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Autore: Lilim Sophie    19/01/2013    2 recensioni
…l’alba vista da lassù era davvero qualcosa di spettacolare. Rimase in quella posizione un po', finché non si disse che era tempo di completare il suo giro mentre pian piano si faceva sempre più giorno.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo I


Aprì gli occhi sbadigliando, un nuovo giorno stava per iniziare. Scivolò giù dal letto e passando davanti allo specchio, attraversò la stanza. Infilò la tuta da ginnastica abbandonata sulla scrivania accanto alla porta e poi calzò le sue Nike.

Diede uno sguardo alla finestra, fuori era ancora buio. In punta di piedi percorse il corridoio e scese la rampa di scale in ferro battuto. Fuori tutto taceva, ferma sul vialetto s’infilò le cuffie e azionò il contapassi. Iniziò a correre, da prima mantenendo un passo moderato, poi, accelerando gradualmente. Riusciva a sentirli, i battiti del suo cuore, il petto le faceva su e giù e una vecchia canzone di Nicki Minaj le risuonava nelle orecchie, invogliandola a fare di meglio. 

Svoltò subito a destra correndo per circa un chilometro, attraversò le rotaie del vecchio tram e continuò a correre fino a raggiungere il colle. A quel punto si arrampicò su un muretto e poi su una vecchia cisterna, da lassù poteva ammirare tutta la magnificenza del golfo. Napoli, la città in cui era cresciuta, era la città più bella del mondo non ne aveva dubbi. 

Respirò quell’aria fresca e una dolce brezza le mosse i capelli che aveva raccolto in una coda alta, poi, facendo aderire bene i palmi delle mani alla superficie della cisterna, si alzò in una spettacolare verticale. I muscoli tesi, le gambe perfettamente allineate. Il suo viso fu illuminato dal nascente sole, l’alba vista da lassù era davvero spettacolare. Rimase in quella posizione finché non si disse che era tempo di completare il suo giro, mentre pian piano si faceva sempre più giorno. 

Lo faceva ogni giorno, correre quei 15 chilometri non era un peso, non per lei.  Dopo aver ritirato il giornale e qualche cornetto caldo da Mimmo, finalmente si decise a rientrare. 

Lasciò la spesa sul tavolo e senza fare troppa confusione andò a farsi una doccia. Una volta terminata, si avvolse in un morbido asciugamano e tornò in camera sua per rivestirsi, erano quasi le 7:00.

Tornò al piano di sotto, afferrò un sacco da box e lo trascinò per metterlo in fila con gli altri. Azionò l’aspiratore e sistemò la sala per la lezione delle 8 e 30, poi, ritornò in cucina.

Le vetrate si schiarirono progressivamente al suo passaggio, mostrandole la sua meravigliosa città già frenetica e viva. In cucina non era mai stata brava, ma qualcosa sapeva farla, aprì una bustina di caffè macinato e dopo averne annusato l’aroma, lo versò nella caffettiera. Non c’era nulla di meglio di una buona tazza di caffè fatta alla vecchia maniera.

Sbirciò la testata del quotidiano, poi, lo ripiegò e lo adagiò sull’isola della cucina accanto alla tazza di caffè e ai cornetti. A quell’ora Alex doveva essersi già alzato e presto se lo sarebbe visto sbucare davanti affamato. Tempo di bagnarsi le mani sotto al getto fresco del lavello, che Alex fece la sua entrata.

«Scarlett, potresti spostare quella sedia?», chiese l’uomo avanzando nella stanza. 

La ragazza obbedì subito agli ordini. «Buongiorno!», esclamò scoccandogli poi un bacio sulla guancia.

In quel modo la sedia a rotelle poté farsi spazio e raggiungere l’isola. Alex era paraplegico, aveva perso l’uso delle gambe da tempo ormai, da prima che diventasse il suo tutore, ma era una cosa che non le pesava. Non le pesava affatto, Alex era perfettamente autonomo ed era stato in grado di occuparsi di lei fino a quel momento, restituire il favore una volta tanto non era un peso.

