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Autore: Jooles    19/01/2013    3 recensioni
Shikamaru imbarazzato la respinse gentilmente.
“Perché mi rifiuti?” si lagnò.
“Perché vuoi farti del male?” domandò alla sua domanda.
Dapprima non capì le parole del giovane e questo, vedendo che la sua frase l’aveva lasciata confusa, come se si aspettasse un continuo, si portò le mani agli occhi, massaggiando le palpebre chiuse e facendo fuoriuscire un lungo sospiro.
“Perché tenti di portarmi a letto da quando ci siamo visti?” Erano quelle le domande che le piacevano: schiette, senza giri inutili di parole che portavano solamente ad altre domande.
“Ti voglio. Mi piaci. Cosa c’è di più semplice?”
“Dovresti avere più rispetto per te stessa” continuò imperterrito.

[ShikaTema, solo perché piace a Bameriu :3]
Genere: Angst, Erotico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Neji/TenTen, Shikamaru/Temari
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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A Bameriu,
una ragazza fantastica,
che prepara cioccolate squisite,
a cui piace lo Shika/Tema.

A colei che mi segue in ogni mia pazzia,
che mi rallegra spesso le giornate con i suoi commenti,
battute, racconti e frasi dolci.

Spero che la storia possa piacerti :3


[Il testo della canzone qui sotto è "Bocca di Rosa" di Fabrizio De Andrè]











 


Stay, then die for love
 








 

[La chiamavano bocca di rosa
metteva l’amore, metteva l’amore,
la chiamavano bocca di rosa
metteva l’amore sopra ogni cosa.]

 

I guardiani videro arrivare da lontano una vettura, la quale procedeva lentamente sul sentiero che, man mano che si avvicinava all’enorme cancello, diventava sempre meno brullo e polveroso. Le enormi buche del percorso si volatilizzavano, facendo in modo che il seno della passeggera, vistosamente accentuato da un corpetto di seconda mano e troppo piccolo per pensare che potesse essere stato originariamente acquistato per quello stesso petto, non ballasse più al passaggio della ruota su quelle voragini. La macchina si era spinta fin sotto l’ombra del cancello, che, essendo mezzogiorno in punto, non era per niente allungata, il che voleva dire che la vettura si era fermata davvero a ridosso della soglia d’entrata, oltre la quale era permesso procedere solo che a piedi. Così aveva ordinato di fare al conducente, sfiorandogli delicatamente e lentamente il collo con le dita, “So che lei sarà così gentile da portarmi fin dove le gomme del suo fedele destriero possono arrivare, per evitarmi il più possibile di dovermi affaticare camminando”. E così quel poveretto dall’aria innocente aveva preso le parole alla lettera, non volendo deludere quell’angelo.
La femmina ringraziò e lui fu subito soddisfatto di aver compiuto il suo compito, portandosi a casa un occhiolino che gli era parso più importante e appagante dei Ryo di cui valeva la corsa da Suna fino a Konoha.
I due guardiani posti all’entrata del villaggio assistettero all’aprirsi dello sportello, dal quale fece capolino un piede, coperto da un tacco vertiginoso, e seguito subito da un polpaccio fine, concluso da una coscia, soda e abbronzata, come non se ne vedevano tra le pallide della Foglia.
Quel corpo femminile, tanto stupefacente da non poter essere ricondotto a nessuna tipologia di essere vivente presente sulla Terra, sorpassò il gabbiotto e i suoi occupanti che avevano gli occhi di fuori, esageratamente stupefatti.

 

 
[Appena scese dalla stazione
nel paesino di Sant’Ilario
tutti s’accorsero con uno sguardo
che non si trattava d’un missionario.]

