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Autore: DK_    12/08/2007    1 recensioni
Lo faresti? Potresti? Squall&Rinoa, la guerra civile di Timber, e cose che avrebbero fatto meglio a rimanere inespresse.
Genere: Azione, Avventura, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rinoa Heartilly, Squall Leonheart
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti
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viii.

“Com’è stato?” Selphie non la stava neanche guardando, concentrata com’era nel far girare un cucchiaio nella sua tazza.

La luce del sole pomeridiano sgorgava a piena forza nella caffetteria, macchiando i riflettenti tavoli bianchi di un cisposo arancione fiabesco. A quell’ora del giorno, con la maggior parte degli studenti a lezione, il posto si profilava cavernoso e tranquillo, file su file di tavoli immacolati immobili nella loro silenziosa precisione. Rinoa, Selphie e Irvine sedevano in gruppo alla fine di una di esse, gli ultimi due parlando in modo assolutamente troppo rumoroso e ridendo per la battuta occasionale, lei meditabonda e silente.

“Cosa?” Le sembrava che la sua mente fosse stata avvolta nell’ovatta. Scrostò la superficie del suo piatto con la forchetta, spargendo distrattamente ovunque il suo contenuto.

Salsa di mele. Sono i mercenari più mortali del mondo, e mangiano salsa di mele. Una volta ci avrebbe riso su. Ora non riusciva a pensare ad altro che-

(per favore non-)

BASTA


“Essere salvata dall’uomo che ami, sciocchina!” Selphie le diede un giocoso calcio col piede sotto il tavolo. “E’ il sogno di ogni donna, no, quella cosa del cavaliere con tanto di armatura sfavillante. E’ così romantico.”

Irvine s’inclinò nella sedia, mettendo i piedi sul tavolo e colpendo leggermente il cappello per celarsi il viso. In quel momento sembrò, non una virgola in meno, il cowboy Galbadiano che da ragazzina sognava di sposare. “Pensavo che preferissi i tuoi cavalieri come mamma li ha fatti.”

“Ti ammazzo!” strillò Selphie per metà deliziata, per metà inorridita, mentre balzava via dalla sua sedia per schiaffeggiargli l’orlo del cappello, facendolo in questo modo precipitare sul pavimento. Entrambi si abbassarono per prenderlo, scontrandosi in una zuffa di lembi all’ultimo sangue.

Rinoa di solito si sarebbe unita a loro nel loro comportamento ridicolo; lei era, dopo tutto, la persona che una volta si era fatta tre giri di corsa per i corridoi del Garden, tenendosi l’ultima copia di Pupurun sopra la testa per allontanarla dalle mani disperatamente avide di Zell. Ma quello era stato prima di Timber, prima delle cose che aveva visto e appreso, e adesso riusciva soltanto a fissarli stupidamente, con l’ultima frase pronunciata da Selphie tenacemente appesa ai suoi pensieri.

Come l’avresti fatto, Selphie? Quanti modi ti hanno insegnato? Vai per la gola? Per gli occhi? Quante volte

(PER FAVORE)

l’hai

(lei non-)

già

(niente di male)

fatto?

(BASTA BASTA BASTA)


“Rin?” La voce di Selphie ora denotava un accento di preoccupazione, sebbene fosse particolarmente ridicolo dato che indossava il cappello da cowboy di Irvine, un bordo posizionato in un’angolatura sbarazzina. Lei e Irvine erano tornati ai rispettivi posti, col fiatone e le facce accaldate e sudate. “Stai-?”

“E’ stato molto veloce,” La voce di Rinoa uscì in un soffio d’aria, e lei lasciò correre, consapevole del fatto che stava balbettando, di volersi fermare ma senza riuscirci. “Io non… Non sapevo neanche cosa stesse accadendo, credo… Fino a che non è finito tutto. E’ stato… Lui è stato… Uno dei Gufi è stato sventrato. Le sue interiora sono finite dappertutto.”

“Bleah!” Selphie fece una faccia disgustata per un secondo prima di sciogliersi in tante risatine.

“Già…” Rinoa studiò il suo riflesso sulla superficie del tavolo. Vide di nuovo Vincent, mentre si inginocchiava di fronte al cadavere di Juliet, mentre Squall gli spaccava in due la spina dorsale con un movimento rapido e spietato. Rivide Shu torreggiare sul maggiore, la rivide spararle con la stessa, brutale efficienza. Sentiva Selphie ridacchiare sul genere di cose che la tenevano sveglia la notte, a ricacciare indietro le urla, e sentì qualcosa dibattersi come un’anguilla nel suo stomaco e pensò che avrebbe vomitato.

“Rin?” La mano di Selphie si posò sulla sua, come aveva fatto centinaia di volte prima di allora, come quando erano andate insieme a fare shopping o a fare una passeggiata in città o nelle notti passate a ingozzarsi e a lamentarsi degli uomini delle loro vite e della loro stupidità senza speranze. Ma ora era diverso; il suo tocco era arido, ruvido, febbricitante, come se stesse bruciando per una strana malattia. Rinoa sentì l’irrefrenabile impulso di riprendersi la mano, per timore che lei potesse accorgersene.

“Niente, okay. Non è nulla, sto bene.” Spinse la sedia lontana dal tavolo e si alzò per andarsene.

“No, non è vero.” La mano di Selphie si irrigidì sul suo polso. Rinoa poteva sentire la forza in quelle dita, sottili ma tenaci, come nastri di ferro. Sapeva che il resto del corpo di Selphie era così - non un grammo di inutile grasso, muscoli attentamente modellati, come dei cavi d’acciaio sotto la carne morbida - buffo che l’avesse già notato prima con tutte le SeeD donne che le stavano attorno, senza mai pensare a cosa potesse significare.

“Che c’è che non va?” chiese di nuovo Selphie.

In quel momento tutto si posizionò al posto giusto, i tasselli confusi di un puzzle si erano incastrati per mostrarle qualcosa che non aveva mai voluto vedere prima: i suoi amici erano delle armi. Eretti e allenati, levigati nel corpo e nello spirito per poter uccidere chiunque con un colpo di polso e poi riderci sopra il secondo successivo, cresciuti insieme in un Garden che nascondeva la loro singolarità e rafforzava la loro fermezza. Energia giovanile e proposito omicida intrecciati assieme.

Vuoi sapere cosa non va, Selphie? Non va che sto cominciando a pensare che i miei amici sono tutti pazzi, e il fatto che loro non riescano a vederlo li rende le persone più spaventose che abbia mai conosciuto.

Irvine si chinò oltre il tavolo, il volto scavato di sollecitudine. “Ti comporti in modo molto strano ultimamente, Rinoa.”

Sta zitto, Irvine, pensò. Sei tu quello che ha cercato di sparare alla tua stessa mamma. La folle risata che cercava di scaturire dal suo petto fu assorbita dalla sconvolgente verità di quell’affermazione. Se Edea non avesse fermato quel proiettile, sarebbe morta per mano di Irvine, e se quel pensiero l’aveva tenuto sveglio la notte, lo nascondeva bene.

Forse nulla li turbava, forse Squell non si sarebbe neanche dovuto disturbare a nascondere la realtà della morte di Shu in fondo a degli archivi, forse loro tutti avrebbero semplicemente scrollato le spalle e avrebbero detto fa parte del lavoro. Forse se fossero stati al posto di Shu avrebbero ucciso il maggiore e poi sarebbero rimasti lì impassibili mentre i Gufi la spaventavano e forse avevano già fatto qualcosa di peggio e non voleva neanche pensarci, qualcosa di crudele come quello che aveva fatto Squall e forse non se ne curavano nemmeno-

Non posso amare l’uomo e non il SeeD. Sono la stessa persona. Sono la stessa persona e lo sono sempre stati e lo saranno sempre e io non posso farci niente, non posso, NON POSSO-

Avevo paura!” gridò Rinoa, mentre tutta la sua emozione esplodeva. Ne ho ancora.

