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Autore: Aniel_    23/01/2013    6 recensioni
Dean è un guerriero, come suo fratello e come suo padre. Ha degli ordini da eseguire e in questa guerra non può permettersi distrazioni.
Ma le distrazioni arrivano e un prigioniero di guerra può diventare davvero una problematica distrazione.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Fandom: Supernatural
Pairing/Personaggi: Dean/Castiel, Sam, Bobby, Jo, Gordon, Ellen
Rating: SAFE
Genere: introspettivo, sentimentale
Warning: AU!COW-T 3, Pre-Slash, OOC
Words: 4196 (fiumidiparole)
Note: scritta per la prima missione della prima settimana del COW-T 3 di maridichallenge sul il prompt "guerra" della mia tabellina di auverse.
Note importantiThe Clash of the Writing Titans è un universo creato dagli amministratori di fiumidiparole  e maridichallenge per una delle loro iniziative. Minthe è un pianeta simile alla terra, abitato da quattro popolazioni in lotta tra loro: Crest, Phade, Suthi e Fàras. I Crest sono molto simili agli esseri umani mentre i Phade sono caratterizzati da corpi sinuosi e tribali scuri sulla pelle che, una volta adulti, si tramutano in ombre ancora visibili ad occhio nudo. Per tutte le informazioni sui popoli di Minthe e sulle loro caratteristiche, andare qui.
Disclaimer: non mi appartiene né Dean, né Sam, né Cas né l'universo di Minthe. #tristezza


