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Autore: InDefenseOfTheNovel    25/01/2013    0 recensioni
L'ispirazione mi è venuta guardando una foto. E' forse la prima volta che do un titolo prima di scrivere una storia, ma penso che l'arcobaleno sia un simbolo di speranza. Ed è quello che abbiamo bisogno tutti noi, oggi e sempre.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Intorno a me sento solo rumore, urla, dolore, caos.
Non vedo una bella giornata da mesi, anni forse. Qui dentro ho praticamente perso la cognizione del tempo. Non so in che mese siamo, non so in che anno siamo, riesco a malapena a distinguere se è giorno o notte. A volte, mentre siamo in fila per prendere un po’ d’acqua penso come sarebbe dovuta essere la mia vita, come la immaginavo da piccola.
Sarei voluta diventare insegnante. Mi è sempre piaciuto studiare, mi divertivo ad andare a scuola, fin quando mi è stato permesso andarci…
Pian piano vedevo il terreno sotto ai miei piedi crollare. Avevo poco più di dodici anni quando mi dissero “Anya, da domani non devi più andare a scuola.”
“Perché?” mi ribellai. Non potevano. Non potevo non andare a scuola. Come avrei fatto l’insegnante?
“Non puoi. È meglio per noi, per tutti noi, se stiamo qui in casa. Arriveranno presto, è meglio essere pronti.”
Non capivo affatto le parole dei miei genitori. Mia madre, me ne rendevo conto solo in quel momento, era pallida in viso. Non aveva più un briciolo di espressività.
Mio padre è sempre stato un uomo fiero, non faceva mai trasparire le sue emozioni. Eppure, sembrava davvero preoccupato. Mi misero paura.
Le ultime notti prima che arrivassero le passai in bianco. Sentivo mia madre piangere nella stanza accanto alla mia. Mio padre non usciva più dal suo studio. Temevo di impazzire, eppure non avevo ancora visto il peggio.
 
Era il 17 Marzo del 1938. Il giorno del mio compleanno.
Era mattina presto.
Io ero ancora nel mio letto, sveglia, come sempre.
Bussarono violentemente alla porta di casa. Non aprì nessuno e non ne capivo il motivo.
Bussarono sempre più forte, sentivo voci, urla di uomini. Finchè la porta si aprì.
Fece un tonfo per terra. Mi rannicchiai istintivamente nel mio letto. Faceva caldo, ma avevo bisogno di protezione, iniziai a sudare freddo. Poi le urla. Mia madre che urlava “No, vi prego. No!”
e gli uomini che urlavano, ridevano, la deridevano. Deridevano tutti noi.
Uno di loro entrò nella mia stanza, mi prese di peso e mi buttò giù. Ero pietrificata. Non sapevo assolutamente cosa dire, cosa fare, non riuscivo più neanche a capire quello che mi urlava quell’uomo.
Perché della gente come me dovrebbe fare una cosa così altamente assurda?
Sapevo di altre mie compagne che nel corso degli ultimi anni, erano andate via. Non avevo idea di che cosa volesse dire andare via. Nella mia ingenuità a cosa potevo pensare? Il padre ha trovato lavoro da qualche altra parte e non vivono più qui, a Berlino.
Mai e poi mai avrei potuto immaginare una cosa simile.
 
Mi resi conto di quanto avessi paura solo quando mi separarono dai miei genitori.
Non mi consolò affatto vedere altri ragazzi più o meno della mia età qui.
Erano vestiti tutti allo stesso modo, sinceramente non credo che sarei stata in grado di distinguere qualcuno.
Avevano tutte facce tristi, se credevo di aver conosciuto il male,la sofferenza mi dovetti ricredere in quel momento.
 
“Numero 30568.” “Numero 30568!” Numero 30568!!”
È un crescendo di rimproveri, maltrattamenti, abusi, sfruttamento. Non ce la faccio, da quando sono qui, e non so quanto tempo è passato, temo di impazzire ogni singolo battito cardiaco che faccio ancora e ancora. Sono ancora viva. Darei davvero tutto per farla finita adesso.
Sono annientata completamente. Sono sempre di più le persone che vedo un giorno e poi non rivedo più, per sempre. Certo, perché dopo che sei qui da tempo, un modo per riconoscere un amico, lo trovi. Un neo, una cicatrice, la voce…
Era così anche Caroline, la ragazza “misteriosamente scomparsa” tempo fa, non so quando precisamente.
Io so che fine ha fatto lei. È assieme a tutti gli altri.
Beh… infondo, cerca di capirli… devono pur fare spazio per buttare altra immondizia come noi.  Ed è per questo che usano gli inceneritori.
 
C’è chi va via presto, chi resta qui a lungo…
Il mio posto qui, sembra esser terminato oggi.
 
Non credo ci sia persona più felice di me di morire in questo mondo…
 
 
 
 
Domenica 27 gennaio 2013.
Berlino.
Il freddo di questa città, adesso è impressionante. Ma ho deciso di fare questo viaggio per me, per non dimenticare. E non è una frase detta così, tanto perché ormai è radicato nella mente di tutto il mondo quello che è successo. Ci credo davvero.
Ho sempre ritenuto di avere una buona memoria, beh, sicuramente per questo non posso dire non essere brava.
 
Sono davanti ad un monumento post-contemporaneo. Davanti a me ci sono migliaia di blocchi grigi di diverse dimensioni. “Das Holocaust – Mahnmal” – “il ricordo dell’Olocausto”.
Magari questo è solo un gesto, ma tutta la Germania è piena di queste opere. Opere che ricordino, davvero, cosa è successo. Non è possibile dimenticare. Ed io non permetterò che accada.
Il silenzio che c’è in questi luoghi è rotto solo dalle auto che passano. Se non fosse per i clacson incessanti, crederei davvero di essere in un’altra dimensione.
Intraprendere questo viaggio, non è stata una scelta facile. Ci ho dovuto pensare a lungo.
Ma adesso sono qui, e non ho assolutamente intenzione di tornare indietro, di dimenticare…
 
 
 
 
Note D'autore:

Vorrei precisare che ho avuto l'ispirazione cercando alcune immagini di Berlino, e trovandone una appunto del monumento dell'olocausto sovrastato da un arcobaleno. Ho sempre pensato che gli arcobaleni avessero un potere "magico", in questo caso ho voluto dare all'arcobaleno un simbolo di rinascita, di riscatti, rivincita. Quindi ecco qui questo racconto. Volevo sottolineare anche che non ho quasi affatto idea di come fosse davvero la vita lì. Ho provato a immaginare, pensando ai diversi libri che ho letto sull'argomento (L'amico ritrovato di Uhlman, ad esempio). E quindi basta, fine.
   
 
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