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Autore: I Need A Horans Hug    20/01/2013    2 recensioni
Il freddo dell'acciaio sulla mia pelle, il bruciore dui polsi ed il calore del braccio, la vista del sangue che scorreva dai tagli... non c'era cosa che mi aiutava a sta merglio come quella.
Questo è il mio 18 gennaio.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PRESENT KILLING ME

 

Venerdì  18 Gennaio
 Tentativo di suicidio: fallito.

 
 

 
Odio sentir le risatine alle spalle.
Odio il fatto che a casa appena inizio a mangiare tutti mi sgridano.
Odio avere un sogno che non realizzerò mai.
 
Sono stanca di ripetere a me stessa ‘Su, la vita migliorerà, abbi pazienza.’
Mi sveglio quella mattina del venerdì, pensando ‘oggi andrà sicuramente meglio’, do un’occhiata ai poster ai quali rivolgo ad ognuno di loro un saluto. L’unica cosa positiva che mi capita durante la giornata è vedere il sorriso dei mie idoliappesi al muro, non importa se sono solo delle foto, non mi importa se sono troppo lontani, che non li vedrò mai e che nemmeno sanno della mia esistenza, a me basta sapere che le loro voci sono vicine a me e ci saranno sempre.
 
‘Non fai mai un cazzo in questa casa’ urlò mia madre mettendo il vassoio con le tazze sul tavolo ‘non servi a nulla, sei inutile’ aggiunse allargando le braccia, non capisco mai cosa io le abbia fatto, mi alzo dal divano e mi metto la giacca in silenzio ‘perché sei nata?’ chiese dalla cucina ‘me lo chiedo anch’io, mamma’ mormorai sistemandomi la cartella sulle spalle. Apro la porta e lancio uno sguardo al cellulare che segna le sette e quindici.
‘Invece di strami a urlare contro… potevi anche usarlo un cazzo di preservativo quel giorno’ urlai sbattendo la porta alle spalle.
Uooo, iniziamo alla grande.
Entro in classe, sento di essere sull’orlo di un’altra crisi di pianto ‘no Fatima, non qui, tu sei quella allegra divertente, tu non sai cosa significa piangere, non puoi’.
Cerco di respirare a fondo e trattenere le lacrime, ma gli occhi erano comunque lucidi. Esco prima che suoni la campanella e cerco di lavarmi la faccia in bagno, cercando di non incrociare lo sguardo con lo specchio posto sopra il lavandino, lo specchio… un mio altro nemico, come la bilancia.
Attraverso la porta della classe sorpassando alcune compagne ferme sulla soglia a parlare, non saluto nessuno, non ne sono in vena.
Ilaria mi segue ‘Fatima… piangi?’
Sgamata.
Mi immobilizzò sul posto, chiudo gli occhi e lanciò un sospiro ‘è l’ora di mettere la maschera’ penso.
‘Macchè!’ dico voltandomi con un sorriso a trentadue denti.
 
 
 
 
Salgo sul pullman per tornare a casa e alle mie spalle sento delle risatine, mi volto e vedo Alessia parlare con Eva, appena mi si accorgono che le stavo guardando smettono di parlare ed Alessia inarca un sopraciglio.
Penso che sia una persona orribile, a volte mi chiedo ‘ma davvero quella è stata la mia migliore amica per tre anni?’
 
 
Entro in casa, butto la cartella da qualche parte, ho tanta fame ma non pranzo quel giorno, non voglio sentirmi dire ‘sei capace solo di mangiare’ ancora.
Mi butto sul letto, sfilo le scarpe, prendo gli auricolari e mi immergo nella loro voce.
Credo che gli auricolari siano gli unici a tenermi ancora in vita.
Ascolto ‘they don’t know about us’ e scoppio a piangere pensando ‘the don’t know about me
Nessuno sa nulla di me.
Vorrei avere qualcuno che mi aiutasse, vorrei, vorrei, vorrei… pretendo troppo.
Abbraccio il cuscino immaginando sia Niall, penso a tutte le cose che vorrei dirgli, vorrei ringraziarlo, chiedergli un abbraccio…
Si, dare qualunque cosa per un suo abbraccio.
Aumento la stretta al cuscino sentendone un pezzo bagnato.
Stringo ancora di più realizzando che un suo abbraccio non lo riceverò mai.
 
La mia esistenza è inutile come dice mia mamma.
Non servo a nulla.
C’è chi sa cantare, chi ballare, disegnare, chi è bravo a scuola… oppure c’è chi ha un fisico mozzafiato, chi è una figa da paura, ognuno ha le sue doti, chi fisiche chi altro.
 
Io non sono ne bella, ne magra…
Io non so fare nulla.
Allora cosa ci faccio qui, che tutti si lamentano?
Tolgo le cuffie, apro la finestra e un getto d’aria mi colpisce il viso, deviando le lacrime che non smettono di scorrere.
Fuori piove.
Tiro un sospirò e cerco goffamente di mettermi sul davanzale, mi siedo facendo penzolare le gambe.
Canto con la voce rauca e a volte interrotta da singhiozzi.

 
 

‘I-if we co-could only have this life for one more day
If we could on-only turn back ti-time…’

 

Deglutisco.

you know I'll be,
‘Your life, your voice, your reason to be
My love, my heart is breathing for this
Moment, in time I'll find the words to say…’

 
 
 

Mi asciugo le lacrime con la manica della felpa.

 
 

‘Before you leave me today’
 

‘Cosa fai?’ la voce di mia mamma m’interruppe ‘prendo aria’ ottima scusa Huston.
‘Già che ci sei, buttati giù, che fai un favore a tutti’ disse uscendo dalla stanza.
‘Lo farei volentieri…’
 
 
Scesi dal davanzale, presi il cd di ‘Take me home’ lo inserii nel registratore e lo ascoltai tutto, con la testa appoggiata al muro freddo e le gambe incrociate sul letto. Ascoltare le loro voci, mi rilassava più di ogni altra cosa, ma nonostante ciò avevo qualcosa dentro, qualcosa che mi faceva male, che avevo bisogno di espellere,subito.
Andai in bagno, mi chiusi a chiave, aprii gli scaffali e spostai la lacca, ecco dove la tenevo nascosto, dietro la lacca, tanto non la usava nessuna quindi era impossibile che qualcuno la trovare.
 
Il freddo dell’acciaio sulla mia pelle, il bruciore sui polsi ed il calore del braccio, la vista del sangue che scorreva dai tagli… non c’era cosa che mi aiutava a star meglio come quella.
 
C’è chi scarica lo stress con una sigaretta e chi lo fa con un taglierino.





  
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