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Autore: SignorinaEffe87    09/08/2007    4 recensioni
"[...] Lo vidi, finalmente, circondato dagli sguardi incuriositi e sospettosi della folla, che si scambiava pareri discordanti sulla sua identità: un monaco errante sulla strada per il monastero oltre la montagna, un predicatore di città in cerca di una nuova folla da arringare, un esattore del signore vassallo giunto ad un'ora piuttosto insolita, un cavaliere di ventura privo di destriero e scudiero.
Lo straniero, senza togliere il cappuccio che portava calato sulla testa, rivelò in tono pacato, con una tranquillità nella voce che non potè non inquietarmi: "Sono un menestrello."[...]"

[Seconda classificata nella sezione "Narrativa Adulti" del concorso letterario "E' Tempo di Parole" del comune di Cavagnolo (TO)]
Genere: Dark, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PlayMinstrelPlayefp

Disclaimer: La canzone citata in questa storia è "Play, Minstrel, Play" ed appartiene ai Blackmore's Night.
I personaggi, invece, sono frutto della mia fantasia, pertanto di mia esclusiva proprietà.

PLAY, MINSTREL, PLAY

"Underneath the harvest moon
Where the ancient shadows will play and hide...
With a ghostly tune and the devil's pride...
"Stranger" whispered all the town
"Has come to save us from Satan's hand?"
Leading them away to a foreign land..."

Trad.: "Sotto la luna di settembre
Dove le antiche ombre giocano e si nascondono...
Con un suono spettrale ed il dominio del diavolo...
"Straniero" sussurrò l'intera città
"E' venuto per salvarci dalla mano di Satana?"
Portandoli lontano verso una terra straniera..."


