Castle fece il
suo ingresso al
distretto, come ogni mattina, con due caffè fumanti
tra le
mani.
Nei pochi istanti che impiegarono le porte dell'ascensore a
richiudersi, lo scrittore aveva già individuato il suo
obiettivo e
annullato la distanza tra loro.
- Buongiorno detective!-
Le
porse il caffè, insieme ad uno dei suoi migliori sorrisi,
sperando
di ricevere in cambio la notizia di qualche macabro e contorto
omicidio da risolvere.
Chi sarebbe stata la vittima questa volta?
Una spia della CIA,celata sotto le insospettabili spoglie di una
casalinga, e freddata da un colpo di pistola dopo una missione finita
male? O forse un comune,e all'apparenza innocuo, avvocato, gestore in
realtà del più grande giro di prostituzione di
tutta New York....
Qualunque
cosa lo aspettasse, lui era pronto: già pregustava
la tipica
adrenalina mista ad eccitazione che solo un caso era in grado di
dargli.
Ma tutto ciò che ottenne fu il nulla, avvolto dal
silenzio.
Beckett non
aveva neanche sollevato gli occhi dalle sue
pratiche: né un cenno né una parola che lasciasse
intendere che si
fosse accorta della presenza dello scrittore, fatta eccezione per il
muoversi rapido di un'ombra che, con esagerata irruenza, gli aveva
letteralmente strappato di mano il bicchiere.
La guardò
contrariato,e leggermente deluso dalla sua indifferenza: se ne stava
immobile sulla sedia, con lo sguardo fisso,e forse neanche troppo
concentrato, su una pila di fascicoli, intenta a sorseggiare la sua
nuova conquista con foga.
Troppa foga,notò, anche per una tossicomane da caffeina come
lei.
Se Castle avesse
voluto cogliere i segnali, questi gli stavano suggerendo una sola
cosa: "Stammi alla larga!".
Se avesse voluto...Ma lui
non voleva.
La sua indole investigativa era più forte persino
dell'istinto di sopravvivenza. Era come il domatore con la
tigre: stuzzicarla era il suo mestiere, e quello era decisamente il
momento più adatto per agire,approfittando del fatto che la
preda era troppo impegnata a
cibarsi per attaccare.
-Insomma Beckett potresti almeno salutare!
Forse la mattina dovrei farti trovare più zucchero nel
caffè!-
Rise
di gusto, non tanto per ciò che aveva detto quanto per il
fatto di
aver parlato,sfidando la tigre.
Era soddisfatto di sé,come un
bambino che affonda le dita nella torta conscio del fatto che
sarà
punito per questo; ma il suo entusiasmo scemò non appena
incontrò
lo sguardo della detective.
Adesso capiva cosa intendevano gli
antichi miti con Medusa :occhi che pietrificano.
Deglutì
sonoramente,tentando di ricacciare indietro un fastidioso macigno che
sembrava essersi ancorato alla sua gola,e osservò la bocca
di
Beckett aprirsi e,contro ogni aspettativa, richiudersi ancor prima di
aver sferrato il suo attacco.
Mentre ancora Castle si domandava a
cosa dovesse quello sconto di pena, Beckett aveva preso a scuotere il
capo, come a dire che non ne valeva la pena, e lo aveva liquidato con
un'ultima occhiata scocciata per poi tornare al suo lavoro.
E fu
allora che Richard Castle ebbe un 'illuminazione.
Beckett non era
semplicemente arrabbiata.
Beckett era arrabbiata con lui.
Ora restava
solo da capire il perché. La giornata era appena iniziata,
cosa mai
aveva potuto fare già di tanto grave?
Istintivamente portò gli
occhi al cielo, facendo ciondolare un po' il capo.
Da quando si
sottovalutava così?
La domanda giusta da porsi era: quale dei
vari pasticci che aveva, sicuramente, combinato poteva aver provocato
in lei quella reazione?
Nella mente di Castle si aprirono
innumerevoli scenari,alcuni dei quali improbabili altri decisamente
assurdi, tutti degni della fantasia del famoso scrittore di best
seller qual era.
Ma non c'era tempo per perdersi in complotti
alieni o scambi di corpi.
Al momento una questione più urgente
richiedeva la sua attenzione: Beckett e il suo rumoroso silenzio.
Era forse in ritardo? Si trattava ancora della sedia? O della
tazza che aveva rotto il giorno prima? O forse del fatto di aver
accidentalmente innaffiato il suo distintivo col thé di
Ryan? Che si
fosse accorta che aveva rotto tutte le punte alle sue matite? Eppure
gli era sembrato uno scherzo così divertente in quel
momento.
Oppure...