Lo vide sorseggiare il suo caffè e poi annuire mentre leggeva il quotidiano, un ennesimo criminale era stato acciuffato e portato allo Skydom, il carcere penitenziario sospeso a ventimila metri d’altezza. Eppure, sebbene la tecnologia avesse fatto passi da gigante in quegli ultimi anni, tutti quelli che conosceva avevano preferito condurre una vita agiata, tranquilla, quasi al pari di quella di 20 anni prima. Scarlett doveva ammetterlo, anche se non li aveva vissuti quegli anni, ne sapeva molto di più dei suoi coetanei e per certi versi preferiva quegli anni in cui tutto era più moderato. Quando non esistevano ancora le hover car e quando la musica era ancora musica e non solo un gran rumore assordante. 

Ciò nonostante, rispetto alle grandi metropoli globali la sua, certo si era evoluta, ma aveva mantenuto un certo tenore di vita, aveva tenuto vivi quei valori e quelle tradizioni di un tempo, come le feste di paese, l’importanza della storia, il culto.    

Tuttavia era bene ringraziare i grandi progressi che si erano raggiunti in quegli anni se ora il tasso di criminalità era sceso sotto l’1% e il grande problema dei rifiuti e dell’inquinamento era stato estirpato definitivamente. Tutte le zone limitrofe che un tempo erano logorate dai malaffari della criminalità organizzata erano state bonificate, in campo medico si era finalmente trovata una cura efficace contro tumori e malattie varie dovute al contatto con la diossina, che in quegli ultimi 30 anni avevano fatto perdere ogni speranza agli abitanti della terra dei fuochi. Era stato però necessario scendere a patti con l’industria farmaceutica. Inoltre, erano stati risolti definitivamente anche i problemi dell’immigrazione, della disoccupazione e la grave crisi economica, che aveva portato a una rapida rimonta. In conclusione, il suo presente non era per niente come quel futuro del quale aveva letto nei libri e visto nei film di fantascienza. 

Non era tetro, spaventoso, né devastato da guerre, alieni e cyborg impazziti. Quelli non esistevano ancora e l’ingegneria del suo tempo si occupava di cose ben più importanti, come la produzione di sistemi utili alla salvaguardia mondiale. Il suo era quindi un futuro ragionevole e giusto. Sì, in definitiva quegli anni ’30 del XXI secolo erano stati il raggiungimento di un perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione, tra passato e futuro. 

Scarlett si sedette su uno degli sgabelli intorno all’isola e addentò un cornetto alla confettura di albicocche, la sua preferita e dando uno sguardo all’orologio digitale affisso alla parete, poggiò i gomiti al ripiano. 

«Oggi non ci sarò», Alex attirò la sua attenzione. «Quindi le lezioni delle 15:00 e quelle delle 17:00 saltano».

La ragazza finì il suo cornetto e annuì. «Grandioso, così avrò un po’ di tempo libero», si alzò e iniziò a ripulire. «E dov’è che vai?», chiese poi mettendo la tazza, dove poco prima aveva versato il caffè per Alex, nella lavastoviglie. 

«Nulla, devo vedere un vecchio amico», iniziò l’uomo. «È in città solo per oggi e mi ha chiesto di incontrarlo, dice che ha qualcosa d’importante da dirmi. Mah sarà».

«Bene, io invece ho intenzione di vedere i ragazzi oggi, è un po’ che non mi alleno con loro». 

Alex la fissò severo, poi, scostando la sedia a rotelle si avvicinò alle grandi vetrate dandole le spalle. 

«Starò attenta te lo prometto, non c’è bisogno che fai quella faccia ogni volta. È capitato solo quella volta e sono trascorsi tre anni da allora, non tenterò nulla di folle sta tranquillo!», concluse lei mettendogli le braccia al collo.

Entrambi guardarono fuori, «Mi fido!», sentenziò lui sospirando.



Qualche tempo dopo finalmente arrivarono i suoi piccoli, una schiera di dieci bambini dai 6 agli 8 anni. Scarlett si occupava di loro che venivano piantati li dai loro genitori ogni giorno, troppo indaffarati con il lavoro o quant’alto, più o meno da quando le scuole chiudevano i battenti per le vacanze estive, ma lei non si occupava mica di un campo estivo, anzi. Scarlett era cintura nera di arti marziali, karate, judo, krav maga e kick boxing ed era proprio quest’ultima disciplina che si cimentava a insegnare loro. 

«Sta dritto Tony», raddrizzò la postura al piccolo e osservò gli altri mantenere la posizione.