 
Seguirono la straniera con gli occhi, i quali ondeggiavano ritmicamente ai movimenti del suo fondoschiena, miracolosamente, per il momento, ancora coperto da una gonna rossa di cotone.
Quella maledetta donna decise di fare un giro tra le vie del villaggio, tanto per vedere se lo trovava di suo gradimento e se, dunque, avrebbe potuto farvi sosta per un tempo indeterminato ma il quanto più lungo possibile.
Gli abitanti, i quali vivevano ogni giorno immersi nella pace e nella prosperità da tanto, dalla fine della guerra che ormai si lasciavano alle spalle da più di dieci anni, furono immediatamente sconvolti da ciò che i loro occhi subito captarono. Un’intrusa si aggirava e minacciava le loro vie, i loro negozi, le loro case e, avrebbero scoperto solo poco più tardi, i loro letti.
Mentre quella dannata passeggiava per la strada decise che tutti quei passi le erano valsi una bibita rinfrescante e un localino poco distante le metteva l’acquolina in bocca. Vi si avvicinò e scostò la tenda che copriva per la metà superiore l’entrata, passò tra sguardi interdetti della clientela e scelse il tavolo in mezzo per poter essere ammirata facilmente da ogni lato dalle persone che la circondavano. Da qualche parte dietro di lei una moglie allungava un sonoro schiaffo sulla guancia del marito; di fronte un gruppo di quarantenni scapoli e allupati brindavano in suo onore, alla “Pupa più arrapante che avessero mai visto”; due tavoli da dove era seduta una timida ragazza dagli occhi di ghiaccio e i capelli setosi molto lunghi non tanto più giovane di lei arrossiva, con le lacrime agli occhi per l’imbarazzo e l’umiliazione di avere un ragazzo che si era sporto fino a cadere dalla panca per fissare le chiappe della turista al suo passaggio.
Quando decise che aveva riposato sufficientemente, la femmina si alzò e volle girare a piedi tutto il villaggio fino al calar del sole, dispensando, senza lasciare alcun superstite, invidie nelle donne e passione negli uomini. Entro il crepuscolo era già stata amata e maledetta da tutti gli abitanti.
Così, giunta ormai l’ora di mangiare, si fece indicare da un ancora innocente bambino quale fosse il ristorante più in voga da quelle parti. Il piccolino le disse che “Teuchi fa i ramen più grandissimissimi e super squisiti di tutta la terra del Fuoco e oltre!”. Così la ragazza della Sabbia seguì il consiglio, ed è inutile ripetere che tutti i presenti le donarono sguardi di fuoco non appena fece la sua comparsa. Quando ebbe ordinato il tanto consigliato ramen, fu raggiunta al suo tavolo da un ragazzo dall’aria di chi abborda in quel modo giovani attraenti tutti i giorni. Si buttò sulla panca di fronte alla ragazza, arrestando la slittata con la mano che non reggeva la birra.
“Salute a te, splendore,” ammiccò, compiaciuto delle sue doti d’abbordaggio.
“Ciao, piccolo.” Conosceva troppo bene i tipi come lui. Si sarebbe sentito ferito dal fatto di venir considerato un poppante e non all’altezza di una tale signora, così avrebbe iniziato a fare allusioni alle sue doti nascoste e a come avrebbe voluto che lei ne avesse la prova.
“Non diresti così se solo mi provassi,” ribatté con una vena di inferiorità e insicurezza appena percettibili, ma che non erano sfuggite all’orecchio esperto della viaggiatrice.
“Saresti disposto anche subito, o preferisci aspettare qualche anno per prepararti per bene?”, gli sorrise maliziosamente, sicura che sarebbe caduto nella trappola.
Il giovane si alzò dalla panca, fece il giro del tavolo e la prese per mano, accompagnandola ad alzarsi e cingendole il sottile fianco con un braccio. Sfilò per il locale il più lentamente possibile in modo che tutti potessero vedere da chi era accompagnato, gustandosi le strizzatine d’occhio degli amici, gli sguardi invidiosi dei conoscenti e i commenti pettegoli delle donne e delle ragazze. La condusse fino al suo appartamentino, aprì e richiuse la porta non preoccupandosi di mettere il lucchetto, sperando quasi che qualcuno entrasse e lo scoprisse con tale bellezza tra le mani.
“Una volta che te ne andrai, straniera, ti ricorderai per sempre di Kiba del villaggio della Foglia,” le sussurrò sensualmente ad un orecchio, palpandola avidamente in ogni parte del corpo.
Lei pensò che tutti gli uomini con cui era stata fossero dei Kiba. E lei amava quella collezione di Kiba che si portava dietro.
 

[C’è chi l’amore lo fa per noia
chi se lo sceglie di professione,
bocca di rosa né l’uno né l’altro
lei lo faceva per passione.]