Magari semplicemente si trattava di tutte queste cose insieme.
Non
senza un briciolo di compiacimento,dovette ammettere di saper essere
davvero fastidioso. Ma solo qualche volta. E solo un
pochino.
Diede un rapido sguardo all'orologio: segnava le otto e
mezza. Decisamente non era in ritardo,e in ogni caso non ricordava
una sola volta in cui Beckett si fosse lamentata perché non
si era
fatto vedere in giro per più tempo del previsto...
Che
fosse in anticipo?
Intanto che lui
passava al vaglio le varie possibilità, Beckett si era
alzata e, posizionatasi di fronte alla
lavagna, aveva iniziato a cancellare gli indizi relativi al
caso del giorno prima. Il tutto senza proferire parola.
Deciso a intervenire, Castle scelse di puntare tutto sulla sedia: il
motivo più frequente dei
loro battibecchi.
-E' per la tua sedia vero?- Nessuna
risposta.
-Oh, andiamo Beckett! D'accordo hai ragione, mi hai
ripetuto migliaia di volte di non toccarla, ma il fatto è
che la tua
sedia è più bella della mia! Sì,
insomma, trasuda detective da
tutti i lati! E ha le ruote migliori, scivola che è una
meraviglia!
Credimi le ho provate tutte qui al distretto ma la tua è la
migliore!-
Silenzio.
-Non a caso è la tua...-
Ancora silenzio. Neanche i
complimenti sembravano funzionare.
Non che si aspettasse
diversamente in realtà... Anche se per un attimo Rick
credette di
scorgere un accenno di sorriso far breccia nella maschera di
imperturbabilità della detective.
Sconsolato, continuava a
girarle attorno come un avvoltoio gira attorno al suo prossimo
pasto,con impazienza, sperando in questo modo se non di impietosirla,
quantomeno di
irritarla.
Ma lei non sembrava intenzionata a cedere, piuttosto
preferiva sfogarsi sul cancellino, succube una pressione
molto più forte di quanto fosse realmente necessario per
rimuovere
del semplice pennarello lavabile.
Al diavolo! Da quando
preferiva l'autocontrollo alla possibilità di sgridarlo?!
Doveva
davvero averla combinata grossa stavolta... Eppure non gli veniva in
mente nulla.
Che fosse davvero per via delle matite? In fondo, lei
adorava quelle matite.
Le sue nuove, belle e appuntite matite da
lavoro.
-Per caso ce l'hai con me per via delle mat...-
Si
fermò prima di terminare la frase. L'occhiataccia che
Beckett gli
aveva rivolto non era esattamente ciò a cui stava mirando lo
scrittore, che sperava in una reazione un tantino più
rumorosa, ma
comunque gli suggerì che probabilmente lei non sapeva di
cosa stesse
parlando, ancora.
E ritenne opportuno lasciare che scoprisse il
suo scherzo da sola, possibilmente quando lui non fosse stato nei
paraggi, e soprattutto in
un altro momento in cui magari ne avrebbe anche
riso.
O
per lo meno non lo avrebbe ammazzato.
Nel frattempo Beckett aveva terminato la sua
pulizia e stava per tornare a sedersi, ma un "Oh" urlato
all'improvviso la fece sussultare, inchiodandola al
pavimento.
Castle si era
portato una mano alla fronte,colpendosela
energicamente e con un po' troppa enfasi, tanto da aver catturato
l'attenzione di molti altri nel distretto oltre che della detective.
Li liquidò con uno scatto del polso e incatenò il
suo sguardo
trionfale a quello della partner.
Alla detective parve di scorgere
nei suoi occhi "Ho capito" scritto a caratteri
cubitali.
Si morse un labbro, per frenare una risata, e diede le
spalle allo scrittore, troppo preso a darsi dello stupido e del genio
contemporaneamente,certo di aver ormai trovato la risposta a quello
strano
comportamento.
-E' tutto chiaro
ora! Hai letto l'articolo, come ho fatto a non pensarci prima? A dire
il vero speravo di riuscire a nascondertelo... Senti capisco che tu sia
arrabbiata, ma che colpa ne ho io? E poi non devi dare peso a quello
che scrivono, solo perché lo dice il New York Times non vuol
dire
che tutti crederanno al fatto che stiamo insieme e...-
La mente di
Kate, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, curiosa di
scoprire
dove le congetture apparentemente geniali dello scrittore lo
avrebbero condotto, era andata in corto circuito non appena
le
parole "New York Times", "insieme" e "noi" furono pronunciate nella
stessa frase.
Si voltò di
scatto, con gli occhi spalancati e un'espressione davvero poco
rassicurante sul viso, tanto che a Castle sembrò di poter
leggere già il titolo in prima pagina sul quotidiano
dell'indomani: noto scrittore ucciso brutalmente dalla sua
musa.
