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Autore: Padme    15/08/2007    18 recensioni
Non era degno di farsi chiamare "King". Era intollerabile che il leader dell’Host Club fosse un uomo incapace di comprendere cosa differenziasse il rapporto esistente tra due innamorati da quello tra un padre e una figlia. Aveva gettato infamia sull’intera popolazione maschile del pianeta.
Concetti espressi in una ramanzina durata otto ore e trentasette minuti, alla quale Tamaki aveva presenziato seduto sui talloni, capo chino e occhi traboccanti di lacrime, una coltellata al cuore ad ogni parola che, secondo i suoi amici, lo avrebbe aiutato a... comprendere meglio la situazione.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haruhi Fujioka, Tamaki Suoh
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Haruhi… ho bisogno di dirti una cosa.-

 

Aveva parlato da dietro la porta, di cui si era premurato di aprire un unico, sottile spiraglio, giusto il necessario per annunciare la propria presenza. La propria sfacciata presenza, visto che non era per nulla carino introdursi nella camera di una signorina, sebbene in pieno giorno, senza prima esser stato formalmente invitato.

Lo sapeva bene, ma aveva preferito peccare di maleducazione, piuttosto che rischiare di sprecare quei pochi minuti di tempo che era riuscito tanto faticosamente a ritagliarsi.

Non era un compito semplice, infatti, tenere a bada i gemelli… e lo era ancor meno quando, per disgrazia, le due diaboliche creature in questione rivelavano di essere perfettamente al corrente di quanto eri intenzionato a fare.

Nonché ostinatamente interessate ad ostacolarti.

Tamaki sentì un brivido scorrergli lungo la schiena, solo nel ripensare al doloroso travaglio sopportato durante gli ultimi giorni.

 

Avrebbero dovuto essere due settimane di puro relax, trascorse nell’adorabilmente plebea pensione di Karuizawa, finalmente prenotata a dovere e con largo anticipo; una piacevole parentesi vissuta all’insegna del buonumore, dell’amicizia, del flirt elegante e del disimpegnato studio sulle abitudini di un volgo tragicamente impossibilitato a godersi villeggiature più lussuose.

Questo, almeno, nelle idee di Tamaki. Che, suo malgrado, si era ritrovato a prendere coscienza dell’esistenza di prospettive assai diverse dalla propria.

All’inizio, fu Kyoya. L’ingrato stacanovista che si era preoccupato di distribuire generosamente diversi volantini alle loro migliori clienti, invitandole a recarsi anch’esse a Karuizawa, la settimana successiva, in modo da poter godere della fiabesca accoglienza che tutti quanti sarebbero stati lieti di garantir loro… al prezzo, dunque, della prima settimana di vacanza, ormai destinata ad essere spesa in faticosi preparativi e complessi programmi di svago per le principesse che sarebbero giunte di lì a poco.

Ed ecco il primo imprevisto.

Il secondo, era stato lo scoprirsi innamorato di Haruhi. Ma su questo punto sarebbe tornato più tardi.

Il terzo, strettamente legato al precedente, era stata l’esuberante mole di commenti acidi e di punizioni inspiegabili di cui era stato fatto oggetto, nel momento in cui, per la prima volta, non era riuscito a negare prontamente una delle solite insinuazioni maliziose che Kaoru e Hikaru si divertivano a muovere sul conto suo e della sua ex-bambina.

 

Non era degno di farsi chiamare “The King”.

Era intollerabile che il leader dell’Host Club fosse un uomo incapace di comprendere la differenza fra il rapporto esistente tra due innamorati e quello tra un padre e una figlia.

Aveva gettato infamia sull’intera popolazione maschile del pianeta.

Avrebbe dovuto immediatamente dimettersi dal ruolo di capo del club e lasciare Haruhi fra le braccia di un ragazzo dimostratosi in grado di apprezzare la sua bellezza fin dai primi istanti (ß suggerimento dei gemelli).

Concetti espressi in una ramanzina durata otto ore e trentasette minuti, alla quale Tamaki aveva presenziato seduto sui talloni, capo chino e occhi traboccanti di lacrime, una coltellata al cuore ad ogni parola che, secondo i suoi amici, lo avrebbe aiutato a “comprendere meglio la situazione”.

 

Il risultato è che, si, se n’era convinto.

Convinto di non meritare né Haruhi né il titolo di “King”.

Convinto di essere il peggiore tra gli uomini.