We can still be brave
 

«Bobby, ti prego» ripeté per l'ennesima volta Dean, a denti stretti.
Bobby scosse il capo nuovamente, riponendo uno dei libri polverosi che amava tanto su uno scaffale strapieno. «Non discutere, Dean. Abbiamo ripartito le missioni con gli altri Gehnr[1] e al tuo gruppo è toccata questa. Se vuoi continuare a discutere, la mia parete sarà più che felice di ascoltarti, io ho una riunione» rispose il vecchio Crest, superando il più giovane.
Dean indietreggiò e poggiò le mani contro gli stipiti della porta, bloccandogli l'avanzata.
«Mio padre mi avrebbe affidato la missione contro i Suthi! Non ci avrebbe neanche pensato su, dannazione!» sputò fuori con rabbia.
Dal viso di Bobby non trapelava alcuna emozione e Dean capì che era solo questione di minuti prima che si ritrovasse scaraventato dalla parte opposta del villaggio con un qualche livido in più e un paio di denti in meno. Ma non voleva ritrarsi: non poteva essergli affidata una missione tanto insulsa quanto facile come quella. Non poteva accettarlo.
«Tuo padre avrebbe curato la tua arroganza a suon di calci e tu lo sai» replicò il vecchio, schietto, poggiando una mano sul braccio teso dell'altro e esercitando una lieve pressione.
«Ma Bobby è un villaggio Phade, per la miseria! Mi stai mandando in un fottuto villaggio Phade, il meno pericoloso sul suolo di Minthe tra l'altro. Perché non mi mandi ad acchiappare farfalle? Sarebbe la stessa cosa.»
Bobby lo afferrò malamente per il bavero della maglia che indossava e lo avvicinò al proprio viso. «Potrei mandarti sul serio ad acchiappare farfalle, razza di idiota. A te la scelta.» ringhiò.
Dean ebbe il buon gusto di non replicare - sicuro che, all'ennesimo ma, Bobby non sarebbe stato affatto comprensivo con lui- e si allontanò dalla porta, permettendo all'altro di proseguire.
Non appena fu abbastanza lontano da essere certo che non lo avrebbe sentito, Dean imprecò, combattendo l'impulso di prendere a calci qualsiasi cosa lo circondasse.
«Non è andata bene, vero?» domandò una voce alla sua destra che il ragazzo riconobbe subito.
«No Sammy, non è andata per niente bene, maledizione!» sbottò.
Sam sospirò e poggiò una mano sopra la spalla del fratello. A Dean venne voglia di imprecare ancora perché quel dannato ragazzino non voleva saperne di smettere di crescere. Di questo passo sarebbe nata una quinta razza su Minthe: i Samiani, Crest giganteschi dagli occhi dolci e modi gentili.
«Senti, Bobby sa cosa è meglio per noi. Forse per questa volta dovremmo attenerci agli ordini. E poi non dovresti sottovalutare i Phade, lo sai meglio di me.» consigliò il minore, prendendo posto su una panca sgombra abbracciata dalle ombre degli alberi.
«Papà non ci avrebbe mai mandato in un villaggio Phade» osservò l'altro.
«Peccato che i Suthi lo abbiano preso prima che riuscissimo a sapere cosa effettivamente volesse da noi e per noi. È stata la testardaggine di papà a farlo cadere in quell'imboscata, è stata la sua ossessione di vendicare la mamma. Dean, ti prego, non essere stupido.»
«Attento Sam. Papà non era uno stupido.»
«Papà era un incosciente e non voglio che tu faccia la sua stessa fine. Ti prego, ragiona.» lo pregò. «Arriverà anche il tuo momento, ma adesso dobbiamo occuparci di altro.»
Dean aprì le labbra ma non riuscì a trovare argomenti con cui ribattere. Forse poteva passarci sopra, per questa volta. Se fossero partiti per tempo era certo che sarebbero tornati al villaggio prima di cena. Aveva già combattuto contro i Phade in passato e ne era uscito solo con qualche graffio e un gran mal di testa ascoltando i loro strani rituali di sangue per la loro dea. Non che la dea li avesse protetti dato che Dean e la sua squadra riuscirono a sterminarli in meno di mezza giornata.
«La tua monogamia a oltranza ti ha reso più saggio oltre che più rompiscatole» lo prese in giro Dean, con un cipiglio divertito.
«Trovi strano che voglia legarmi ad una sola compagna, lo so. Ma non sono come te, Dean. Chi è che ti porti a letto in questo periodo? Risa, Jenny e...»
«Kara.» concluse. «Non sai davvero cosa sono capaci di fare quelle tre insieme...»
Sam sbuffò, reprimendo un sorriso. «So che non c'è niente di male. Prendi Rufus per esempio, credo che al momento abbia cinque relazioni in corso di cui due con uomini. Dico solo che non mi va di legarmi con qualcuna che non sia Jessica e non mi va di dividerla con nessun altro... o altra. È così difficile da capire?»
«Sì ma non dirò nulla per farti cambiare idea. Jessica è uno schianto e... beh... chi sono io per ostacolare il vero amore?» lo sbeffeggiò, ricevendo una pacca ben poco gentile sulla spalla.
«Raduna gli altri, Sammy. Partiamo tra quindici minuti.»
 

*°*°*

 
Il gruppo di Dean arrivò al villaggio Phade in poche ore. Sam aveva insistito affinché includessero anche il gruppo di Chuck ma Dean non aveva acconsentito, prima di tutto perché Chuck era un autentico disadattato, e in secondo luogo perché il suo gruppo se la sarebbe cavata senza alcun problema: Sam aveva un talento naturale con le armi da taglio, Gordon era un maestro delle trappole, Ash, con la sua intelligenza fuori dal comune, riusciva a monitorare gli spostamenti dei nemici e trovare quelli nascosti, ed Ellen e Jo erano due donne alle quali difficilmente si poteva dire di no, forse le più capaci dell'intero villaggio.
E poi c'era Dean, una macchina da guerra, implacabile e inarrestabile.
Il gruppo di Chuck li avrebbe solo rallentati.
Il villaggio Phade era illuminato e il chiacchiericcio dei suoi abitanti arrivò chiaro e forte alle orecchie di Dean: a breve sarebbe crollato il silenzio e il loro sangue avrebbe macchiato le strade, le pareti, le lenzuola.
Chiuse gli occhi e sospirò, prima di dare l'ordine di attaccare.
 