Un'immagine molto poetica in effetti, ne avrebbe potuto ricavare un
altro best seller. Ma la propria morte non era esattamente
ciò che lui intendeva con l'espressione "sacrificarsi per il
lavoro".
Trattenne il respiro, temendo che la sua furia avesse avvelenato anche
l'aria, e con terrore seguì ogni suo movimento: Beckett che
si avventava sulla scrivania, Beckett che estraeva il quotidiano dalla
montagna di carte sotto cui era sepolto e ne
sfogliava rapida tutte le pagine fino a trovare quella di suo
interesse.
Beckett che cambiava colore, spaziando dalle tonalità del
bianco pallido a quelle del rosso
acceso.
Quando la pelle della detective si fece paonazza e la sua
bocca si spalancò sdegnata, Castle capì che aveva
infine posato gli occhi sulla
foto di lui che,scendendo dalla sua auto, le porgeva il solito
caffè
davanti a quella che sembrava essere la scena di qualche crimine: un
gesto innocente per chiunque li conoscesse, ma non per i giornalisti,
secondo cui quella non era altro che la prova di una notte passata
insieme.
La tipica colazione del giorno dopo, in una versione più
originale.
Chiunque li avesse fotografati non poteva certo immaginare che avevano
passato la notte al distretto,alle prese con un caso particolarmente
spinoso, e che l'unico motivo per cui si erano presentati a bordo della
stessa auto,quella mattina, era che al momento della chiamata erano
insieme a lavoro.
E che le loro occhiaie erano dovute ad un altro tipo di stanchezza,
il tipo meno divertente.
E in ogni caso, perché scriverlo?
La verità non faceva vendere le copie, il gossip
sì.
Beckett
sbatté gli occhi più volte, ritornando su alcune
parti dell'articolo anche dopo averlo terminato per essere certa di
aver capito bene, poi prese a fissare Castle, regalandogli
un'espressione basita e
sconcertata allo stesso tempo.
Era evidente che lei non ne sapeva nulla..
Com'era evidente che lui si era appena dato la
zappa sui piedi da solo.
-Beh te l'avrei detto...forse-
Beckett
sbatté il giornale sul tavolo, violentemente, senza mai
perdere però il
contatto visivo con l'uomo.
-Ok, te l'avrei detto sicuramente!
Magari in un altro momento e dopo aver magistralmente elencato tutte
le tue splendide qualità!- Fece una pausa.
-Ma d'altronde si sa, per i VIP non c'è
mai pace,e neanche per le loro muse sembra!-
Con fare teatrale agitò il braccio
destro,indicando prima il giornale e poi di nuovo se stesso. Il volto
incorniciato da una maschera di finta afflizione ,che ebbe come unico
risultato quello di far ulteriormente irritare la detective.
Non avendo riscosso consensi con la sua interpretazione, per inciso
magistrale, del povero scrittore assediato dai paparazzi e privato
della propria libertà, decise di ricorrere al piano B:
impietosirla.
Iniziò perciò a farfugliare una serie di scuse e
giustificazioni, miste a frasi senza senso e in balia dell'anarchia
grammaticale,cosa per lui parecchio difficile da
attuare in circostanze normali, ma che non gli richiedeva
alcuno sforzo quando aveva gli occhi di Beckett puntati addosso a
indagargli fin dentro l'animo.
Come era in quel preciso istante.
Passarono alcuni istanti, che a lui comunque parvero
un'eternità, prima che Beckett si decidesse a emettere la
sentenza: con uno scatto fulmineo portò in avanti le
braccia, come a voler scacciare
una presenza invisibile nell'aria che le dava noia, e con un'alzata di
sguardo lo mandò a quel paese, ponendo fine alla questione.
Rick attese di farla sfogare un'ultima volta contro il giornale,
cacciato malamente in un cassetto della scrivania, e finalmente
tornò a respirare, cacciando fuori in un sospiro tutta
l'aria che aveva fino ad allora trattenuto nei polmoni.
Gli ci volle un minuto buono perché il suo cuore tornasse a
pompare il sangue regolarmente, due per potersi definitivamente
rilassare e tre per rendersi conto che Beckett lo aveva appena steso
col suo governo del terrore senza neanche dire una parola. Ancora.
Sebbene fosse tanto furiosa da avergli dato più
volte l'impressione di essere sul punto di estrarre la
pistola e puntargliela alla testa, non lo era abbastanza da far cadere
quel regime di silenzio.
