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Autore: Rilen    22/01/2013    2 recensioni
Al compimento del quindicesimo anno, quello è il destino di tutti i ragazzi: presentarsi ad un campo per sostenere una settimana di durissime prove, che avrebbero predetto il futuro lavoro di ogni giovane. Una volta conosciuto il proprio mestiere, ogni ragazzo aveva un anno di specializzazione da seguire, per poi ottenere a pieno diritto un alloggio e un posto dove si praticava ciò per cui si era stati scelti, e che si cambiava soltanto dopo il matrimonio.
E, automaticamente, si entrava nel mondo degli adulti.
Molti miei amici - più che amici, conoscenti - non vedevano l'ora di scoprire il loro mestiere, e si presentavano anche ore prima dell'appuntamento.
Altri, invece, avevano paura di saperlo, forse perché temevano una delusione oppure perché proprio non gli andava giù l'idea di iniziare a sgobbare per guadagnarsi da vivere.
Mio fratello, che non vedo da quando è andato lui al Campo delle Selezioni, mi ha scritto che non erano poi così male, se riuscivi a fare in modo di apparire portata per il mestiere che volevi.
Tuttavia, volenti o nolenti, a tutti toccano le Selezioni e nessuno può sfuggirvi.
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eleven


Prologo


Anche se sono sveglia già da un po', non ho il coraggio di lasciare il mio letto. Per cosa poi? Andare a fare quelle dannate Selezioni.
Al compimento del quindicesimo anno, quello è il destino di tutti i ragazzi: presentarsi ad un campo per sostenere una settimana di durissime prove, che avrebbero predetto il futuro lavoro di ogni giovane. Una volta conosciuto il proprio mestiere, ogni ragazzo aveva un anno di specializzazione da seguire, per poi ottenere a pieno diritto un alloggio e un posto dove si praticava ciò per cui si era stati scelti, e che si cambiava soltanto dopo il matrimonio.
E, automaticamente, si entrava nel mondo degli adulti.
Molti miei amici - più che amici, conoscenti - non vedevano l'ora di scoprire il loro mestiere, e si presentavano anche ore prima dell'appuntamento.
Altri, invece, avevano paura di saperlo, forse perché temevano una delusione oppure perché proprio non gli andava giù l'idea di iniziare a sgobbare per guadagnarsi da vivere.
Mio fratello, che non vedo da quando è andato lui al Campo delle Selezioni, mi ha scritto che non erano poi così male, se riuscivi a fare in modo di apparire portata per il mestiere che volevi.
Tuttavia, volenti o nolenti, a tutti toccano le Selezioni e nessuno può sfuggirvi.
Come a confermare la mia ipotesi, mia madre entra in camera mia, portandomi la colazione. Le sorrido grata, per poi tuffarmi in quelle leccornie dolcissime ed allettanti, che probabilmente avrei visto per l'ultima volta nella mia vita. L'idea di dover lasciare la mia casa e la mia famiglia per sempre e di poter soltanto mantenere i contatti in modo cartaceo mi spaventa. Ho fondamentalmente paura di morire sola, senza nessuno che, giustamente, dato il mio caratteraccio, fosse disposto a sopportarmi. Ma quello è un problema secondario, dato che devo riuscire ad accaparrarmi un posto per il lavoro che desidero. Il punto della questione è, però, che nemmeno io so che desidero. Dopo la colazione, infatti, decido di andare lì e fare semplicemente ciò che chiedono, per poi accettare di buon grado la loro decisione.
Di una cosa ero certa, però: sicuramente, avrei fatto di tutto per mostrarmi negata con le armi.
Tra tutti i mestieri, il più temuto è quello del Soldato. Tralasciando il fatto che questo è un brutto periodo e che la guerra minaccia di scoppiare da un momento all'altro, a chi andrebbe di arruolarsi e andare a combattere, mettendo costantemente a repentaglio la propria vita? Ovviamente a nessuno.
Mi faccio una doccia lenta e ghiacciata, mi asciugo e mi vesto in modo comodo e leggero, dato che il sole di Agosto picchia duro. Preparo una sacca, mettendoci dentro un paio di cambi leggeri, uno pesante, due bottigliette d'acqua, due barrette energetiche, la giacca di pelle di mio fratello, un fermaglio per capelli, una corda, una torcia e un coltellino svizzero.
Molte di queste cose sono praticamente inutili, ma il mio essere previdente ad ogni evenienza mi spinge a prendere tutto ciò di cui avrò bisogno.
Scendo le scale e mi ritrovo nella cucina. Mamma dice che le mancano ancora cinque minuti, così ne approfitto per fare il giro della casa. Per l'ultima volta. Rivisito la cucina, il salone e la camera di mamma e papà. Entro pure nella tanto odiata cantina, dove ci sono appese delle carni di qualche animale che da piccola mi spaventavano sempre. Torno all'ingresso e mi lego al volo i capelli con un nastrino che mia sorella ha lasciato a terra. Lei ancora dorme, quindi non posso salutarla.
