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Autore: Sibylla    19/01/2013    10 recensioni
« Beckett non aveva neanche sollevato gli occhi dalle sue pratiche: né un cenno né una parola che lasciasse intendere che si fosse accorta della presenza dello scrittore [...].
Se Castle avesse voluto cogliere i segnali, questi gli stavano suggerendo una sola cosa: "Stammi alla larga!".
Se avesse voluto...Ma lui non voleva.
[...]
E fu allora che Richard Castle ebbe un 'illuminazione.
Beckett non era semplicemente arrabbiata.
Beckett era arrabbiata con lui.
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Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Castle fece il suo ingresso al distretto, come ogni mattina, con due caffè fumanti tra le mani.
Nei pochi istanti che impiegarono le porte dell'ascensore a richiudersi, lo scrittore aveva già individuato il suo obiettivo e annullato la distanza tra loro.
- Buongiorno detective!-
Le porse il caffè, insieme ad uno dei suoi migliori sorrisi, sperando di ricevere in cambio la notizia di qualche macabro e contorto omicidio da risolvere.
Chi sarebbe stata la vittima questa volta? Una spia della CIA,celata sotto le insospettabili spoglie di una casalinga, e freddata da un colpo di pistola dopo una missione finita male? O forse un comune,e all'apparenza innocuo, avvocato, gestore in realtà del più grande giro di prostituzione di tutta New York....
Qualunque cosa lo aspettasse, lui era pronto: già pregustava la tipica adrenalina mista ad eccitazione che solo un caso era in grado di dargli.
Ma tutto ciò che ottenne fu il nulla, avvolto dal silenzio.

Beckett non aveva neanche sollevato gli occhi dalle sue pratiche: né un cenno né una parola che lasciasse intendere che si fosse accorta della presenza dello scrittore, fatta eccezione per il muoversi rapido di un'ombra che, con esagerata irruenza, gli aveva letteralmente strappato di mano il bicchiere.
La guardò contrariato,e leggermente deluso dalla sua indifferenza: se ne stava immobile sulla sedia, con lo sguardo fisso,e forse neanche troppo concentrato, su una pila di fascicoli, intenta a sorseggiare la sua nuova conquista con foga.
Troppa foga,notò, anche per una tossicomane da caffeina come lei.

Se Castle avesse voluto cogliere i segnali, questi gli stavano suggerendo una sola cosa: "Stammi alla larga!".
Se avesse voluto...Ma lui non voleva.
La sua indole investigativa era più forte persino dell'istinto di sopravvivenza. Era come il domatore con la tigre: stuzzicarla era il suo mestiere, e quello era decisamente il momento più adatto per agire,approfittando del fatto che la preda era troppo impegnata a cibarsi per attaccare.
-Insomma Beckett potresti almeno salutare! Forse la mattina dovrei farti trovare più zucchero nel caffè!-
Rise di gusto, non tanto per ciò che aveva detto quanto per il fatto di aver parlato,sfidando la tigre.
Era soddisfatto di sé,come un bambino che affonda le dita nella torta conscio del fatto che sarà punito per questo; ma il suo entusiasmo scemò non appena incontrò lo sguardo della detective.
Adesso capiva cosa intendevano gli antichi miti con Medusa :occhi che pietrificano.
Deglutì sonoramente,tentando di ricacciare indietro un fastidioso macigno che sembrava essersi ancorato alla sua gola,e osservò la bocca di Beckett aprirsi e,contro ogni aspettativa, richiudersi ancor prima di aver sferrato il suo attacco.
Mentre ancora Castle si domandava a cosa dovesse quello sconto di pena, Beckett aveva preso a scuotere il capo, come a dire che non ne valeva la pena, e lo aveva liquidato con un'ultima occhiata scocciata per poi tornare al suo lavoro.
E fu allora che Richard Castle ebbe un 'illuminazione.
Beckett non era semplicemente arrabbiata.
Beckett era arrabbiata con lui.
Ora restava solo da capire il perché. La giornata era appena iniziata, cosa mai aveva potuto fare già di tanto grave?
Istintivamente portò gli occhi al cielo, facendo ciondolare un po' il capo.
Da quando si sottovalutava così?
La domanda giusta da porsi era: quale dei vari pasticci che aveva, sicuramente, combinato poteva aver provocato in lei quella reazione?
Nella mente di Castle si aprirono innumerevoli scenari,alcuni dei quali improbabili altri decisamente assurdi, tutti degni della fantasia del famoso scrittore di best seller qual era.
Ma non c'era tempo per perdersi in complotti alieni o scambi di corpi.
Al momento una questione più urgente richiedeva la sua attenzione: Beckett e il suo rumoroso silenzio.
Era forse in ritardo? Si trattava ancora della sedia? O della tazza che aveva rotto il giorno prima? O forse del fatto di aver accidentalmente innaffiato il suo distintivo col thé di Ryan? Che si fosse accorta che aveva rotto tutte le punte alle sue matite? Eppure gli era sembrato uno scherzo così divertente in quel momento.
Oppure...
Magari semplicemente si trattava di tutte queste cose insieme.
Non senza un briciolo di compiacimento,dovette ammettere di saper essere davvero fastidioso. Ma solo qualche volta. E solo un pochino.
Diede un rapido sguardo all'orologio: segnava le otto e mezza. Decisamente non era in ritardo,e in ogni caso non ricordava una sola volta in cui Beckett si fosse lamentata perché non si era fatto vedere in giro per più tempo del previsto...
Che fosse in anticipo?

