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Autore: crimsontriforce    14/08/2007    6 recensioni
Su una nave della Federazione tutto questo non sarebbe mai successo.
Star Trek Deep Space Nine, Garak, Odo e un concetto di 'lealtà' del tutto soggettivo.
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: scelgo di usare il termine originale del doppiaggio italiano ‘mutaforma’ perché la successiva scelta di usare ‘cambiante’ per tradurre ‘changeling’ mi ributta anzichenò.

Spoiler per il finale di quinta stagione.

Un grosso ‘grazie di esistere’ a mamma, Dex e Memory Alpha per tutti i dettagli pignoli… e a Reneé Auberjonois e Andrew Robinson per il fascino e lo spessore che hanno saputo donare ai loro personaggi.

Scritta per la sesta sfida di Out of Time, su categoria telefilm e tema tradimento, dove si è piazzata quarta parimerito su dieci storie una più bella dell'altra. Yay!

Strani compagni di complotto

“Signor Garak.”

“Ah… Conestabile! Che… che piacere vederla qui.”

Garak sobbalzò. Non l’aveva sentito arrivare, nonostante avesse gran cura di mantenere i suoi sensi bene all’erta da vent’anni, giorno più, giorno meno. Quell’insolito fatto, dunque, poteva avere tre spiegazioni: o vent’anni (giorno più, giorno meno) di stress stavano iniziando a dargli alla testa, o i mutaforma potevano essere veramente silenziosi, o aveva sbagliato a ricontare i piloni e al suo arrivo ce n’era effettivamente stato uno in più – e nessuna delle tre lasciava ben presagire per futuri sviluppi professionali all’infuori della sartoria. Arrangiò un sorriso d’accoglienza.

“La avverto fin da subito, signor mio: se mi stava seguendo ha sprecato il suo tempo, non sono solito tramare in mezzo alla passeggiata come un qualsiasi incauto Ferengi, anche se l’ora tarda ben si addice ai complotti. Cerchi altrove i suoi colpevoli.”

“Oh, ma nessuno di noi commetterebbe l’errore di sottovalutarla così, signor Garak”, rispose il Conestabile con un ugual sorriso di circostanza, che riuscì a dare i brividi al Cardassiano. “Difatti non sono qui per lavoro.”

“Per cosa, dunque? Non mi tenga sulle spine, Odo, non sarebbe nel suo stile.”

“Per parlare, semplicemente per parlare. È così strano che io cerchi la compagnia di un altro essere vivente?”, disse, incrociando le braccia dietro la schiena e fissando lo sguardo sulle stelle fuori dalla stazione. I suoi lineamenti accennati sembravano mostrare un’ombra di tristezza. “Mi dica, signor Garak”, riprese, “cosa pensa che unisca due gentiluomini che, nel cuore della notte, vegliano sulla stazione deserta?”

“Direi l’insonnia, se non fosse una condizione così squisitamente… solida.”

“Pensavo piuttosto alla nostalgia. Non posso fare a meno di notare che il suo sguardo non è rivolto a Bajor o al tunnel, ma verso la più lontana Cardassia. La patria chiama, non è vero? E più passa il tempo più il richiamo si fa forte…”

Garak preferì non rispondere. Osservò piuttosto il mutaforma, che in quel momento gli stava dando le spalle, e cercò di trovare riscontro dell’improvvisa loquacità del suo interlocutore in un cambio di postura, o in un movimento nervoso. Invano: per cinque anni il capo della sicurezza di Deep Space Nine non aveva lasciato trapelare nulla di sé a chi non fosse un suo stretto confidente e non avrebbe iniziato quella notte. In fondo tutto il suo modo di presentarsi agli altri era una posa, una convenzione solida per convivere con i solidi, e questo faceva di lui e della sua razza le spie perfette non meno della la stessa capacità di mutare forma. Garak, che fin quando gli era stato concesso aveva fatto dello spionaggio uno stile di vita – e non disdegnava di tenersi in esercizio, di tanto in tanto – ne era a tutti gli effetti invidioso.

“So che soffre l’esilio, Garak, glielo si legge in faccia.”

Per l’appunto, pensò.

“E, mi creda, lo stesso vale per me. Solo che per cercare un luogo da chiamare casa devo guardare più lontano, oltre il tunnel spaziale, oltre i pianeti del Dominio, fino a un piccolo mondo roccioso in cui la mia gente esiste secondo la nostra natura, nel Grande Legame.”

Fece una pausa e si voltò verso Garak, voleva assicurarsi che prestasse la giusta attenzione a ogni sua parola. Non ne rimase deluso.