Strattonando la sua mano dalla presa di Selphie con uno strappo doloroso, si alzò e si allontanò rapidamente dal tavolo, ignorando gli appelli strillati di Irvine e Selphie che la pregavano di tornare e gli sguardi fissi degli studenti nella stanza, ignorando il perplesso saluto di Zell mentre si imbatteva in lui nel corridoio, ignorando tutto, mentre il suo mondo si contraeva ad una visione simile a quella di un tunnel e le diceva di correre, corri.

Rinoa non si fermò fino a che non si chiuse a chiave nella stanza che lei e Squall condividevano, ma la cosa da cui stava cercando di scappare era già lì ad aspettarla. Scivolò sulla porta, cedendo alle sue lacrime, ma quella non accennava ad andarsene. Le stava azzeccata addosso come un parassita, prosciugandola, apparendo nei momenti peggiori, sollevando la sua piccola testa orrenda e urlando la verità a chiunque volesse sentire e a chiunque non lo volesse.

Lei non voleva. Non aveva mai voluto sapere qualcosa di meno, ma quella continuava a scuoterla con inflessibile intensità, stridendo sulla porta fino a che alla fine lei non la lasciava entrare per liberarsi del rumore. Poi si perdeva nel suo orrore per un certo periodo prima di sbatterla fuori, ricominciando nuovamente il ciclo.

Non riusciva a ricordare chiaramente gran parte dell’ultimo mese. Era come una foschia di semi-dimenticabili notti fuori, di disperate-allegre facce, e di sesso di legno con Squall, tutto mescolato in una chiazza nauseabonda come il vomito che vorticava sul fondo di un secchio. Non si ricordava nemmeno chi avesse suggerito per primo questa vacanza, o di come Squall fosse riuscito a combinarla, o anche del viaggio fino a quel posto. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era- era-

(PER FAVORE)

La cosa che aveva visto nella sua mente era sempre con lei, anche ora, specialmente ora, nella tranquilla e ronzante oscurità della casa sulla spiaggia. Si appostava nella sua testa, rincorrendo frammenti della canzone di sua madre ancora e ancora. E anche mentre ci pensava, anche mentre Squall si tuffava accanto a lei e mentre le onde s’infrangevano sulla tavola da surf, quella tornava da lei.

Le immagini erano ancora vivide come la prima volta, a causa di una qualche infernale caratteristica del legame che qualche anziana strega aveva indubbiamente escogitato per essere il più utile possibile. Il ricordo l’accostava sempre di più alla follia ogniqualvolta arrivava a sfiorarlo, rifiutandosi di essere negato. Bastava soltanto pensarci, e tornava da lei come aveva fatto in quel momento in cui Squall l’aveva abbracciata nel deteriorato deposito del dipartimento; sentiva di nuovo ogni suono, odore, sensazione, come se l’avesse provato nella pelle di lui con lui.

La cresta dell’onda si affievolì nelle sue orecchie, mentre la stanza diventava sempre più indistinta, si dilatava, e-

(Ti hanno abbandonato, Winston. Non so davvero perché rimani tanto fedele a qualcuno che ti ha lasciato con una gamba a pezzi-)

-si sentì-

(Era più importante prendere quella. Questo già lo sapete e io non vi dirò altro, pezzi di merda.)

-scorrere via, per tornare-

(Io non ne sarei così sicuro. Il Comandante Leonhart si è offerto di assisterci in quest’operazione a causa della sua implicazione personale nella faccenda.)

-a quando:

ix.

Piastrelle verdi, che brillavano debolmente sotto le severe lampade al neon. Un vecchio tavolo di legno sfaldato e la relativa sedia. Assomigliava di più ad una cucina lasciata in disordine che ad una sala degli interrogatori, immagine rovinata però dall’uomo seduto alla sedia, legato mani e braccia e un viso molto più bianco della fasciatura insanguinata stretta attorno alla sua coscia. Aveva occhi non troppo vispi e vuoti, la bocca serrata in una linea determinata mentre fissava Squall.

L’uomo stava parlando, la voce sommessa ma ancora forte.

“Dovrei essere in un ospedale. Mi avete sparato alla gamba, maledetti figli di puttana, avete sparato alla mia fottutissima-”

“Sta zitto.” La voce di Squall risuonò minacciosamente sulle piastrelle. Rinoa non l’aveva mai sentito parlare con quella voce prima di allora, bassa e rude come se tutto ciò che vi era di piacevole fosse stato estirpato. “Dicci dove sono. Sappiamo che lo sai. Le cose sarebbero molto, molto più semplici se tu cooperassi.”

“Vaffanculo,” L’uomo fece una breve, dolorosa risata. “Non vi dirò niente.”

Squall si mise al lavoro.

Le grida echeggiarono e rimbalzarono sulle piastrelle, ma Squall non si intenerì, e continuò a premere il pollice sempre più profondamente nella ferita gocciolante sotto la benda. L’uomo legato si dimenò, afferrando inutilmente con le mani l’aria dietro la sedia, tamburellando con i talloni un rapido motivo sul pavimento. All’inizio, si era persino scagliato in avanti per mordere Squall; adesso, una delle guardie si era messa dietro la sedia, un braccio stretto attorno alla sua gola, mentre l’altra lo teneva fermo per la fronte. Sembrava quasi che gli stesse dando lo stesso abbraccio che Selphie e Irvine si erano scambiati un milione di volte, e sarebbe stato divertente se non fosse stato per il modo in cui si contorceva e combatteva e sputacchiava ovunque, se non fosse stato per il suo mento rosso per il sangue che gli usciva dal labbro rotto, se non fosse stato per il fatto che stava gridando moltissimo, fortissimo.

I pensieri e la voce di Squall erano di ghiaccio, tutti affari. Non gli piaceva, quello poteva ben dirlo, ma non gli faceva nemmeno abbastanza male da farlo fermare. La sofferenza del Gufo Rosso non era niente di più e niente di meno dei mezzi che gli servivano per raggiungere il suo scopo, e quello era quasi peggio, specialmente quando considerò qual era lo scopo in questione.

“Dove l’avete portata? Dove sono le basi dei Gufi Rossi?”

L’uomo tossì, prendendo un respiro tremante. “Vai. A. Fanculo.”

Squall gli diede un pugno nella gamba ferita, provocandogli dei crampi di allarme ai muscoli sotto la sua pelle come larve frementi mentre il suo corpo in agonia cercava di contorcersi. La sedia scricchiolò quasi afflitta dato che i movimenti dell’uomo sforzavano i suoi vecchi chiodi arrugginiti.

“Stronzi,” annaspò il Gufo Rosso. “Fottutissimi stronzi, pensate di potermi estorcere la risposta con la forza? Se il Garden non risponderà alla nostra offerta per mezzanotte, quella puttana è morta. Proprio come lo sarete voi Galbadiani- l’amore-”

Il suo monologo fu interrotto mentre Squall lo colpiva in faccia, e quando ricominciò a parlare, assieme alle sue parole vennero fuori anche dei denti, che gli caddero sul grembo tra rivoli di sangue.

“Credi che io non riesca a resistere a lungo? Ho passato tutta la mia vita in questo paese… abbastanza a lungo da sapere che è meglio morire con dei bastardi come voi al governo. Tanto vale andarmene con onore.”

Squall gli volse seccamente le spalle, nascondendogli la sua frustrazione e la sua paura crescente. Era impotente; se quello non avesse ceduto, Rinoa sarebbe morta; non avrebbe mai potuto convincere gli azionisti del Garden a pagare un riscatto talmente esorbitante per una strega, e il Generale Caraway non aveva più il denaro o le risorse per occuparsene. Fu allora che pensò a Rinoa; al modo in cui lei riusciva sempre a tirarlo su di morale e a farlo sorridere, al suo profumo, al suo pessimo gusto in fatto di televisione, alla sua risata. Pensò a tutte quelle cose e si sentì bruciare di una necessità e di un’intensità che avrebbero potuto consumare un pianeta.