 
Stava per sorgere il sole e decise che era ora di andare. Dopo quella notte di passione (per lei lo erano tutte), era abbastanza stanca e pensò che avrebbe dovuto cercare un piccolo albergo dove sostare e andare a dormire. Questo perché quando si trovava in compagnia non dormiva mai, nemmeno se il compagno dell’occasione si addormentava, lei non ci provava nemmeno a chiudere gli occhi, rimaneva sveglia e vigile tutta la notte a ricordare ogni singolo istante, perché il giorno dopo ci sarebbe stato un’altro e dopo talmente tante volte che aveva fatto l’amore non poteva tenere a mente tutti i dettagli di tutte quelle volte. Così le rimembrava per una notte intera, per poi cancellarle e far spazio a quella che sarebbe seguita.
Si alzò, collezionando tutti i vestiti sparsi per la camera e indossandoli, cercando di non svegliare quel ragazzo che quando dormiva aveva un’aria così serena. Pensò che subito, appena le si era presentato davanti ieri sera al ristorante, aveva potuto vedere chiaramente la sofferenza negli occhi di quel giovane. Sapeva riconoscere bene i sentimenti quella donna, e lui ne era un misto. Aveva avvertito che soffriva per amore (a giudicare dagli sguardi che lanciava al tavolo di quella ragazza con gli occhi chiarissimi e grandi e del suo fidanzato doveva essere lei motivo di tale sofferenza)  dal modo in cui l’aveva approcciata senza indugi; ancora, soffriva per la perdita di qualcuno caro, per come il suo alito sapeva di alcol, come di qualcuno però che lo beve sempre e ne ha il fegato intriso.
Una volta rivestitasi fece il giro del letto e posò un bacio delicato sulla guancia di Kiba. E così se ne andò. Scendendo le scale del condominio, girato un angolo, si ritrovò a gambe all’aria per essersi imbattuta e poi collisa con un tale. Il tale finì come lei con il sedere a terra, massaggiandosi la testa per averla cozzata contro un’altra molto dura e imprecando senza badare ai toni. Prima che potesse inveire contro chi lo aveva steso, Shikamaru alzò lo sguardo.
Ecco, pensò, solo una donna poteva creare tale scompiglio. Che seccatura.
Ritenne anche però che non poteva lasciarla lì per terra e le offrì il suo braccio aiutandola a rialzarsi. Fece tutto ciò perché pensò a quella rompi palle di sua madre, di come gliele avrebbe suonate se non fosse corso in aiuto di una donna dopo aver creato lui, in parte, il disastro. Lo fece per quelle stupide e implicite regole sociali, articolo 03940 bla bla, convivenza pacifica tra uomini e donne e tutte quelle stronzate lì. Per farla breve, la tirò su, proprio di peso, e le chiese se stesse bene.
Bada, non perché avesse qualche interesse, semplicemente per le noiose regole in precedenza citate.
“Ora bene, grazie,” gli rispose la  giovane donna, una mano attorno il collo di lui e l’altra sul suo petto possente.
“Meglio così,” sorrise a stento, e riprese la sua scalata.
Lei si voltò e lo osservò mentre saliva. Aspettò di sentire a quale piano si fermasse, ma non fu difficile indovinare perché lo vide sostare di fronte alla stessa porta da dove era uscita pochi attimi prima.
Il giovanotto bussò ripetutamente alla porta di Kiba, abbastanza incazzato.
“Kiba, datti una mossa, alzati, l’Hokage ci vuole e subito!”.
Digrignò un “dannazione” tra i denti e decise di entrare senza aspettare il permesso dell’altro.
“Ma che cazzo ti urli Shikamaru! Sono sveglio, sono sveglio, arrivo…” sbraitò l’altro con voce palesemente assonnata.
E così il suo nome era Shikamaru. Avrebbe domandato di lui più tardi.
Nel frattempo decise di  girovagare per la città come il giorno prima, propensa ormai ad acquistare una piccola casetta o appartamentino in quella gioiosa città ricca di giovani alquanto promettenti. Quello era il giorno del mercato, come scovò dalle voci concitate e chiassose che provenivano dalla piazzetta principale. Volle dunque fare un giro e acquistare qualcosa di fresco da poter cucinare più in avanti. Si fermò al bancone della frutta dove ne vide alcuni tipi che mai si sarebbe sognata di poter comprare nei mercati aridi della Sabbia: ciliegie succose di stagione, angurie più rosse delle sue labbra, noci di cocco, meloni enormi e poi ancora banane, alcune fragole grosse quasi quanto il palmo della sua mano. Le piaceva la frutta, era fresca, proprio come lei, così ne comprò un po’ di ogni tipo, facendo doppiamente contento il venditore, sia per aver acquistato tanta roba, sia per averlo deliziato con la sua splendida presenza. Fece per tirare fuori dalla borsetta il portamonete, ma qualcuno la spintonò da dietro e fu questione di attimi.
Il commerciante subito urlò “Al ladro, al ladro!”, mentre la ragazza iniziò a corrergli dietro. Ebbe modo di fare pochissimi passi perché un uomo, non doveva avere più di venticinque anni, capelli lunghi e morbidi anche solo alla vista raccolti in una coda bassa, sguardo serio e affidabile, tanto bello quanto era cocente il sole di Suna, le si piazzò di fronte intimandola di non continuare, che ci avrebbe pensato lui. Sparì e riapparve ad una velocità impressionante, ordinando ad altri due uomini che prima camminavano con lui di andare a catturarlo e portarlo alla stazione di polizia.
“Signorina è pericoloso correre dietro ad un criminale, non si sa mai cosa abbia in mente… in ogni caso, sta bene?” le chiese, porgendole il suo portamonete.
Lo guardò e persino i suoi occhi, che di solito facevano vergognare gli altri per quanto fossero attraenti, dovettero cedere allo sguardo triste ma magnetico del poliziotto.
“Sì, non mi ha fatto niente, non sono poi così debole come lei crede.”
“Ad ogni modo dovrà venire con noi per far scrivere il verbale. Ci segua.”
Dovette attendere una buona mezz’ora per poter entrare e fare il suo lavoro di testimone, ma alla fine uscì da quella stanza.
Vide in lontananza l’uomo di quella mattina e gli si avvicinò.
“Mi scusi,” esordì, “innanzi tutto la vorrei ringraziare per prima.” Lui la ascoltò interessato.
“Dovere,” e per la prima volta accennò ad un mezzo sorriso. “Ma dalla sua voce immagino debba chiedere qualcos’altro… prego,” la incitò a continuare.
“Lei è stato così gentile con me che mi dispiace doverle chiedere un ulteriore favore ma… io cercavo una piccola villetta o basterebbe anche un appartamento in affitto, sa, vorrei rimanere qui per un periodo di tempo, ma non saprei dove iniziare a cercare. Se lei…”.
“Dammi del tu, in fondo non stai parlando con un vecchio generale,” e questa volta furono i suoi occhi a sorridere.
“Posso sapere il tuo nome, quindi?”.
“Itachi,” rispose alla domanda.
“Itachi, se fossi così caro da indicarmi qualcuno che affitta o anche vende, i soldi non mi mancano per questo genere di cose.”
“Forse ho proprio ciò che fa al caso tuo.”

 

[Ma la passione spesso conduce
a soddisfare le proprie voglie
senza indagare se il concupito 
hai il cuore libero oppure la moglie.]

 
Per ora di cena stava già cucinando sui fornelli della sua nuova casetta. Non era niente di eccessivamente particolare o bella, ma era accogliente e già arredata, con un piccolo giardino sul lato frontale proprio come aveva sempre sognato di avere. Aveva preparato più roba del solito, decidendo che per quella volta si sarebbe potuta concedere un piccolo sfizio per festeggiare il suo nuovo, grande acquisto.
Appena prima di sedersi a tavola sentì un leggero bussare alla porta. Andò ad aprirla.
“Disturbo?” le chiese Itachi.
“Non disturbi mai, ricorda che sono in doppio debito con te,” parlò con la sua voce sensuale.
Lo fece accomodare in cucina, dove il suo cibo riposava nel piatto in attesa di essere spazzolato.
“Mi dispiace se ho interrotto la tua cena.”
“Ancora con tutti questi mi dispiace. Sono io a dovermi dispiacere per averti creato così tante noie. Per iniziare a sdebitarmi ti invito a cena, ho preparato troppa roba per me sola,” e lo invitò a sedersi.
I due mangiarono per la maggior parte del tempo in silenzio. Ancora una volta lo sguardo indagatore dell’ex abitante di Suna si soffermò sugli occhi della sua preda. Riconobbe anche lì del dolore, e anche in quel caso si trattava di amore. Era un amore strano, non per una donna, no. Che fosse un amico, un familiare? Si disse che avrebbe tanto voluto affievolire i suoi dispiaceri, almeno per una notte. Inoltre lo desiderava ardentemente, desiderava la sua passione e l’avrebbe conquistata, quella notte.
 