“Ma cosa sono le distanze? Con un semplice runabout in meno di due mesi potrei essere lì. Nel suo caso, siamo nell’ordine dei due giorni. Il problema, come entrambi sappiamo, è un altro.”

Un’altra pausa.

“La nostra patria non ci vuole. È difficile essere un esule, e lei lo sa bene quanto me.”

Il terzo silenzio esigeva una risposta. Sentendo le parole dell’altro, Garak sentì il bisogno di incrociare le braccia al petto, come a tenere ben stretto il poco calore che la stazione offriva al suo corpo a sangue freddo. Terok Nor era diventata aliena per lui, ma poteva solo immaginare quanto potesse esserlo per Odo, il cui sfogo era, seppur sorprendente, tutto sommato comprensibile.

“Non pensa anche lei che sarebbe preferibile per entrambi porre fine a questa incresciosa situazione?”

“Certo che lo sarebbe, signor conestabile”, rispose con una risata nervosa, “se non ci fosse quel piccolo e fastidioso inconveniente che chiamano ‘guerra’, non crede?” E si dà il caso che la mia patria e la sua continuino caparbiamente a fomentarla.”

“Non mi era sfuggito, ed è per questo che le sto parlando qui ed ora.” Anche il mutaforma aveva incrociato le braccia, lo stava squadrando dall’alto in basso con un sorriso appena accennato. “C’è, vede, un modo perché lei si riabiliti agli occhi del suo Governo Centrale, e io allo stesso tempo possa tornare a testa alta fra la mia gente, da pari e non da condannato.”

“Sarà certamente un progetto mirabile, non lo metto in dubbio”, rispose Garak sorridendo con riverenza e un pizzico di servilismo. Non sapeva dove Odo sarebbe andato a parare, ma nella sua testa erano scattati già più allarmi che su una nave sotto attacco Jem’Hadar. E il comportamento del conestabile era così insolito che iniziò a farsi strada in lui il sospetto che fosse una finta, un qualche inganno ai suoi danni.

“È un buon piano”, concesse il mutaforma, “che ha bisogno del suo aiuto, e so che non me lo negherà.”

“Il… mio aiuto?”

“Proprio così. Mi aiuti a consegnare Deep Space Nine al Dominio, Garak, ed entrambi saremo accolti come salvatori.”

Garak non annaspò e non sgranò gli occhi di fronte alla proposta, né esternò in altro modo lo sgomento che stava provando. Al contrario, il suo sorriso si allargò di una frazione.

“Non sono certo di aver sentito bene. Mi sta proponendo un…tradimento?”

“No”, rispose il mutaforma dopo una breve riflessione.

“Argomentazione interessante… quindi”, disse accigliato, girandosi verso la passeggiata e indicandola tutta con un movimento del braccio, “sarebbe questo il tradimento?”

“Pensavo che un Cardassiano, fra tutti, avrebbe compreso un gesto dettato dall’amore per la propria patria. Per lontana o ingrata che sia.”

Lo sguardo del mutaforma non prometteva nulla di buono – simili confidenze mal si accordano ad un rifiuto.

“Ah – non sia così svelto a giudicarmi, caro mio. Dovrebbe aver capito ormai che sono una persona curiosa… chiedevo, tutto qui. Chiedevo.”

“E che opinione se ne è fatta? Andiamo, Garak, sappiamo benissimo entrambi a chi va la sua lealtà…”

“Lealtà?”, fece per rispondere Garak inarcando un sopracciglio. La lealtà è, non meno della verità, un rifugio per persone prive d’inventiva, avrebbe voluto dirgli, ma era stato preso da un pensiero poco rassicurante che lo bloccò di colpo.

“Proposta… interessante”, disse invece. “Ma ho bisogno di tempo per pensarci.”

“Tempo…?”

“Tempo, sì. Ho degli amici qui, se le fosse sfuggito, e una persona cara la considerava casa.”

Il motivo non era proprio quello, ma non ritenne necessario specificare.

“Dunque ha bisogno di tempo…”, ripeté il mutaforma. “Ne abbiamo, sì, ma non troppo. Penso che nutriamo di sufficiente stima reciproca da essere certi che non tenterà di comunicare al Capitano questa mia… mutata visione delle cose… Rifletta quanto vuole, ma sappia che la tengo d’occhio.”

“Signor Odo!”, rispose fingendosi scandalizzato. “Non mi permetterei mai… si risparmi la fatica. Inoltre”, aggiunse, “ci terrei a sottolineare che conosco bene il numero e la disposizione di mobili e suppellettili nel mio alloggio.”