Quel sentimento toccò Rinoa più di ogni altra cosa al mondo, e rese tutto quello che venne dopo incredibilmente peggiore.

Il pensiero di perderla per un capriccio dei Gufi Rossi infuriava e terrificava Squall. Loro due avevano osservato tutto il mondo insieme dallo spazio, e poi l’avevano salvato, quello passato, presente e futuro. Lui era il suo cavaliere. Lei gli aveva insegnato cosa volesse dire essere di nuovo una persona, gli aveva mostrato quanto vuota fosse stata la sua vita di prevedibile e ostile sicurezza. Senza di lei, lui non era nulla, e ora che l’aveva trovata, non poteva sopportare il pensiero di perderla. Avrebbe ucciso l’uomo dall’altra parte del tavolo in un istante per evitarlo. Avrebbe ucciso ogni singolo Gufo Rosso. Avrebbe-

La porta d’acciaio dall’altro capo della stanza si aprì rivelando un giovane soldato, il viso pallido, butterato e contorto di disgusto quando si accorse dell’uomo nella sedia e del sangue: sul pavimento, sulla superficie di legno del tavolo, sulle mani di Squall.

“Uh-” balbettò il giovane, “L’abbiamo trovato con il system… si chiama Winston Walters. Vive nei sobborghi a sud, dalle parti di Greenville. Un arresto per taccheggio nel periodo dell’Occupazione, ma nient’altro. Disoccupato. L’unica persona che è saltata fuori è stata una donna che stava a casa sua. Si è identificata come Mia Jones, apparentemente non sa perché si trova qui.”

La donna che i due soldati spinsero nella stanza era alta e magra, con dei voluminosi capelli castani che ricadevano in ricci flosci attorno al suo viso candido e allungato. Indossava una giacca verde e malandata a maniche lunghe su una camicia da notte rosa pallido, gambe nude e affusolate che sbucavano da sotto l’orlo e terminavano in un paio di pantofole. Fu quasi buffo per un secondo, ma appena la donna vide l’uomo dall’altra parte della stanza, il suo viso perse quell’espressione di sbalordita confusione, adottandone invece una di orrore, mentre la sua bocca si spalancava per lo shock.

Winston, tesoro, che cos-

Squall prese una delle sedie che stava accanto al muro e le diede un calcio, facendola stridere sulle piastrelle in sua direzione. Quando lei non si mosse, i soldati a fianco a lei la costrinsero bruscamente a sedere. Lei non fece ulteriori proteste, sedendo con le spalle curvate, le gambe strette, e le mani giunte sulla difensiva sul grembo, tremante.

“Mia Jones, lei è qui per essere sospettata di attività terroristiche contro la Seconda Repubblica di Timber,” disse uno dei soldati. Con la barba che si ritrovava, il suo volto paffuto sarebbe benissimo potuto passare per quello di qualche zio bonaccione se non fosse stato per il veleno nel suo sguardo. Rinoa non avrebbe potuto saperlo, ma la mente di Squall la informò che i gufi d’oro sul suo colletto lo rendevano un colonnello. “Il suo… associato, Winston Walters, è stato leso stanotte in un attacco terroristico che si è risolto con la morte di uno dei nostri soldati. Dato che il tradimento è un reato punibile con la morte, la invito a renderci partecipi di qualsiasi informazione le venga in mente.”

Mia - no, la donna, Squall stava cercando con gelida e irrefutabile determinazione di pensare a lei solo come alla donna - si guardò in grembo per un istante, sbattendo le palpebre. Poi sollevò gli occhi a Winston, esaminando la portata delle sue ferite.

Mi guardi!” Rombò l’uomo dal viso paffuto, e Mia sobbalzò come se fosse stata colpita. Voltò la testa, alzando lo sguardo verso di lui, gli occhi verde brillante già umidi di lacrime non ancora versate.

“Non so che sta… perché… Winston non avrebbe mai fatto niente del genere. Perché è ferito?”

“Ferite sostenute durante la cattura,” rispose l’uomo avventatamente. “Ora risponda alla domanda.”

Lei lo guardò come se non gli credesse, ma non osò esprimere il suo disaccordo. “Winston non è un terrorista. Lui è, lui- insomma, non ha un lavoro, ma prima faceva il falegname, poi è venuta la guerra- ma quello- cioè, non importa, è un brav’uomo e non so perché state lanciando queste accuse, ma-” e la sua voce si fece più forte, più sicura, come un esausto viaggiatore perduto che alla fine inciampa su un terreno familiare. “Ma- tutti e due abbiamo diritti come cittadini di Timber, e possiamo richiedere-”

“Lei, Signorina Jones, non è nella posizione di richiedere nulla.” Il sorriso che fiorì sul volto del colonnello era piatto, unticcio. A Rinoa ricordò Wallace.

“Lei non ne sa niente,” s’intromise Winston con voce incerta. “Non le ho mai detto niente. L’ho incontrata prima della guerra e all’inizio non volevo che si preoccupasse e poi che sapesse. Cazzo, è una bibliotecaria.” La sua ultima frase suonava più disperata che arrabbiata, e Rinoa si chiese se nel profondo del suo cuore lui sapesse già cosa stesse per accadere.

La mente di Squall prudeva di irritazione e impazienza; il Garden gli aveva insegnato a riconoscere i bugiardi, e la donna era chiaramente ignara quanto dichiarava. Farle domande su operazioni terroristiche era una perdita di tempo prezioso. Dio solo sapeva cosa avrebbero fatto a Rinoa nel frattempo - alla sua Rinoa - alla sua strega.

I soldati di Timber si guardarono a vicenda incerti, e Rinoa seppe che non avrebbe mai dimenticato quel momento, fu Squall ad avanzare, in silenzio, gli occhi congelati e d’acciaio. Gli altri lo guardarono, con la paura che compariva sui loro volti come fiori che sbocciano in ritardo mentre improvvisamente capivano. Si acquietarono e indietreggiarono, evitando quegli occhi, e lui sapeva e lei sapeva che quegli occhi erano i suoi.

Squall non faceva parte della loro struttura di comando. Non aveva alcun diritto di essere lì, nessuna legittima autorità, nessun ruolo se non quello di un mercenario profumatamente pagato. Aveva soltanto la sua forza di volontà, un’intensità meccanica, una concentrazione brutale, le cose che il Garden gli aveva marchiato a fuoco sulla pelle. Aveva un comparto apposta per ogni tecnica di tortura che era stata usata negli ultimi cinquecento anni, e tutte si riducevano alla stessa cosa: il desiderio di far male a qualcuno per raggiungere il proprio obiettivo.

Era sufficiente.

Il maggiore aveva avuto ragione. Non c’era niente che potesse sconfiggere un SeeD con un motivo per cui combattere, e Rinoa gliene aveva dato uno. Le sue viscere ribollivano, il suo amore per lei era come una lancia bollente che lo spronava, trasformando l’impazienza in ferocia, la paura in collera isterica.

(Lo faresti, potresti?)

(Lo farai?)

(L’hai fatto?)


Squall si spostò al lato sinistro di Mia, posando una mano sulla sua spalla. Il suo volto era diventato come una maschera mortuaria sotto l’austera luce fluorescente. La donna girò la testa per guardarlo brevemente, tornando poi a Winston, come se lui possedesse la risposta a tutto ciò. E si accorse che lui lo sapeva, lei era la chiave.

“Dimmi dov’è Rinoa,” intimò Squall. “Ora.”