Intanto che lui passava al vaglio le varie possibilità, Beckett si era alzata e, posizionatasi di fronte alla lavagna, aveva iniziato a cancellare gli indizi relativi al caso del giorno prima. Il tutto senza proferire parola.
Deciso a intervenire, Castle scelse di puntare tutto sulla sedia: il motivo più frequente dei loro battibecchi.
-E' per la tua sedia vero?- Nessuna risposta.
-Oh, andiamo Beckett! D'accordo hai ragione, mi hai ripetuto migliaia di volte di non toccarla, ma il fatto è che la tua sedia è più bella della mia! Sì, insomma, trasuda detective da tutti i lati! E ha le ruote migliori, scivola che è una meraviglia! Credimi le ho provate tutte qui al distretto ma la tua è la migliore!-
Silenzio.
-Non a caso è la tua...-
Ancora silenzio. Neanche i complimenti sembravano funzionare.
Non che si aspettasse diversamente in realtà... Anche se per un attimo Rick credette di scorgere un accenno di sorriso far breccia nella maschera di imperturbabilità della detective.
Sconsolato, continuava a girarle attorno come un avvoltoio gira attorno al suo prossimo pasto,con impazienza, sperando in questo modo se non di impietosirla, quantomeno di irritarla.
Ma lei non sembrava intenzionata a cedere, piuttosto preferiva sfogarsi sul cancellino, succube una pressione molto più forte di quanto fosse realmente necessario per rimuovere del semplice pennarello lavabile.
Al diavolo! Da quando preferiva l'autocontrollo alla possibilità di sgridarlo?!
Doveva davvero averla combinata grossa stavolta... Eppure non gli veniva in mente nulla.
Che fosse davvero per via delle matite? In fondo, lei adorava quelle matite.
Le sue nuove, belle e appuntite matite da lavoro.
-Per caso ce l'hai con me per via delle mat...-
Si fermò prima di terminare la frase. L'occhiataccia che Beckett gli aveva rivolto non era esattamente ciò a cui stava mirando lo scrittore, che sperava in una reazione un tantino più rumorosa, ma comunque gli suggerì che probabilmente lei non sapeva di cosa stesse parlando, ancora.
E ritenne opportuno lasciare che scoprisse il suo scherzo da sola, possibilmente quando lui non fosse stato nei paraggi, e soprattutto in un altro momento in cui magari ne avrebbe anche riso.
O per lo meno non lo avrebbe ammazzato.
Nel frattempo Beckett aveva terminato la sua pulizia e stava per tornare a sedersi, ma un "Oh" urlato all'improvviso la fece sussultare, inchiodandola al pavimento.