*°*°*

 
Come previsto la battaglia - se proprio poteva essere definita tale- si spense in un'ora. Il solo rumore in quelle strade distrutte fu quello dei passi di Dean sulla pietra mentre cercava fuggitivi o sopravvissuti.
«Ehi Dean» gridò Gordon, appena due case distrutte più lontano. «Ne ho trovato uno» lo informò.
Dean impugnò il coltello e lo strinse tra le mani. Nonostante fosse una macchina da guerra, preferiva conferire alle sue vittime una morte netta, al contrario di Gordon che invece era particolarmente portato per le torture.
In verità a Dean non piaceva uccidere, ma era iniziata una guerra e non poteva tirarsi indietro per paura di ferire qualcuno che nemmeno conosceva. Era nato e cresciuto da Crest e con Crest, e non era mai stato un filantropo nei confronti degli altri tre popoli di Minthe. Quindi si limitava a fare ciò che andava fatto nel modo più veloce e indolore possibile.
Quando varcò la soglia della casa semidistrutta sentì la voce acuta di Gordon e alcuni lamenti rochi e spenti. Un Phade si trovava carponi sul pavimento, il sangue ricopriva gran parte del suo viso e la pelle pallida della schiena era stata arrossata dai calci ben assestati dell'altro guerriero, fatta eccezione per delle ombre scure all'altezza delle scapole. Dean ebbe la bizzarra impressione che somigliassero a... ali?
«Allora, vuoi dirmi con chi stavi parlando? Non ho tutto il giorno.» sorrise Gordon, allegro, afferrando il malcapitato per i capelli.
Questi gemette, tossendo e sputando piccole quantità di sangue. «Non parlavo con nessuno» rispose.
«Non prendermi in giro, ti ho sentito. Hai aiutato qualcuno a nascondersi e voglio sapere dove trovarlo.»
Il Phade voltò il capo sebbene la stretta dell'altro fosse salda.
«Dean ne abbiamo trovato uno orgoglioso» riprese Gordon, mollando la presa. «Non credo che ci dirà nulla.»
Dean inclinò il capo e si inginocchio di fronte al ragazzo ricoperto di sangue nel tentativo di cercare il suo sguardo, ma questi tenne il capo chino, in attesa, con i capelli neri arruffati che celavano le palpebre chiuse.
«Hai aiutato qualcuno a scappare?» gli chiese, freddo e distaccato.
L'altro non rispose e si limitò a scuotere il capo, poco convinto. Era chiaro a tutti che mentisse.
«Perché difendi il tuo amico? Non ti sta aiutando, è solo... scappato via. Credi che ne valga la pena? Vale la pena morire per lui?»
Improvvisamente l'altro alzò lo sguardo, mostrando due grandi occhi di un blu così intenso che Dean non riuscì a non associare alle acque profonde del fiume a pochi chilometri del suo villaggio, dove era solito recarsi per pensare. Sentì quegli occhi sondarlo così in profondità che fu costretto a indietreggiare di qualche centimetro.
«Vale la pena morire per ciò che è giusto.» rispose il Phade, sfidandolo, e tirandosi malamente in piedi.
Dean non aveva mai visto nulla di simile: era raro trovare animi così forti in tempi come quelli e quello strano tipo aveva più forza di tanti Crest di sua conoscenza.
