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Autore: GilGalahad    25/01/2013    0 recensioni
La regina guardò l’uomo di fronte a lei, e per la prima volta si trovò non esattamente sicura delle sue idee, come poteva quel piccolo insignificante insetto sfidarla in quel modo? Lei che aveva sempre fatto un vanto di essere più forte degli uomini che si illudevano di possederla in quanto debolissima donna?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cacciatore / Eric, Regina Ravenna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La regina guardò l’uomo di fronte a lei, e per la prima volta si trovò non esattamente sicura delle sue idee, come poteva quel piccolo insignificante insetto sfidarla in quel modo? Lei che aveva sempre fatto un vanto di  essere più forte degli uomini che si illudevano di possederla in quanto debolissima donna? La aveva stupita ed irritata per il fatto che piuttosto di tremare di paura come tutti prima o poi facevano al suo cospetto visto quello che sapeva fare  continuava a guardarla negli occhi come per sfidarla a fare qualcosa, come se lo sperasse. Vuoi morire piccolo uomo miserabile, e perché mai? Affondò in quegli occhi azzurri  con la stessa facilità di due mani che affondano in un secchio d’acqua limpida e si trovò sommersa dal dolore,  dolore per la perdita di una donna? E da quando un uomo può provare dolore per la perdita di una donna,  ma quella mente ne era piena, talmente piena che disturbava perfino lei, lei l’insensibile per definizione, i meandri della sua mente erano costellati di immagini di lei, non era bella quello era sicuro ma la felicità connessa a quelle immagini la lasciò spiazzata ed anche il solo fatto che il sentimento dominante nel presente sullo sfondo non fosse la paura come tutti gli esseri insignificanti prima di lui ma la pura e semplice disperazione e quasi una punta di quella felicità perduta sapendo che con ogni probabilità sarebbero stati gli ultimi istanti su questa terra ed avrebbe potuto ricongiungersi alla sua amata, provocava un terremoto nel suo animo danneggiato.
Uscì da quella mente e si accorse di non aver pensato a quella stupida ragazza ed al suo cuore per un po’ ma ora il sentimento si rifece forza “Fuori!” Tuonò,  tutti i soldati sparirono “Tu no!” disse puntando il dito verso l’uomo facendolo fermare all’istante.
“E così piccolo uomo, vuoi morire?” lui si limitò a guardarla negli occhi rimanendo in piedi sfidandola “Non ti accontenterò, rimarrai qui tra le mura di questo castello a cadere in rovina” gli sibilò in faccia prima di chiamare ancora delle guardie per comunicare la sua ormai irrevocabile decisione, non dovevano lasciarlo scappare ma avevano la proibizione tassativa di ucciderlo ci avrebbe pensato il dolore, quando tutto il vino che aveva in corpo sarebbe svanito, quanto all’inseguimento della ragazza ci avrebbe pensato lei stessa quando e se fosse diventata pericolosa.
I giorni passavano e lei non pensò più a quello strano uomo, lo aveva fatto rinchiudere in una di quelle celle da cui era fuggita la ragazza, a dire la verità il suo sguardo correva sovente verso quella torre ma era più per una curiosità repressa che per una vera necessità, ma non era il momento di pensare a quello, doveva conservare le forze, i giorni si susseguivano e lei cercava di mantenere se non di aumentare il suo potere, una sera poi si era sentita troppo stanca e cominciava  ad intravedere i segni di una vecchiaia che la ossessionava, si era fatta portare una ragazza  da cui drenare la linfa vitale, e bevve con ingordigia da quel calice umano che faceva di tutto per sottrarsi a quella fine imminente, sciocca, non sarebbe finita ma solo invecchiata. Quella poverina in un ultimo sforzo graffiò la mano della regina e la guardò negli occhi con odio, un odio tale che le fece mollare la presa all’istante. Lasciò la vittima sul pavimento e prese a correre …
Si trovò davanti alla porta della cella in cui aveva fatto portare l’uomo una forte attrazione verso la porta la colse, aprì ed entrò scavalcando poche ciotole di cibo lasciate intatte ai lati della cancellata e lo vide accasciato a terra, sporco e puzzolente ma nonostante questo gli si accovacciò accanto e con la mano gli toccò quelle labbra secche, da cui spuntava ormai lunga la barba bionda, il sangue della ferita infertale dalla ragazza sporcò inavvertitamente la guancia irsuta di lui, per qualche stranissimo motivo il sangue scomparve all’istante e le guance esangui ripresero colore e gli occhi si aprirono, spaventata da quella reazione si alzò ma venne trattenuta dalla mano dell’uomo “Acqua vi prego” lei non disse niente e si alzò.