“Ti ho già detto che lei non lo sa,” disse Winston, agitando la testa contro la stretta del soldato di Timber. Vide qualcosa negli occhi di Squall, allora, e spalancò i suoi, mentre la sua voce divenne acutissima. “Per favore, andiamo, lei non sa niente, lo giuro, lei non-” Le sue parole furono violentemente frenate quando un altro dei soldati gli si parò davanti per imbavagliarlo.

“Lo so che lei non lo sa,” disse Squall. “Ma tu sì.”

Squall non si voltò neanche mentre schiaffeggiava il volto di Mia con un rumore pari a quello di un colpo d’arma da fuoco, facendole girare la testa di lato in un getto di saliva e sangue. Solo i suoi occhi la seguirono mentre scivolava via dalla sedia, atterrando con un tonfo sul pavimento, aprendo le gambe affusolate sulle piastrelle. Dall’altra parte della stanza, Winston ruggì qualcosa nel bavaglio, ma dai suoi occhi si poteva dire che l’azione l’avesse soltanto fatto arrabbiare. Doveva andare più a fondo.

Per un istante, Mia alzò lo sguardo verso Squall con un’espressione di orrore intontito, come se non riuscisse a credere che un giovane così bello avesse fatto una cosa del genere. Un lungo segno rosso contrastava enormemente contro la carne pallida della sua guancia sinistra. Alzò una mano tremante per toccarsela, e quando si mise le punta delle dita di fronte al viso e vide il sangue, le lacrime nei suoi occhi cominciarono a straripare. La sua voce vacillava.

“Perché… perché mi-”

Le sue parole languirono in un grido patetico mentre lui le tirava i capelli. La mise in piedi con uno strattone veemente, scaraventandola sulla sedia. Andò a sbattere col fianco contro il bordo della sedia e le sue gambe cedettero, gettandola goffamente di lato, ma prima che potesse avere anche solo il tempo di reagire, Squall la colpì di nuovo.

Lo schiaffo sembrava quasi disinvolto, ma era abbastanza forte da romperle il labbro, bagnandole il mento di sangue. La colpì ancora, e ancora, e ancora, e ancora, e i colpi risuonarono ed echeggiarono, ingoiando i suoi guaiti e le grida smorzate di Winston.

Delle gocce rosso cremisi impregnavano il viso di lei e quello di lui, ricoprendo i loro abiti. Le sue dita erano coperte di sangue e, Rinoa era abbastanza vicina alle profondità più recondite della sua mente per sentirlo, calde e appiccicose, riusciva persino a sentire la sensazione della scossa che gli percorreva il braccio ad ogni colpo. Erano freddi, meccanici, accuratamente dosati per causare il maggior dolore col dispendio minore di forze ed energie possibile.

La cosa peggiore di tutte era la calda linea di pensiero che serpeggiava per la sua mente come un filo bruciante di rame, che si ripeteva continuamente con la stessa violenza dei suoi colpi misurati, dandogli forza durante un qualcosa a cui neanche il condizionamento SeeD l’aveva preparato. Se non l’avesse fatto, Rinoa sarebbe morta. Lei viveva nella sua mente, e il suo viso, le sue parole, il suo profumo e il suo modo di essere e di sentire le cose lo spronavano ad andare avanti, brutalmente, senza sosta.

Ti amo, Rinoa, pensò, e il suo stivale pesante entrò in contatto con lo stinco di Mia, lasciando dietro di sé una scia di lividi e di rossore.

Ti amo.

-e con le nocche serrate batté la guancia sinistra già gonfia, riaprendo il primo taglio e aprendone uno nuovo sopra l’occhio-

Ti amo.

-e le colò dall’orecchio una striscia di sangue-

Ti amo.

-e alla fine lei alzò le braccia scheletriche, agitandole alla cieca, cercando di proteggere il suo volto sfigurato e gemendo silenziosamente. Il braccio di Squall scattò all’indietro per un istante prima di proseguire, affondando profondamente nel suo stomaco indifeso. Le sue grida si assottigliarono e sparirono mentre tutta l’aria che aveva le usciva dai polmoni, e quando lui fece un passo allontanandosi, cadde dalla sedia, in preda a dei conati di vomito, atterrando sulle mani e sulle ginocchia sul pavimento piastrellato.

Mia non era mai stata carina, ma ora tutta la sua carne spoglia era contusa e sanguinante, il suo viso una rovina di lividi e tagli. Un occhio si era chiuso per il gonfiore, l’altro era ridotto a nulla di più che ad una fessura sottile circondata da carne arrossata e pesta. Perdeva sangue dal naso, dalla bocca e dall’orecchio sinistro, segno che probabilmente le aveva parzialmente leso l’udito. Non si era trattato di un qualcosa di voluto, ma la sua mente stimava il tutto un risultato accettabile. Qualsiasi cosa sarebbe andato bene per questo. Per lei.

Ti amo.

Per favore.” Mia alzò lo sguardo verso di lui, mentre dalle sue labbra lacerate uscivano a stento quelle parole, ostacolate da singhiozzi soffocanti. La sua figura era scossa da spasmi quasi come quando lui l’aveva picchiata. “Per favore…”

Implorare una pietra. Dare un pugno al ferro. Parlare ad un muro.

Il calcio di Squall fu lesto e brutale, arrivando fin sotto il braccio di lei. Sentì i muscoli della donna contorcersi spasmodicamente, le sue costole cigolare e rompersi mentre lei rotolava sulla schiena. Un singhiozzo soffocato le sfuggì dai polmoni e ritirò braccia e gambe, curvandosi ermeticamente sul fianco mentre il suo corpo compiva l’ultimo, disperato e istintivo tentativo di proteggersi.

Ecco. Ora sono pronti. La voce che attraversava la mente di Squall era bassa, roca e sicura, la voce del condizionamento SeeD. Rinoa la odiava.

“Tu puoi fermare tutto questo in qualsiasi momento,” disse Squall, voltandosi per incontrare lo sguardo di Winston mentre un paio di soldati risistemava Mia nella sedia. L’uomo aveva passato gli ultimi minuti ad urlare nel bavaglio. Il suo viso bruciava per lo sforzo, con lacrime di rabbia e frustrazione a rigarglielo. “Dimmi dov’è Rinoa.”

Una voce alle sue spalle; il colonnello dal volto paffuto. “Dicci dove sono le basi dei Gufi Rossi.”

La guardia dietro Winston slegò il bavaglio, e tutto il suo corpo insorse in avanti, dimenandosi nella sedia.

La voce di Winston esplose. “Mi dispiace, Mia. Mi dispiace tanto, piccola, io-”

RINOA!” urlò Squall, sbattendo il pugno sul tavolo, perforando le parole di Winston.

Lui esitò per un momento, una mera frazione di secondo, che fu però abbastanza perché l’istinto di Squall la riconoscesse per il suo significato. “Non lo so! Non mi dicono mai un cazzo. Posso dirvi di alcuni posti in cui sono stato ma non so dov’è lei. Non conosco tutte le basi, non so tutto. Solo per favore, non farle più del male, lei non ha fatto niente di male.”

“Oltre a scopare te,” schernì uno dei Gufi Neri.

Dall’altra parte della stanza, Mia poté solo gemere in risposta, raggomitolata nella sua sedia come una bambola rotta, il braccio destro piegato stretto sul suo petto. Aveva piegato le ginocchia fin sotto al mento, mentre tutto il suo corpo sottile si era ripiegato su se stesso come un gioco da tavolo. Una delle sue pantofole le era caduta, e aveva i capelli sparati in tutte le direzioni. E tutto questo, considerata la sua disposizione probabilmente passiva, la rendeva soltanto una dimostrazione più efficace della ferocia del SeeD.