Castle si era portato una mano alla fronte,colpendosela energicamente e con un po' troppa enfasi, tanto da aver catturato l'attenzione di molti altri nel distretto oltre che della detective. Li liquidò con uno scatto del polso e incatenò il suo sguardo trionfale a quello della partner.
Alla detective parve di scorgere nei suoi occhi "Ho capito" scritto a caratteri cubitali.
Si morse un labbro, per frenare una risata, e diede le spalle allo scrittore, troppo preso a darsi dello stupido e del genio contemporaneamente,certo di aver ormai trovato la risposta a quello strano comportamento.
-E' tutto chiaro ora! Hai letto l'articolo, come ho fatto a non pensarci prima? A dire il vero speravo di riuscire a nascondertelo... Senti capisco che tu sia arrabbiata, ma che colpa ne ho io? E poi non devi dare peso a quello che scrivono, solo perché lo dice il New York Times non vuol dire che tutti crederanno al fatto che stiamo insieme e...-
La mente di Kate, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, curiosa di scoprire dove le congetture apparentemente geniali dello scrittore lo avrebbero condotto, era andata in corto circuito non appena le parole "New York Times", "insieme" e "noi" furono pronunciate nella stessa frase.
Si voltò di scatto, con gli occhi spalancati e un'espressione davvero poco rassicurante sul viso, tanto che a Castle sembrò di poter leggere già il titolo in prima pagina sul quotidiano dell'indomani: noto scrittore ucciso brutalmente dalla sua musa.
Un'immagine molto poetica in effetti, ne avrebbe potuto ricavare un altro best seller. Ma la propria morte non era esattamente ciò che lui intendeva con l'espressione "sacrificarsi per il lavoro".
Trattenne il respiro, temendo che la sua furia avesse avvelenato anche l'aria, e con terrore seguì ogni suo movimento: Beckett che si avventava sulla scrivania, Beckett che estraeva il quotidiano dalla montagna di carte sotto cui era sepolto e ne sfogliava rapida tutte le pagine fino a trovare quella di suo interesse.
Beckett che cambiava colore, spaziando dalle tonalità del bianco pallido a quelle del rosso acceso.
Quando la pelle della detective si fece paonazza e la sua bocca si spalancò sdegnata, Castle capì che aveva infine posato gli occhi sulla foto di lui che,scendendo dalla sua auto, le porgeva il solito caffè davanti a quella che sembrava essere la scena di qualche crimine: un gesto innocente per chiunque li conoscesse, ma non per i giornalisti, secondo cui quella non era altro che la prova di una notte passata insieme.
La tipica colazione del giorno dopo, in una versione più originale.
Chiunque li avesse fotografati non poteva certo immaginare che avevano passato la notte al distretto,alle prese con un caso particolarmente spinoso, e che l'unico motivo per cui si erano presentati a bordo della stessa auto,quella mattina, era che al momento della chiamata erano insieme a lavoro.
E che le loro occhiaie erano dovute ad un altro tipo di stanchezza, il tipo meno divertente.
E in ogni caso, perché scriverlo? La verità non faceva vendere le copie, il gossip sì.

Beckett sbatté gli occhi più volte, ritornando su alcune parti dell'articolo anche dopo averlo terminato per essere certa di aver capito bene, poi prese a fissare Castle, regalandogli un'espressione basita e sconcertata allo stesso tempo.
Era evidente che lei non ne sapeva nulla..
Com'era evidente che lui si era appena dato la zappa sui piedi da solo.
-Beh te l'avrei detto...forse-
Beckett sbatté il giornale sul tavolo, violentemente, senza mai perdere però il contatto visivo con l'uomo.
-Ok, te l'avrei detto sicuramente! Magari in un altro momento e dopo aver magistralmente elencato tutte le tue splendide qualità!- Fece una pausa.
-Ma d'altronde si sa, per i VIP non c'è mai pace,e neanche per le loro muse sembra!-
Con fare teatrale agitò il braccio destro,indicando prima il giornale e poi di nuovo se stesso. Il volto incorniciato da una maschera di finta afflizione ,che ebbe come unico risultato quello di far ulteriormente irritare la detective.
Non avendo riscosso consensi con la sua interpretazione, per inciso magistrale, del povero scrittore assediato dai paparazzi e privato della propria libertà, decise di ricorrere al piano B: impietosirla.
Iniziò perciò a farfugliare una serie di scuse e giustificazioni, miste a frasi senza senso e in balia dell'anarchia grammaticale,cosa per lui parecchio difficile da attuare in circostanze normali, ma che non gli richiedeva alcuno sforzo quando aveva gli occhi di Beckett puntati addosso a indagargli fin dentro l'animo.
Come era in quel preciso istante.
Passarono alcuni istanti, che a lui comunque parvero un'eternità, prima che Beckett si decidesse a emettere la sentenza: con uno scatto fulmineo portò in avanti le braccia, come a voler scacciare una presenza invisibile nell'aria che le dava noia, e con un'alzata di sguardo lo mandò a quel paese, ponendo fine alla questione.
Rick attese di farla sfogare un'ultima volta contro il giornale, cacciato malamente in un cassetto della scrivania, e finalmente tornò a respirare, cacciando fuori in un sospiro tutta l'aria che aveva fino ad allora trattenuto nei polmoni.
Gli ci volle un minuto buono perché il suo cuore tornasse a pompare il sangue regolarmente, due per potersi definitivamente rilassare e tre per rendersi conto che Beckett lo aveva appena steso col suo governo del terrore senza neanche dire una parola. Ancora.
Sebbene fosse tanto furiosa da avergli dato più volte l'impressione di essere sul punto di estrarre la pistola e puntargliela alla testa, non lo era abbastanza da far cadere quel regime di silenzio.
L'ammirazione nei suoi confronti, per il modo in cui era riuscita a farlo tremare solo con i suoi sguardi, si mischiò a una sorta di rammarico verso se stesso per non averla fatta arrabbiare di più. Se si fosse applicato di certo sarebbe riuscito a far risultare quell'articolo ancora peggio di quel che era.