Convinto di non poter neanche sollevare lo sguardo su quella meravigliosa fanciulla, lui, colpevole di non averne subito realizzato l’indiscutibile fascino.

Ma altrettanto determinato a riscattarsi, ad ogni costo, ponendo rimedio agli errori commessi. E facendo attenzione a non commetterne di nuovi, naturalmente… e, in questo, Hikaru e Kaoru si erano mostrati eccessivamente disponibili ad aiutarlo, facendogli presente l’infinità di controversie e conseguenze negative che una sua mossa sbagliata avrebbe potuto comportare.

Non era consigliabile, ad esempio, bussare alla porta della camera di Haruhi, come Tamaki si era appena deciso a fare, in quanto una ragazza, come il Lord aveva, d’altro canto, sempre sostenuto, avrebbe dovuto presentarsi nel privato solo al futuro sposo.

.. e lui non voleva nuocere alla reputazione di una principessina tanto dolce e pura, vero?

Questo dilemma aveva lacerato la sua anima per giorni.

Incapace di realizzare l’esistenza di una miriade di circostanze più opportune per dichiarare il proprio amore, nonché totalmente dimentico delle più elementari nozioni di corteggiamento, a causa del rimbambimento d’amore di cui era vittima, Tamaki si era lasciato alle spalle ogni dubbio solo quando, improvvisamente, era riuscito a rendersi conto di come il problema non sussistesse; se anche quella sua azione avventata avesse rischiato di compromettere la futura vita matrimoniale di Haruhi, lui sarebbe stato dispostissimo a porvi rimedio immediatamente, prendendola in sposa anche il giorno stesso.

Ripensandoci in quel momento, mentre osservava la ragazza sollevare il volto verso di lui, si chiese se non fosse stato il desiderio di catturarla per sempre fra le propria braccia, di ottenere una scusa che giustificasse questa sua egoistica volontà, a condurlo lì, sull’uscio di quella stanza.

 

-Mh?- fece Haruhi, distrattamente –Ah, sei tu… entra pure.- concesse, una volta allungato il collo abbastanza da poter identificare la timida figura che sembrava aver paura di fare anche un solo passo in avanti, verso di lei.

Tamaki annuì, lentamente, seppur consapevole che, da quella posizione, la ragazza non avrebbe mai potuto cogliere il suo gesto.

Da un lato, lo sperava; sperava che non riuscisse a guardarlo in viso, perché aveva paura che le sue guance si fossero appena illuminate di un profondo rossore. Decisamente sconsigliabile, per un uomo intenzionato a confessare i propri sentimenti con la massima serietà.

E anche questo era un problema, si.

Pretendere che lei prestasse fede ad una dichiarazione giunta così tardi, quando lui stesso aveva faticato a prenderne sul serio l’origine.

Senza rose e senza violini, uno scolaretto imbranato che fatica a trovare parole di cui ha fatto uso per anni, proprio quando ne avrebbe davvero bisogno; il cuore che batte un po’ troppo forte, il rischio che lei ne avverta il rumore e rida del suo nervosismo.

Indubbiamente, indubbiamente indegno. Se anche fosse riuscito a proclamare ad alta voce, con fermezza, quelle poche parole, senza rimanere ammutolito alla vista di lei che lo scrutava con un delizioso, incuriosito mezzo sorriso, non avrebbe tollerato in alcun modo di continuare a fregiarsi di un nome che era perfettamente cosciente di non meritare.

 

Fece qualche passo in direzione di Haruhi, senza smettere per un solo istante di guardarla.

Era morbidamente seduta sul letto, una posa da bambolina scoordinata che Tamaki non potè fare a meno di trovare adorabile, indosso un leggero abitino color giallo paglia, con pochissimi fronzoli ed aperto in un’ampia gonna a ruota; fra le mani, un libricino con alcune ciambelle ricoperte di zucchero a velo in copertina, che sembrava attrarre la sua attenzione al punto da far sentire il ragazzo quasi in colpa, per averla distolta dalla lettura.

-Uh? Che ti prende?- chiese Haruhi, sorpresa, nel vedere l’amico immobile, in piedi, intento ad osservarla con un’espressione indecifrabile – Accomodati pure.- continuò, assestando un paio di colpetti leggeri al materasso su cui era seduta.

Non c’erano più dubbi.

Tamaki era certo di essere arrossito senza ritegno, questa volta.