“Ha! Ma avrebbe un occhio abbastanza allenato da distinguere un aumento di qualche millimetro nello spessore del tavolo?”

“Non mi metta alla prova.”

“Non mi costringa a farlo. La contatterò io quando lo riterrò sicuro, nel mentre non parli a nessuno del nostro incontro di stanotte. Nessuno significa neanche a me, la avverto che se mi rivolgesse parola farei finta di non saperne nulla.”

“Rifletterò in completa solitudine, non tema…”

“Confido nel suo buon senso”, concluse l’altro con un caratteristico sorriso. “Buona notte, allora, signor Garak.”

“Un’ultima domanda, perdoni la sfacciataggine.”

“Dica, ma faccia in fretta.”

“…e il maggiore Kira?”

“Non… non ho mai avuto speranze. Buona notte.”

Il Cardassiano sapeva di aver varcato un confine pericoloso con quella domanda, e la freddezza con cui era stata accolta lo confermava. Un po’ troppo veloce, però, rispetto a quanto si sarebbe aspettato…

“Altrettanto a lei, Conestabile.”

Nel tirare le somme, attardandosi ancora a guardare le stelle prima di ritirarsi nel suo alloggio, Garak si ritrovò inaspettatamente confuso. Aveva grande stima dell’intelligenza di Odo e avrebbe sperato di non doversi mai trovare a confrontarsi con lui in una battaglia d’intelletti, eppure era accaduto, ed era di vitale importanza uscirne vincitore. E la situazione non era facile. Continuavano ad esserci più tradimenti, fra possibili e accertati, di quelli in cui avrebbe preferito imbattersi – più tradimenti di cui non reggesse le redini, almeno.

Il primo era, palesemente, contro Deep Space Nine. Era mai possibile che l’integerrimo Odo avesse deciso da un giorno all’altro di cambiare bandiera? Possibilissimo, a quanto pareva, ma…? Checché ne avesse detto lui stesso, Garak sapeva bene quanto il suo compagno d’esilio tenesse alla stazione e ai suoi occupanti, l’aveva visto con i suoi occhi e restava valido anche a prescindere dalla spinosa questione Kira. Era un tradimento bell’e buono nei confronti delle centinaia di persone che guardavano a lui come al difensore della giustizia su DS9.

Vero anche che anche i Fondatori lo consideravano uno di loro, uno dei Cento, un loro avamposto… però li aveva sempre rifiutati, e non si poteva dire che avessero avuto poche occasioni per convincerlo della loro causa. Quel cambiamento, quindi, era e restava abbastanza improvviso da essere sospetto.

Ed era sospettosamente credibile, soprattutto, alla luce di quelle riflessioni, la possibilità che fosse tutta un’elaborata bugia per testare la sua fedeltà alla Federazione in tempo di guerra: al posto di Odo o di Sisko non si sarebbe fatto scrupolo di controllare l’anello debole della catena in modo simile o ancora più subdolo. In quel caso, e Garak aveva qualche problema ad accettarlo, il tradimento sarebbe stato nei confronti della fragile complicità che si era formata fra loro dopo lo spiacevole incidente di Omarion Nebula. Aveva qualche problema ad accettarlo: non ci si guadagna duramente l’altrui fiducia per poi trovarsi comunque in situazioni del genere. E lui stesso avrebbe dovuto tradire quella fiducia – ma quello, beh, si sapeva che prima o poi sarebbe accaduto – perché la questione non era più di ordine morale (lo era mai stata?), una scelta fra il benessere personale e un ordine galattico tutto sommato preferibile. La questione consisteva nello stabilire la veridicità delle parole dell’altro, e il problema era trovare i mezzi per farlo.

Le stelle però non l’avrebbero consigliato, e l’ora era abbastanza tarda da imporgli il riposo. Col solo ragionamento diretto non sarebbe arrivato da nessuna parte, non aveva abbastanza dati. Secondo qualche astruso ragionamento terrestre la notte gli avrebbe dovuto portare consiglio, e tanto valeva fare un tentativo.

La mattina seguente, in verità, si svegliò più confuso di prima. Gli doleva la testa per il poco sonno e gli innumerevoli pensieri sembravano rimbombarvi dentro, e il gusto per la sfida che l’aveva animato la notte precedente sembrava essersi dissolto nelle più concrete preoccupazioni per la gravità della situazione. Era fuori allenamento, ecco cosa.

