voleva di più per sobbalzare un uomo maturo con quel volticino corruscato. Ammonendola per quella sua bravata, le ordinai di esponere. Lei distolse lo sguardo. Stava tentando di ignorare il contatto diretto occhio per occhio, la mocciosetta?
Senza esitazione, collocai la mia mano sul suo volto, la obbligai a vedermi. Le volevo ridere addosso per quel suo volto leprino forzato dalla pressione della mia mano, ma così le avrei mostrato il mio sadismo con il quale mi sentivo felice. Il fioco affanno uscito dalla sua bocca mi rese leggermente triste, ma subito fuorvia quel sentimento di mestizia. Subito le chiesi, più serio e meno focoso, quale cilizio la stesse danneggiando. Lei mi rispose di volermi solo porre una domanda. Perché, mi chiedo oggi, perché mi parve tanto dolce allora?
Iniziai a disgurtarmi. Mi era invisa, eppure notai la sua pelle sericea. Calda e soffice. Il desiderio di trattenerla le fece fuggire via.
Le chiesi di pormi queste due domande in fretta, perché ero impegnato in faccende più importanti dei suoi comodi personali. Nuovamente, quell’espressione ostentatante onesta triste mi stava facendo ribollire il sangue. Proprio quando stetti per urlarle per davvero addosso, apri la bocca e mi chiese di voler sapere perché ero tanto malvagio con lei. Quale impudenza! Chiedere a me, il capo della polizia, perché fossi tanto cattivo con lei! Non solo lei assomigliava tantissimo a mia sorella, uccisa da una banda di stupratori mentre stava tornando dall’università, non solo la sua voce era identica alla sua, non solo era fragile e carina come lei, aveva anche il coraggio di pormi una tale domanda! Nuovamente stetti per perdere il controllo, ma non potevo, non potevo, mi sentivo confuso e intimidito, proprio nell’istante perfetto in cui poter esprimerle tutte, il momento in cui farle bere la broda dell’umiliazione, non riuscivo a convincermi di umiliarla. Perché? Quale dio mi stava bloccando?
E lei? Pareva stesse per piangere. Onestamente, davvero ero tanto cattivo con lei. Forse questa fu una domanda stolta, ma avevo le mie ragioni! Non c’era alcun modo, alcun modo per cui io mi sarei dovuto comportare magnanimamente con lei. Probabilmente, stava tentando di convircermi ad essere bonario, quella strega.
Le risposi sardonico di non odiarla, mi capì, perché lì, su per giù, quasi stava per erompere in un pianto forte. Mise le mani innanzi il volto e pianse. Innanzi a me? Donne, fastidiose e sensibili.
Non avevo mai visto una donna tanto scontenta innanzi a me. Non avevo nemmeno intuito su come reagire a quel suo pianto.
Stavo per esacerbarne l’animo dicendo qualche altra insolena, ma l’istinto mi obbligo a fermarmi. Qualunque fosse quell’istinto, volevo liberarmene, ma non potevo, perché era ed è ancora parte di me!
Ancora oggi mi chiedo cosa fosse quell’istinto, ma poggia la mia mano destra sulla spalla, e quando lo feci, mi osservò repentina.
Quei suoi occhietti verzicanti come un abete della
Forêt des Dhuits mi penetrarono il cuore come un pugnale. Perche erano tanto stupendi? Dove era rimasta quella bellezza. Suppongo non li avevo mai notati, così come avevo sempre ignorato tutto il suo corpicino. Scrollai il capo e tentai di sviare la mia testa da questi pensieri e prima di parlarle, lascia fuggire una risatina. Parevo un idiota, un idiota nel vero significato della parola! Per quale motivo ridacchiare? Penso fosse dovuto al fatto di averla vista piagnucolare mentre mi osservava e, nonostante la sua sofferenza, ne ridevo. Tutte quelle stoltezze mi fecero sentire insensato. Comunque, dopo quella stupida risatina, le dissi di non odiarla, ricevendo in risposta un'altra domanda, con la quale voleva sapere perché la tormentassi.