«Per me è abbastanza» si intromise Gordon, afferrando uno dei suoi pugnali e avvicinandolo alla gola del ferito. Con uno scatto felino, Dean gli sfilò via dalle mani l'arma, puntandola a sua volta contro il proprio compagno.
«È un prigioniero. Lo portiamo con noi.» ordinò, evitando lo sguardo del Phade.
«Non ci dirà nulla, Dean. Dobbiamo ucciderlo, adesso! Troveremo comunque il suo amichetto e faremo fuori anche lui. E poi noi non facciamo prigionieri, non abbiamo mai fatto prigionieri.»
«Sono io che do gli ordini e questo Phade sarà nostro prigioniero. Se non ti sta bene non sono affari che mi riguardano perché si farà comunque come dico io» ringhiò. «Sono stato chiaro?»
Gordon inspirò pesantemente, furioso, prima di annuire controvoglia e lasciare Dean solo in compagnia del Phade. Quest'ultimo si mosse appena e Dean lo sentì mormorare e gemere di dolore dietro di lui.
«Come ti chiami?» gli chiese.
«Come?» domandò di rimando il Phade, spaesato.
«Qual è il tuo nome? Non è una domanda difficile.»
«Castiel» mugugnò. «Mi chiamo Castiel»
Dean annuì senza guardarlo. «Niente scherzi Castiel. Fai anche solo una mossa sbagliata e rimpiangerai che non sia stato Gordon ad ucciderti, siamo intesi?»
Castiel tossì ancora e annuì sebbene l'altro non potesse vederlo. Fu allora che Dean lo sentì mormorare qualcosa che suonò come "tam'eh".
Si voltò di scatto e lo colpì in pieno viso, talmente forte che il Phade oscillò sul posto prima di piombare sul pavimento privo di sensi.
Se lo caricò sulle spalle senza troppi complimenti: era così leggero che persino Jo sarebbe stata in grado in sostenere il suo peso.
«È carino però» cinguettò Jo, alle spalle di Dean, scostando i capelli umidi dalla fronte di Castiel.
«Non sarà il tuo giocattolino, Jo» la ammonì Dean, in partenza. «È un prigioniero.»
Jo sbuffò e incrociò le braccia, offesa. «Ho solo detto che è carino. Che c'è? È la verità.»
Dean si lasciò scappare un sorriso e tornò a guardare davanti a sé. Fu un attimo, così veloce che si chiese se fosse stata o meno un'allucinazione: una ragazzina dai lunghi capelli rossi lo stava fissando da dietro un albero poco lontano. Mosse appena le labbra in quello che Dean riconobbe come "tam'eh" ma quando sbatté le palpebre, la ragazzina era sparita.
«Stai bene, tesoro?» gli domandò Ellen, al suo fianco.
«Sto bene, mi era sembrato... no, sto bene Ellen» ripeté, stringendo la presa sul corpo caldo del Phade sulle sue spalle.
Non era uno stupido Dean, e anche se non era mai stato bravo con le lingue né con la scuola in generale, alcune cose non aveva potuto fare a meno di apprenderle.
Non era uno stupido e sapeva che, in lingua Phade, "tam'eh" significava "grazie".
E fino a quel momento nessuna delle sue vittime aveva avuto modo di ringraziarlo per qualcosa che non aveva fatto.
Che cosa stai combinando, Dean? si chiese, sapendo cosa lo avrebbe aspettato una volta rientrato a casa.
 