“Stai mentendo,” disse Squall con semplicità. Accennò istruzioni ai soldati dietro di lui, che lo guardarono, qualcuno con risoluzione, qualcuno con atterrita comprensione. Si mossero tutti per obbedire ai suoi ordini, temendo più lui che le sue disposizioni.

“Per favore no,” disse ancora Mia, divincolandosi contro le mani dei soldati di Timber mentre la prendevano per le spalle. Rinoa pensò che avrebbe potuto combattere con più forza se avesse visto l’interno della mente di Squall, secca e inflessibile, fredda e calcolatrice.

“No. No.” Quando la strattonarono all’indietro, strappandole la giacca svelando le sue spalle nude e angolari e le sua braccia pallide, cominciò a combattere, agitandosi impotente per un po’ prima che uno dei soldati la facesse smettere con un colpetto alle sue costole ferite. Rinoa non poteva leggerle la mente, ma sapeva cosa si aspettasse l’altra donna, una delle stesse cose che aveva temuto con enorme vigore quando era stata nelle mani dei Gufi.

Quello che aveva in mente Squall era molto peggio.

Un altro soldato afferrò il braccio sinistro di Mia e lo allungò sul tavolo di fronte a lei. Lei tentò immediatamente di riprenderselo, ma il soldato sostenne la sua stretta, costringendo inflessibilmente il suo polso sulla superficie di legno duro. Un altro si spostò all’altro suo fianco, schiacciandole un coltello alla gola.

“Piantala di dimenarti,” disse. Era quello che l’aveva schernita prima, e nei suoi occhi c’era un barlume umido e sofferente. “O ti taglierò una di quelle cose che chiami tette.”

Si immobilizzò.

Squall abbassò lo sguardo sul tavolo per un istante solo prima di voltarsi, ma anche dopo aver cambiato la propria visione, riusciva a ricordare ogni singolo dettaglio. Il modo in cui la mano dalle dita affusolate era aperta sulla sua superficie, la pettinatura dei capelli scuri che tempestavano la sua schiena, il neo sul suo pollice. Una memoria fotografica del genere era un altro segno del suo addestramento SeeD, come lo era la fermezza che lo pervadeva, e la velocità con la quale guidò il suo gunblade, voltandosi, prima che chiunque nella stanza potesse avere l’opportunità di reagire.

Ti amo.

Il primo pensiero di Rinoa fu che il suono della lama del gunblade aveva fatto risuonando contro il legno fosse esattamente lo stesso che ricordava dalla sua infanzia, quando sua madre, sia l’affascinante superstar fuori che la donna di casa di dentro, tagliuzzava la verdura sul ceppo da macellaio nella loro cucina.

Il secondo, mentre Mia guardava quelle che prima erano le sue dita e cominciava ad urlare, fu: E’ successo tutto a causa mia.

Squall si allungò con indifferenza, spazzando via con la mano aperta le diverse dita dal tavolo mentre il soldato più vicino indietreggiava per lo shock, rilasciando il braccio della donna. Mia riprese la sua mano, ululando e strillando quasi come se fosse impazzita. E forse lo era, perché anche Rinoa si sentiva quasi folle mentre osservava la ponderatezza meccanica e pacata di Squall.

Tutto a causa mia. Solo mia.

Rinoa aveva inizialmente creduto che il sangue fosse dovunque; mentre la mano di Mia continuava a zampillare, si accorse dell’ingenuità del pensiero. Il sangue brillava come un rossetto economico sotto le luci fluorescenti, imbrattava il viso di Mia, la sua camicia da notte, il pavimento, il tavolo, i soldati che la tenevano, il gunblade- il muro, come aveva fatto ad arrivare sul muro-

Che casino terribile
, pensò Rinoa, e sentì un singhiozzo convulso dilaniarla. Ed è tutto a causa mia.

(Lo faresti?)

(Potresti?)


Mia si divincolò abbastanza da sfuggire dalle grinfie dei soldati, scivolando di nuovo per terra. Gridava e si dimenava sulle piastrelle, rotolando sullo stomaco per proteggere la sua mano ferita. Mentre i soldati attorno a lei facevano un ulteriore passo indietro, Squall distolse lo sguardo da lei e diresse la sua attenzione a Winston.

Il volto del Gufo Rosso era un’immobile maschera d’orrore. Stava ancora cercando di urlare, ma si era dimenticato di respirare. Riuscì a espellere solo un po’ d’aria, un sibilo perso tra le urla molto più sonore di Mia.

La voce di Squall era a stento più alta, fredda e ferma come la lama della sua arma. A suo modo, era un’arma; le sue parole, consegnate in un tono uniforme che rivelava la profondità del suo convincimento, non ferì solo il Gufo Rosso, ma anche Rinoa.

“Ha ancora una mano. Ora smettila di farmi sprecare tempo.”

E Winston aprì la bocca e questa volta non ci fu alcuna esitazione, nessuna mezza verità, quasi nessuna pausa per respirare mentre parlava e parlava e parlava, gridando, balbettando, infilando una parola dopo l’altra in un torrente confuso che lei riuscì a mala pena a comprendere. La prima cosa che disse loro fu dove si trovasse Rinoa, e una volta che Squall seppe quello, una volta che lesse negli occhi del Gufo che stava dicendo la verità, si girò verso la porta, la sua mente si riorganizzò, chiudendo in una gabbia di gelida determinazione il ricordo della tortura, e Mia e Winston completamente dimenticati.

“Hey… uh… Comandante Leonhart-” lo interruppe uno dei soldati. “Ha- ha finito qui? Cosa vuole che ci facciamo con loro?”

Squall non si voltò nemmeno. La sua mente stava già correndo alla salvezza di Rinoa, mostrando al suo corpo la strada. Il Gufo Rosso e la sua ragazza non importavano più. La Repubblica non avrebbe mai potuto lasciar vivere i prigionieri, non dopo tutto quello che aveva fatto. Sarebbero stati certamente uccisi… prima o poi. Ma non aveva neanche il tempo di dirlo, e i Gufi Neri dietro di lui lo sapevano già - avevano solo abbastanza paura di lui da non farlo fino ad un suo ordine. Discutere non sarebbe servito a niente, oltre a divorargli tempo prezioso.

Mia - la donna - si contorse sul pavimento, piagnucolando come un bambino perso. Squall la sorpassò senza neanche guardarla.

“Non m’importa.”

L’immagine si disturbò fino a sparire, rimpiazzata da un telaio di luce e ombra, dal suono del mare che scivolava sulla pietra, al suo tranquillo e cauto respirare. L’orologio scintillò nell’angolo come un occhio malefico. Le 3:05 del mattino.

Cinque minuti. E’ durato tutto solo cinque minuti. I ricordi, l’avventura, l’impeto e il crollo della speranza e la schiacciante realtà. Cinque minuti.

Millequattrocentoquaranta minuti in un giorno. Era sempre stata in gamba con la matematica, sebbene sapesse scrivere pessimamente. Suo padre le aveva detto che avrebbe dovuto considerare ingegneria quando era andata al college, ma era stato anni e anni prima, prima che scappasse a Timber per giocare a fare il soldato, prima che ne avesse incontrato uno vero. Sette giorni in una settimana. Trecentosessantacinque giorni in un anno.

La sua vita si allungava di fronte a lei, non espandendosi ma contraendosi. Ogni minuto l’avvolgeva strettamente, comprimendosi attorno a lei con più tenacia possibile. La sua mente e la sua realtà erano diventate come di stucco, deformate in forme così strane che non poteva neanche più sperare di riconoscere, e ogni tanto era convinta di star assolutamente impazzendo, perché altrimenti come avrebbe potuto vedere solo lei quanto terrificante fossero tutto e tutti coloro che la circondavano?

E poi c’erano le voci.