Amo le notti di luna piena.
Potrei restare ore con gli occhi rivolti al cielo, fissi su quel chiarore pallido, unico appiglio di luce nella sconfinata oscurità della notte.
Così bella e limpida, così rotondamente perfetta, sembra guardare l'imperfetto mondo sotto di lei con un sorrisetto beffardo di compatimento e pensare: o piccoli ed insignificanti esseri che state ai miei piedi, siete vani come un filo di fumo; io ero prima di voi e sarò dopo. Al mio confronto, non siete altro che farfalle dall'effimera vita giornaliera.
E' vero: l'uomo è un nano trapiantato nella casa di un gigante, si affanna invano a cercare di adattare la realtà circostante ai propri bisogni, vuole cambiare il mondo senza capire che dovrebbe prima cambiare se stesso.
Amo le notti di luna piena, perchè mi riportano indietro nel tempo.
Ogni volta in cui alzo lo sguardo ad incontrare il cielo rischiarato da quella luminescenza candida, sento il sangue scorrere più impetuoso nelle vene, la memoria mi mostra immagini che nemmeno saprei dire da dove provengono, non avendo io mai visti luoghi così selvaggiamente belli se non in sogno.
Allora è come se il tempo non fosse mai trascorso, come se io e tutta la mia stirpe fossimo ancora liberi e felici: lo eravamo, in un momento talmente remoto da sfumare nelle nebbie dell'oblio quasi fino a divenire leggenda.
Non avevamo vincoli, se non quelli di sangue.
Non avevamo regole, se non quelle di pacifica convivenza.
Non avevamo padroni, se non i capi che per il loro valore si distinguevano dalla massa.
Avevamo noi stessi, e questo era più che sufficiente per essere soddisfatti.
Poi sono arrivati loro, i signori, gli esseri superiori, e noi siamo divenuti nient'altro che una deprecabile schiatta di schiavi al loro servizio, debitori nei loro confronti di una devozione che non meritano.
Abbiamo perso la nostra libertà e la nostra identità, non abbiamo più mordente, nè voglia di combattere per tornare ad essere liberi: meritiamo di essere schiavi soltanto per la nostra colpevole mollezza.
Questi sono i pensieri che le notti di luna piena suscitano in me, pensieri che i padroni mai immaginerebbero di trovare nella mente di un misero schiavo; dovrebbero temermi, e invece mi disprezzano.
Non sono consapevoli del rischio che corrono: il giorno in cui io e la mia stirpe riusciremo a trovare la forza per ribellarci, loro non avranno scampo.
Perchè noi non dimentichiamo.
Perchè i nostri patti di lealtà sono più saldi e duraturi dei loro, che conoscono soltanto il tradimento e l'inganno.
Perchè noi uccidiamo solo quando è strettamente necessario, e non è detto che questo sia meno letale del loro sterminio indiscriminato ed ingiustificato.
Quella notte meditavo proprio riguardo a questo, sapendo che mi sarebbe venuto il sangue amaro e il sonno non avrebbe fatto altro che scivolarmi via dalle palpebre, ma provate voi a dormire gettati su di un pagliericcio al centro di una stalla scoperchiata dall'ultima tromba d'aria: io sono un oggetto, esattamente come un forcone da fieno, e si sa che gli oggetti si ripongono nello sgabuzzino, o comunque fuori di casa.
Riesco ad addormentarmi solo quando la fatica mi ha stremato a tal punto da impedirmi di formulare pensieri coerenti gli uni con gli altri, altrimenti passo le nottate a riflettere su qualsiasi argomento susciti il mio interesse.
Ho una personalità eclettica, sebbene faccia di tutto per nasconderlo, soprattutto ai miei simili di questo buco di villaggio, capaci soltanto di leccare servilmente i piedi dei loro padroni: non mi capirebbero, in loro compagnia devo fingere un'ottusità che non mi è propria.
Me ne stavo così, raggomitolato sul mio misero giaciglio per non sentire il freddo che mi penetrava crudelmente nelle ossa, con la sola compagnia di un quartetto di vecchie e grasse mucche, intente a ruminare la loro cena con lo sguardo vacuo fisso su di me: anche loro sono oggetti nelle mani dei padroni, come me, ma non sembrano aver mai conosciuto una vita migliore.
Fu allora che per la prima volta lo sentii: all'inizio era un suono talmente flebile da farmi sospettare un inganno dei sensi, oppure il principio del sogno in cui il sonno mi avrebbe entro breve precipitato; poi la melodia si fece sempre più nitida, risuonava sonoramente nell'aere placido della notte di plenilunio, mi invitava a scoprire la sua fonte.
Mi alzai tranquillamente, camminai fino in strada e mi accorsi di essere giunto piuttosto in ritardo: l'intera popolazione del villaggio si era già riversata nella piazza principale, formando un solido capannello intorno alla "cosa" che mi aveva chiamato fuori dalla mia apatica meditazione notturna. 
Una sola parola serpeggiava fra gli abitanti, debole come un bisbiglio, sussurrata di bocca in bocca ed arricchita di tutte le possibili inflessioni che denotino paura e sgomento: "Straniero!"
Cercai di farmi largo fra la folla, curioso di trovarmi faccia a faccia con questa apparizione improvvisa e misteriosa, ma i superiori mi respinsero con sdegno: il più gentile di loro si limitò a ringhiare un ordine digrignando i denti, il più crudele mi diede un calcio che per poco non mi fece rovinare nella polvere.
Capendo che non avrei ottenuto alcun risultato apprezzabile se avessi tentato una seconda volta di forzare il loro schieramento, mi servii della mia innata agilità per issarmi su uno dei tetti delle case circostanti: di fango e paglia, non avrebbe mai retto il peso di un superiore, soprattutto dei più opulenti che vivono al centro del villaggio, ma noi schiavi mangiamo poco e consumiamo quella miseria di vitto datoci lavorando fino allo stremo delle forze.
Lo vidi, finalmente, circondato dagli sguardi incuriositi e sospettosi della folla, che si scambiava pareri discordanti sulla sua identità: un monaco errante sulla strada per il monastero oltre la montagna, un predicatore di città in cerca di una nuova folla da arringare, un esattore del signore vassallo giunto ad un'ora piuttosto insolita, un cavaliere di ventura privo di destriero e scudiero.
Lo straniero, senza togliere il cappuccio che portava calato sulla testa, rivelò in tono pacato, con una tranquillità nella voce che non potè non inquietarmi: "Sono un menestrello."


"Play for me, minstrel, play
And take away our sorrows...
Play for me, minstrel, play
And we'll follow...
Hear, listen, can you hear,
The haunting melody surrounding you,
Weaving a magic spell all around you..."


Trad.: "Suona per me, menestrello, suona
E porta via le nostre sofferenze...
Suona per me, menestrello, suona
E noi seguiremo...
Senti, ascolta, riesci a sentire,
L'ammaliante melodia che ti circonda,
Intrecciando un magico incantesimo tutt'attorno a te..."