-Nnn…- cominciò, serrando con decisione le palpebre e scuotendo energicamente il capo -… nnnnno, Haruhi, non è… le fanciulle… la virtù… !- esclamò, sforzandosi di non balbettare, il cuore che sembrava deciso a balzargli fuori dal petto.

A ricadere fra le braccia della ragazza che gli stava di fronte.

-Ma cosa stai dicendo?- domandò ancora Haruhi, squadrandolo con aria spiccatamente perplessa, mentre abbandonava il libro sulle proprie gambe.

Non credendo che un esauriente monologo sui comportamenti che una ragazza in età da marito farebbe meglio a tenere in pubblico potesse essere considerato come prologo ideale ad una dichiarazione, Tamaki decise di tenere la bocca chiusa, limitandosi ad abbassare il capo e ad esaminarsi con morbosa attenzione la punta delle scarpe.

Non gli risultò particolarmente difficile, d’altro canto; la gola gli bruciava al punto che temeva di aver perso definitivamente la voce.

Indegno, indegno.

-Avanti, siediti.- insistette Haruhi, con calma.

Il ragazzo annuì, ancora, per poi avvicinarsi al letto con movimenti assai poco naturali, tanto meccanici che rischiò d’inciampare almeno un paio di volte.

E avrebbe fatto bene a cadere sul serio, lui, il peggiore degli uomini.

 

Colui che era disposto a sacrificare le più importanti regole del buonsenso e della raffinatezza al proprio irriguardoso desiderio di starle appena un po’ più vicino, di poterne osservare il sorriso per un’altra manciata di secondi.

Sbirciare le pagine del libro che stava leggendo, indovinare uno spunto per cominciare a parlarle. Per sentire la sua voce.

Per vederla esprimersi in atteggiamenti degni della più goffa e dolce delle bambine, i piccoli colpi affibbiati al materasso e la ruota della gonna che le avvolgeva le gambe, ripercorrendone delicatamente ogni curva…

… eh, no.

Questo no.

Urgeva immediatamente una doccia fredda, Tamaki ne era sempre più convinto.

Subito, era irrimediabilmente necessaria… indispensabile.

Perché non credeva che sarebbe riuscito a scacciare certi pensieri ancora a lungo, senza un aiuto esterno che, possibilmente, non prevedesse la pratica esorcizzante delle testate contro la prima parete rocciosa a disposizione (la fronte gli faceva ancora male, dal giorno prima, e Kyoya aveva addebitato il costo delle riparazioni del muro sul suo conto). Non da solo.

Presto, molto presto, avrebbe dovuto fare i conti con la drammatica constatazione di essere un pervertito.

Aaah, sentiva la propria anima sanguinare copiosamente.

 

Un pervertito, ecco cos’era.

Un pervertito che osava (trovarsi sul punto di) fare simili, sporchi pensieri su una ragazza più giovane di lui di un anno intero (!!!), come gli avevano giustamente fatto notare i gemelli, violare l’intimità della sua camera e avere l’ardire di (provare a) confessarle i propri ignobili sentimenti.

Una creatura infida, un deplorevole emissario del male.

Ecco perché, di recente, non provava più così tanto terrore nel veder avvicinarsi Nekozawa, per i corridoi della scuola…

 

Tamaki stava giusto riflettendo su tale singolarità, rigidamente seduto sul materasso come il più educato dei bambini, schiena perfettamente diritta e mani serrate attorno alle ginocchia, quando venne riportato alla realtà da un lungo sospiro di Haruhi.

Un altro battito troppo veloce.

Troppo, troppo veloce.

L’avrebbe perso, quel cuore, nonostante volesse solo donarlo a lei.

Più la guardava, più quello minacciava di spaccargli il petto.

Più pensava a quanto aveva intenzione di fare, più aveva paura che esso si spezzasse irrimediabilmente.

Che lei, così carina, avesse il potere di romperlo con un soffio, se solo avesse interpretato correttamente il suo sconclusionato ed immeritevole desiderio.

Se non gli avesse perdonato il ritardo, l’insolenza.

Se avesse ammesso di non aver mai pensato a lui in quel modo, di non averlo mai scrutato con gli occhi con cui lui si era reso conto di osservarla.

Se non avesse risposto al suo sguardo, adesso.

Ma lo fece, e questo gli diede un po’ di coraggio.

-Haruhi…- cominciò, lieto di aver smesso di tremare.