Avrei potuto benissimo urlarle di non impicciarsi nei miei affari, eppure neanche riuscii a lamentarmi. La sua domanda mi fece riflettere, riflettere tanto, e alla fine compresi di non avere alcuna ragione per quel mio comportamento. Certamente, odiavo il suo volto, perché mi ricordava mia sorella, ma allo stesso tempo… proprio perché mi ricordava mia sorella, lo amavo.
Fu un piacere colpevole, e quando rimossi la mia mano dalla sua spalla e la osservai, ecco che ci stavamo fissando, aspettando, reciprocamente, una risposta. Quegli abbagli, quegli orbi celadon di lei mi stavano facendo impazzire. Che mi stava succedendo?
Quante volte ci penso su quell’evento. Per qualche ragione, le sue lacrime la resero anche più raggiante. Raggiante… davvero utilizzai quella parola? Volli avvicinarmi di più al suo volto, me lo giurai, ripetendo continuamente quelle parole nel mio cervello.
La abbracciai e, per il mio piacere, riuscii a vederla sorridere.
Inizio a ridacchiare e porse la sua manina coperta dal guanto bianco sulla sua boccuccia. Le sue risatine mi irritavano, tantissimo, eppure ne godevo. Mi sentii alleggerito e non era comune per me, specialmente quando avevo rapporti con Noele.
Le ordinai di smetterla di ridacchiare, cercando di suonare serio nuovamente. Lei si scuso, rise ancora e si asciugò gli occhietti con la sua manina piccina. Mi disse di non avermi mai visto essere tanto affettuoso e la considerava un’improvvisazione inusuale da parte mia. Perché? Stava piangendo proprio alcuni istanti fa e, per rasserenarla, mi ero dovuto umiliare in quel modo… abbracciandola? Una fanciulla strana… strana e bella.
Le dissi nuovamente di non odiarla, per laconeggiare la questione, però lei pose le braccia dietro la schiena, pinzò tra loro gli indici e continuò a chiedermi se davvero ero serio quando le dicevo che la volevo vedere morta e la picchiavo. Stava tentando di danneggiarmi, adesso?
Do ut des? Mi poggiai la mano sui capelli, sbuffai e mi smossi i capelli in segno di frustrazione. Mi avvicinai a lei, incrociai le braccia e le dissi di dimenticarsi degli eventi passati e di pensare soltanto al futuro, iniziando col concentrarsi ad un’altra domanda da pormi li, seduta stante.
Quello era il mio vero ego, e questa volta non mi sarei lasciato condizionare.

Una tantum può capitare contra spem spero, ma non de integro!
Mi ero illuso, perché non durò molto quella certezza.
Sarei cambiato totalmente quel giorno. Ora era stupefatta in volto, non si aspettava alcuna scusa da me – così come sarebbe avvenuto,
de facto - e le chiesi nuovamente di pormi la domanda che mi avrebbe voluto porre, immaginando di non aver mai sentito la prima e di non aver mai assistito alla discussione creatasi prima.
Ora, lei iniziò ad arrossire, risultava più misteriosa. Quando inizia ad avvicinarmi alla porta per farla uscire, lei subito mi disse di avere avuto in mente di uscire assieme per passeggiare sul lungomare. Credette di avere davanti a se il tacchino della città, il donnaiolo, il sospirante. Ebbene, no! Sebbene non riuscissi ad essere davvero cattivo con lei, le ordinai immediatamente di tornare al posto suo, ma le ordinai ciò da parre una caricatura di me stesso.
Quale mughetto salace quello cosparso dal corpo della lamia.