Si ribaltò nel letto, stanca ma soddisfatta e guardò il soffitto. Doveva subito ripassare nella mente tutti quegli attimi, prima di cancellarli.
Ricordò di quando, dopo aver finito di mangiare, gli si era avvicinata e gli aveva sussurrato che fosse giunto il momento per rimediare alla seconda parte del suo debito. Lui, dapprima spiazzato, si era ricomposto subito e aveva preso il sopravvento su di lei. Si era arrotolato le gambe di quella diabolica femmina intorno al suo bacino, alzandola da terra e portandola in camera da letto. Sembrava che non facesse l’amore da tanto. Senza indugiare l’aveva svestita, rapido e deciso, baciandola ripetutamente sul ventre piatto mentre srotolava le mutandine che aveva poi scansato noncurante. Aveva saggiato dapprima la sua intimità con le dita, interrompendosi quasi subito per lasciar fare a lei. Per la prima volta Itachi non aveva volutamente preso il controllo della situazione come faceva sempre, in tutti i campi della sua vita, e aveva anzi concesso a quella forestiera di soggiogarlo. Infatti lo aveva rigirato nel letto, imponendosi sopra di lui, iniziando a muoversi in maniera maledettamente lenta, lasciando sotto di lei un capo della polizia sofferente per l’eccitazione.
La mattina dopo, molto presto, il comandante si svegliò per andare a lavoro. La giovane notò che la sua aria era tornata sofferente, come prima che si ritrovassero ingaggiati in quella lotta di passione, e se ne dispiacque.
“Vado,” le disse.
“Ti accompagno fuori,” lo seguì con sopra solo una vestaglietta leggera.
Itachi uscì dal portone e non appena si fu congedato dalla ragazza ne fu subito raggiunto da un’altra e si sentì per un attimo pervaso dal panico.
“Itachi, ma che fine avevi fatto? Non sei tornato sta notte, mi hai fatta preoccupare perché mi avevi detto di aspettarti per cena,” disse corrucciata la sua donna.
“Mi dispiace, ho dovuto scortare questa ragazza che durante il giorno era stata attaccata da un malvivente, non poteva essere lasciata sola, quel tizio è pericoloso,” arrancò lui come scusa.
Ma a lei non interessavano le scuse, né in fondo si interessava poi tanto di lui, d’altronde non lo considerava che un accettabile rimpiazzo del fratello.
“Non farmi preoccupare più così, ok amore?”. Lui le cinse la vita da dietro e la baciò delicatamente sul collo.
“Agli ordini, Sakura.”
Colei che proveniva dalla Sabbia pensò che quella fosse una bella ragazza, particolarmente affascinante. Eppure quei due non si amavano e pensò che fosse un peccato.
Tornò in casa e si mise a dormire.
 
La sera seguente fu accompagnata nel suo letto da un giovane di nome Neji. All’inizio era rimasto impassibile di fronte alle lusinghe di lei, poi lo aveva fatto cedere. Non era molto sicuro di quello che faceva, ma la donna si impegnò per farlo stare bene il più possibile. Le piaceva farlo, e proprio per quello era brava.
La mattina lo salutò con una dolce colazione nel letto, in seguito lui se ne andò di corsa, avendo ripensato in quel momento al fedele amore che la aspettava a casa. Disse alla nuova arrivata che quella notte era stato un errore e che non si sarebbe più ripetuto. Da quel giorno però egli la pensò spesso.
 
Da Teuchi, seduta al solito tavolo al centro, ripensava alle notti passate, e si disse che quel villaggio le aveva dato più emozioni che tanti altri in cui era stata.
La tenda all’entrata si alzò lasciando passare la luce di quel bellissimo giorno. Non del sole. Quel tale, Shikamaru. Lo fissò per fargli capire che voleva la sua attenzione, ma lui non la degnò di uno sguardo. Allora lo raggiunse al bancone dove sedeva con la birra da lui appena ordinata.
“Spero di non averti lasciato danni permanenti dopo il nostro scontro,” scherzò la ragazza.
“Ciao. Scusami tu, ti fa ancora male qualcosa?”, chiese, in fondo non troppo preoccupato.
“Ah no, sono forte sai?”, e lo colpì con un leggero pugno sulla spalla. Lui sembrò rivolgere molta più attenzione al suo boccale di birra che al petto della signorina che si avvicinava sempre più sotto il suo raggio visivo.
“Sono proprio una seccatura…”, Shikamaru allora sorrise nell’udire la sua parola preferita in bocca ad un’altra persona, “… ma mi chiedevo se mi potessi condurre in una mini visita guidata del villaggio. Giusto dieci minuti, per sapere dove sono collocati i posti più importanti. E poi diciamo che sei l’unico con cui ho avuto un minimo contatto, da quando sono arrivata,” lo guardò speranzosa.
“Credevo avessi già conosciuto Itachi Uchiha, nostro capo della polizia… e un certo Kiba,” continuò divertito.
La ragazza ebbe un attimo di titubanza nell’udire quel nome.
“Ah, non preoccuparti, a lui piace vantarsi, perciò diciamo che sei conosciuta. Potresti chiedere a chiunque di accompagnarti, no?”.
Si sentì ferita a quelle parole. Non perché non ne avesse mai ricevute in passato, anzi quelle di Shikamaru erano state anche troppo gentili per quello a cui era abituata. Questo perché aveva una filosofia tutta sua dell’amore che nessuno al mondo avrebbe mai potuto comprendere. Né tanto meno si sarebbe prestata volontaria a spiegarlo.
Uscì dal locale. Shikamaru imprecò, riconoscendo a sé stesso che forse, un tantino, aveva esagerato.
“Cazzo,” sbottò, lasciò la bibita tracannata solamente per metà e vi lanciò vicino 5 Ryo, poi corse dietro a quelle favolose gambe che si stavano allontanando spedite.
“Ei! Fermati!”, le gridò dietro.
Lei ordinò rigida, come se fosse comandata da un qualche aggeggio elettronico, si volse.
“Va bene...”, non poté continuare la frase, poiché “…non so il tuo nome, come hai detto di chiamarti?”.
“Temari. E non l’ho detto.”
“Ti farò da guida, ma non darmi noie,” e si diresse in avanti, lasciando che Temari le venisse dietro.
Temari pensò a quanto fosse facile ottenere ogni qual volta tutto ciò che voleva.
 