La palestra però non era sua, lei si occupava solo dei più piccoli. In realtà il proprietario era Alex e sebbene fosse fermo su quella carrozzina da tanto, forse troppo tempo, era lui l’esperto. Conosceva oltre 30 discipline di combattimento e difesa, tra le più rare e complicate del mondo. Da giovane, prima del suo tragico e drastico incidente, aveva viaggiato molto, era stato allievo di un vecchio monaco shaolin e aveva gareggiato nella Lega di Titanio riuscendo a mantenere il titolo di campione mondiale per ben due edizioni. 

La Lega di Titanio era una competizione mondiale che si teneva ogni 5 anni sull’isola di Maui, nel Pacifico, dove si riunivano gli atleti e i fighter più forti di tutto il mondo. Scarlett aveva letto da qualche parte che persino il grande Muhammad Ali vi aveva preso parte prima che la competizione fosse ufficializzata al mondo nel 1998, ma non ne era poi così sicura. Fino ad allora, infatti, la Lega era stata un’entità segreta, l’opinione pubblica non avrebbe mai accettato una tale carneficina. La Lega era nata come una sorta di fight club, finché qualcuno non decise che andavano imposti dei freni. Così divenne una competizione a tutti gli effetti, come le Olimpiadi, più di duecentomila individui di ambo i sessi, provenienti da tutte le parti del mondo, si sfidavano per detenere il titolo di campione. 

Da qualche mese Scarlett aveva scopeto che quell’anno, dopo una sospensione di ben 18 anni, si sarebbe tenuto di nuovo quel grande incontro e la cosa l’eccitava parecchio. Alex non ne parlava mai e lei non riusciva a capirne il perché, eppure avrebbe dovuto essere motivo di vanto per lui, campione mondiale per ben due volte.

Tutto quello che sapeva sullo scioglimento della Lega, era che nell’ultima edizione c’era stato un grave incidente, ma non era riuscita a trovare nessun'altra informazione al riguardo, Alex aveva oscurato tutta la faccenda. 

Scarlett sognava di potersi mettere alla prova, confrontarsi con quei grandissimi atleti, ma sapeva che Alex non glielo avrebbe mai permesso. Aveva dato via tutti i suoi trofei e le onorificenze, quasi avesse voluto cancellare quel periodo della sua vita e se solo avesse scoperto i suoi duri allenamenti e l’iscrizione segreta alla competizione, di sicuro l’avrebbe cacciata via di casa.

Una vacanza con gli amici, era così che Scarlett intendeva giustificare la sua assenza in quei giorni, gliene avrebbe parlato quella sera durante la cena. Sperando che lui ci credesse.

Lo vide attraversare la sala, pronto a uscire. «Scar, sto andando!», le indicò la porta. «Non fare tardi», aggiunse sapendo che la ragazza sarebbe rientrata dopo di lui.  

Lei annuì, mentre aspettava che anche la madre dell’ultimo bambino andasse a riprenderselo. 

Aveva un fisico esile e due occhietti vispi. «Vieni Damian, ti va un po’ di succo?», chiese al piccolo indicandogli il frigo.

Damian iniziò a seguirla, ma poi si firmò ad ammirare la console accanto al televisore nel salotto. «Quella è…?», domandò titubante.

«Si, è la nuova PSZ. Vuoi fare una partita?». Scarlett tornò dalla cucina con un piatto di biscotti al cioccolato e del succo all’arancia, adagiò il tutto sul tavolino accanto al divano e lo vide entusiasmarsi come non mai. 

«Ok allora, scegli tu a cosa giocare», intanto raccolse e indossò i sensori per il 4D.

«Cosa ne dici di X Frost 2004?», domandò il bambino assaggiando un biscotto.  

Scarlett acconsentì sorridendo, «Vada per X Frost allora». 

In men che non si dica tutt’intorno si fece buio e la ragazza si ritrovò catapultata in un paesaggio postumo a un’ipotetica terza guerra mondiale. Imbracciava un vecchio AK e indossava una tuta mimetica.

«Pronta Scar?», sentì esclamare al piccolo Damian nascosto lì da qualche parte.

«Avanti, vieni fuori che ti faccio nero!», finse una minaccia e poi iniziò a correre per quelle innevate macerie virtuali.   

   
 
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