*°*°*

 
Castiel spinse Anna fuori dalla piccola finestra mentre le urla dell'esterno rimbombavano in ogni anfratto della stanza.
«Vai» le ordinò. «Scappa nei boschi, lì non ti troveranno.»
La ragazzina piangeva disperata. Si sporse per afferrargli la mano. «Non voglio andare da sola. Cas, ti prego.»
Castiel le baciò entrambe le mani e le accarezzò il viso. «Ci rivedremo, te lo prometto. Ma ora devi andartene. Anna, ti prego. Ti prego.» ripeté, addolorato, chiudendo la finestra e puntando lo sguardo sulla porta: un Crest irruppe all'interno e lo colpì così forte che un conato di vomito si fece largo nella sua gola.
Era spacciato. Lo avrebbero ucciso.
Ma almeno lei era al sicuro. Era questa la cosa più importante, che lei fosse al sicuro.
Quando aprì gli occhi gemette il nome di "Anna" quasi sottovoce: la testa gli girava e sentiva le proprie ossa in frantumi. Cercò di muovere le braccia ma erano state chiaramente legate alle sue spalle.
«Chi è Anna? La tua ragazza? Oh, com'è che dite voi? La tua sfatse[2], non è così?» domandò una voce allegra e cristallina, così vicina che Castiel sussultò, sbattendo la testa contro il palo di legno al quale era stato legato.
«Piano tesoro, o finirai per spaccarti la testa.»
Castiel aprì gli occhi e dopo qualche istante riuscì a focalizzare la persona di fronte a sé: era una Crest, piuttosto piccola di statura, dai lunghi capelli biondi e un sorriso gentile.
Certo, per quanto possa essere gentile il sorriso di una guardia.
Perché era lì per questo, no? Per fargli la guardia. Per assicurarsi che non scappasse.
Ma Castiel, con le gambe ridotte a quel modo e la testa in fiamme, non sarebbe riuscito comunque ad andare lontano.
«Posso medicarti quella ora che sei sveglio?» gli chiese, indicandogli il lungo taglio sulla tempia. «Stai tranquillo, dicono tutti che ho delle mani d'oro.»
Castiel annuì lentamente, titubante, e la ragazza gli fu subito accanto, trafficando con alcune bende e dell'acqua calda.
«Ti chiami Castiel, vero?»
«Sì.»
«Io sono Jo. Sinceramente avrei fatto a meno di legarti ma Gordon ha insistito...» spiegò, e Castiel notò subito che il dispiacere ostentato dalla ragazza era reale nonostante fosse stata una di quelli che lo avevano catturato.
Jo medicò la ferita e ripulì il sangue rappreso sul suo viso. Tastò con i polpastrelli piccole porzioni del suo corpo fin quando non toccò un punto non particolarmente messo bene.
«Credo che si tratti di qualche costola incrinata» appurò la ragazza, sospirando. «So che la posizione non è delle più comode per riposare, ma cerca di non muoverti. Va bene?»
Il Phade annuì ancora e inclinò il capo, perplesso. «Perché mi stai aiutando?» chiese.
Era pur sempre un prigioniero e il suo futuro di certo non sarebbe stato rose e fiori. Era già tanto che fosse ancora vivo in un campo Crest, ma sapeva che doveva trattarsi di una situazione temporanea. Estremamente temporanea.
«Combatto solo perché devo farlo e perché mi fa sentire più vicina a mio padre e alle mie radici. Ma questa guerra è sbagliata, non so nemmeno perché sia iniziata. Faccio quello che devo per proteggere le persone che amo. Combatto perché, se non lo facessi, potrebbero farmi del male e non posso permetterlo. È per questo che ti aiuto: per la prima volta non sono costretta a combattere ma posso aiutare e non mi capita spesso.» chiarì la ragazza, portandosi una lunga ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Fai quello che devi per proteggere la tua famiglia.» capì Castiel, chinando il capo.