“Un doppio raktajino ghiacciato”, ordinò secco al replicatore sperando che servisse a scacciare il sonno, se non i pensieri. La posizione di Odo era inattaccabile, insondabile, e si ritrovò a tastare preoccupato il bordo del tavolo in cerca di eventuali cambiamenti. Col solo ragionamento diretto, come aveva già intuito la notte precedente, non sarebbe arrivato da nessuna parte, neanche ad una semplice approssimazione probabilistica… Per sua fortuna, il ragionamento diretto non era che una delle tante armi a sua disposizione.

In tarda mattinata, immerso nella quiete del suo negozio, Garak era impegnato in un lungo e tedioso lavoro di marcatura e imbastitura di un abito tradizionale Klingon. Tenere insieme i pesanti strati di cuoio e tessuti pregiati impegnava buona parte delle sue facoltà, ma in fondo alla testa non aveva mai smesso di arrovellarsi sul suo dilemma, e forse proprio grazie a quel pensiero non del tutto guidato, non del tutto cosciente, giunse infine alla conclusione di avere la soluzione in pugno. Forse. Con un po’ di fortuna.

Mise da parte l’abito e si concentrò sui dettagli, con un sorriso sornione stampato in viso.

“Salve”, lo salutò tranquillo quando, il giorno successivo, lo vide apparire in negozio ben oltre l’orario di chiusura. Dato il visitatore, peraltro, non c’era rischio che fosse lì per commissionargli un lavoro.

“Salve a lei. Confido che abbia risolto il suo piccolo… dilemma? Il tempo stringe, e vorrei discutere dei dettagli.”

“Sì ma, vede…”, iniziò, prendendo tempo e armeggiando con i controlli che regolavano la chiusura del portone, “c’è una spiacevole infezione che gira nella stazione di recente… ‘coscienza’, mi pare la chiamino, e neanche il dottor Bashir sembra riuscire a trovare un antidoto e…”

“Parli chiaro, signor Garak, o la faccio arrestare per intralcio alle indagini.”

“Credo che avrebbe qualche difficoltà a farlo, almeno nel prossimo futuro. Vede, ho raccontato tutto al capitano Sisko, la sicurezza arriverà da un momento all’altro… e non per arrestare me”, concluse nella sua migliore imitazione di un’espressione angelica. Incrociò le braccia e studiò ogni variazione nel volto del mutaforma, la cui maschera tranquilla non riusciva a nascondere del tutto l’ira. Sembrava sinceramente furente.

“Come ha… osato… quando??”

“I dettagli non la riguardano, signor mio. Davvero credeva di potermi tenere d’occhio? Che non sarei riuscito a sfuggire alla sua primitiva sorveglianza? L’Ordine Ossidiano ha le sue risorse, e sfidarne un membro è stato un errore letale per molti, signor Odo. Si consideri aggiunto alla lista.”

Si fronteggiarono in silenzio per un minuto intero prima che Garak si ritenesse soddisfatto.

“Bene! Accetto”, esclamò garrulo. Voleva parlare di dettagli, conestabile…?”

Si dovette trattenere per non scoppiare a ridere di fronte all’espressione allibita e persa dell’altro, e l’allentamento improvviso di tutta la tensione dei due giorni precedenti certo non aiutava, ma fece del suo meglio.

“Esca pure dalla fessura della porta, non è a tenuta stagna e non ci troverà nessun Bajoriano in uniforme pronto a farle la pelle, non si preoccupi… o non si fida di me?”, concluse con un sogghigno.

Ottenne in risposta solo uno sdegnato silenzio.

“Via, via, ora non faccia l’offeso. Mi spiace che non abbia gradito il mio piccolo bluff, Ma un gentiluomo deve sapersi tutelare in tempi difficili come questi, non trova?”

“E cosa c’entra questo con la mia proposta?”

“Signor Odo, la facevo meno ingenuo. Chi mi garantiva che non sarebbe stato lei a spifferare tutto al nostro stimatissimo capitano, o addirittura che non fosse una sua idea? Deve ammettere che non sarebbe stato così impensabile, da parte di voi due… qui la giustizia opera su toni di grigio, nulla di strano in un test non ufficiale per quel potenziale traditore di un sarto… e difatti eccomi qui, pronto a complottare come un Romulano in giornata buona. Che dice, non ho forse fatto bene a mettere le mani avanti?” Fece una pausa e notò che sulle labbra serrate dell’improbabile compagno di complotto si andava formando un sorriso. “A dir la verità anche ora non posso essere completamente certo della veridicità delle sue reazioni, potrebbe avere al contrario previsto il mio bluff e finto di caderci, ma ormai mi sono scoperto e vada come deve andare, e se mi dovrà sbattere in una prigione almeno che sia su un pianeta caldo. Per favore.”