Non è giusto, si lamentò una parte di lei nella voce acuta e penetrante di com’era a otto anni. Lui ti ama. Ti ama davvero. Nessuno di quei ragazzi di Deling ti amava e specialmente Seifer. Tutto quello che sei stato per loro era qualcosa da scopare. Non so neanche se papi ti ami, lui ci ha provato, ma vedeva sempre troppo di tua madre in te, solo guardarti in un certo senso gli faceva male, ma Squall è diverso, lui ti vuole bene, lui è il tuo cavaliere, non lo capisci?

Mia s’intromise, Sì, ti ama. Se vuoi una prova, guarda anche solo a quello che ha fatto a me. Forse un giorno, se non fossi morta, perché lo sono, sai, Squall non ne è il responsabile ma ha dato la sua benedizione alla mia morte, avrei trovato anch’io un uomo capace di tagliare le dita di una donna innocente per il mio bene. E’ il genere di cose che ogni ragazza sogna, prova a chiedere alla tua amica Selphie.

E’ vero, Rin!
spumeggiò Selphie. E’ il genere di cose che ti fa capire quanto tengano a te. Si chiama devozione, lo sai? Per questo giusto ieri Irvine ha sparato ad Edea in fronte per il mio compleanno e allora l’ho fatto a pezzettini se capisci quel che intendo-

Io ti amo, Rinoa.
La voce di Squall. E’ il genere di amore che esiste solo nelle favole. Ucciderei un intero continente per te. Mi piacerebbe passare il resto della mia vita a massacrare persone per te. E’ naturale. Ricordi quando Seifer mi ha torturato? E’ il genere di cose che un cavaliere fa per la sua strega.

Si chiese se fosse vero. Forse tutte quelle storie horror erano motivate nient’altro che dall’amore. Ma quello non importava. Peggiorava solo le cose. Non voleva essere lei la causa di cose come quelle che erano successe. Non voleva che l’amore fosse- fosse-

(Per favore)

Lo faresti?
Cantò Julia nella sua mente, prima di passare al tono con cui la rimproverava quando la sorprendeva a sgranocchiare biscotti o a scrivere sui muri. In caso contrario, allora suppongo che tu non sia una vera romantica.

Semplicemente non ami abbastanza
, aggiunse Wallace, la voce piatta e affaticata a causa del collo rotto.

Non farai un cazzo, raspò Juliet attraverso la rovina rossa della sua gola. Non l’hai mai fatto.

Stai facendo tutto ciò per ribellarti
, la voce di suo padre era piatta e perentoria.

Irvine: Ti comporti in modo molto strano ultimamente, Rinoa.

Non è giusto
, la voce sottile piagnucolò di nuovo. Cosa vuoi che faccia, comportarmi come se niente fosse? Legarli ad una collana di memoria?

Non esattamente il mio genere, Signorina Heartilly, disse il Maggiore Grant. Ma a lei starebbe bene. La sua voce si affievolì incerta, e Rinoa notò che Shu si era fatta saltare di nuovo la testa.

“Basta così,” mormorò Rinoa con urgenza, ed era un cattivo segno, un segno veramente cattivo, perché se era già abbastanza cattivo sentire le voci era anche peggio discutervi. “Non è colpa mia, no, io non ho fatto niente di male.”

Oltre a scoparti lui, schernì il Gufo Nero. E ora che ci penso, lo stai facendo ancora ora. Non che in questi giorni te lo stia godendo più di tanto, eh, ma lui non sembra notarlo, forse a lui piace quando sei lì immobile e lo prendi come uno di quei cadaveri che è così bravo ad accatastare-

Ecco; si scagliò via dal letto, correndo lungo il pavimento fittamente tappezzato fino al bagno - le piastrelle erano bianche, perlomeno - e presto si inginocchiò sulla tazza spalancata del gabinetto, in preda ai conati di vomito.

Rinoa vomitò per un tempo che le parve infinito, perdendo la sua cena a base di Aragosta di Dollet e il suo pranzo di scampi con l’arancia e il pane e quello che sembrava la maggior parte del suo stomaco. Sembrava quasi che tutte le brutte cose accadute negli ultimi mesi si stessero riversando fuori di lei insieme alla sua bile, ma quando finì e si ritrovò lì sul pavimento, tremante di debolezza e le braccia ancora strette alla porcellana, riusciva ancora a sentire quell’anguilla nel suo stomaco, il suo dimenarsi solo momentaneamente acquietato dallo scoppio del suo corpo.

La sua mano sinistra ornava ancora il bordo della toilette, così pallida che era appena notabile sulla porcellana. Lei la guardò e pensò all’ultima volta che aveva vomitato, legata ad una sedia, gocciolante di pipì, disgustata, degradata, sporca.

L’anello al suo dito era dell’oro più fine, sormontato da uno sfaccettato zaffiro di Centra che aveva luccicato come un qualcosa proveniente da un altro mondo quando lui gliel’aveva infilato quella notte al ristorante. La faceva sentire ancora più sporca, e non poteva fare a meno di domandarsi se Mia avesse mai voluto un anello come quello. Se fosse stata torturata e uccisa solo perché lei aveva desiderato un anello come quello. Se Squall realizzasse l’ironia nell’infilare un anello ad un dito e tagliarne via cinque nello stesso mese.

Lo stomaco di Rinoa si agitò ancora, e si sentì piena dell’improvvisa compulsione di strapparsi via l’anello e di buttarlo da qualsiasi altra parte, ma non sarebbe stato molto carino, non era il genere di cose che faceva la principessa al termine delle storie.

E vissero per sempre felici e contenti, pensò, alzandosi e tirando lo scarico, e aprendo il rubinetto. Millequattrocentoquaranta minuti in una volta sola. Ogni giorno una nuova avventura, una nuova scoperta.

Si pulì la faccia, rabbrividendo quando rivoli di acqua fredda gocciolarono lungo il suo collo. Scoprire cose su Squall non assomigliava più al tirar fuori dei tesori da una cantina com’era stato un tempo. Era più un dragare il fondo di un lago e ritrovare cadaveri. Cadaveri che la spaventavano con i loro occhi morti e accusatori. Cadaveri che parlavano.

E io gli somiglio. Aveva perso oltre sei chili, e in un qualsiasi altro momento ne sarebbe stata contentissima. Ora, fissando il suo riflesso nello specchio, le venne in mente il corpo di sua madre durante gli ultimi mesi, quando la malattia l’aveva consumata.

Forse aveva imparato qualcosa da Selphie, ma non l’aveva irrobustita - l’aveva soltanto scolpita, aguzzando le sue curve ad angoli rigidi. Riusciva a vedere gli spogli contorni del suo bacino, e poco sopra le deboli macchie quasi indistinte sul suo ventre che sapeva indicassero le sue costole. Le sue guance erano giallastre e i suoi occhi rigonfi, e la sua clavicola sporgeva in enorme contrasto con le sue spalle.

E lui continua a dirmi che sono bellissima.

E’ perché ti ama
, l’informò la voce di sua madre. Dio mio, tutto quello che ha fatto è stato per te e non sei ancora soddisfatta. E’ stato l’amore che gli ha permesso di trovarti, sai. Solo non nel modo che credevi tu.

Squall si stava stiracchiando quando tornò dal bagno, il groviglio assonnato dei suoi pensieri che andava schiarendosi abbastanza perché riuscisse ad alzare confusamente lo sguardo verso di lei e chiedesse, “Stai bene?”

No.

“Sì… sono solo troppo eccitata per dormire, suppongo.” Le sembrava che le sue gambe fossero fatte di legno, ma riuscì ad oltrepassare la stanza e a scivolare sotto le coperte accanto a lui. Il suo intero corpo represse l’impressione che le fece, come se ogni singolo muscolo stesse cerando di allontanarsi il più possibile da lui.

“Scusa.” Si spostò di lato per lasciarla avvicinare, rannicchiandosi al suo fianco. “Sono troppo stanco per fare qualsiasi cosa ora.”