«Esattamente come hai fatto tu per Anna» puntualizzò e il ragazzo spalancò le palpebre, spaventato.
«Sta' calmo» lo tranquillizzò. «Hai parlato nel sonno, poco fa. Non lo dirò a nessuno, non preoccuparti. Anche se lo facessi ormai la tua ragazza sarà molto lontana da qui.»
«Non è la mia... ragazza.» sbottò, piccato. «È mia sorella.»
Jo rise, divertita. «Ti stavo solo prendendo in giro, occhioni. Rilassati.»
Castiel non riuscì proprio a farne a meno, nonostante il dolore, la paura, l'angoscia e la rabbia, si sorprese a sorridere di fronte a quella ragazza che stava facendo di tutto pur di tirargli su il morale.
«Lui dov'è?» domandò dopo qualche minuto, guardandosi intorno per la prima volta.
Si trovava chiaramente in una camera da letto, piuttosto ampia, tanto da fargli capire che il padrone di casa non viveva da solo. Trovava comunque strana la presenza di ben cinque letti nella stessa stanza.
«Intendi Dean?»
Quello che mi ha salvato.
«Quello che mi ha colpito.» rispose, mantenendo per quanto possibile un'espressione neutrale.
«Credo che i Gehnr stiano decidendo se farlo fuori o meno per averti risparmiato la vita.»
«Sta rischiando la sua vita per me? Perché?» domandò, perplesso.
«È un modo di dire, tesoro. Nessuno di loro lo ucciderà perché Bobby riuscirà a calmare le acque» spiegò, accomodandosi su uno dei letti della stanza. «E una volta calmate le acque, allora e soltanto allora, Bobby gli darà dell'idiota e lo farà fuori davvero. Non amareggiarti, succede quasi tutte le settimane.»
«E sono sempre sopravvissuto» annunciò Dean, irrompendo nella stanza con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.
Castiel lo osservò attentamente, notando dettagli che quella mattina gli erano sfuggiti: Dean era piuttosto alto, forse qualche centimetro più di lui ma non lo avrebbe saputo dire con certezza, aveva un bel viso, spalle larghe e robuste e occhi luminosi e vivi che sembravano incendiarsi a contatto con la luce rossastra della stanza. Era la prima volta che Castiel vedeva un Crest così da vicino.
Lo vide scambiare qualche parola con Jo, così piano che non riuscì a cogliere quasi nulla, ma l'espressione delusa e amareggiata della ragazza fu abbastanza eloquente. La vide alzare le braccia al cielo e spingerlo via, dirigendosi verso l'uscita.
«Che cosa le hai detto?» gli chiese mentre quest'ultimo si sfilava la maglia sporca e i pantaloni, ignorando la presenza dell'altro uomo nella stanza.
«Ti sei preso una cotta per Jo o cosa?» ironizzò il Crest, scalciando via i vestiti.
«Sembrava turbata.»
«Sì, lo è. A quanto pare le piaci e la tua posizione non rende le cose molto semplici.» spiegò, e sebbene il tono fosse distaccato, Castiel notò qualcosa adombrare quegli occhi luminosi, una patina spessa di ansia che gli fece contorcere lo stomaco.
«Ho parlato con i miei superiori e non sono contenti. Non avrei dovuto fare prigionieri, gli ordini erano piuttosto chiari, dopotutto... e adesso vogliono interrogarti e non credo che finirà bene. Conosco perfettamente i loro metodi e il più delle volte "interrogatorio" è sinonimo di "tortura".»
«Cosa vogliono sapere da me?»
«Strategie, spostamenti della tua gente, tutto quello che potrà tornarci utile.»
«Tu sai che preferirei morire piuttosto che dare quelle informazioni, vero?»
