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Autore: Roro_Butterfly96    20/01/2013    0 recensioni
Molte persone dicono di stare male per una gamba rotta, vanno all’ospedale e la gente li cura. Ma nessuno si accorge mai di un cuore spezzato o sgretolato quando se lo ritrovano davanti e questo dolore è molto più lacerante di qualsiasi arma… e non esistono ospedali, cure o medicine per far passare quella leggera voglia di morire.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ora è diventato passato…



Il gelo mattutino mi passava oltre la grossa sciarpa e il peloso cappello che indossavo. Attraversava i piedi e mi faceva raggelare il sangue, come solo il dolore era riuscito a farmi in quei tristi giorni.
 
Camminavo a passo svelto accostando il marciapiede stracolmo di neve che era impossibile da attraversare e stavo ben attenta a non scivolare sul ghiaccio. Era gennaio e l’inverno come sempre si faceva sentire più forte che mai.
 
Ma quel freddo non poteva paragonare la visione dei miei occhi che provocavano alla gente. Rossi, gonfi e gelidi. Un castano che da quante lacrime aveva incontrato quella mattina pareva un grigio scuro e spento.
 
I miei capelli erano lasciati andare per il cappotto e s’inumidivano con la brezza fredda e umida delle 7.30 del mattino. Avevo percorso molte volte quella strada ma mai per quel motivo così difficile da spiegare.
 
La facevo tutte le mattine per andare a scuola. Però stavolta era una tristezza diversa.


 
Quella che ti si ferma dentro, ti spezza il cuore e poi se ne va ignara dei danni che ha provocato.
 
Quel dolore immane che ti sgretola metà cuore e ti lascia l’altra metà sanguinante.
 
Perché fa tutto questo il dolore? Perché?
 
Molte persone dicono di stare male per una gamba rotta, vanno all’ospedale e la gente li cura. Ma nessuno si accorge mai di un cuore spezzato o sgretolato quando se lo ritrovano davanti e questo dolore è molto più lacerante di qualsiasi arma… e non esistono ospedali, cure o medicine per far passare quella leggera voglia di morire.
 
Perché provo emozioni? Potevo nascere direttamente senza un minimo di emotività, ma ci sono quelle piccole-grandi disgrazie che ti fanno capire che al mondo sarai sempre solo. Finché qualcuno non ti salva da quell’oblio dove nemmeno la speranza vuole venirti a prendere.
 
Ma chi mi salverà? Chi?
 
Riponevo speranza e fiducia in una persona che ora mi è stata portata via da quella cosa chiamata Morte.
 
Gli volevo bene, tanto di quel bene che se potessi gli darei la mia vita. Sinceramente preferirei morire che rimanere così a soffrire e a guardare gli altri che ti sorridono cercando di tirarti su il morale.
 
Non voglio, no.
 
Voglio sparire.
 
Voglio rinchiudermi in quel dolore che mi ha già avvolto altre volte.
 
Ma questa volta era diverso. Quella persona mi aveva ridato speranza, gioia e una ragione di vita. Quella persona era la prima a farmi credere che a questo mondo c’era qualcuno che poteva donarmi un po’ di amore. Che qua c’era un posto anche per me.
 
E ora quella persona non esiste più.
 
Quei tremendi pensieri mi si fermavano dentro il petto e s’ingrossavano tanto da farmi perdere ogni visione di me stessa e di quello che stavo facendo.
 
Arrivai esasperata alla fermata del pullman, mi sedetti sulla panchina e alzai gli occhi per la prima volta.
 
Iniziava a nevicare forte e il pullman non si era ancora fatto vedere, stavo ben attenta a non farmi vedere da nessuno perché non volevo che mia madre scoprisse che ero andata via.
 
Andata in quel posto dove tutti mi avevano raccomandato di non andare.
 
Mi avevano tutti consigliato –Non andarci… non credo lo sopporteresti- ma io lo voglio fare, lo voglio fare per lui.
 
Mi manca tremendamente come al sole manca il calore e la luce, come alle stelle manca quella pace interiore per risplendere liberamente.
 
Ero diventata una giovane stella grazie alla persona che mi forgiava dentro e ora sto morendo come una stella dopo la sua lunga e brillante vita.
 
Arrivò il pullman con pochi minuti di ritardo, la neve iniziava a scendere forte e impetuosa a fiocchi sempre più grossi e abbondanti.
 
Mi sedetti in un posto ben isolato dalle persone, non volevo farmi vedere, non quel giorno, non quella mattina.
 
