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Autore: books addicted    19/01/2013    4 recensioni
Cosa c'è davvero dietro Caesar Flickerman, il celebre presentatore degli Hunger Games? È davvero uguale agli altri cittadini di Capitol City? Magari no. Magari lui ha un cuore.
Spero che questa one-shot vi piaccia.
Buona lettura :)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caesar Flickerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caesar si guarda allo specchio per l'ultima volta. Non che ne abbia veramente bisogno. 
Non potrebbe esserci qualcosa di imperfetto in lui nemmeno se lo volesse. Gli stilisti hanno fatto un lavoro eccellente. 
Quest'anno hanno scelto l'azzurro polvere, che è sicuramente un colore meno ridicolo rispetto a quello dell'anno precedente: rosso cremisi. Sembrava che il presentatore stesse sanguinando. Invece, su consiglio del caro Coriolanus Snow per i 74esimi Hunger Games hanno adottato l'azzurro polvere.
Perciò i capelli erano stati tinti accuratamente di azzurro, uno ad uno, in modo che il colore nascondesse i capelli brizzolati del presentatore. 
Azzurre erano le labbra, gli occhi, il trucco, le unghie.
Azzurro era lo smoking che indossava.
Però in fondo a Caesar non dispiaceva l'azzurro.
Si abbottona l'ultimo bottone della giacca. Vuole apparire al meglio questa sera. 
Mi guardano in tutta Panem, pensa quasi come giustificazione.
Ma ormai tutta Panem lo conosce fin troppo bene. Il celebre presentatore degli Hunger Games, ad ormai 57 anni suonati, non è mai cambiato di una virgola.
Gli incipriano ancora il naso. Caesar sospira. 
È davvero così necessario?
-Perfetto! Adesso è perfetto signor Flickerman!-squittisce la sua stilista. Si, squittisce. Perché la sua voce è così stridula che non quando apre bocca, non sembra che stia parlando.
Perfetto.. Questa parola risuona nella testa di Caesar. Gli rimbomba così forte che afferra lo schienale di una sedia all'improvviso. 
-Sta bene? Vuole sedersi?-chiede con apprensione. Ovviamente se il presentatore sta male, sarebbe un macello a Capitol City. 
Hunger Games senza interviste? Non esiste proprio.
-No non si preoccupi- la rassicura, facendole segno con la mano che vuole lasciato solo. La stilista, sebbene molto dispiaciuta, lascia la stanza chiudendo la porta lievemente. 
Caesar si riguarda nuovamente allo specchio. Non riconosce l'uomo che non ha di fronte. Non era lui.
Era un burattino nelle mani di Snow. 
A volte avrebbe voluto non essere nato nella Capitale, ma in qualche Distretto. Essere nato come la gente comune.
Caesar voleva semplicemente non essere costretto a fare quello che non voleva fare. 
E invece sin da piccolo era cresciuto in questo mondo di atrocità. Non sapeva nemmeno come opporsi. Non riusciva. Forse non ne aveva il coraggio.
 
-Papà guarda i tributi del Distretto 3! Che buffi- urlò il piccolo Caesar, per sovrastare le urla della gente.
Il padre gli sorrise amorevolmente.
Caesar era così felice. Finalmente il papà l'aveva portato a vedere la parata dei tributi e si stava divertendo molto a commentare come erano vestiti, le loro espressioni facciali.
Era da tempo che aspettava di sedersi su quegli spalti e poter vedere con i suoi occhi quello che era abituato seguire a casa sul suo televisore.
-Papà hai visto quelli del 6? Sembrano così impauriti! Dovrebbero essere felici, vero papà?- chiese. Troppa la curiosità. Troppo l'innocenza e l'ingenuità. 
Non sapeva. E non doveva sapere.
-Si. È vero Caesar. Dovrebbero- il padre lo abbracciò. Ma il piccolo si divincolò per sporgersi e guardare meglio. 
Fu portato anche alle interviste, quell'anno. Quello fu l'unico anno che osservò la parte iniziale degli Hunger Games dagli spalti. Le altre volte era lì sul palco.
Le interviste lo annoiarono moltissimo. 
-Papà. Andiamo via. Mi sto annoiando- sussurrò nell'orecchio del padre.
Lui ridacchiò.
-Non possiamo andare via. E poi guarda che è difficile il ruolo del presentatore-replicò.
-Non ci credo proprio. Da grande lo farò io è ti mostrerò come si fa davvero il presentatore. Non come questo vecchio- assunse un'aria di superiorità, così buffa che fece scoppiare a ridere il padre.
-È una promessa o una minaccia?-chiese divertito.
-È una promessa. Vedrai tra qualche anno sarò seduto proprio lì al posto di quello. Promesso.
 