L'alba del giorno successivo all'arrivo del menestrello al villaggio sorprese gli abitanti intenti a prepararsi alle celebrazioni del loro giorno di riposo settimanale.
La domenica non si lavora, si mangiano cibi più raffinati (se ce li si può permettere), si ozia.
Tutto questo se sei un superiore.
Per noi schiavi non c'è riposo, al massimo è non-lavoro, e non è detto che i due concetti siano obbligatoriamente o necessariamente uno il sinonimo dell'altro.
Mi incamminai con passo lento e cadenzato verso il centro del villaggio, mantenendo la giusta distanza che i padroni ritengono necessaria porre fra loro e i servi: probabilmente avrei dovuto raggiungere i miei compagni al limitare del bosco, dove sono soliti riunirsi per ciondolare apaticamente nel giorno di festa, ma, come ho già detto, non tollero granchè la loro compagnia e quel giorno ero meno disposto del solito ad ascoltare e sopportare le loro futili amenità.
Mi abbandonai docilmente al flusso della folla, che sciamava in direzione della chiesa del paese: errore tipico della stupidità umana, era stata costruita e progettata per contenere meno della metà degli abitanti, e guarda caso a restare fuori erano sempre i più poveri e simili a noi schiavi.
La nostra società era molto meno settaria della loro: si accoglievano tutti, senza distinzioni di alcun tipo; le nostre sole ricchezze erano la libertà e la salute, chiunque difettava di quest'ultima sarebbe stato giudicato dalla natura, non certo da noi suoi pari.
Mi separai da loro sul sagrato, lanciando un'ultima occhiata perplessa alle loro espressioni assorte e alle loro labbra in movimento, intente a salmodiare continue preghiere al loro dio: probabilmente le mie parole sono dettata dalla pura invidia, perchè noi schiavi abbiamo perso la nostra libertà di culto il giorno in cui abbiamo anche perso noi stessi, però credo di non aver mai visto creature tanto ottusamente devote come i superiori.
Il loro comportamento nei confronti della divinità, poi, è a dir poco paradossale: se ne vanno in giro, inspiegabilmente tremebondi per qualsiasi ombra li sfiori, come se in ogni angolo fosse acquattato in agguato uno spirito demoniaco pronto a sbranarli, per poi compiere in segreto le azioni più abiette, meschine e deplorevoli, troppo spesso anche in nome del loro dio d'amore e di pace.
I superiori uccidono e devastano, in nome del loro dio d'amore e di pace.
Ero ancora intento a gironzolare nella piazza, crogiolandomi nelle mie riflessioni pessimistiche, quando un dolore lancinante quanto improvviso mi pervase la schiena, strisciando vilmente lungo la mia intera spina dorsale; il mio occhio, di sfuggita, venne attirato dal rotolare di una pietra, presumibilmente l'oggetto che mi aveva colpito con tanta violenza.
"Vattene via, feccia!" mi gridò contro una vocetta stridula, che riconobbi essere quella del figlio minore dei miei padroni.
Odio i bambini quasi più degli adulti, perchè quel sentimento di cinica indifferenza che i superiori maturi provano nei confronti degli schiavi, nei più piccoli è infida crudeltà allo stato puro.
Sembrano essere stati creati, loro più degli adulti, per la dannazione perpetua della nostra stirpe.
Scattai di lato appena in tempo per evitare una seconda sassata e posai su di lui uno sguardo colmo di biasimo: non che non fossi abituato a simili trattamenti, avevo subito anche di peggio da suo padre, quando ero ancora troppo giovane per comprendere appieno i suoi ordini ed eseguirli quanto più rapidamente possibile; tuttavia, avevo avuto la sinistra impressione che il bambino mi avesse colpito con più crudeltà del solito...
La possibilità di protestare non venne nemmeno presa in considerazione: uno schiavo non ha libertà di parola e deve essere abituato a subire ingiurie.
Nulla di ciò che gli accade riguarda strettamente il padrone, e la sua eventuale morte non è nient'altro che uno spiacevole incoveniente causante il rallentamento della produzione ed una snervante seccatura per quanto riguarda la sepoltura. 
Non abbiamo neppure diritto ad un rito funebre.
Scrutai il suo viso: i suoi occhi mi spaventarono a tal punto che fui costretto a chinare lo sguardo; luccicavano di una perfidia ferina che non avevo mai visto prima, neppure nel più spietato dei superiori.
Era una ferocia soprannaturale, non umana.
Colsi un fruscio impercettibile alle sue spalle e, in un istante, mi ritrovai di fronte anche il misterioso menestrello giunto la sera precedente.
Fissandomi con un sorriso che avrebbe dovuto essere di comprensione, e che invece mi apparve terribilmente simile ad una smorfia minacciosa, congedò il bambino con un'affettuosa pacchetta sulla spalla; poi, strinse fra le mani secche e nervose la mandola e cominciò a suonare.
Non trascorsero che pochi istanti e gli sguardi dell'intera popolazione del villaggio si appuntarono su di lui, il mio compreso: senza sapere perchè, non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso, lo comandavo alla mia mente, ma questa non voleva saperne di obbedirmi.
La musica scivolò lentamente dentro di me, pericolosa come un veleno che cade a stilla a stilla, ammansendo la mia volontà e catturando i miei pensieri.
Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene, la tentazione di abbandonarmi completamente a quella realtà sconosciuta, che temevo e volevo allo stesso tempo.
Allora giunse la voce, desiderabile e seducente come un canto di sirena: mi sobillava a compiere azioni cui ardivo a malapena pensare, mi spingeva perchè rompessi i vincoli della schiavitù e guidassi i miei compagni alla rivolta contro i nostri sfruttatori.
Come un canto di sirena era pericoloso, ed io lo compresi giusto in tempo.
Fu il mio pessimismo a salvarmi: essere schiavi è brutto, ma essere schiavi ed avere la consapevolezza di non poter sopravvivere senza un padrone è addirittura mostruoso.
Mi sottrassi all'incantesimo diabolico e, lanciando un rapido sguardo intorno, mi accorsi che nessun altro fra i superiori era riuscito ad imitarmi: chi più, chi meno, erano ormai completamente assuefatti agli ordini della voce melodiosa ed infingarda.
Il menestrello, dinanzi a me, continuava a suonare, come se ignorasse ciò che stava accadendo attorno a lui, come se ignorasse di esserne il principale responsabile.
Con tutto il coraggio di cui riuscii ad armarmi, cercai i suoi occhi sotto il cappuccio nero e li fissai intensamente.
E allora, gelida e spietata come una lama di coltello, mi trapassò la consapevolezza del vero, vidi con orrore e sgomento ciò che nessun altro era riuscito a vedere.


