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Autore: nals    25/01/2013    2 recensioni
"Dovremmo piantarla qua. Dovremmo piantarla. Dovrei piantarti."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dovremmo.
 

A Teffa o Tef o Silvia.
Perché mi ha insegnato tanto e forse non capirà mai, perché non riuscirò mai a spiegarglielo.
Non so spiegare un piffero, io.

 
 


 
 
 
 
 
 
 
“Dovremmo piantarla qua. Dovremmo piantarla. Dovrei piantarti. ” Sì, dannazione.
Ma poi lui ti riacciuffa, ti bacia il collo e tu riprendi a fare le fusa.
“Dovremmo,” e basta.
Tua madre parla francese, tuo padre compra sigari che valgono la vita di dieci dei suoi operai e tu stai con un tizio che fuma roba e parla, parla, parla. Non ha una lira, ma i suoi libri riesce sempre a ricavarli e tu potresti avere il pezzo di mondo che più desideri, solamente aprendo bocca, ma non sai scegliere.
Sarà che in quei dannati occhi arrossati, che ti guardano e ti guardano e ti guardano, c’è un mondo al quadrato, ed è intero e tu ce l’hai tra le dita, tra le dita, sì, e... ed è tuo. Tuo, così, senza una parola.
“Dovremmo piantarla qua. Dovremmo piantarla.”
Ma poi, poi l’asfalto scioglie gli pneumatici che corrono lungo la strada di casa, e “domani, la pianteremo domani” è una frase bellissima; quella da sussurrare al cuscino freddo ogni sera, prima che la marea s’alzi e la luna diventi sempre più grande e sporca e lontana.
Lontana come le parole che ti sussurra ad una spanna – e non riesci mai a coglierle davvero – sfilandoti il vestito.
I giorni muoiono sempre più giovani ed è come non riuscire ad invecchiare mai; nascondi i suoi baci tra le pagine che ti lascia tra le mani – sotto pelle – ed è tutto un po’ più scuro, perché hai i suoi occhi nei tuoi, ed è quasi assurdo sentirti tremare così, senza più le ossa.
Lo stomaco vola più delle farfalle che ti ha infilato dentro, sfiorandoti le scapole con le dita.
“Dovremmo piantarla qua. Dovremmo piantarla.” Sì, dannazione.
Ma poi  ti guarda ed è tutto un’accartocciarsi improvviso; l’affaccendarsi cadenzato dei ventricoli impiantati da una vita e non messi in moto mai. Creperanno tra non molto, ancora neonati, fiacchi e deliranti .
E c’è sempre meno margine, nessuna alternativa. Manca l’aria.
“Dovremmo piantarla qua. Dovremmo piatarla.”
E ti tiri indietro; non muovi un muscolo – il passo fantasma è infilato tra le dita dei piedi e i chicchi di sabbia.
Tuo padre non ti guarda più.
E ti tiri indietro, non muovi un muscolo. E la sabbia è tra i piedi, sotto i piedi. Indugi infossandoti nel misero spazio delle tue stesse orme.
“Dovrei pantarti. Dovrei... ”
E lui ti ha riso in faccia. Come hai riso in faccia a tua madre, due sere fa, o forse hai pianto.
 “Dovresti piantarla, sì,” ti ha scritto sul collo con le labbra e poi, poi è stato come non volersi trovare più.
Sarà che in quei dannati occhi arrossati, che ti guardano e ti guardano e ti guardano, c’è un mondo al quadrato, ed è intero e tu ce l’hai tra le dita, tra le dita, sì, e... ed è tuo. Tuo, così, senza una parola.
 
 
Non svegliarmi.
Non vegliarmi.
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
Ci mancavano i deliri notturni, no? Beh... nulla.
Sinceramente, Teffa, qui dentro non c’è davvero niente. Sarà che come al solito non riesco a controllarmi e ci ficco così tanta roba da incasinare tutto. Ma volevo che fosse un po’ anche tua, ecco tutto. E... niente, sul serio. Grazie. <3
 
 
nals

 
   
 
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