Fisicamente, almeno.

-Secondo te, faremmo meglio a proporre alle clienti una tipica torta con panna e fragole o un waffel alle ciliegie, come primo dolce? E’ un’ora che leggo e rileggo queste ricette, ma non sono ancora sicura di aver capito bene cosa possa piacere ai vostri palati… raffinati…- osservò Haruhi, nella voce una nota d’ironia, sfogliando velocemente le pagine del libro in suo possesso, come in cerca di un’ispirazione improvvisa.

-Sicuramente il secondo, non c’è il minimo dubbio!- replicò Tamaki, entusiasta –Le ciliegie sono un frutto decisamente più romantico delle fragole… e dovremmo offrire alle nostre clienti una vacanza dalla cornice passionale, non credi?- chiese, sorridendo.

-Mmmh… sarà come dici…- mormorò la ragazza, continuando a scrutare dubbiosamente le pagine del volume.

-Ma certo che è così, fidati del mio genio!- concluse lui, gonfiandosi il petto con aria compiaciuta.

Petto che si sgonfiò nel giro di pochi secondi, dopo che Tamaki ebbe avuto modo di realizzare la ridicolaggine del contesto in cui era sfociato il suo primo tentativo di approccio.

 

Waffel alle ciliegie? Sarà anche stato romantico, ma il suo discorso avrebbe dovuto affrontare argomenti di stampo molto meno materiale rispetto a quelli culinari.

E l’esuberanza con la quale aveva accolto quell’improvviso cambiamento di tema? Era davvero così poco uomo da dover gioire di ogni contrattempo che lo esonerasse dall’affrontare le sue responsabilità?

E Haruhi? Per lei, la sua presenza lì, nello stesso letto, a pochi centimetri di distanza, era tanto insignificante da spingerla a volgere la propria attenzione al cibo?

Tutti questi pensieri cominciarono ad assillarlo, rimbombando nella sua testa al fastidioso suono della voce di Hikaru e Kaoru.

 

-Senpai?- fu Haruhi ad interrompere il corso di quei dolorosi pensieri –Senpai, va tutto bene?- chiese, osservando con moderata preoccupazione il ragazzo seduto al proprio fianco, in una posa particolarmente scenica, il viso nascosto fra le mani in una chiara manifestazione d’angoscia.

Tamaki scosse appena il capo, senza proferir parola.

-Senpai?-

Silenzio.

-Senpai, ma cosa…-

A quest’ennesimo richiamo, Tamaki si decise a sbirciare la ragazza attraverso le proprie dita, che distanziò leggermente l’una dall’altra.

Il suo volto era più vicino, gli occhi curiosi.

Le ciglia più lunghe, forse… ?

-Haruhi, io…-

 

Bam!

 

Qualcosa colpì una delle finestre della stanza, provocando un forte rumore.

E qualcuno urlò, in quello che avrebbe potuto ricordare le grida della solita fanciulla che, nei film dell’orrore, non fa che aspettare l’entrata in scena dell’eroe, sempre pronto a salvare la vita delle damigelle in pericolo.

Con la patetica curiosità che, in questo caso, la fanciulla era Tamaki e “l’uomo della situazione” Haruhi.

Patetico.

Tamaki si sentì ancora più miserabile, una volta riavutosi dallo spavento e convintosi a sfogare la propria frustrazione per il secondo tentativo fallito su chiunque fosse il colpevole di quel calcolatissimo (ne era sicuro) sabotaggio.

Aprì la finestra, di scatto. Senza pensare.

-Chi diamine è stato a fare questo fracasso?!? Lo sapete che la gente viene qui in cerca di calma e tranquillità, non per prendersi certi spaventi e rischiare di…-

-… Lord, ma che ci fai in camera di Haruhi?-

 

… e avrebbe fatto meglio a pensarci, a dirla tutta.

 

-Eh… ?- fece, incapace di realizzare bene quanto accaduto, troppo intimidito dalle espressioni inquisitorie dei due gemelli per ragionare a dovere -… beh, io…-

-Eppure, credevo che ne avessimo già discusso…- cominciò Kaoru, lanciando il pallone da calcio al fratello, lo sguardo indagatore fisso su Tamaki.

-… non pensavamo che avresti scelto di sacrificare l’onore di Haruhi alle tue voglie perverse…- continuò Hikaru, afferrando la palla e facendola rimbalzare per terra un paio di volte, anch’egli rifiutandosi di distogliere gli occhi dal confusissimo amico.