“Lei mi piace, signor Garak. Posso considerare questo posto già in mano al Dominio… Parliamo di affari, dunque.”

“Parliamone. Perché diceva di aver bisogno del mio aiuto?”

“È una questione di codici.”

“Codici?”

“Codici di sicurezza della stazione che mi sorprenderei se lei non avesse.”

“Ma i miei codici risalgono a più di cinque anni fa, e… Oh!”

“Vedo che inizia a comprendere…”

“Mio padre non mi ha fatto scemo. Ma il capo O’Brien non aveva disattivato tutti gli omaggi gentilmente lasciati da Dukat ai suoi successori?”

“Ho ragione di credere che uno o due siano rimasti attivi… attivabili, per meglio dire.”

“Se si riferisce all’autodistruzione, la avverto che non sono mai riuscito a…”

“No, a questo”, lo interruppe il mutaforma mettendogli in mano un datapad. “Sarebbe sufficiente a gettare la stazione nel panico e renderla inerme contro un’incursione Jem’Hadar che potrebbe avvenire, diciamo, fra dieci giorni, se darò il segnale.”

“Ma le serve qualcuno che li attivi.”

“Esatto, e anche in senso materiale, visto che i suoi preziosi codici andrebbero inseriti dall’ex ufficio di Dukat… attualmente ufficio del capitano. Posso creare un diversivo per allontanare tutti gli ufficiali superiori dal centro operazioni, ma no riesco ad essere in due posti contemporaneamente… non ancora, almeno.”

“E come, se è lecito chiedere?”

“Lecito e previsto”, annuì soddisfatto. In pochi secondi Odo era scomparso e il massiccio corpo di Worf aveva preso il suo posto, perfettamente ricreato fin nei più minuti dettagli della cresta. “Non sono più la cavia di laboratorio del dottor Mora, incosciente delle sue origini e delle sue potenzialità”, aggiunse nella voce profonda del Klingon.
“Capisco… impressionante, davvero impressionante”, ammise Garak, ringraziando in cuor suo che non avesse scelto Ziyal come oggetto della trasformazione, o la sua risolutezza avrebbe potuto vacillare pericolosamente. La dolce amica non avrebbe approvato una simile scelta, e a lui non restava che gettarsi alle spalle quel ricordo.
“Posso considerarla convinta?”, disse il mutaforma, tornato alle sembianze usuali.
“Certamente. Manca solo un dettaglio…”
“Ai Jem’Hadar sarà ordinato di portarci a bordo appena entrati a distanza di teletrasporto, se era quella la sua perplessità. Per allora gli scudi della stazione saranno inattivi.”
“Semplicemente fantastico. Avrebbe dovuto fare il Betazoide, prima, invece del Klingon… le si addice.”
“Hmpf. Restiamo d’accordo, dunque… Ho la sua parola?”
“Ha la mia parola.”
“Bene. Ha una decina di giorni per ottenere il codice di sicurezza di Sisko o Kira, le serviranno per accedere ai file di Dukat.”
Cosa?? Un momento, questo non era nei pa…”
“Arrivederci, signor Garak. Le raccomandazioni della scorsa volta restano valide.”
Senza aspettare risposta, passò alla sua originaria forma liquida e filtrò dalla porta, lasciando il Cardassiano solo e con una bella gatta da pelare, secondo un altro inspiegabile detto terrestre.

I giorni successivi videro un Garak insolitamente partecipe alla vita sociale della stazione mentre cercava di capire da che parte iniziare ad estorcere i codici delle due figure più autoritarie ed influenti di Deep Space Nine. Ingraziarsi Quark era il primo passo, essendo il suo bar tappa obbligatoria per lo smercio illegale di apparecchiature di ogni genere. Un’operazione di hacking? Più che probabile… ma se fosse fallita, su chi fare pressione? Dapprima pensò a Kira, anche se Odo non avrebbe gradito. D’altronde, se lui stesso aveva detto di aver lasciato perdere… però avrebbe potuto avere ugualmente qualcosa da ridire riguardo all’uso di modi più diretti sul maggiore. Ma chi poteva dire quanto avrebbe resistito? Se in tutta Bajor c’era una persona dotata di spina dorsale era lei, senza dubbio. Sisko, per contro… non ci voleva neanche pensare. Quark avrebbe avuto quello che gli serviva, punto. Diamine, c’era qualche possibilità che lui stesso conoscesse già i codici…

