Alcune piccole premesse prima di lasciarvi alla storia.
In primis, è la prima storia -scusate l'infelice gioco di parole- che scrivo su questo fandom al quale mi sono avvicinata molto di recente.
In secundis, questa storia sta partecipando all'ancora in corso Once upon a time contest di Soskyn, indetto sulla sua pagina FB e sul forum di EFP.
Il contest aveva come tema lo scrivere una storia i cui protagonisti fossero personaggi di fiabe non ancora comparsi nel telefilm.
Io ho scelto Gerta e Kay, i protagonisti della favola “ La regina delle nevi ”, di cui vi ho inserito il link, nel caso vi interessasse.
Ultima nota: il banner è opera mia.
Detto questo, vi auguro buona lettura!
Prickle
Will
you return?
And
remind me who I really am
Please,
remind me who I really am
Everybody’s
got a dark side
Do
you love me?
Kelly Clarkson, “Dark Side”
Nessuno
a Storybrooke, nel Maine, aveva un giardino di ciliegi bello come
quello di sua nonna.
Era
lì da che avesse memoria, così immutabile e bello
da sembrare
appena uscito da uno dei libri per bambini che la nonna le leggeva
quando era piccola.
Era
sempre stata brava a raccontarle le fiabe, questo Gerta lo rammentava
bene, come i pomeriggi trascorsi ad ascoltarla.
Non
sapeva cosa avesse quel giardino di tanto speciale, ma c'era qualcosa
in quel luogo che la attraeva a sé come una calamita.
C'era
un piccolo appezzamento di terra, un po' nascosto dietro il tronco
imponente di un ciliegio, in cui la nonna aveva fatto piantare delle
rose.
Non
erano mai fiorite e a Gerta la nonna aveva detto di non riuscire a
capire perché. Tutte le altre piante erano rigogliose e
bellissime a
vedersi, con colori così sgargianti da ricordare le piume
degli
animali esotici, tranne quelle rose, come se un incantesimo le avesse
congelate per sempre.
Oramai
aveva perso le speranze di vederle nascere, ma Gerta non era della
sua stessa opinione. Segretamente, continuava ad augurarsi che le
rose crescessero. Non era sicura che fosse solo perché
adorava i
fiori: ogni volta che passava di lì aveva la sensazione che
qualcosa
di più la legasse alle rose, come un ricordo sopito che
aspettava di
ridestarsi insieme a quei boccioli.
Sentiva
senza averne la certezza che l'ultima rosa fiorita aveva avuto un
significato particolare: quel giorno era accaduto qualcosa, un
cambiamento che tuttavia non riusciva a ricordare.
Ogni
volta che si avvicinava all'argomento le sembrava che qualcosa
deviasse i suoi pensieri e si accorgeva di vagare con la mente solo
dopo ore, a volte giorni.
Quel
pomeriggio sua nonna non era in casa e lei ne approfittò per
infilarsi di nascosto nel giardino.
Non
si aspettava di vedere nulla di nuovo, ma quella giornata era
destinata a cambiare la sua vita per sempre.
Canticchiava
distrattamente una vecchia canzone mentre svoltava l'angolo che
l'avrebbe portata proprio di fronte a quello sterile cespuglio di
rose.
Non
si rese subito conto che qualcosa era mutato, troppo abituata a
vederlo spoglio e nudo. Si voltò di nuovo e i colori
esplosero di
fronte ai suoi occhi.
Qua
e là, tra i rovi, facevano timidamente capolino i boccioli
di rosa.
Rosso, giallo, rosa e bianco sbucavano qua e là, svettando
contro il
verde intenso.
Le
labbra di Gerta, rosse come le rose, si aprirono in un'espressione di
sorpresa.
Non
solo perché finalmente i boccioli erano comparsi, ma
perché lo
avevano fatto proprio in pieno inverno.
Era
magia.
Accarezzò
i petali con la delicatezza del fedele che sfiora con la punta delle
dita la statua del santo e sentì che c'era qualcosa che
doveva
ricordare.
Qualcosa
che era lì, dentro di lei, appena al di là del
velo che lo
nascondeva: senza sapere come, capiva che era importante, forse
ciò
che aveva animato parte della sua vita.
Le
sfuggiva come sabbia tra le dita.
Scosse
appena i capelli; lo chignon dondolò pericolosamente fino a
sciogliersi e una nuvola di fili dorati si sparse lungo le spalle
mentre il pettine che con cui li aveva raccolti cadde a terra con un
tintinnio.
Come
mille lampi di luce bianca, i ricordi le inondarono la mente e in un
attimo seppe cosa aveva dimenticato. Qualcuno che pensava avrebbe
fatto parte della sua vita per sempre e che si era ripromessa di non
abbandonare mai, neanche quando era cambiato.
Era
diventato una persona totalmente diverso, ma aveva giurato a se
stessa che lo avrebbe amato comunque e lo avrebbe fatto tornare il
suo Kay.
E
invece lo aveva messo da parte, dimenticato come se non contasse
nulla. Aveva pensato che quel desiderio di redenzione che l'aveva
animata fosse il sentimento più puro che avrebbe mai potuto
provare;
fu strano scoprire che era bastato davvero poco per farglielo
dimenticare e che, dopotutto, anche l'idea più nobile
restava pur
sempre solo un'ideale.