“Bene, abbiamo visto l’ospedale, i punti vendita principali, la residenza dell’Hokage, la nostra Accademia, i bar e i ristoranti, la biblioteca. C’è qualcosa in particolare che vorresti che ti facessi vedere?”.
“Com’è casa tua?”, domandò seducente.
“Grande, accogliente, ha un giardino spazioso, un laghetto. Altre domande?”.
Temari iniziò fortemente a dubitare che quella testa contenesse un qualche intelletto, nonostante solo mezz’ora prima un tizio gli era corso incontro per farsi illuminare circa qualche codice segreto che il suo team non era per il momento riuscito a decifrare. “Grazie, genio,” gli era stato detto. Eppure non era capace di afferrare al volo l’occasione che lei gli stava tentando di lanciare sin da quando aveva posato lo sguardo su di lui.
“Posso vederla?” chiese molto più schiettamente.
Shikamaru non volle capire, limitandosi a una risposta negativa.
Camminò dietro di lui il quale si dirigeva verso la piccola villetta in cui abitava da solo poche ore, scortandola senza più voltarsi ad assicurarsi che fosse ancora lì. L’imbarazzante silenzio venne protratto fino alle scalette della dimora, quando Temari lo prese per il colletto della divisa da jounin e lo spintonò forte dentro. Chiuse repentina la porta, portandogli le braccia al collo e incollandolo ai suoi occhi.
Shikamaru imbarazzato la respinse gentilmente.
“Perché mi rifiuti?”, si lagnò.
“Perché vuoi farti del male?”, domandò alla sua domanda.
Dapprima non capì le parole del giovane e questo, vedendo che la sua frase l’aveva lasciata confusa, come se si aspettasse un continuo, si portò le mani agli occhi, massaggiando le palpebre chiuse e facendo fuoriuscire un lungo sospiro.
“Perché tenti di portarmi a letto da quando ci siamo visti?”. Erano quelle le domande che le piacevano: schiette, senza giri inutili di parole che portavano solamente ad altre domande.
“Ti voglio. Mi piaci. Cosa c’è di più semplice?”.
“Dovresti avere più rispetto per te stessa,” continuò imperterrito.
“Qual è la tua passione, Shikamaru?”.
Era difficile continuare a parlare con quella donna. Doveva per tutto il tempo far attenzione a quello che diceva; inoltre la sua attenzione più grande doveva rivolgersi a quello che faceva. Odiava ammetterlo, soprattutto perché lui non era così, ma la voleva, la voleva dannatamente. Eppure la sua risposta fu semplicemente “Boh.”
“La mia passione Shikamaru è la passione stessa. Perché me ne vuoi privare?”.
E si disse che, vaffanculo, la sua razionalità per una volta avrebbe potuto essere accantonata. La sua risposta fu pronta: la prese per mano e la condusse su per le scale, avvicinandosi alla camera dove in quelle notti il corpo della ragazza si era prestato per consumare amore, senza staccarle gli occhi di dosso nemmeno per un secondo. La spinse fino a che le su gambe non incontrarono il materasso e a quel punto vi si sedette, guardandola da lì giù. E Temari a quello sguardo comprese tutto. Per la prima volta nella sua vita, si lasciò dominare. Shikamaru la tirò a sé, accarezzandole la schiena, delicato, come non si ci potrebbe aspettare da quelle mani che avevano vissuto nel sangue. Fece presa salda sui suoi glutei e se la portò sopra. Temari in tutta risposta gli pose una mano dietro il collo, spingendo i loro volti vicini, assaporando con la lingua le sue labbra semichiuse e spingendola poi fin dentro,  legandola alla sua. Solo in quei momenti che passarono aggrovigliati Temari pensò che non aveva mai desiderato tanto un uomo, che la toccasse e che provasse ardore per lei, sentendola fremere e gemere ad ogni carezza, ad ogni spinta.
Quella notte si addormentò, la testa poggiata sul suo petto.

 

[E fu così che da un giorno all’altro
Bocca di rosa si tirò addosso
L’ira funesta delle cagnette
A cui aveva sottratto l’osso.]