-M-ma…- balbettò Tamaki, indietreggiando istintivamente di un passo, le mani che avevano ripreso a tremargli –… le persiane… le tende… la polvere…-

Il rispetto…

Il matrimonio…

Il letto…

-Che sgradevole!- sentenziarono i gemelli, in coro, osservando il Lord con una sguardo di pura commiserazione dipinto sul volto.

Se Tamaki non fosse stato tanto impegnato a vagare nello stordito oceano dei propri sensi di colpa, avrebbe notato in quegli occhi anche un’evidente sfumatura di malizia.

E un’ombra di tristezza, forse. Subito stemperata, tuttavia, dal sorrisetto malevolo che i due gli rivolsero, con la classica, perfetta sincronia.

-Bisogna parlarne a Kyoya, a Kyoya!- esclamò l’uno.

-Si si, a Kyoya!- replicò l’altro.

-Lui saprà cosa fare…-

-Lui prenderà le giuste contromisure…-

-Lui è in contatto con il vero padre di Haruhi, d’altro canto…-

-Lui riterrà giusto informarlo dei pericoli che corre la sua bambina…-

E saltellarono via, mano della mano, abbandonando il pallone sotto la disgraziata finestra.

Tamaki credette di morire.

 

-Io… io…- fece, trascinando le parole, cascando in ginocchio sul pavimento, gli occhi privi del minimo barlume di luce.

Haruhi, ancora seduta sul letto (una volta capito che il frastuono doveva esser stato provocato dai gemelli, aveva ritenuto più costruttivo rimanere al proprio posto, senza rischiare di venire coinvolta in un eventuale, ulteriore delirio), si sporse di qualche centimetro, nel tentativo di controllarne le condizioni psicologiche, a quanto pareva brutalmente minate.

-Senpai, che…-

-Io…- ripetè il ragazzo, immobile, fissando un punto indefinito della stanza.

Lui.

Lui, che non era stato in grado di proteggerla.

Lui, che l’aveva esposta alle insidiose calunnie dei villani.

Lui, che aveva preferito assecondare il proprio malsano egoismo, piuttosto che pensare a cosa fosse meglio per lei.

Lui, che aveva disonorato l’intera casta dei samurai, ucciso la cavalleria, fatto rivoltare nella tomba ogni antico cultore dell’amor cortese.

Furono queste profonde riflessioni a suggerirgli di scattare verso la porta, chiudendola a chiave e assicurandosi che nessuno si fosse accucciato nei pressi di essa, vili anime affamate di pettegolezzi e scabrose novità.

-… perché hai chiuso la porta?-

E fu questa domanda, a riportarlo alla realtà.

A fargli prendere coscienza del terrore che doveva aver suscitato nell’animo della sua dolcissima amata, che si era vista intrappolata nella stessa camera, in compagnia di un deprecabile maniaco.

A ricordargli la fiaba di Cappuccetto Rosso e del lupo cattivo.

A suggerirgli che la tenerezza provata, in passato, per l’animale annegato nel fiume, avrebbe dovuto aiutarlo a prevedere, e possibilmente ad evitare, lo squallore che avrebbe segnato il suo futuro.

-Ha-Haruhi, io…- cominciò, nervoso -… no, non fraintendermi, io… io sono sicuramente un pervertito, ma…-

Haruhi sbattè più volte le palpebre, evidentemente perplessa.

-Un pervertito?-

Tamaki sobbalzò sul posto, come se il suono di quella parola lo avesse colpito con una fortissima scarica elettrica.

-S-si… io… io non merito, io… io non volevo, non pensavo…- proseguì, le labbra tremanti -… volevo solo… che non ti vedessero… con me… più… che non spettegolassero, mettessero in imbarazzo…- deglutì rumorosamente, nel tentativo di porre fine a quell’intreccio sfilacciato d’insensatezze.

Lei… lei, così graziosa.

Lei, alla quale non avrebbe mai voluto creare difficoltà, solo nel tentativo di confessarle ciò che provava nei suoi riguardi.

Lei, che adesso lo scrutava con la fronte aggrottata, le labbra serrate.

-Haruhi, io… io volevo solo…-

La guardò ancora, un peso nel cuore.

-… volevo solo dirti che … che vorrei ritirarmi dal ruolo di papà, perché…-

I colori confusi, il volto in fiamme.