Ma che diamine aveva combinato per meritarsi quel silenzio?
Doveva essere davvero qualcosa di terribile, pensò, se neanche il New York Times l'aveva fatta desistere dal non urlargli contro.
Una stretta allo stomaco lo colpì.
Per quanto ancora sarebbe andata avanti quella situazione?
E per quanto ancora lui sarebbe riuscito a sopportarla?
-Oh andiamo Beckett, vuoi dirmi cosa ti ho fatto?! Ti prego! Non sopporto più questo silenzio, è assordante! Mi dispiace,ok? Qualunque cosa abbia fatto mi dispiace! Tantissimo! Avrò almeno il diritto di sapere perché la mia musa è diventata un mimo!-
Beckett tornò a guardarlo e per un attimo sembrò seriamente pensarci sopra: arricciò un po' il naso come fosse in preda al dubbio, ma infine scrollò le spalle e decise per il no.
-Niente? Non vuoi dirmelo?- Un rapido movimento del capo gli suggerì la risposta.
-Farò tutto ciò che vuoi! Cosa vuoi? Il caffè già te lo porto...ma potrei portarti le ciambelle! O forse preferisci i cornetti? Ci sono,un pony! Lo vuoi un pony detective?-
Beckett sollevò le sopracciglia nel tentativo di darsi un'aria corrucciata, ma nell'insieme sembrava più che altro attonita e divertita.
-Posso procurartelo, davvero! Ma forse non sei il tipo da cavalli in miniatura... e poi dubito che tu voglia tenere un enorme quadrupede nel tuo appartamento. Quindi anche l'asino è da scartare, e un cane è così banale...a meno che tu non lo voglia, ovviamente! -

Castle, ormai perso nelle sue elucubrazioni mentali, neanche si accorse che l'espressione della detective si era lentamente trasformata, e che a stento ora si tratteneva dal ridere, non facilitata in questo dal tono piagnucoloso e supplichevole dello scrittore.
-Che ne dici di una casa negli Hamptons? Così avresti anche un posto per il cavallo! Ti darei la mia, ma mia madre dopo mi ucciderebbe probabilmente... Ah! Potrei darti mia madre! A volte è parecchio pesante, e indiscreta, però ha molte buone qualità! Ad esempio lei è molto ... e ha tanto...beh, sa preparare dei drink fenomenali!-
In quel mentre Esposito e Ryan fecero la loro comparsa nella stanza, inserendosi in quel caos di preghiere e promesse.
-Beckett abbiamo un omicidio, in un hotel tra la Lexinghton e la 36esima. Lanie è già sul posto.-
Esposito le porse un biglietto con l'indirizzo del luogo, che lei prontamente afferrò insieme al suo giaccone.
Arrivata al secondo bottone sentì il suo telefono squillare. Leggermente infastidita lo tirò fuori da una tasca e osservò il numero sul schermo: anonimo.
Chiuse la chiamata e rivolse un'occhiata scocciata al partner: le sue sopracciglia alzate sembravano volergli dire "Davvero Castle? Mi credi così ingenua?".
Castle borbotto un "Maledizione" a labbra serrate, ignorando volutamente le risate dei due amici alle sue spalle, e riprese a lagnarsi.

-Avanti Beckett, parlami ti prego! Tanto lo sai anche tu che non potrai tacere per sempre! Ragazzi diteglielo anche voi!-
Castle si girò verso i due colleghi con occhi supplichevoli ma, per tutta risposta, i due alzarono le braccia, come a sottolineare che la cosa non li riguardava.
Avrebbe dovuto sbrigarsela da solo. Begli amici davvero!
Dedicò loro l'espressione più offesa di cui fosse capace, e poi corse verso l'ascensore notando che Beckett era già lì e molto probabilmente non lo avrebbe aspettato.
-Niente più teorie sulla CIA per un mese! Facciamo un mese e mezzo e ci aggiungo anche i rapimenti alieni! Beckett, un'offerta così non ti capiterà mai più, dai!-


Esposito e Ryan erano rimasti ad osservare tutta la scena dalla loro postazione.
L'ispanico attese che i due si fossero allontanati abbastanza e poi ,con tono falsamente preoccupato, si rivolse all'amico.
-Hey Brò, hai visto com'era disperato Castle? Credi che avremmo dovuto dirgli che Beckett ha perso la voce?-
Ryan lanciò un ultimo sguardo all'ascensore prima che le porte si richiudessero: Castle era ancora perso nel suo monologo e non si accorse di nulla, ma lui, da bravo detective, scorse chiaramente un sorriso sul volto della detective.
-Naah, lasciamola divertire ancora un po'!-


  
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