"Danger hidden in his eyes,
We should have seen it from far away,
Wearing such a thin disguise in the light of day...
He held the answer to our prayers,
Yet it was too good to be...
Proof before our eyes, yet we could not see..."


Trad.: "Pericolo nascosto nei suoi occhi,
Noi avremmo dovuto vederlo da molto lontano,
Indossando un travestimento così sottile alla luce del sole...
Egli recava la risposta alle nostre preghiere,
Tuttavia era troppo buono per essere...
Prova davanti ai nostri occhi, tuttavia non fummo capaci di vedere..."


Sono libero.
O meglio, non ho più padroni, ma questo, come ho già detto a proposito del riposo, non implica necessariamente che io abbia riacquistato la libertà ancestralmente perduta dai miei avi.
Credo che me ne andrò lontano, oltre le montagne o forse anche di più, alla ricerca dei padroni di cui parlano le storie, dei superiori che deplorano la schiavitù e trattano gli schiavi quasi come loro pari.
Mia nonna diceva sempre, quando terminava le sue favole nel buio gelido del pagliaio in cui sono cresciuto e dove presumibilmente sarei morto se non fossimo giunti a questo, che ogni leggenda ha il suo fondo di verità. 
Bene, non sono così pessimista da pensare che superiori del genere non possano esistere...
Sicuramente ne esisteranno di migliori rispetto a quelli del mio villaggio.
Stupidi idioti, hanno trascorso più di metà della loro vita a guardarsi da tutti gli pseudo-demoni che reputano essere nascosti nei boschi e nei fiumi e non hanno saputo riconoscere il più pericoloso di tutti quando se lo sono trovato davanti.
La musica li ha fatti smarrire, hanno perso tutto ciò che erano, precipitando anche più in basso del livello occupato da noi schiavi.
Credevano di correre incontro alla libertà, ed invece non facevano altro che stringere sempre più strettamente le loro catene.
Il menestrello è pronto a partire, trascinandosi dietro a passo di danza la sua nuova schiera di vittime, che finirà i suoi giorni eterni bruciando nelle fiamme di un luogo di morte e disperazione che i superiori chiamano Inferno.
Noi non abbiamo mai avuto qualcosa di simile, siamo convinti che parlare del male non faccia nient'altro che renderlo più potente: quegli sciocchi padroni, con il loro continuo, giornaliero, incessante lamentarsi e salmodiare sul maligno, non hanno fatto altro che fortificarlo come lui desiderava.
Hanno decretato la loro fine di propria spontanea volontà.
Prima di allontanarmi per sempre da questo villaggio, ormai niente più che un insieme di case spoglio e privo di vita, lancio un'ultima occhiata al mentestrello, già pronto a guidare il suo piccolo corteo.
I nostri sguardi s'incontrano, il mio venato di un'ilarità canzonatoria, il suo colmo di risentimento che non può far altro che macerare al suo interno senza possibiltà di essere placato: mi ha già sfidato ed ha già perso.
Oggi è una giornata memorabile, anche se nessuno sopravviverà o avrà la possibilità di raccontarla ed essere creduto: oggi Satana ha dovuto chinare il capo e dichiararsi sconfitto da uno stupido, misero, inutile cane.



Questa è una storia che ho scritto all'incirca una vita fa, nel corso di una notte insonne dell'estate del 2004, avevo circa sedici anni e mezzo.
Tuttavia, siccome è stata a tal punto apprezzata ad un concorso letterario da aggiudicarsi il secondo posto nella categoria Narrativa Adulti, ho pensato di pubblicarla e sentire un po' se condividete l'entusiasmo dei giurati.

Edit del 15/06/2010
Ho rielaborato il codice HTML della storia con NVU, migliorato la paragrafazione e corretto alcuni problemi tipografici di punteggiatura.


   
 
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