Ma
non si sarebbe pianta addosso, non lei che era sempre stata
così
pronta a rimediare agli errori e alle ingiustizie.
Kay
la prendeva sempre in giro per il suo innato senso del giusto e si
chiedeva fino a che punto sarebbe riuscita ad andare.
Non
lo sapeva neanche lei, ma Gerta era certa che non avrebbe permesso a
niente di tenerla lontana da lui ancora.
Gerta
non ricordava di aver mai visto una tempesta di neve più
violenta a
Storybrooke.
Avrebbe
dovuto rimanere in casa, magari seduta di fronte al camino con un bel
libro e una tazza di latte e miele in mano, invece che ritrovarsi di
fronte alla porta della stanza di Kay stringendosi nel cappotto alla
disperata ricerca del coraggio di bussare a quella maledetta porta.
Non
era difficile, si disse: lo aveva fatto così tante volte
quando era
bambina.
Eppure,
all'improvviso la sua mano sembrava terribilmente pesante e la porta
un mostro pronta a divorarla.
Fuori
cadeva la neve e a Gerta non piaceva.
Ricordava
vagamente, come fosse un flash appartenente a un passato remoto e
forse addirittura a un'altra vita, che c'era stato un tempo in cui le
piaceva giocare sotto i fiocchi, ma poi era cambiato tutto.
Non
sapeva cosa gli fosse successo né quando: sapeva solo che il
giorno
prima lui era lui e quello successivo era un'altra
persona,
una che non era il suo Kay.
Era
passato così tanto tempo... Gerta non riusciva a capire
perché
avesse aspettato tanto per andare da lui, come avesse potuto
dimenticarsi di Kay.
Le
sembrava di essere vissuta immersa nella nebbia per anni e
all'improvviso questa avesse iniziato a diradarsi.
Sentiva
che qualcosa stava cambiando: era nell'aria, ne avvertiva l'eco nel
petto.
Prese
il coraggio a due mani ed entrò. Era tutto come lo
ricordava, con le
pareti di quel azzurro ghiaccio e il lampadario di vetro sembrava
creare mille aurore boreali sui muri. C'era profumo di fiori.
La
camera di Kay era sempre la stessa, con quegli stupidi poster alle
pareti, gli scaffali pieni di libri e il letto grande adornato dai
peluche che lei gli aveva regalato.
Kay
era proprio lì, steso sul letto. A vederlo così,
le sembrava
proprio il suo Kay. Gli carezzò il viso
e si accorse che le
tremavano le mani.
Come
aveva potuto dimenticarlo? No, si disse, non era quello il problema.
Kay era sempre stato da qualche parte dentro di lei e anche quando
era diventato cattivo e irriconoscibile non aveva smesso di amarlo:
era sempre lì, radicato sotto la sua pelle così
in profondità che
niente avrebbe potuto scacciarlo.
Era
un tipo di amore intenso da far paura, come trovarsi di fronte a uno
strapiombo o a un uragano: terrificante e bellissimo.
“Pensavo
che mi andasse bene così” sussurrò
mentre si stendeva con la
testa sul petto di lui, la voce tremante e le guance solcate dalle
lacrime “ma sei sempre stato tu, la cosa di cui avvertivo la
dolorosa assenza. Mi manchi così tanto...”
Le
ultime parole furono un gemito strozzato tra le lacrime e finalmente
si sentì libera da un peso opprimente. Sì, un
buco nero si era
spalancato nel suo petto, ma almeno ora poteva tentare di ricucirlo,
anche se ci sarebbe voluto tanto tempo e tutte le sue forze.
La
distruggeva ricordare cosa Kay fosse diventato e sapere che non
sarebbe tornato ad essere com'era, ma la verità era che la
realtà
non sarebbe cambiata perché a lei non piaceva.
Perciò
aveva solo bisogno di un attimo in cui raccogliere le energie per
dire addio a Kay, un momento per assaporare i ricordi di un tempo,
quando erano solo Gerta e Kay e giocavano con lo slittino dietro
casa.
Quando
fosse passata oltre lo avrebbe fatto per sempre: non sarebbe
più
tornata indietro e i suoi ricordi sarebbero stati accantonati come
fotografie in una soffitta. Per questo aveva bisogno di un momento in
cui indugiarvi ancora un po', crogiolandosi in essa e sentendoli con
tutta l'intensità prima di lasciarli andare.
Chiuse
gli occhi e serrò le labbra per non gemere, ma un
singhiozzò le
sfuggì lo stesso e cercò di soffocarlo nel
maglione di Kay.
“Mi
stai inondando il maglione di lacrime”
La
voce impastata dal sonno di Kay la fece quasi cadere dal letto, ma le
sue braccia la afferrarono prontamente. Una mano le strinse la nuca
mentre Gerta alzava lo sguardo su di lui.
Seppe
subito che era di nuovo lui, che era il suo Kay e
scoppiò a
piangere. Era passato così tanto tempo eppure lui era di
nuovo lì,
proprio come non aveva osato sperare.
Lo
baciò; non avrebbe mai più dovuto dirgli addio,
non ci sarebbe più
stato un vuoto da colmare.
Sarebbe
andato tutto bene fino a quando le labbra di Kay avrebbero continuato
a baciarla come se fosse l'ultima volta.
The End.