Guardavo fuori con occhi lacrimanti, già non ce la facevo a sopravvivere in quel piccolo attimo, chissà quando fossi arrivata davanti a quella bara che non era bianca. Non era più un bambino. Ma era un fratello per me. Da accudire e curare. E io ero come la sua sorellina da custodire.
 
Non ero l’unica a soffrire.
 
Quel giorno avrebbero sofferto tante persone, ma a me poco importava.
 
Avrei avuto il cuore in pace se quella persona non avesse sofferto prima della sua ora, ma in realtà aveva sofferto e questo mi lacerava la mente.
 
Mi sentivo come se 300 spade mi si conficcavano nella testa ripetutamente e io non potessi scampare da quelle atrocità.

Premetti il pulsante del pullman per scendere, era arrivato il momento.
 
La fermata del pullman era a pochi metri da quello scabroso luogo.
 
Tanta gente era fuori che guardava fisso il pavimento senza aprire bocca, poi aprirono le porte e tutti entrarono per non rimanere fuori in quel gelo.
 
Tutti i miei pensieri improvvisamente si arrestarono come se avessi finito di vivere, ed era quasi così.
 
Volevo tanto finirla ma non potevo sprecare quel dono della vita che Dio mi aveva gentilmente donato, anche se non lo meritavo affatto.
 
Solo ora capisco il valore della vita.
 
Entrai anch’io per ultima dietro a quella folla di gente.
 
Non volevo incontrare gli occhi di quel dolce bambino che aveva perso davvero suo fratello maggiore, non ce l’avrei fatta a non piangere.
 
Non me n’ero accorta ma piangevo silenziosamente solo al pensiero.
 
La testa mi girava accompagnata dalle note di un canto funebre che mi fece letteralmente cadere a terra, come senza vita.
 
Vidi tanta gente attorno a me.
 
Poi il buio.

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Mi risvegliai dopo non so quanto… il mio corpo era dolorante e privo di vita oserei dire.
 
Notai subito delle pareti bianche e intuì che ero finita all’ospedale.
 
Un’infermiera vide i miei occhi affaticati sbattere e entrò subito urlando –è sveglia-.
 
Vidi entrare nella stanza mia madre che piangeva, non mi faceva per niente effetto giacché ero abituata a quella crudele vista.
 
-Tesoro stai bene?- mi chiese implorante sedendosi sul lettino d’ospedale.
 
-Credo di si- risposi con voce flebile.
 
-Oh menomale- si rincuorò mia madre.
 
-Dov’è Bryan?- chiesi quasi esasperata, lui c’era sempre.
 
Ma non ricordavo nulla.
 
Lui era morto il giorno precedente.
 
Ma con quello svenimento dimenticai quasi chi ero.
 
Forse la mia mente voleva semplicemente rimuovere l’ultimo dei miei orribili ricordi.
 
O forse la botta mi fece dimenticare gli ultimi due giorni passati.
 
Mia madre allibita mi guardava aprendo leggermente la bocca ma senza proferire parola, come se si fermassero in gola.
 
-T-tesoro non ricordi?- mi domandò aspettando una mia reazione.
 
-No, dov’è Bryan?- ridomandai imperterrita non capendo la sua reazione, e non capendo perché lui non era lì con me.
 
-Amore…- si mise a piangere più forte affondando la testa sulle lenzuola bianche.
 
-B-Bryan è morto… ieri… t-tu sei svenuta al suo funerale…- mi rispose piangendo ancora più forte, forse non per la perdita, ma per paura della mia reazione alla notizia.
 
In un millesimo di secondo ricordai tutto.
 
I miei due giorni.
 
Il dolore.
 
La mattina fredda.
 
La bara.
 
Ricordai tutto.
 
Non piansi perché era inutile piangere, feci solo segno che volevo rimanere da sola.
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Ora sono qui che aspetto semplicemente un po’ di voglia di vivere. Ma non c’è. Non arriva. O semplicemente è destino che vada così.
 
Sento sempre meno l’infermiera che mi dice di non mollare.
 
Ma io sono lì che aspetto.
 
Non so cosa aspettare.
 
Ma probabilmente è la mia mancanza di voglia di vivere che mi sta sopraffando.
 
Non voglio oppormi a questa volontà.
 
E ora sono qui.
 
Chiudo gli occhi.
 
Non sento più nulla.
 
E tutto finisce.
 
Perché ora è diventato passato…







  
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