L'ammirazione nei suoi confronti, per il modo in cui era
riuscita a farlo tremare solo con i suoi sguardi, si mischiò
a una sorta di rammarico verso se stesso per non averla fatta
arrabbiare di più. Se si fosse applicato di certo sarebbe
riuscito a far risultare quell'articolo ancora peggio di quel che era.
Doveva essere davvero qualcosa di terribile, pensò, se neanche il New York Times l'aveva fatta desistere dal non urlargli contro.
Una stretta allo stomaco lo colpì.
Per quanto ancora sarebbe andata avanti quella situazione?
E per quanto ancora lui sarebbe riuscito a sopportarla?
-Oh andiamo Beckett, vuoi dirmi cosa ti ho fatto?! Ti prego! Non sopporto più questo silenzio, è assordante! Mi dispiace,ok? Qualunque cosa abbia fatto mi dispiace! Tantissimo! Avrò almeno il diritto di sapere perché la mia musa è diventata un mimo!-
Beckett tornò a guardarlo e per un attimo sembrò seriamente pensarci sopra: arricciò un po' il naso come fosse in preda al dubbio, ma infine scrollò le spalle e decise per il no.
-Niente? Non vuoi dirmelo?- Un rapido movimento del capo gli suggerì la risposta.
-Farò tutto ciò che vuoi! Cosa vuoi? Il caffè già te lo porto...ma potrei portarti le ciambelle! O forse preferisci i cornetti? Ci sono,un pony! Lo vuoi un pony detective?-
Beckett sollevò le sopracciglia nel tentativo di darsi un'aria corrucciata, ma nell'insieme sembrava più che altro attonita e divertita.
-Posso procurartelo, davvero! Ma forse non sei il tipo da cavalli in miniatura... e poi dubito che tu voglia tenere un enorme quadrupede nel tuo appartamento. Quindi anche l'asino è da scartare, e un cane è così banale...a meno che tu non lo voglia, ovviamente! -
Castle, ormai
perso nelle sue elucubrazioni mentali, neanche si accorse che
l'espressione della detective si era lentamente trasformata, e
che a stento ora si tratteneva dal ridere, non facilitata in
questo dal tono piagnucoloso e supplichevole dello scrittore.
-Che ne dici di una casa
negli Hamptons? Così avresti anche un posto per il
cavallo! Ti darei la mia, ma mia madre dopo mi ucciderebbe
probabilmente... Ah! Potrei darti mia madre! A volte è
parecchio pesante, e indiscreta, però ha molte buone
qualità! Ad esempio lei è molto ... e ha
tanto...beh, sa preparare dei drink fenomenali!-
In quel mentre Esposito e Ryan fecero la loro comparsa nella
stanza, inserendosi in quel caos di preghiere e promesse.
-Beckett abbiamo un omicidio, in un hotel tra la Lexinghton e la
36esima. Lanie è già sul posto.-
Esposito le porse un biglietto con l'indirizzo del luogo, che lei
prontamente afferrò insieme al suo giaccone.
Arrivata al secondo bottone sentì il suo telefono squillare.
Leggermente infastidita lo tirò fuori da una tasca e
osservò il numero sul schermo: anonimo.
Chiuse la chiamata e rivolse un'occhiata scocciata al partner: le sue
sopracciglia alzate sembravano volergli dire "Davvero Castle? Mi credi
così ingenua?".
Castle borbotto un "Maledizione" a labbra serrate, ignorando
volutamente le risate dei due amici alle sue spalle, e riprese a
lagnarsi.
Castle si girò verso i due colleghi con occhi supplichevoli ma, per tutta risposta, i due alzarono le braccia, come a sottolineare che la cosa non li riguardava.
Avrebbe dovuto sbrigarsela da solo. Begli amici davvero!
Dedicò loro l'espressione più offesa di cui fosse capace, e poi corse verso l'ascensore notando che Beckett era già lì e molto probabilmente non lo avrebbe aspettato.
-Niente più teorie sulla CIA per un mese! Facciamo un mese e mezzo e ci aggiungo anche i rapimenti alieni! Beckett, un'offerta così non ti capiterà mai più, dai!-
Esposito e Ryan erano rimasti ad osservare tutta la scena dalla loro postazione.
L'ispanico attese che i due si fossero allontanati abbastanza e poi ,con tono falsamente preoccupato, si rivolse all'amico.
-Hey Brò, hai visto com'era disperato Castle? Credi che avremmo dovuto dirgli che Beckett ha perso la voce?-
Ryan lanciò un ultimo sguardo all'ascensore prima che le porte si richiudessero: Castle era ancora perso nel suo monologo e non si accorse di nulla, ma lui, da bravo detective, scorse chiaramente un sorriso sul volto della detective.
-Naah, lasciamola divertire ancora un po'!-