Ma in fondo perché negare dell’acqua? Con un semplice segno della mano una sorgente d’acqua comparve, un grazie sussurrato  la fece trasalire. Era la prima volta che qualcuno la ringraziava senza la paura di rimanere ucciso, senza essere terrorizzato da lei un grazie dovuto alla riconoscenza era una cosa nuova per lei, nella penombra di quel tardo pomeriggio d’autunno però successe una cosa, da un albero morto nel giardino del castello sbocciò una rosa rossa, e la vittima sacrificale di quell’ultima sera si rialzò e inizio a ringiovanire lentamente. La regina tornò nella sua stanza e si vide ancora giovane e bella come lo era sempre stata.
Passarono ancora giorni, giorni in cui le notizie si facevano più monotone, la ragazza non era stata più vista e si sussurrava avesse trovato rifugio presso dei nani o presso un piccolo gruppo di guerrieri ancora fedeli a suo padre, pochi guerrieri deboli e male armati che avevano avuto abbastanza sale in zucca da non venire a cercare rogna ai cancelli del castello. La regina invece continuava a domandarsi cosa era mai successo: quella sera era stata in grado di ridare la vita ma paradossalmente aveva rovinato la sua, il cuore che non pensava di avere dopo tutti quegli anni cominciava seppur timidamente a fare le sue rimostranze per tutte le vittime innocenti che aveva ucciso o aveva fatto uccidere, per i suoi che aveva mandato molte volte a morire combattendo; aveva preso l’abitudine di passeggiare in giardino per calmarsi un attimo e fu lì che la notò: una rosa rossa che aveva l’audacia di  fiorire in tutta quella desolazione, di un rosso acceso quasi accecante quel fiore portava in sé tutto il coraggio di una terra martoriata che era stata portata da lei alla rovina, alzò la punta delle dita bianche verso quella meraviglia quasi sperando di ferirsi, per non sentire quel fastidiosissimo pungolo che la stava riconciliando alla vita dopo un odio che non voleva rinnegare, non voleva vivere, senza l’odio che provava verso gli uomini non era niente; ad un tratto un soffio, un respiro malsano la colse, facendola distogliere dalla rosa che stava guardando con tanta bramosia, rientrò nel castello, come era diverso quel castello dalla sua prima casa: poco più che tre assi inchiodate, il padre morto in battaglia, per un re che alla prima occasione non aveva esitato a rapirgli e stuprargli la figlia e la moglie per poi dopo mandarle una a fare la serva col fratello  ai suoi soldati che non l’avevano trattata meglio di lui mentre l’altra vista la sua scarsa utilità e l’aura sinistra che si portava dietro l’aveva mandata a morte, ma l’avevano pagata tutti per ciò che avevano fatto a lei e ai suoi, aveva personalmente sgozzato il re e tutti quelli che l’avevano maltrattata e poi aveva cominciato la sua opera di conquista.
Persa nei suoi pensieri non si accorse di essere ancora capitata davanti alla porta di quell’uomo, quando entrò risentì quel soffio malsano, era lui che tremava per la febbre, puzzava, aveva avvolto attorno al corpo la fodera di quel misero pagliericcio come l’ultima volta si accovacciò al suo fianco, aveva gli occhi aperti ma non vedevano, scuriti per la malattia con i denti che battevano, il petto una volta scolpito e muscoloso ora magro ed emaciato, una macchia dall’odore pungente all’altezza dell’inguine le mosche che nonostante il clima infestavano quel povero corpo, qualcosa si mosse in lei: quell’uomo non aveva colpa, non aveva colpa di tutte le cose che le avevano fatto patire, del gelo che da anni ormai provava, delle violenze che era stata costretta a subire.  Guardò nei suoi pensieri ancora una volta, ma non c’era più niente di cosciente in quell’anima, ormai, solo il dolore, più vivo che mai, e il rimorso ancora fortissimo in quella mente offuscata, due secondi aveva deciso, lo raccolse da terra, grazie alla sua forza accresciuta dai poteri,  lo sollevò senza fatica,  la scena  era piuttosto ridicola a quel punto, una bellissima donna che portava un fascio di stracci maleodoranti più grande di lei, ma a lei non importava, aveva ceduto, per l’unica volta aveva ceduto ad un uomo, e sarebbe dovuto rimanere segreto, lei l’insensibile aveva ceduto,  aveva volontariamente deciso di salvare una vita, e non si era mai sentita così bene. Durante tutto il tragitto aveva la testa dell’uomo poggiata sulla sua spalla, sentiva il suo respiro malsano sul collo: “Sara…” lo sentì sussurrare “Non puoi andare da lei ora” gli disse, lo portò in una stanza attigua alla sua dotata di un piccolo letto  “Perché?” sentì sussurrare da lui mentre con i suoi poteri faceva stendere un telo sopra il letto “Perché non è ancora ora, dormi” Gli disse rirovando quella dolcezza ormai perduta, se doveva perdersi e morire meglio farlo completamente.