Bene. Il sesso con lui era diventato repulsivo e meccanico, ricordandole morbosamente un omicidio simulato. Sentiva le grida di Mia in ogni suo gemito, osservava le sue mani strisciare sul proprio corpo e le vedeva sporche di sangue, sentiva il soffice tocco delle sue labbra sul collo e si chiedeva se si stesse preparando a strapparle la gola a morsi.

Non essere ridicola, la sgridò Julia. Lui fa male soltanto alle altre persone per te.

Almeno lui non aveva notato niente di strano. Si sarebbe aspettata che fosse in grado di constatare la differenza in quei giorni, ma apparentemente un orgasmo simulato o due era sufficiente. O forse non vi aveva mai davvero prestato molta attenzione. Era dura dirlo. Era dura ricordare qualsiasi cosa fosse successo prima, circondata da sparpagliati frammenti di quello che era ora.

Scappa, l’incalzò la voce lamentosa dopo che lui ripiombò nel sonno accanto a lei. Ma non ci fu risposta. Non poteva scappare da quella situazione. Anche se fosse fuggita agli angoli più distanti del globo, il legame tra di loro avrebbe continuato ad esistere, inviolato ed inviolabile, il risultato di un’azione tanto sconsiderata quanto lo erano state tutte quelle che l’avevano condotta sino a quel punto.

E se fosse scappata, che avrebbe fatto? Cosa avrebbe potuto dirgli allora? Che il Garden era peggio delle streghe? Che doveva essere distrutto? Che il pensiero di stare accanto a qualcuno di loro, specialmente a lui, la riempiva di terrore e disgusto?

Cosa sarebbe stata allora, se non un’altra vecchia strega impazzita che si celava nell’oscurità, un’altra storia con cui spaventare i bambini?

Forse funziona sempre così. Con le streghe ed i loro cavalieri, e con chiunque. Forse l’amore è proprio questo. Forse tu sei stata solo abbastanza fortunata da vedere di che cos’è fatto davvero. E così presto, con così tanti anni di fronte a te-

(Lo faresti?)

-pittoresche stragi nel paese di Winhill, atrocità al prezzo di un budget ragionevole.

(Potresti?)

Ci saranno bambini? Oh, sì, i pupilli del loro padre. Spero non si comportino male - improbabile, dato il genere di allenamento che riceveranno.

(Lo faresti, potresti?)

Vivrai più a lungo di lui, sai. Le streghe vivono molto. Ma prima o poi ti sentirai sola e troverai qualcun altro. E può succedere di nuovo tutto.

(Lo farai?)

No,
pensò disperatamente. Non posso, non posso, non posso. Per favore, volevo solo essere amata, per favore.

(Per favore, per favore)

E lo sei
, ora la voce di Julia era compiaciuta.

Squall si avvicinò, i suoi pensieri nient’altro che assopito calore. Rinoa rabbrividì al tocco del suo respiro, fissando senza batter ciglia l’orologio dall’altra parte della stanza. Numeri rossi in grassetto marchiarono inesorabili la verità sulla sua mente frenetica. 3:15. Si morse il labbro inferiore e cercò di non gridare mentre il coro di voci nella sua testa si risollevava di nuovo

Millequattrocentoquarantaquattro

Sposami
, disse Squall. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.

Sette

Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.

Trecentosessantacinque

Ti amo. E’ il genere di amore che esiste solo nelle favole. Ucciderei un intero continente per te. Mi piacerebbe passare il resto della mia vita a massacrare persone per te.

Per sempre.


In quel momento, Rinoa sentì la maschera sgusciare via e infrangersi, seppe che se si fosse di nuovo fermata di fronte allo specchio, avrebbe visto la sua bocca spalancarsi per l’orrore intirizzito proprio come aveva fatto quella di Mia. Che quei folli occhi animaleschi che aveva visto nel viso di Shu, in quello del Maggiore Grant, sul muso di Angelo le avrebbero restituito lo sguardo fisso.

Si chiese se lui se ne sarebbe mai accorto. Si chiese se gli sarebbe importato. Si chiese se sarebbe impazzita, come tutti loro nei loro ultimi istanti, quando erano-

Quando erano-

Squall si mosse nel sonno, sospirando. Il suo braccio si curvò attorno al petto di Rinoa, lieve, delicato, opprimendola col peso dell’omicidio, della tortura, dello stupro, del genocidio, dell’amore.

Quando erano-

Le parole emersero da qualche credenza vecchia e stantia della sua mente, volteggiandovi debolmente mentre veniva meno in un sonno esausto che sperò non avesse mai fine.

In trappola.

(ii.) Il Treno per Timber

La cassetta non era in ottimo stato, e la voce che emergeva dal mobiletto dello stereo riempiendo lo scompartimento del treno era modulata e metallica. La deformazione del brano scoppiettava sul sottofondo, dietro al sassofono jazz e al violoncello, mentre la musica andava e veniva, saltando dei pezzi.

A Rinoa non importava; la voce di sua madre le era sempre sembrata meravigliosa, e questa era la sua canzone preferita. Dopo che i manager l’avevano scaraventata in una serie di brutti singoli e un secondo album veramente pessimo, la gente aveva cominciato a pensare a lei come ad un’insignificante cantante da quattro soldi, un prodigio di un successo. “Devotion” era stato un ritorno sbalorditivo, un pezzo profondo e sentimentale di musica che aveva zittito le critiche e provato una volta e per tutte che Julia Heartilly era davvero la “Next Big Thing”.

Rinoa la amava. “Eyes on Me” era una canzone agrodolce, ma “Devotion” riguardava il puro potere dell’amore che avvicinava due persone. Era una canzone che rappresentava il trionfo suo e di sua madre.

“Ancora non capisco perché non te ne sei comprata una versione più nuova,” disse Squall dall’elegante poltrona dello scompartimento. Squall era semi-sdraiato, con la testa appoggiata al braccio. Aveva gli occhi chiusi, ma era fondamentalmente per far vedere; l’unica volta che si era addormentato su uno di quei treni era stato quando Ellione ci aveva messo lo zampino, aveva raccontato poco prima a Rinoa, la traccia di un sorriso sul suo viso.

“Scemo.” Distolse lo sguardo dallo stereo per guardarlo dritto negli occhi e lui aprì i suoi di uno spicchio per guardarla muovere a passo di musica. “Questa è la prima edizione dell’album! Ha un valore sentimentale e nostalgico.”

“Ah,” disse, e tacque. Ovviamente non capì - il Garden era in uno stato di costante cambiamento tecnologico, fornendo ai suoi SeeD sempre il meglio negli ultimissimi equipaggiamenti tecnologici. Soltanto nell’ultimo anno, il contatto con Esthar aveva portato un mare di nuove convenienze.

Però, sempre meglio che un suo solito “Non m’importa.”.

“Sono lieta che tu capisca.” Rinoa ridacchiò mentre andava al divano e si sedeva accanto a lui. Lui allungò un braccio per respingerla pigramente, e lei gli prese il viso tra le mani. Lui glielo permise. C’era voluto così tanto perché glielo potesse permettere.

La luce prendeva piede attraverso le finestre mentre il treno affiorava dal tunnel sottomarino di nuovo sotto il suolo, avviandosi sempre di più verso la sua meta. Era stato un viaggio tranquillo e pacifico - nessuno li aveva disturbati nella vettura di prima classe eccetto qualche dipendente ben intenzionato, e Squall sembrava positivamente rilassato.

Ciononostante, forse proprio a causa loro, Rinoa riusciva a stento a contenere la sua agitazione. Mancava a Timber da mesi, da prima che diventasse una repubblica, e non stava nella pelle al pensiero di poter vedere da vicino che progressi avessero fatto.

“E tu, Squall?” chiese. La sua voce era evasiva, dispettosa, e ribolliva di un’energia a malapena trattenuta. “Faresti tutto per amore?”