Così immerso in questi pensieri stava tornando al lavoro dopo un pranzo con Julian e, nel fare due passi, si trovò involontariamente a passare di fronte all’ufficio della sicurezza. Stava accelerando per portarsi alla larga da ogni possibile complicazione quando sentì provenire dall’ufficio la risata forte e decisa del maggiore Kira. Non era l’unico ad aver intensificato i rapporti sociali, a quanto sembrava… incuriosito, rallentò il passo e si fermò ad osservare la folla, rigorosamente a tiro d’orecchio.
Odo parlava troppo piano, ma non c’era rischio di confondere il tono allegro del maggiore che stava raccontando con dovizia di particolari tutti gli incontri avvenuti durante una recente visita sulla sua Bajor. Dopo cinque, dieci minuti, in cui a Garak sembrò di aver memorizzato ogni essere vivente presente sulla passeggiata, la conversazione giunse al suo termine, e Odo cavallerescamente si alzò per aprire la porta alla sua ospite. “Arrivederci, Nerys”, le disse semplicemente, in un tono così triste e affettuoso che fece accapponare la pelle al Cardassiano. Quella non è, si disse, la voce di una persona che ha perso la speranza. Neanche per sbaglio, neanche recitando, neanche per tutto il latinum del quadrante. No.
“Salve, conestabile”, mugugnò a denti stretti sentendo il suo sguardo fisso su di sé.
“Buongiorno Garak”, rispose Odo reclinando la testa e abbozzando un sorriso, ancora perso nelle memorie della passata conversazione. “Posso aiutarla in qualche modo?”
“No, si figuri, mi stavo affrettando in negozio”, tagliò corto. “A presto, l’attendo…”
“Mi… attende?”, fece in tempo a chiedere il perplesso mutaforma prima di perderlo di vista.

Quell’incontro fortuito provocò un’imprevedibile reazione a catena.
Garak divenne sospettoso di tutto, anche della sua stessa ombra ma soprattutto di Odo: la reazione che aveva avuto non poteva essere casuale né tantomeno compatibile col suo precedente comportamento. Sembrava impossibile… ma, come soleva ricordargli Julian, l’impossibile non esiste… e poi andava avanti declamando qualcosa sul fatto che la verità, per quanto improbabile… qualcosa. Non aveva mai prestato troppa attenzione a quei racconti, tranne che a quelli su una certa spia ricca, amata e riverita che per ovvi motivi solleticavano la sua immaginazione.
Tornando al punto, il comportamento del conestabile era doppiamente anomalo, e la faccenda meritava un’analisi più approfondita, anche a costo di correre dei rischi. Non avendo altri indizi, decise di cercarseli con un blando e cauto pedinamento che ridusse al minimo le ore passate al lavoro – tanto, quando il piano fosse andato in porto, nessuno lì dentro avrebbe più avuto bisogno di uniformi. I codici potevano aspettare e, eventualmente, i Jem’Hadar con loro, la massima priorità andava all’essere certo di non venir tradito a sua volta, e tutte le garanzie dategli dalla reazione al suo bluff sembravano dissolversi alla velocità di un tunnel spaziale.

Il suo quieto spionaggio sembrava procedere tanto liscio quanto infruttuoso e, dopo aver assistito all’ennesimo scambio di minacce con Quark – si rifiutava anche solo di ipotizzare che fossero una specie di codice segreto – avrebbe tanto voluto poter desistere. In fondo, cosa stava cercando? Una traccia, una qualunque, in una direzione o nell’altra. Che fosse una conversazione con un ufficiale superiore o un suo sottoposto, un messaggio cifrato, tracce di comunicazione col Dominio… qualunque cosa potesse accertare la sua reale posizione. In fondo non aveva ragione di sentirsi osservato, e si sarebbe pur fatto sfuggire qualcosa, prima o poi.
Le sue speranze si ravvivarono quando lo vide dirigersi verso una promettente stiva di carico in disuso… maledicendo i piedi doloranti, si accinse a seguirlo alla più paranoica distanza di sicurezza possibile. Proseguì per i corridoi seguendo il passo regolare del mutaforma, ma a pochi metri dall’ultima svolta sentì la porta della stiva aprirsi, richiudersi e poi il silenzio. L’isolamento acustico non gli permetteva di seguire oltre rumori così tenui.
Svoltò l’angolo, indeciso sul da farsi. Il corridoio era prevedibilmente vuoto, solo un paio di casse giacevano impilate vicino all’ingresso. Se, accostandosi alla porta, fosse riuscito a sentire cosa stava succedendo all’interno, avrebbe probabilmente avuto tutte le risposte che cercava, anche se la posizione era rischiosa… Oh, dannazione, pensò, posando nuovamente lo sguardo sulle due casse.