 
Il martedì mattina era dedicato alle compere giù al mercato settimanale, Temari aveva già stilato una lista di alcuni prodotti che si potevano trovare solo in uno speciale banco, i cui ambulanti provenivano da un lontano pesino situato ai confini della terra del Fuoco. Non appena la strada iniziò a farsi più larga e i primissimi banchi cominciavano a ingombrarla, Temari trovò strano il fatto che in quel punto regnasse un silenzio assoluto, mentre tutto il chiasso lo trovò concentrato più in giù, nello spiazzo dove solitamente era agglomerata la maggior parte degli stand. Inoltre, ci fece caso solo in quel momento, tutti i banconi fino al centro dello spiazzo erano privi dei loro venditori, abbandonati, come se nessuno si curasse del fatto che qualche ladruncolo avrebbe potuto approfittarne per rubare quanta più merce possibile. Incuriosita da quella strana situazione raggiunse e si immischiò anche lei in quel bordello di gente. Fece caso che nessuno parlava, ma il motivo di tanto concitamento proveniva dalle voci di tre, al massimo quattro ragazze, attorniate dalla folla di curiosi.
Temari si fece largo con un “Permesso gente,” e un “Andiamo spostatevi,” o ancora con un “Guarda dove metti i piedi,” quando le venivano addosso sbadatamente. Si fermò dietro due signori, constatando che da lì avrebbe potuto vedere bene comunque e in parte perché si era rotta di spintonare la gente che era mal propensa a farle largo. Anche da quella posizione riuscì a riconoscere la fonte di tanto baccano: riconobbe la ragazza del capo di polizia, Sakura se ricordava bene, un’altra che aveva incontrato spesso al ristorante con un ragazzo dai capelli biondi, poi altre due che non aveva mai visto: l’una con pelle olivastra, capelli castano scuro raccolti in due cipollette, occhi marroni; la seconda capelli ossigenati, molto lunghi e raccolti in una coda, occhi grandi e azzurri.
“… l’ho sentito che ne pa-parlava con… Kiba! Per nos…nostra fortuna non tie-e-ne mai la bocca chiu-u..sa, quello!”, singhiozzava disperatamente la castana. Sakura le portò un braccio intorno alle spalle e le diede delle strizzatine, consolatrice.
“Oh Tenten, mi dispiace così tanto. Gli uomini sono dei gran porci!” urlò la bionda con un pugno alzato in aria.
“Avanti tesoro, vedrai che si tratterà di un malinteso,” suggerì Sakura.
“Ma q-quale… ma-malinteso! Ha det-t-to che si sentiva i-in co…lpa ma che ormai se la… se l’era tro-trombata!”, cercò di parlare Tenten, ormai le lacrime che scendevano copiose e i singhiozzi talmente violenti che faceva una fatica immane a mettere insieme più di qualche parola.
Anche sugli occhi della ragazza con i capelli neri iniziò a colare qualche lacrima, tanto che la bionda si spaventò e chiese “Hinata, non dirmi che anche Naruto…”.
“No, almeno non penso… però… però lui la guarda sempre! Pensa che la prima volta… eravamo insieme da Ichiraku e lui… è caduto dalla sedia per sporgersi a guardarle il… il suo…”, non voleva pronunciare quella parola la timida Hinata, ma non le venne nessun altro sinonimo, così sbottò “… il suo CULO!”.
La bionda si lasciò uscire un’imprecazione e si portò una mano alla bocca, scioccata. Poi si volse verso Sakura, chiedendo “Sakura, in realtà ho visto Itachi in compagnia di quella. Non è che anche lui…”.
“No Ino, Itachi l’ha dovuta scortare a casa perché era stata derubata da un malintenzionato” sussurrò Sakura tenendo lo sguardo rivolto verso i suoi piedi per nascondere ciò che  in verità sapeva troppo bene.
“Ma poi I-Ita… I-Itachi è il ca-capo della po-po…polizia, non farebbe m-mai u..una cosa del ge-genere!”, tentò di dire Tenten.
“Non vuol dire niente, gli uomini sono sempre uomini, sia che si tratta di un barbone o dell’Hokage, il loro pisello si drizza come un’antenna quando sentono odore di f…”.
“Ino, per favore contieniti!”, la rimproverò Sakura.
Sin da quando aveva visto le quattro riunite, Temari aveva compreso che parlassero di lei. Così si voltò, cercando di sgattaiolare senza che si accorgessero della sua presenza, ma come doveva aspettarsi, nulla sfugge agli occhi di una donna offesa e ferita, neanche se Hinata in quel caso non aveva fatto uso del suo Byakugan.
“Eccola!” urlò infatti, indicando una figura dietro due uomini.
Temari capì che se fosse fuggita avrebbe solo che peggiorato la situazione. Così si volse ancora una volta e affrontò le quattro di petto.
“Allora sei tu che hai portato scompiglio, eh?”, domandò retoricamente Ino. “Puttana, ti devi solo che vergognare!”, e le avrebbe messo le mani addosso se non fosse intervenuto lui.
“Ehi, ehi, signore calmatevi!”, Shikamaru tentò di sovrastare la voce di Ino.
“Aaaaah, eccone un altro! Sei anche tu nella lista?”, domandò furiosa la sua compagna di squadra.
“Ino, non mi seccare, ho ricevuto ordini dall’Hokage di portare questa ragazza da lei,” sbuffò.
“Ha scoperto quello che hai fatto, non la passerai liscia,” prese coraggio Hinata.
“Ah bene! Sì, Shikamaru, portala dal nostro Hokage! Che è una donna”, e sottolineò appositamente quest’ultima parola Ino, come per dire che non avrebbe potuto convincere l’Hogake con altri mezzi se si fosse trovata in difficoltà.
“Ino ti prego, già tutta questa faccenda è una seccatura, non ti ci mettere anche tu. Che palle,” e iniziò ad incamminarsi. Temari comprese che doveva seguirlo, e così fece.
Quando furono abbastanza lontani da non poter essere uditi, Temari disse “Potevo cavarmela anche da sola,” abbastanza irritata.
“Non avevi mostrato questo tuo lato caparbio le prime volte,” sorrise Shikamaru.
“La scusa dell’Hokage era davvero pessima. Non mi serve l’aiuto di un uomo,” continuò imperterrita.
“Quelle quattro ti avrebbero stesa in un batter d’occhio, non sai di cosa sono capaci quando tocchi i loro uomini.”
“Beh, non sono problemi miei, dovrebbero tenerseli più stretti. Ma poi dove stiamo andando?”.
“Pensavo che volessi vedere casa mia,” disse noncurante.
Temari sorrise solo perché camminava dietro di lui e dunque non l’avrebbe potuta vedere.
 
Era la seconda volta che Temari si addormentava tra le braccia di un uomo. Non aveva mai voluto farlo prima, avrebbe solamente mostrato il suo lato più debole e vulnerabile, e lei così rigida e testarda non poteva permetterlo.
Shikamaru osservò avidamente quel corpo disteso accanto a lui. Ora che lo poneva ad una più adeguata attenzione non era solo bello in un modo che ti catturava sessualmente, ma era esile, così fragile, nonostante le lievi curve che i muscoli sviluppati creavano in alcune parti.
Quella che aveva lì, tutta per lui, non era di certo la Temari che avevano avuto Kiba, Neji o chissà chi altro. Era sicuro che non era stata così per nessuno eccetto che lui.
“Smettila di fissarmi o mi consumi, stupido,” disse la ragazza, la faccia mezza immersa nel cuscino imbottito, gli occhi ancora chiusi.
Shikamaru si fece largo tra le lenzuola e l’abbracciò.
“Preparami la colazione, tra un po’ devo partire in missione,” le disse.
“Preparala tu, non vedi che fino a mezzo secondo fa dormivo,” ribatté lei divertita ma decisa a non dargliela vinta.
“Non ne ho voglia.”
“Allora rimarrai qui con lo stomaco vuoto,” e lo pizzicò sull’addome.
Shikamaru si alzò di scatto facendo volare le coperte e lasciandola sul materasso completamente nuda e scoperta.
“Lo sapevo io che mi sarei andato a incappare in una seccatura di donna,” borbottava divertito rivestendosi.
Temari rise ma non si mosse. Quando Shikamaru ebbe finito di indossare i suoi indumenti si avvicinò al letto e la baciò. Temari portò le mani sul suo volto, accarezzando delicatamente la barba ispida, poi lo strinse con più forza e lo trascinò nel letto con sé.
“Hai ancora venti minuti,” gli ricordò.
“Mi sono appena vestito, mi fai  sempre faticare,” sussurrò.
“Farò io tutto il lavoro, tranquillo,” e lo spogliò.
 