Anche questo non avevo mai notato. Un uomo come me poteva infischiarsene, comunque, di spiagge e tramonti, ma se con ciò fossi riuscito a starle vicino? Pensai di approfittare, per quella sola volta. Quale errore. Quanto si accaldò la mia sottoposta. Sebbene lo nascondessi, in realtà mi stetti sentendo molto bene, quel giorno. Le dissi, con il mio tono austero, di poter spendere un po’ del mio tempo con lei, ma solo per quella volta. Noele mi sorrise e mi rispose di andare. Iniziò a correre, e correva veloce! A dire il vero, era una vera e propria odissea il rimanere assieme a le. Era più veloce di me, e mentre correvamo, quasi inciampavo ogni dieci metri, e ciò mi angustiava non poco. Uscimmo dalla struttura e ci trovammo all’aria aperta, con nessuno intorno, in una città fantasma con un cielo incredibile. Normalmente non mi sarei accorto nemmeno dello splendore del cielo, ma, ammetto, mi parve squisito.
Anche il clima era mite e fresco. La tenuta di Noele era adatta a quel clima temperato, mentre la mia mi stava uccidendo.
Dove lavoravamo noi l’aria condizionata, ovviamente, funzionava. Male. perché se si impostava il contatore a, diciamo, “Caldo Mite”, il caldo era estremo; lo stesso se si volesse discutere del “Freddo Mite”. Invece fuori, quale frescura. Noele puntò il dito verso la spiaggia, avvisandomi di proseguire verso quella direzione, ed io le risposi di sapere dove fosse la spiaggia, affannando per la stanchezza. Noele, sebbene fosse rapida quanto una cerbiatta, non mostrava segni di stanchezza, anzi, sembrava propensa a consumare ancora più energie. Proprio bizzarra, costei. Squillò di dirigerci laggiù, e corse verso la costa, mentre io, stanchissimo, mi mantenevo le ginocchia con le mani, in piedi, curvato come il gobbo del
Notredame di Hugo. Dopo un paio di minuti, iniziai a camminare sulla spiaggia.
La vidi correre e calciare nell’acqua con i piedini nudi, ridendo al solo contatto con le spume del mare. Vederla felice, per la prima volta in vita mia, mi rese allegro come non mai. Era questo quello a cui, inconsciamente, aspiravo. Sembrava proprio di si.
Dopo un instante, riuscii a raggiungerla. Il suo berretto se l’era tolto e l’aveva posto al di sopra di uno scoglio lì vicino, ma abbastanza lontano dall’acqua marina, per evitare che qualche onda anomala se lo portasse via.

I suoi capelli: lunghi e rutilanti. Mi piaceva come questi cadevano sulle spalle e venivano mossi dalla brezza. Iniziai a realizzare delle qualità praticamente perfette di Noele: avevo permesso alla mia rabbia di oscurare la mia mente da ciò che davvero volevo vedere in armonia con me stesso e, tra esse, v’era anche la contentezza di Noele. Durante la mia vita, quante ne ho viste di donne, e nessuna era stata sempre cortese come Noele, con me, nonostante i miei continui rimproveri e la mia presunzione. Tra le mie altre colleghe, Cecile era troppo seria per i miei gusti, Caprice una vera e propria lasciva, Racquel un’altezzosa, Oceane fastidiosissima, Lave una prostituta vera e propria. Noele, invece, manteneva una certa purezza intorno a lei, e realizzai di volerla, quella purità. Durante quell’esatto momento la stavo guardando giocare con l’acqua, sapevo di amarla.
Ma la mia mente dicotomica stava combattendo, in me. Aveva il volto di mia sorella, come avrei potuto amarla? Decisi di dover ignorare le opinioni di chiunque mi fosse intorno, persino di mio fratello, se davvero l’avessi voluta amare. Ma quanto sarebbe stato difficile!
Il solo pensiero di come ero stato tanto malvagio con lei sin dall’inizio inizio a ferirmi lo spirito. D’un tratto, smise di giocare e mi guardò. Perscrutò in me una certa irrequietezza, mi chiese se stessi bene, mentre gettava un’occhiata rapida al suo riflesso nell’acqua.