Gli tolse i vestiti e li bruciò poi con un panno bianco intriso d’acqua cominciò a lavare quel corpo, cominciando dal viso e prendendo mentalmente nota di una rasatura da fare, passando dal collo, alle braccia, al petto,  al resto del corpo comprese parti che per lei nel suo odio per gli uomini intesi come esseri di sesso maschile non aveva mai preso in considerazione se non nel migliore dei casi se non per fare danni.  Il suo sottile naso di regina, non più abituato agli odori acri, la portò più volte sull’orlo del vomito. Finito quel lavoro ingrato passò a rasargli il viso, in seguito gli fasciò l’inguine con un panno assorbente volto a drenare eventuali fluidi corporei nel caso fosse stato troppo debole per alzarsi, fortunatamente poi per l’eventuale sua pulizia le sarebbero venute in aiuto le arti magiche, pensò con un sospiro di sollievo. Lo mise al caldo sotto diversi strati di coperte e lo lasciò riposare con calma.
Tornò in camera, le attività avrebbero dovuto affaticarla ma quando si trovò di fronte allao speccho non notò alcun segno di logoramento, che strano, pensò, ma scacciò il pensiero, si recò ad incontrare il fratello nella sala del trono, più malinconica delle altre volte in verità e con dei progetti che lentamente si stavano formando nella sua mente. Suo fratello la stava già aspettando quando entrò con passo quasi cadenzato nell’ampia sala, assisa sul trono ascoltò con calma il rapporto poi congedò tutti con un gesto della mano
“Fratello rimani” Disse quando anche lui era sul ciglio della porta “camminiamo un po’” lo condusse in giardino tra gli alberi morti, tutto era silenzio in quel posto, ad eccezione del crepitio della neve sotto i piedi.
“Fratello caro” cominciò “Devo chiederti un favore”
“Qualsiasi cosa cara sorella” disse lui con un mezzo sorriso, due fratelli, che si volevano bene ecco cos’erano, erano i demoni e la rovina del loro mondo ma tra di loro vi era affetto come se in un deserto di sabbia vi fosse un decimetro quadrato di terra fertile si erano sempre protetti a vicenda, lui aveva protetto lei quando aveva potuto, e lei lo aveva protetto con le arti magiche che faticosamente aveva imparato, ma vi erano ferite che non aveva potuto ricucire, vedeva nella sua mente il senso di impotenza e il rimorso per quelle volte che non era riuscita a salvarla, vedeva impressa ancora la sua bramosia quando da lontano vedeva delle ragazze ballare, vedeva la tristezza angosciante quando queste lo respingevano per via del suo aspetto, ed aveva visto la sete di vendetta verso tutte queste quando si era avvicinato a quella ragazza con tutta l’intenzione di farla sua con la violenza ma anche la battaglia che combatteva per trattenersi per non diventare come quelli che avevano fatto del male a sua sorella.
“Cavalca con i tuoi verso le montagne per due settimane, il quattordicesimo giorno a mezzogiorno arriverete in prossimità di un feudo deserto, con un castello vuoto, insediatevi e siate felici, ad una condizione, non diventare mai come me, ne come il re che ci ha rapito, sii buono con tutti. Non rapirete donne ne le violerete, verranno lo prometto. La mia maledizione ricadrà su di voi se queste mie condizioni non saranno rispettate ” Lui la guardò e capì tutto “Sorella, non voglio la tua morte.” “Ma la morte mi attende, ho piantato un edera ai miei piedi.” L’edera, la distruzione.  “Chi?” “Te lo mostrerò, ma lui non ha colpa e non sa ancora.” Lo condusse davanti al letto dell’uomo, sebbene emaciato lo riconobbe. “Hai scelto bene sorella cara” “Che sai di lui?” “So che si chiama Eric, sua moglie è morta di febbre mentre la portavamo al castello per te, gridando il suo nome.” Ecco il dolore che aveva visto e sentito durante la sua incursione, molti pensavano che i soldati violentassero le donne prima di portarle da lei, la realtà era diversa, una donna non aveva alcuna utilità dopo essere stata assalita, la forza vitale se ne andava, ma questo molti non lo sapevano ed i suoi oppositori lo avevano sempre corroborato con storie più o meno inventate.
Uscirono  e si sedettero, era giunto il momento degli addii, la regina non lasciava trasparire nulla ma distoglieva lo sguardo: “A che pensi mia cara?” Sentì chiedere da suo fratello  “Sarai re, non prendere per moglie una principessa, a meno che non siate veramente innamorati, tieni tutti tuoi pari, il rispetto deve venire innanzi tutto da te” detto questo poggiò le mani sul viso del fratello  “Un ultimo regalo, sii felice.” Ora la persona che la guardava era un giovane dio, con profondi occhi verdi e con i capelli castani che scivolavano armoniosamente sulle spalle, l’uomo guardò la sorella in un muto ringraziamento e lei lo osservò di nuovo: “Usa il tuo essere uomo per il bene, e per portare felicità, non fare il mio errore.”
  
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