“Ha qualcosa da dirmi, signor Garak?”, disse Odo dopo essere tornato in sembianze umanoidi. “È da ieri che si comporta in modo… inconsueto. Le spiacerebbe fornirmene una motivazione?”
“Potrei dire lo stesso di lei…”
“Si spieghi meglio.”
“Non credo di essere io a fare sospette passeggiate notturne in direzione del mio negozio, sa?”
“Mi può spiegare di cosa sta parlando?”
“Per favore, Odo!”, sbottò Garak. “Ci siamo solo noi due qua dentro, nessun altro con cui salvare le apparenze! La smetta!”
Era furente, prima di tutto con se stesso per essersi lasciato giocare così – ormai sembrava impossibile che la proposta dell’altro fosse stata veritiera, ma allo stesso tempo non poteva credere di essersi sbagliato così grossolanamente, e non gli restava che sperare in un’improbabile terza verità.
“La smetta lei di parlare a vanvera”, ribatté Odo con una punta di stizza nella voce, “è biologicamente impossibile che io mi dedichi a passeggiate notturne di qualunque tipo… men che meno verso il suo negozio.”
“…come, prego?”
“Sa a cosa mi riferisco”, rispose alzando gli occhi al soffitto. “E ora si spieghi.”
Dall’insolito imbarazzo, più che dalla frase in sé, a Garak tornò in mente la necessità, da parte del mutaforma, di rimanere nella sua forma originaria a intervalli estremamente regolari. Odo ne andava tutt’altro che fiero e tendeva a non menzionarlo, ma in effetti negli oltre cinque anni di convivenza sulla stazione non gli pareva di averlo mai visto in giro nelle ore in cui erano avvenuti gli incontri. Escluso l’impossibile, quello che rimane, per quanto improbabile, è la verità, ecco com’era. Se non poteva essere Odo, dunque, non era… non era Odo?
“Non saprei come dire…”, buttò lì, cercando di prendere tempo e di analizzare la nuova ipotesi, a tutti gli effetti la terza verità in cui aveva sperato – seppur più scomoda di come l’aveva sperata, avrebbe risolto molti interrogativi.
“O non saprebbe cosa inventare?”, rispose il mutaforma, palesemente innervosito. “La avverto, Garak, sto aspettando. Mi faccia aspettare un altro po’ e la sbatto in cella per accertamenti.”
“Conoscendola, sarebbe capace di lasciarmi lì anche per dieci giorni, vero?”
“Anche di più”, minacciò accigliato, “se non tira fuori una storia convincente.”
È deciso, pensò Garak mentre arrancava per inventarsi un motivo plausibile per aver seguito il capo della sicurezza: se anche avesse finto finora, quale mente perversa imprigionerebbe un suo complice a scapito della riuscita del piano? Non era lui. Era… era un altro mutaforma, un infiltrato. Probabilmente arrivato con l’ultimo trasporto dalla Terra o da un altro pianeta in cui avessero spie già da tempi non sospetti. Notevole.
Anche nella sua scomoda situazione non poté far altro che apprezzare la cura con cui avevano elaborato il piano. Presentarsi come Odo per destare meno sospetti – in lui, che avrebbe dato più ascolto a un fidato conoscente, ma soprattutto nel resto della stazione – era stato un tocco di classe, ed erano invidiabili gli archivi del Dominio (anche se ipotizzava che il Governo Centrale ci avesse messo una parola o due) che avevano permesso di puntare a colpo sicuro su chi aveva tutti i mezzi e le ragioni per tradire la sua… la sua casa.
Era semplicemente imbarazzante pensare che una simile opera d’ingegno sarebbe fallita per colpa del suo caratteristico eccesso di paranoia, forse era un dato che al Dominio mancava. Sarebbe fallita, a meno che…
“La mia pazienza è al limite, la avverto.”
A meno che il suo vero complice non lo venisse a sapere, evento non improbabile considerando che la notizia del suo arresto avrebbe fatto il giro della stazione in tempo record.
Nella migliore delle ipotesi, entro due giorni avrebbe trovato un momento adatto per spacciarsi per Odo e ordinare la sua liberazione. Certo, avrebbero dovuto escogitare un modo per far sì che nessuno si accorgesse della sua fuga, ma per due persone dotate d’ingegno sopraffino sarebbe dovuto rientrare nei limiti del possibile. Il Fondatore l’avrebbe dovuto aiutare, in fondo gli aveva dato la sua parola, e con un po’ di fortuna tutto sarebbe andato per il verso giusto. Perché no?
Garak sospirò e si schiarì la voce.
“Temo di averla pedinata per errore.”
Odo alzò un sopracciglio, espressione più che esauriente delle sue opinioni in merito all’esaustività della spiegazione.
“Il fatto è che, vede, c’è un altro mutaforma sulla stazione.”
Anche un bambino avrebbe potuto vedere ‘perché no’. In prima battuta, un piano con minimo tre fattori d’incertezza – e di quella risma – non è un piano. Poi, lui stesso se si fosse trovato al posto dell’altro non avrebbe mosso un dito per un salvataggio così rischioso: una volta accertato che aveva i codici, sarebbe stato molto più sicuro tentare di ottenerli dal suo alloggio e trovarsi un altro complice. Poi, poi, poi. Maledetto il suo pessimismo cronico.
“Si spieghi meglio. Ha la mia attenzione.”
“Pochi giorni fa, signor Odo, abbiamo avuto un’illuminante conversazione notturna sulla passeggiata, seguita da un’altra nel mio negozio, in cui mi ero attardato per via di certi lavori urgenti…”
“Vada avanti.”
“In questi colloqui lei, lo stimato ed incorruttibile capo della sicurezza, mi ha fatto una proposta a dir poco sorprendente: tradire tutti coloro che hanno accolto noi due esuli e rendere inerme la stazione in vista di un attacco del Dominio che avrà luogo, a quel che mi risulta, fra poco meno di sei giorni. Da bravo e coscienzioso residente di Deep Space Nine, il mio primo dovere sarebbe stato quello di riferire tutto al capitano…”
“Ma…?” Odo aveva incrociato le braccia, ma non gli stava rivolgendo uno dei suoi sorrisi di sufficienza. Era un buon segno, e se lo meritava tutto: in fondo, stava raccontando tutta la verità e nient’altro che la verità, o per meglio dire ‘molta più verità del solito’, un avvenimento raro. Elim avrebbe gradito.
“Ma mi guardi bene, la mia parola contro la sua? A chi avrebbero creduto? Così l’ho inseguita cercando prove, mi è sembrata la cosa più logica da fare, non ne conviene anche lei? Fortuna vuole che il suo comportamento quest’oggi mi abbia suggerito in tempo e senz’ombra di dubbio la verità, ed ora eccomi qui.”
“Storia interessante. Perché dovrei crederle?”
“Perché può ben immaginare che se l’avessi inventata sarebbe stata molto più credibile”, rispose con un sorriso astuto, “e che non incorrerei mai in rischi così grossolani se non fosse per qualcosa di veramente grosso.”
Si squadrarono a lungo nel silenzio del corridoio, Odo tentando di districarsi in mezzo a una storia più grande e complessa di quel che aveva immaginato, Garak semplicemente tornando col ricordo a una casa che sembrava sempre più lontana.
“Mi segua in ufficio. Ho bisogno di una dichiarazione scritta, dopo di che bloccherò le partenze dalla stazione e avvierò le ricerche.”
Sempre, sempre più lontana.