Io rimasi per un attimo meravigliato, vedendo quella sirena sotto il nimbo del tramonto e sentendo le onde del mare muoversi.
Pareva un sogno. E se fosse statolo in vero, un sogno! Avrei preferito non svegliarmi. Finalmente, ero felice, e mi sentivo anche saluberrimo. Una gentile ventata soffio e le alzò un po la veste, ampliandomi la visuale sulle sue gambe toniche.
Non era solo il corpo di Noele ad interessarmi, ma anche la sua personalità molto bilanciata.
Mantenne la veste abbassata il più possibile mentre il vento soffiava, le guance ora rosate, aumentandone la bellezza.
Se solo fosse stati là, in quel preciso istante, come me, unici spettatori di quella feèrie! Camminai lento verso di lei, le guardavo le amorevoli gemme portate al collo con un cavetto.
In poco tempo la raggiunsi, i corpi di entrambi vicini, e mi sorpresi di vederla ancora lì, davanti a me, ritta e sicura di se.
Sembrava si trovasse ad agio intorno a me, e ciò, davvero, mi sorprese. Mi sentii confidente e abbracciai la siluetta perfetta di Noele. Il suo respiro sempre più veloce, si stava innervosendo!
Non al biasimo. Con la sua fiochissima voce pronunciò il mio nome, però come se volesse evitare quel contatto fisico, ma io, invece, la strinsi ancora più a me, e sentendone i seni soffici e piccoli battere sul mio petto. Quale sensazione bella, ma comunque non potevo eccedere, dovevo mantenere una certa etica.
Le confessai che, sebbene l’avessi sempre trattata male, e le augurassi mali e morte, in realtà volevo soltanto… Smisi di parlare, quasi come se mi fossi affogato con le mie stesse parole. La sua bocca era aperta, gli occhi pieni di incredulità, il volto arrossato.
Dovevo confessarle i miei sentimenti, dovevo! Poggiai cautamente la mia fronte sulla sua e le dissi, il più sinceramente possibile, per quanto risultasse impacciata, quella mia confessione, di amarla, di amare Noele Lemieux. Dopo la confessione, stavo per baciarla, ma mi sembrava forzato, quindi decisi di evitare. Mi osservò come volesse piangere nuovamente, ma questa volta il suo era un pianto di gioia e non cagnesco. Mi soprese un ennesima volta, Noele: strinse le braccia intorno il mio collo e, colle sue umide labbra, baciò le mie.

Avvertii una sensazione di piacere fulminante lungo la mai colonna vertebrale, proprio nel preciso istante in cui ricevetti il bacio.
A pensarci, quello fu il mio primo bacio, e chiunque avrebbe voluto essere al mio posto, quando si trattava del PRIMO bacio.
Mi chiesi se fosse anche il primo di Noele. Sicuramente sembrava sapesse come baciarlo, un uomo, comunque. Il bacio condiviso tra noi non era ne rozzo o folle, era quieto. Con le mie mani tastai le sue guance e approfondii il bacio. Il fievole gemito di Noele intensificò le mie passioni ed i miei sentimenti, non potevo non gemere un poco io stesso quando questa mi baciò a sua volta, con la stessa passione con cui la baciai io. Dopo qualche minuto, ci fermammo e ci osservammo. Pose la sua mano sinistra sul mio volto e mi disse di avermi amato, sempre, di nascosto, così come io l’avevo sempre amata. Con la mia mano sinistra rimossi alcuni dei suoi capelli dal suo volto angelico e le ordinai di chiamarmi per nome, Jean. Capì.
L’abbracciai stretta a me, provando il meglio della mia vita in un piccolo istante. Anche lei mi abbraccio con altrettanto vigore, affondando il mio volto nel suo petto.

  
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