-… non perché tu non mi piaccia più, anzi… perché mi piaci molto, molto di più di quel che credessi!- quasi urlò, infine, i pugni stretti ed un tono incredibilmente fermo, se rapportato alla paura e all’incertezza che dominavano i suoi pensieri.

L’aveva detto.

L’aveva detto, finalmente.

In circostanze molto meno romantiche di quelle che aveva previsto e in un balbettìo assai poco dignitoso, ma l’aveva detto.

C’era riuscito.

Per quanto rozza, si trattava comunque di una dichiarazione dal motivo troppo sublime per essere declamata da uno come lui, ma l’aveva fatto ugualmente.

L’aveva…

-Si, lo so.-

 

-… scusa?- chiese Tamaki, gli occhi deformatisi in un paio di puntini privi d’espressività.

Haruhi lo scrutò con attenzione.

-Beh, che lo so.-

 

Il ragazzo sorrise amabilmente.

-Ah, ma Haruhi, quel “mi piaci” non dovevi interpretarlo come un “ti voglio bene”, ma come un “ti amo”.- spiegò, ridacchiando gioiosamente e tirando fuori dal nulla una lavagnetta con sopra disegnato un grafico esplicativo –… vedi…- continuò, indicando i vari passaggi con una bacchetta di legno -… nel primo caso, non cambierebbe poi molto nel nostro rapporto. Ti adoro da sempre. Al contrario, adesso sto dicendo di amarti. Capito? Cioè, se prima credevo di volerti semplicemente accompagnare all’altare, ora ho capito di volerti proprio aspettare lì.- concluse, divertito, senza neanche rendersi conto del peso delle parole appena pronunciate.

Cosa che, tra l’altro, fece sorridere Haruhi.

-Si, ho capito. Ma lo sapevo, no?- chiese, a sua volta, con un po’ più d’incertezza.

Tamaki rimase a fissarla per alcuni secondi, la bacchetta ancora ferma sulla scritta “amore romantico”; dopodichè, meccanicamente, ripose la lavagna nella sua custodia immaginaria e tornò a sedersi al fianco della ragazza, gli occhi a puntino sempre più piccoli.

-… e come mai?- domandò, flebilmente.

Dopo aver provato a fargli riprendere conoscenza, schioccando le dita davanti al suo volto, e non avendo ottenuto in cambio alcun segno di vita, Haruhi si decise a rispondere.

-Ecco, immagino che tu non baceresti mai una ragazza per cui non provi nulla.- disse, velocemente, quasi avesse paura di soffermarsi troppo su parole tanto imbarazzanti.

 

… ah.

Ah, ora aveva capito.

Lo sguardo di Tamaki recuperò la forma originaria, prima d’incontrare nuovamente quello di lei e ripiegarsi in un’espressione d’innocente sorpresa.

Aveva capito, adesso

Non ci aveva pensato.

Non aveva pensato che quanto accaduto un paio di giorni prima, quel leggero bacio che le aveva rubato, senza neanche sapere bene perché… che lei potesse aver letto in esso la perfetta dichiarazione che lui aveva impiegato ore e ore a rifinire, rispettando ogni crisma e curandosi di conferirle un ritmo poetico.

Non era riuscito a declamarla, infine, ma non credeva che quel bacio…

Non gliel’aveva esattamente strappato, no. Pur nell’impulsività del desiderio, era riuscito a ricordare un paio di semplici regole, numero sufficiente ad imporgli di fermarsi, una volta preso il viso di lei fra le proprie mani e sfioratele devotamente un paio di ciocche di capelli, in attesa di un suo secco rifiuto o di un permesso.

Il rifiuto non c’era stato. L’aveva interpretato come un si.

Ma, davvero, non credeva…

Un sospiro, un velo.

Un’introversa carezza, reverenziale.

Solo un attimo, come poteva averle suggerito l’intensità di un sentimento che lo spiazzava, lo turbava ogni volta?

-No…- rispose, in un sussurro, guardandola incantato -… no, non lo farei mai.-

 

Non l’avrebbe mai fatto.

Assolutamente.

Mai.

Mai, come avrebbe potuto?

 

Haruhi gli rivolse un’occhiata vagamente indispettita.

-Ce ne hai messo di tempo, per rispondere.- osservò, la fronte aggrottata e lo sguardo più penetrante che Tamaki ricordò di averle mai letto in volto.