Mia madre è finalmente pronta, così usciamo e ci dirigiamo al Campo delle Selezioni. Arriviamo cinque minuti in anticipo, così ne approfittiamo per abbracciarci. Poi, prende il mio viso tra le sue mani, e mi scruta con i suoi occhi marroni pieni di lacrime. Non posso fare a meno di osservare i particolari del suo viso, per cercare di imprimerli per sempre nella mia mente. Le sopracciglia sottili, il naso all'insù, la bocca piccola, i capelli castani legati anch'essi con un fiocco. Le guance bagnate da quelle gocce che non riuscivano più a trattenersi.
Manca poco e cedo anche io, ma mi faccio forza, per tutte e due. Alla fine, quando suona la campana che obbliga i ragazzi ad entrare dentro, ci stacchiamo.
« Abbi cura di te. »
Mi dice solo questo. E io che mi preoccupavo di chissà quale discorso strappalacrime. Ma è bastato vedere il suo volto per capire che c'era molto di più di un "abbi cura di te".
« Anche tu. E di tutta la famiglia, in particolare Jess. Vi voglio bene. » le rispondo. Poi le volto le spalle e mi incammino verso l'immenso portone. Sono indecisa se voltarmi o no, e alla fine opto per la seconda. Non riuscirei a resistere ad una lacrima di più.
Alcune guardie vestite di bianco scortano l'intero gruppo in una sala enorme, grigia e totalmente vuota, salvo l'eccezione di altre porte, per poi farci mettere in riga e proibirci di parlare. Osservo i loro visi, avranno si e no una ventina d'anni. E già svolgono il loro mestiere con una meticolosa precisione.
Ad un certo punto, entra da una porta alla mia sinistra una donna sulla quarantina. Capelli corvini, occhi neri profondissimi e stesso vestito bianco delle guardie, impreziosito da qualche stella sul petto. Evidentemente indicava il suo grado superiore rispetto agli altri.
« Mi chiamo Delia Forbes – incomincia a parlare. – Benvenuti nel Campo delle Selezioni. É qui che si deciderà il cinquanta percento del vostro futuro. Vi verrà assegnato un mestiere, dopo una settimana di prove. Vedete tutte le porte di questa stanza? Bene, sono tante quante i mestieri esistenti. Alla fine della vostra settimana, ci ritroveremo qui, e vi smisteremo. Intanto, adesso, procederò con l'appello. Il nominato dovrà uscire dalla fila, dire nome, cognome e data di nascita e poi mettersi vicino a quelle reclute. Il successivo dovrà svolgere l'operazione, per poi mettersi alla destra del precedente. Chiaro? – tutti noi annuiamo ma non fiatiamo, ci spaventano quelle reclute in tenuta bianca. – Perfetto. Incominciamo. »
Finalmente, dopo aver chiamato il primo, inizio a dedicarmi all'osservazione dei miei compagni di sventura. Molti di loro li conoscevo già, andavamo a scuola insieme, ma non ci strinsi mai amicizia. In effetti, io non ho amici, e mi sta bene così. Altri, invece, venivano dalle città del nostro Settore.
Mi concentro soprattutto sui ragazzi che sembrano popolari.
Scarlett Crashaw, per esempio. Capelli lunghi rosso fuoco, sguardo fiero, altezza nella media, seno abbondante, portamento estremamente elegante. Il sogno estremo di ogni ragazzo.
Richard Drake, figlio del sindaco, biondo, occhi azzurri, fisico scolpito, ghigno strafottente perennemente dipinto sulla faccia.
Alexander Everett, il timido figlio dell'ingegnere, capelli castani e occhi verdi scuri, fisico asciutto, ma soprattutto incapace di riconoscere la sua bellezza.
Ma vedo anche gente poco conosciuta, come Vesper Reese o Sirya Lockart.
E, dopo una cinquantina di nomi più o meno, arriva il mio turno.
« Eleven Skylark » dice la Forbes. Faccio qualche passo in avanti. Tutti mi scrutano, Scarlett sussurra qualcosa al ragazzo che sta dopo di lei, che ride. Mi sento osservata. Mi blocco.
« Signorina Skylark? » mi richiama. La gente che ride si moltiplica. Credo di stare per svenire, ma mi ricordo le preziose lezioni di mio padre. Decido di tirar fuori la voce.
« Skylark Eleven, undici novembre tremilaventuno »
Tutto ciò che esce è il un suono stridulo, che non zittisce per niente le risate. Delia Forbes alza gli occhi al cielo.
Figuraccia numero uno.





Dire che bazzico nel sito da un po' lo condidero un eufemismo. E dire che sono alquanto pigra è un altro eufemismo.
Ma, che dire, da pigra lettrice senza account mi sono trasformata, nel giro di un'oretta, in una scrittrice con pronto in mano il bozzetto della sua storia.
Non assicuro aggiornamenti velocissimi, credo che tra uno e l'altro ci possano passare tranquillamente due (al massimo tre) settimane di tempo, dato soprattutto il fatto che il mio liceo non perdona, al momento.
Tornando al discorso di prima, l'idea è nata da un po', e soltanto lo scorso weekend sono riuscita a stenderla per benino. Si è trasformato in qualcosa di allettante, così ho articolato per bene il tutto ed eccomi qua, a pubblicare la mia prima storia.
Grazie in anticipo ai lettori e ai possibili recensori, spero che la storia vi piaccia almeno quanto è piaciuto a me stenderla, anche se siamo a malapena alle prime battute (ma i colpi di scena sono assicurati!).


Rilen
 
  
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