 
Non l'avesse mai fatto. 
Aveva perfettamente ragione. È un lavoro difficilissimo.
Non perché sia davvero difficile intrattenere quegli idioti di Capitol City. 
Ma perché lui ha perso se stesso.
Vorrebbe che le rughe gli solchino il viso, i capelli gli diventino bianchi.
Vorrebbe poter essere libero di dire quello che vuole.
Invece deve mantenere la sua immagine e rispettare il copione. 
Ma la parte più difficile. Quella che gli dilania il cuore ogni anno, era conoscere i tributi. Parlarci faccia a faccia, a volte, anche, ridere e scherzarci.
In quei tre minuti di intervista si affeziona a loro. Ognuno è diverso, è speciale. 
Sono solo bambini. 
Bambini come il figlio che lo sta aspettando a casa. Bambini che hanno il diritto di vivere e invece sono costretti a combattere fra di loro anziché giocare insieme. Ad uccidersi, senza il loro volere. Uccidersi perché non possono far altro se vogliono rivedere la loro casa, la loro famiglia. Se vogliono vivere.
-Signor Flickerman fra 5 minuti in onda-dice la voce del suo auricolare.
Ci siamo.
Esce dalla stanza. Attraversa il lungo corridoio, accennando con la testa e sorridendo a varie persone a mò di saluto.
Il cuore sembra quasi uscirgli dal petto. 
Tra meno di un'ora avrà già detto il suo addio a quei bambini.
Perché sono solo bambini
L'aveva detto così tante volte al presidente. Aveva provato a parlargli. Forse era stato il primo ad osare ribellarsi alla sua autorità.
-3 minuti.
Ma lui aveva gentilmente minacciato di ucciderlo. 
Caesar si sente come in una gabbia. Nessuna via d'uscita. 
Sono solo bambini.
I pensieri gli si affollano in testa. Le mani gli sudano. 
-Signore si sbrighi. È tardi.
Tutti continuano a ripetere di sbrigarsi.
Che fretta c'è? Tanto tra qualche settimana saranno comunque tutti morti tranne uno. Non c'è fretta.
Prende la cartelletta. Gli incipriano il naso. Gli sistemano il microfono.
Sale le scale che lo condurranno sul palco.
-1 minuto.
Qualcuno gli appoggia la mano sulla spalla.
-Caesar. Amico mio.
Si volta e un'ondata di profumo di sangue lo invase. 
-Presidente Snow.
Freddo e impassibile. 
-Volevo solo augurarti buona fortuna- dice ironicamente.
Caesar fa finta di non farci caso.
-La ringrazio.
Sale un altro scalino.
La bocca di Snow si avvicina all'orecchio.
-Un passo falso e ti distruggo.
Caesar si irrigidisce.
Sono solo bambini.
Vorrebbe urlarlo. Vorrebbe che quelli là fuori, quella folla urlante e strepitante, lo capisse. 
Vorrebbe.. Vorrebbe dire tante cose.
E invece annuisce impassibile, ignorando le emozioni che si agitano dentro.
-5 secondi.
Il presidente se ne va, silenzioso come è arrivato. Come un viscido serpente quale è.
4 secondi.
Continua a salire.
3 secondi.
Il cuore si è fermato ormai.
2 secondi.
Ora è sul palco.
1 secondo.
Sono solo bambini.
Adesso. 
-Buonasera a tutta Capitol City e che i 74esimi Hunger Games abbiano inizio. 

Nda: Beh... che dire? Questa one-shot raccontata dal punto di vista di Caesar vuole mettere in luce gli aspetti positivi del presentatore. Ho sempre pensato che lui non fosse favorevole agli Hunger Games e così ho deciso di scrivere questa cosa, qui. So che non è un granchè, ma ho deciso di pubblicarla per sapere se vi piace e cosa ne pensate. Perciò ringrazio chiunque l'abbia già letto e sia arrivato qui in fondo, chiunque la leggerà e chiunque eventualmente recensirà (perchè nel profondo del mio cuoricino ci spero ahahah). Grazie :)
  
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