“È questo il posto? Qui è iniziato tutto?”
“Qui, sì… la finestra che si affaccia su Cardassia. Romantico, non trova? Mi rincresce doverla importunare con la mia presenza, ma mi è stato informalmente suggerito dal capitano, e le risparmio le informali alternative…”
“Non si scusi, sono stato io a proporlo… informalmente”, sorrise Odo. “Finché le analisi del sangue non avranno localizzato il Fondatore è necessario che qualcuno mi accompagni giorno e notte per impedirgli di farla franca col mio aspetto.”
“Capisco. Il caso è risolto, dunque. La giustizia segue il suo corso, e a noi non resta che aspettare.”
“Mi dica”, lo interruppe Odo. “Cosa le ha detto? Come l’ha convinta?”
“Non mi ha…”
“Non mi faccia così ingenuo. Ha visto l’opportunità di uscirne pulito e l’ha sfruttata, non ho prove né voglio cercarne, ma i fatti restano questi.”
“Ah… e va bene. Mi ha detto la verità, Odo, una verità che conosce bene anche lei, ma che preferisce ignorare.”
“Cosa intende?”
“Che ovunque ci voltiamo, qualunque sia la nostra scelta… saremo sempre dei traditori, io e lei. Abbiamo un piede in due mondi e non potremo mai servirli entrambi.”
“Questo, però, non ci esime dal fare la scelta giusta.”

   
 
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