Lui si mosse, come faceva sempre quando si sentiva a disagio, e non ebbe bisogno del razzo di calore che percorse il legame per sapere che si sentiva un po’ ridicolo. “L’hai letto in una rivista?”

Lei si chinò in avanti, scostandogli i capelli dalla fronte, sfiorandogli le labbra con le sue. Aveva un buon sapore e un buon odore, di cuoio e di mogano. “No. A differenza di certe persone, non devo leggere qualcosa per sapere che è vera. E’ questo il bello dell’amore, no? E’ più grande di te e di me. E’ più grande di tutto.”

“Suppongo.”

Lei indirizzò un pugno giocoso al suo petto. “Sei irrecuperabile.”

Le intrappolò il polso con precisione tipicamente SeeD - un riflesso per tutti quegli anni di addestramento, immaginò - ma la sua stretta era leggera, e lui le sorrise. “Lo pensi davvero?” L’attirò dolcemente a sé, mettendosela addosso. “Ne sei sicura?”

Per quando l’altoparlante scoppiettò e li informò che il treno sarebbe presto arrivato a Timber, aveva deciso che tutto sommato non era poi così irrecuperabile.

Agosto 4, 2005

Lo faresti?

Potresti?

Lo faresti, potresti?

Lo faresti davvero

Potresti farlo davvero

Lo faresti, potresti?

Lo farai?

L’hai fatto?

Farlo davvero

Per il nostro amore?


-Julia Heartilly, “Devotion”

PROTOCOLLO #24-A: ASFODELO NERO

L’Intelligence e l’Amministrazione del Garden si sforzano costantemente di mantenere ordine e disciplina in tutte le Operazioni SeeD. I SeeD sono altamente addestrati e specializzati in missioni operativi, volte a dirigere un ampio spettro di operazioni in una vasta gamma di luoghi d’azione. Secondo il Codice del Garden all’articolo B Paragrafo Due, a nessun SeeD deve essere assegnata un’operazione che, conformemente ai parametri forniti, lo o la porrà in conflitto con un altro SeeD. Sebbene alle volte taluni incontri siano inevitabili, la prima priorità di entrambi i SeeD, oltre all’accorgimento della presenza di un nemico sul campo di battaglia, è annunciare la propria presenza a quel nemico e poi allontanarsi, se possibile occupando differenti posizioni nell’ampiezza del conflitto. Se questo dovesse dimostrarsi impossibile, rimane un’unica opzione. Il SeeD che cerca di prendere la vita dell’altro SeeD, deve invocare il Protocollo dell’Asfodelo Nero, che deve essere verbalmente riconosciuto. L’invocazione dell’Asfodelo Nero dichiara un’esplicita volontà di uccidere o di essere ucciso dal nemico. Non è una mossa da prendere alla leggera, e difatti nella storia del Garden non è mai stato invocato. Il protocollo comincia…

-Da Il Manuale Del SeeD



Nota dell’autore: per evitare che qualcuno faccia confusione, mi sposto qui per spiegare che la scena spazialmente ultima della storia non è necessariamente l’ultima cronologicamente (ci sono anche i numeretti, gh ndt). Non è intesa come happy ending, ma puramente come contrasto.

Beh, CHE SONO QUELLE FACCE? IL TEMA DEL GIOCO E’ L’AMORE, OKAY?

Scherzi a parte, grazie mille per aver letto (specialmente considerando la lunghezza), e mi piacerebbe sentire cosa ne pensate. Vi chiedo solo di non spoilerare la seconda metà della storia, che penso debba rimanere ignota per i possibili lettori per terrificare davvero. Cosa che credo sia avvenuta - di sicuro ha funzionato su di me, e io sapevo già cosa stava per succedere (ha funzionato anche con me… ndt).

Posto così raramente che ho difficoltà ad immaginarmi dei fan, ma vi <3 tutti in una maniera totalmente e fondamentalmente platonica. Senza un pubblico, un autore è come un figlio di una donna dai facili costumi che grida all’aria rarefatta, e dato che gli autori di fanfic non vengono pagati, sapere che vengono letti è un ottimo sostituente della paga.

Diffondete la death!Shu nelle vostre fic!

RINGRAZIAMENTI:

A Zachere, per beta-reading estensivo, sopportazione intensiva, incoraggiamento, critiche, pianti orripilati, ecc. Se vi va di leggere delle buone alternative universe (non il genere in cui la cricca va a scuola)(ma ci sono delle AU in cui la cricca va a scuola belle ;_; *coffCaskaLangleycoff* ndt), vi consiglio la sua “Scaling the Butterfly”. Anche l’altra sua roba è buona, sebbene lei sia capace di flagellarvi nel caso nel caso lo diciate.


Alle altre due donzelle del mitico trio, Myshu e Tami (Guardian1) per aver letto (leggasi: resistito al trauma - Citazione autentica: “IT MADE ME PHYSICALLY SICK”, ovvero: MI HA FATTO STARE FISICAMENTE MALE ndt), prestandomi interesse e sostegno, provvedendo commenti e domande, e spiegando a questo povero maschio eterosessuale a quali difficoltà sarebbe andata in contro Rinoa al momento del trucco. Leggete le loro fanfic per ogni sorta di interazioni godibili e perverse tra uomini, alberi e Tango Neri psicotici.

Grazie, meine Freundinnen! Il Maggiore Saffo vi saluta!

Alla prossima,

-DK

Nota della traduttrice: … Devo dire che Final fantasy VIII mi ha lasciato delle perplessità sin dalla prima volta che ci giocai. Insomma, Selphie. E’ PAZZA. Seriamente, devono averle asportato qualche rotella quand’era piccola, perché altrimenti non si spiegano alcune uscite come: “Sì, distruggiamo il treno con i bazooka! Evvai!”. Pazza, vi dico. Potrei dilungarmi per ore sul perché l’ho tradotta (e chi mi conosce sa che non mento:D), ma non vi rubo ulteriore tempo. Mi raccomando allora: cercate di non fare spoiler neanche su quest’ultima parte, okay? Grazie:*
Ah, btw, un’ultimissima cosa prima di sparire: tanto per la cronaca, se a qualcuno interessa, la fanfiction di Tami/Guardian1 con i Tango Neri psicotici (è tutto vero oO) la sto traducendo. Giuro, si è trattata di una pura coincidenzaXD Non è ancora online perché non sono arrivata nemmeno a metà, però se visitate il suo account gestito da me (pubblicità occultissima) troverete una sua fanfiction su FFX, e a breve una one-shot su FFVII.
Per quanto riguarda invece Zachere, stavo ponderando di tradurre una sua fanfiction su Kingdom Hearts con uno dei crack pairing più crack che abbia mai visto, ma sono ancora indecisa. Vedremo.
Grazie, soprattutto a coloro che hanno commentato e commenteranno, e un abbraccio alla mia beta.
A presto,

Youffie

EDIT DOVEROSO (e spero ultimo): visto che più di un lettore ha avuto qualche perplessità riguardo il finale, ho chiesto spiegazioni a DK che mi ha gentilmente (come sempre *_*) risposto. Ecco qui quanto mi ha scritto:
La decisione di Rinoa è veramente aperta alla libera interpretazione – penso che se dicessi la mia al riguardo, rovinerei la storia per alcune persone, dato che dipende interamente dal lettore decidere come leggerla. Ora, personalmente, secondo me non riuscirà mai a superare del tutto la cosa, ma rimarrà comunque con Squall, perpetrando questo inferno vivente in cui è precipitata. MA non si tratta dell‘unica risposta possibile, e nemmeno di quella principale – è un finale aperto.

Insomma, interpretatela come meglio volete, ogni ipotesi è plausibile. DK non verrà a disturbare i vostri sogni per questo :D
   
 
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