Dean si stiracchiò e afferrò una maglietta pulita, restando però con le gambe scoperte. Gli si avvicinò con lentezza e si sedette di fronte a lui, a gambe incrociate. A Castiel ricordò tanto un bambino curioso.
«Certo che lo so. Per questo mi dispiace. Sei molto coraggioso, non c'è che dire, ma so che ti faranno fuori se non dirai quello che hanno bisogno di sapere e so che tu non lo farai. So fare due più due, sai?»
Anche Dean sembrava davvero dispiaciuto, esattamente come Jo.
Castiel era confuso. Perché mai si dispiacevano tanto per lui? Lo avevano catturato, cosa potevano aspettarsi?
«Ultimo desiderio?» domandò Dean, dondolandosi appena sul posto.
«Prego?»
«Beh è il minimo che possa darti. Un ultimo desiderio.» puntualizzò, grattandosi la nuca.
«Non ho bisogno di nulla.»
«Proprio niente? Andiamo! Un pasto caldo, un bagno, una scopata...»
Castiel chinò il capo per nascondere il lieve rossore che colorò le sue gode pallide, gesto che però non sfuggì affatto all'altro ragazzo.
«Non hai mai scopato? È questo quello che vuoi farmi credere?»
«Noi non scopiamo» ringhiò. «Noi ci leghiamo a una persona, le diamo pace, serenità e sicurezza. Non ho mai incontrato quella persona quindi non mi sono mai legato a nessuno.»
«Va bene, calmati» replicò Dean, divertito. Cosa ci fosse di divertente Castiel non avrebbe saputo dirlo. «Andresti d'accordo con mio fratello, sai? Anche lui è un fan del vero amore e della monogamia. Io preferisco altro» aggiunse allusivo, indicando con un cenno i letti nella stanza.
«Hai avuto molte compagne?»
«Le ho avute e le ho ancora. Ho avuto anche qualche compagno ma non è andata bene. Adesso però le mie tre compagne fanno di me una persona estremamente felice.»
Il Phade stirò le labbra in una linea sottile di carne e lo osservò confuso. «Non vorresti passare la tua vita con una persona che ti ama?» domandò.
«Ma loro mi amano, e si amano. Sono felici qui.»
«Ma tu non le ami. Non è possibile amare più persone. Quando si ama davvero capisci che vorresti avere accanto solo quella persona e non ti importa delle altre.» rivelò mestamente.
L'aveva sempre cercata quella persona, Castiel. Aveva sempre cercato qualcuno a cui affidarsi completamente, qualcuno con cui passare il resto della vita, qualcuno che lo comprendesse. Ma nessuno nel suo villaggio sembrava essere minimamente vicino a ciò che cercava e dopo un po' si era semplicemente arreso. Forse non era destino. Forse andava persino bene così considerato che gli restavano appena poche ore da vivere.
Anna se la sarebbe cavata, avrebbe raggiunto il villaggio dei nonni e sarebbe stata al sicuro.
Nonostante tutto Castiel non aveva poi molto da perdere.
«Forse è come dici tu, chissà. Quando troverò il compagno o la compagna della vita penserò a te, Castiel.» rispose gentile l'altro, sporgendosi lentamente verso di lui. «Però non posso permetterti di morire senza aver provato le vere gioie della vita. Andiamo, ci sarà qualcosa che posso fare» propose malizioso, poggiandogli una mano sulla coscia.
«Ehm... no. Ti ringrazio ma... no.»
Dean sbuffò e si tirò in piedi. «Va bene verginello. Qualcosa da mangiare allora? Non so tu ma io ho fame.»
Castiel sorrise, il che era abbastanza strano vista la situazione. Eppure se avesse dovuto realmente rispondere alla domanda "quale sarebbe il tuo ultimo desiderio prima di morire?" probabilmente avrebbe desiderato la compagnia di un ragazzo come quel Dean.
 