“Bene, ci vediamo presto. Non penso che ci vorranno più di un paio di settimane, comunque nel frattempo non cacciarti nei guai, ed evita di parlare con quelle quattro… in effetti sarebbe meglio se evitassi qualsiasi contatto umano fino al mio ritorno,” e iniziò ad incamminarsi.
Temari rientrò in casa. Si era sempre considerata brava a riconoscere ciò che sentivano e provavano gli altri solamente guardandoli negli occhi, mentre non si era mai soffermata su ciò che provava lei. Soprattutto perché fino a quel momento non ne aveva avuto bisogno; lei non concedeva il suo cuore così facilmente, eppure sentiva che una parte di quell’organo si era allontanata dal petto, come se fosse convogliato verso un qualcos’altro. Qualcun altro.
Si diresse in cucina per prepararsi una ricca colazione, quando dei tonfi alla porta la costrinsero a rimandare quell’idea. Qualcuno bussava.


 

[E quelle andarono dal commissario
e dissero senza parafrasare:
“Quella schifosa ha già troppi clienti
più di un consorzio alimentare”.]

 
Di certo non si aspettò di trovare Sakura sull’uscio della sua porta. Prima che Temari potesse chiederle cosa voleva o prepararsi a difendere da una qualsiasi invettiva, Sakura prese parola.
“Posso entrare?”, domanda quasi inutile, dato che si ritrovò già nel salottino prima che Temari potesse dire o fare niente.
“Prego,” sussurrò la padrona di casa al vuoto. Era nervosa poiché si domandava per quale motivo proprio lei tra tutte si trovava in casa sua. La giovane donna era triste, più di quando l’aveva vista per la prima volta e il giorno addietro, al mercato.
“Sono a conoscenza di te e Itachi,” si buttò dopo qualche indugio. Temari non abbassò lo sguardo e non mostrò un finto dispiacere per quella confessione, ma prima che le venisse in mente di dire ciò che davvero pensava sulla sua relazione con il suo ragazzo, Sakura proseguì.
“Non intendo inveire contro di te come hanno fatto le mie amiche l’altro giorno al mercato. Ti reputo una persona abbastanza intelligente, nonostante quello… che fai.”
Temari decise di starla a sentire senza interromperla. Avrebbe detto tutto alla fine.
“Mi sento ferita, stupida. Prima di tutto perché sono gelosa di una persona che non amo. Tu questo già lo sapevi, risparmiami espressioni di stupore, te ne prego. Ma è comunque il mio ragazzo, e gli voglio un bene immenso, perciò non posso non provare umiliazione di fronte al suo gesto e vergogna per te.”
Fece una brevissima pausa, poi riprese. “Io non riferirò mai a nessuno, neanche al diretto interessato, di essere a conoscenza di quello che è successo tra di voi. Ma devo avvertirti di una cosa. Le donne del villaggio sono scontente e si sono già rivolte alla polizia per cacciarti. Hanno paura di poter essere le prossime e non posso dargli torto. Prima o poi verranno a prenderti per buttarti fuori, perciò io ti dico: vattene, vattene lontano e non tornare mai più.”
Temari fu sconvolta da quelle parole. Non tanto per il fatto che si dovesse, ancora una volta, comportare da fuggitiva e sgattaiolare nel bel mezzo della notte con un cappuccio in testa senza farsi scoprire, ma perché Sakura si trovava in casa sua ad avvertirla circa tutte quelle cose. Proprio lei, che più di tutte era stata ferita, aveva trovato un briciolo di pietà e le stava porgendo la sua mano. A modo suo, ma lo stava facendo.
“Arriverà presto Itachi e ti accompagnerà fuori dal villaggio. Tranquilla, non attirerete l’attenzione di nessuno,” la rassicurò.
Temari non sapeva se sentirsi grata nei confronti di quella ragazza oppure offesa, poiché aveva dimostrato da un lato pietà verso di lei, dall’altro il suo sguardo non tradiva la vergogna nei suoi confronti.
Ma ora fu il suo turno di parlare.
“Sakura, io non mi dispiaccio per quello che ho fatto. È grazie al fatto di essere stata con tanti uomini come Itachi che ho trovato quello che cercavo. Me ne andrò dal villaggio come tu, come tutte voi mi chiedete. Ma lascerò sempre qualcosa di me qui.”
Sakura le sorrise, suo malgrado.
“Sei riuscita a trovarlo?”.
Temari comprese subito di cosa parlava.
“Sì,” le rispose.
“Il mio è un po’ come te. Un fuggitivo. E non lo rivedrò mai più.” Dopo queste parole Sakura si avviò verso la porta, le augurò “Buona fortuna” e la lasciò lì.


 

[Il cuore tenero non è una dote
di cui sian colmi i carabinieri
ma quella volta a prendere il treno
l’accompagnarono mal volentieri.]