-Eh?- fece il ragazzo, come risvegliandosi improvvisamente da un lungo sonno, gli occhi innamorati ancora irremovibilmente puntati su di lei.

-In effetti, potresti benissimo averlo fatto molte volte…- riprese Haruhi, cercando di simulare un’indifferenza che mal si accompagnava alla tipica, sarcastica espressione di biasimo che aveva appena assunto -… d’altro canto, beh, The King…- continuò, ponendo un ironico accento sulle ultime parole.

-Haruhi, cosa… ?- chiese Tamaki, confuso.

Una sensazione spiacevole si stava facendo strada fra i suoi pensieri.

Assai spiacevole. Proprio tanto.

Sarebbe riuscito ad identificarne l’origine anche subito, se solo non fosse stato ancora tanto concentrato sulla deliziosa semplicità con la quale la ragazza aveva risposto alla sua strampalata confessione.

-Chiedo scusa, sono saltata ad una conclusione troppo frettolosamente.- stabilì Haruhi, stavolta davvero più che frettolosa, alzandosi di scatto dal materasso e abbandonandovi lì il libro di ricette… e il bambolotto biondo che ancora la fissava.

-Ma…- sillabò Tamaki, più perplesso che dispiaciuto.

Non aveva ancora capito bene, ma…

-Ripensandoci a mente fredda…- insistette lei, arrossendo impercettibilmente, segno di non star ripensando a quanto accaduto con particolare freddezza, in realtà -… è difficile che tu non ti sia mai trovato in situazioni che richiedessero…-

-Ah!- esclamò il ragazzo.

Aveva capito, infine.

Aveva capito, e la cosa non gli piaceva per niente.

-… anzi, è molto più probabile che…-

-Haruhi!- la interruppe lui, afferrandola per un braccio.

 

Non aveva intenzione di farla ricadere sul letto.

Non ne aveva intenzione, ma nemmeno se ne scusò, né provò dispiacere.

Questo era abbastanza ovvio, a dirla tutta. Almeno, per quella parte di sé che, giorni prima, non avrebbe atteso l’autorizzazione per baciarla, quella che non si sarebbe posta troppi problemi riguardo l’entrare o meno nella stanza di lei.

Ma neanche l’altra metà, quella che si era torturata per ore sull’eventuale legittimità di una dichiarazione tanto sfacciata, protestò in qualche modo.

Un po’ troppo ferita, per farlo.

-Haruhi, io…- fece Tamaki, guardando con estrema serietà il viso sorpreso della ragazza, ora distesa sotto di lui -… non lo farei mai.- ripetè, scandendo con fermezza ogni parola.

Mai, mai.

Fu ciò che continuò a ribadire, mentre lasciava scivolare il capo nell’incavo fra il collo e la spalla di lei, un’audacia che solo l’irritazione per quanto ascoltato gli consentì di compiere senza esitazioni.

… beh, un po’ tremava, in verità.

-… non lo farei mai.- soggiunse, un’ultima volta, gli occhi chiusi nel nutrirsi del dolce profumo alla pesca della ragazza che stringeva fra le braccia.

 

Quest’ultima sembrò capire.

O meglio, sicuramente lo fece, anche se non fu in grado di rispondere col trasporto che il biondino si aspettava; si limitò, infatti, ad accarezzargli un paio di volte la testa, un gesto che a lui suonò come il maternissimo desiderio di consolare un bambino piagnucolone.

Decisamente frustrante, specie in un contesto dall’infinito potenziale romantico come quello in cui si trovavano i due, in quel momento.

Inappropriato.

Inappropriato, come l’ilarità che quell’uscita terribilmente ingenua suscitò in Tamaki, che finì per scoppiare in una non meno infantile, cristallina risata.

-Senpai?- chiese Haruhi, stupita.

Lui si sollevò da lei quel poco che bastava per ricambiarne lo sguardo incuriosito.

Non che la malizia del contesto si fosse esaurita, ma questa aveva cominciato ad assumere sfumature più tenere, buffe, che entrambi trovarono deliziosamente familiari.

Perfette.

E non ci fu bisogno dell’accompagnamento musicale, né dell’affresco fiorito sullo sfondo.

Non del tramonto, del rumore del mare.

-Ti adoro, Haruhi.- disse lui, sorridente, sovrapponendo la propria fronte a quella di lei –… nel senso che ti amo.-

   
 
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