*°*°*

 
Un incubo svegliò Dean in piena notte: c'erano delle urla, del sangue, non troppo diverso dagli incubi che ormai lo accompagnavano quasi ogni notte, fatta eccezione per un corpo immobile ai suoi piedi, un viso sofferente con le labbra dischiuse e gli occhi spalancati e vuoti che non avrebbero visto più nulla. Dean vi si inginocchio a fianco e pianse, senza saperne il motivo, senza capirne la ragione, tutto ciò che riusciva a pensare era che non avrebbe più sentito quella voce, non avrebbe più visto quegli occhi così dannatamente blu e poi qualcuno gli passò accanto, ridendo, nessuno sembrava accorgersi di lui o di quel corpo morto. Come se non esistesse. Come se non fosse mai esistito...
«Stai bene?» gli domandò Castiel, inclinando il capo. Nonostante fosse buio i suoi occhi parvero brillare nell'oscurità.
«Perché non sono rossi?» chiese, nella più completa incoerenza. «Perché i tuoi occhi non sono rossi come quelli di tutti gli altri?»
«Mia madre era una Faràs. Io e mia sorella abbiamo ereditato gli occhi da lei e tutto il resto da nostro padre.»
«Era?»
Castiel annuì. «È morta di parto quando è nata Anna» rispose.
«Mi dispiace» asserì Dean, portandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore. «Anche la mia è morta quando ero un ragazzino. Mio padre è venuto a mancare due anni fa. Vivi con tua sorella?»
«Vivevo. Sì.»
Castiel assunse un'espressione che fece appesantire il petto di Dean: avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farlo smettere, pur di allontanare quella sensazione.
«Lei dov'è?»
«L'ho fatta fuggire quando siete arrivati. Sarà al sicuro ormai.»
Dean capì che l'altro non aveva fatto altro che sacrificarsi per la famiglia, esattamente come aveva fatto lui con Sam tante, troppe volte. Non era sicuro di voler sapere altro, non era più sicuro di riuscire a vederlo morire da lì a poche ore come se nulla fosse, come se la questione non lo riguardasse, trattandolo solo come l'ennesimo pezzo di carne finito tra le sue mani.
Questa volta non era certo di poter indossare la maschera dell'indifferenza e guardare dall'altra parte.
Scattò in piedi, deciso, e slegò le corde che trattenevano l'altro, inerme.
«Dean? Cosa stai facendo?»
«Te ne devi andare. Devi andare lontano, trovare tua sorella e non guardarti indietro. Hai capito?»
Castiel si tirò su a fatica e Dean lo aiutò a sollevarsi nel modo più delicato possibile. «Ma se scoprono che mi hai lasciato andare...» obiettò ma Dean scosse il capo.
«Me la caverò, come sempre.»
Dean sentì lo sguardo dell'altro fisicamente addosso, come se lo stesse attraversando da parte a parte e, cosa più strana, non ne fu minimamente infastidito.
Qualunque cosa mi abbia fatto questo tizio non è un bene. Non è assolutamente un bene.
«Ora cerca di lamentarti il meno possibile e riuscirò a portarti fuori di qui.» gli ordinò, prima di trascinarlo lentamente verso l'uscita.
 

*°*°*

 
Arrivarono in un fitto bosco senza essere notati da nessuno nonostante Castiel non si fosse proprio limitato nel lamentarsi.
«Dannazione Castiel, ho ucciso animali che si lamentavano meno» sbottò spazientito, poggiandolo delicatamente sul terreno.
«Non sono stato io a frantumarmi le ossa, ti ricordo.»
«Beh, non sono stato nemmeno io.» replicò. «Pensi di potercela fare da solo da qui in poi?»
«Sì. Sì posso farcela. C'è un villaggio Phade poco lontano da qui, possono accogliermi.»
Dean non voleva lasciarlo andare. Per qualche assurdo e incoerente motivo, non voleva che lo lasciasse. Eppure non riuscì a fare altro che tendergli la mano e guardare altrove, come se, una volta incrociato il suo sguardo, qualcosa gli avrebbe fatto commettere un gesto potenzialmente stupido.
«Abbi cura di te» mormorò, indeciso sul suono che la propria voce aveva assunto.
«Anche tu, Dean.» gli augurò l'altro. «Ci rivedremo.»
«Ne dubito.»
«Io no.» replicò ancora. «Noi crediamo che quando due sfatsei si separano alla fine si rincontreranno sempre.»
«Due cosa
Castiel rise e quel suono caldo e avvolgente lo fece fremere. Era impossibile che una cosa simile gli facesse questo effetto.
«Chiedilo a Jo» lo invitò, incamminandosi con un po' di difficoltà nel sentiero. «A presto, Dean.»
Dean lo vide zoppicare e diventare sempre più piccolo in lontananza, mentre l'orizzonte iniziava a rischiararsi, fin quando non scomparve.
Sorrise, passandosi una mano sulle labbra.
Probabilmente al suo ritorno Bobby lo avrebbe ucciso davvero.
Sicuramente Sam gli avrebbe dato dell'incosciente.
E lui avrebbe di certo raggiunto Jo per scoprire cosa diavolo significasse sfatsei. Per qualche strano motivo, sapeva che doveva trattarsi di qualcosa di importante.

FINE
 

[1] "Capo" in lingua Crest. 
[2] "Amante/Compagno" in lingua Phade.

   
 
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