 
Come aveva promesso Sakura, non molto più tardi, quando la giornata era ormai giunta al vespro e servivano i lampioni ad illuminare i sentieri, giunse Itachi. Temari fece il giro della casa per cercare eventuali oggetti dimenticati e non trovandone si infilò il cappuccio e lo seguì fuori. Camminarono per delle vie secondarie poco popolate, fino ad arrivare al cancello principale dove la guardia era stata avvertita del loro arrivo. Salutò il capo della polizia di Konoha con un cenno del capo e un appena percettibile inchino, giusto per mostrare rispetto, poi si allontanò per discrezione.
“Sei sola d’ora in poi,”  le disse.
“So badare a me stessa,” quante volte aveva detto quella frase in vita sua.
“Addio, e spero tu possa trovare fortuna altrove,” e ancora una volta Itachi le sorrise appena percettibilmente con gli occhi.
“Addio, e prenditi cura di Sakura,” rispose. Senza aspettare una risposta si incamminò e non si fermò fin quando non fu abbastanza lontana da non vedere più le mura del villaggio della Foglia. Dopo di che, iniziò a piangere violentemente. Lo aveva perso, pensò. L’unico con cui era davvero stata sé stessa.
 
Erano passate tre settimane, più di quante avrebbe dovuto richiedere la missione e Shikamaru era pronto per far ritorno al villaggio.
La sua casa era un disastro, non aveva messo in ordine prima di partire. Uno strato di polvere ricopriva pressoché tutto ciò  che era in evidenza, il letto era disfatto e nel lavello c’erano ancora il piatto e il bicchiere del suo ultimo pranzo. Non gli andava per niente di pulire in quel momento, aveva una cosa da fare prima di tutto il resto.
Chiuse il cancelletto che dava al suo giardino e si avviò per il sentiero principale. Giunse in fretta di fronte casa di Temari e bussò ripetutamente alla porta. Nessuna risposta.
Non sperava più ormai di trovarci qualcuno, in fondo se lo aspettava. Ma rimase sconvolto comunque.

Si disse che quella era la sera giusta per ubriacarsi per la prima volta.

 
≈ 
 


Una figura incappucciata sedeva al bancone di quello squallido localino sperduto, che si reggeva in piedi a stento. Il pavimento era lercio, così come il volto del barista, che si ostinava a passare un canovaccio unto dentro calici e bicchieri, convinto di poterli pulire, ma che in realtà risultavano ancora più sporchi di quanto non lo fossero prima che vi mettesse le mani.
In realtà le figure incappucciate sedute a ridosso del bancone erano due. Una però si era alzata qualche tempo prima e si era diretta su per delle scalette molto strette, le quali molto probabilmente davano a delle stanzette per ospiti.
Temari, stanca come era e zuppa per il maltempo che si era riversato all’improvviso, si sedette vicino a quel corpo con il mantello da viaggio che lo ricopriva completamente e chiese al barista di riempire la sua sacca dell’acqua. Col cavolo che avrebbe bevuto da uno di quei bicchieri.
“Giornatina allegra,” si lamentò sarcasticamente con il mantello seduta vicino a lei.
“Mh,” grugnì quello. Non era in vena di parole.
Un ubriacone passò vicino a dove erano seduti, urtando contro la persona vicino a lei, e gli fece cadere il cappuccio.
“Stai più attento, idiota,” sibilò il giovane, visibilmente irritato.
Temari intravide appena il suo volto, ma aveva un qualcosa di familiare, come se lo avesse già incontrato. Lo trovò inoltre molto affascinante.
“Il tuo amico si starà divertendo lì sopra,” tentò di approcciare.
“Contento lui,” rispose seccato.
Temari vi si avvicinò, riscoprendo il suo lato seducente. Il ragazzo comprese al volo e pensò che per quella sera avrebbe potuto porre rimedio alla noia in quel modo.
Senza nemmeno scambiarsi una parola, la ragazza lo seguì al piano superiore, poi dentro una stanzetta, lercia e non accogliente come il piano inferiore.
Il giovane la spinse annoiato sul letto e si coricò anche lui. La spogliò senza passione e fece altrettanto con sé stesso, impedendo alla ragazza di toccarlo. Poi la penetrò duramente senza prima saggiarla o metterla a suo agio. Quello sconosciuto riversò tutta la sua rabbia su di lei, le faceva male, ma lo lasciò fare. Dopo minuti che le sembrarono interminabili, il ragazzo venne e si scansò da lei, riversandosi sul letto a pancia in su. Appena in tempo e alla porta bussarono.
“Sasuke esci, dobbiamo andare via di qui!”.
Sasuke si rivestì in fretta, sempre con quella posatezza e noia che dominavano ogni suo gesto. Si ricoprì con il mantello e si issò il cappuccio sulla testa.
“Puoi rimanere, ho pagato fino a domani mattina,” disse rivolto a Temari e uscì dalla stanza, lanciandole le chiavi sul letto.
Temari non si addormentò quella notte. Non lo faceva mai dopo essere andata a letto con qualcuno. Sì, perché Temari finalmente comprese che quello non si trattava di amore, come lei aveva sempre pensato. Le scappatelle occasionali non potevano esserlo, nonostante a lei piacesse fare l’amore comprese a sue spese che non tutti ci mettevano passione nel farlo. La maggior parte degli uomini con cui era stata, l’avevano solo ritenuta una cena da consumare per poi buttare via i fazzoletti come se niente fosse. Intanto avevano avuto la pancia piena.
Solo una volta si era addormentata, perché addormentarsi accanto a un uomo voleva dire concedersi completamente, fidarsi ciecamente. Solo ad una persona aveva ceduto quella fiducia. E Temari avrebbe conservato quell’onore per lui soltanto, per il resto della vita.











n/a
Ebbene, questa storia si rifà interamente alla canzone di Dio Fabrizio, che non è la mia preferita in assoluto, ce ne sarebbero moooolte altre da citare, ma trovavo che questa fosse più consona per scrivere una storia.
Inoltre, è totalmente dedicata alla dolce Bame, cucciola. <3 Grazie di tutto, dolce e splendida ragazza.
 

  
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