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Autore: The queen of darkness    26/01/2013    2 recensioni
E se il cibo diventasse la cosa peggiore del mondo?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ho l’acquolina in bocca”.
“Che odore delizioso!”.
“Ho una fame che non ci vedo più”.
Per lei erano tutte frasi senza senso.
Cosa voleva dire mettere ancora del cibo nella propria bocca e assaporarlo?
Quando lo faceva era infelice, nonostante credesse che mangiare le facesse bene. Non era così. Se una cosa rende tristi vuol dire che è nociva, no?
Quindi aveva eliminato il problema, cercando con tutti i mezzi  di combattere le fitte allo stomaco.
Ammetteva che all’inizio era stato difficile, ma l’odio per il suo morbido corpo, con tutta la pelle che si appoggiava flaccidamente sulla cintura dei jeans, che sbucava da qualsiasi maglietta, era stata un’immagine molto convincente per non farla cadere in tentazione.
Perché il cibo si comportava esattamente come una droga: una volta assunto era impossibile farne a meno.
Si cominciava a desiderarlo, a nutrirsi quasi istericamente, un problema che nella sua mente aveva cominciato ad essere il peggiore.
Non avrebbe saputo dire quando la sua immagine allo specchio aveva cominciato a ripugnarla, ma una volta successo era stato impossibile da ignorare.
Non poteva passare davanti ad una vetrina per paura di scorgere le proprie curve, oppure la longilinea forma di manichini e cartelloni pubblicitari. Perché un volgare pezzo di plastica doveva essere più bello di lei?
Gli esseri umani meritavano la bellezza equamente distribuita, ma alcuni ne avevano di più e lei meno di tutti. Così gonfia, orribile da guardare, con lo sguardo inciampava malvolentieri e con orrore verso quelle cosce orribilmente grosse o la pancia che sporgeva invece di stare al proprio posto.
Non pensava che ce l’avrebbe fatta a piacersi, pensava piuttosto che si sarebbe odiata per sempre.
Quand’era piccola non aveva mai riflettuto su tali problemi, ed era sempre stata una bambina un po’ robusta. Ora riguardare quelle foto le provocava una nauseabonda sensazione di vergogna.
Uscire era diventata presto un’umiliazione continua; sentiva tutti gli sguardi di derisione su di sé, sul proprio corpo orribile e contro natura, preda del vizio del cibo.
Ogni volta che arrivava l’ora di pranzo sudava, e si faceva schifo vedendo la propria mano afferrare questo o quello e metterselo in bocca.
Riuscire a rimanere affamata per diverse ore la faceva sentire orgogliosa di sé stessa, in quanto le pareva di aver combattuto vittoriosamente contro un nemico quasi impossibile da distruggere, da abbattere.
Se diminuiva le sue razioni quotidiane si sentiva addirittura bene: dopo un paio di settimane riuscì ad entrare in quei jeans attillati che non indossava da anni.
Ma non appena il dolore al ventre le faceva ingoiare una foglia d’insalata di più, si sentiva male di nuovo, e piangeva per la propria debolezza.
Perché non sai farne a meno?
Si sentiva debole, e arrivava ad umiliare sé stessa. Si imponeva delle stupide prove per resistere, ad esempio guardare i suoi genitori mangiare come se non ci fosse nulla di più importante al mondo.
Si nascondeva nei suoi vestiti ormai larghi, e diventava felice vedendo la vita assottigliarsi di giorno in giorno.
Gli orridi depositi di grasso cominciarono a sparire dai suoi fianchi, le cosce divennero snelle ogni momento di più, le clavicole si stagliavano nitide.
La schiena era liscia, si poteva sentire la colonna vertebrale sporgere. Giocava a tastare le ossa coperte da carne sempre più fragile.
Le mancava il fiato per correre, ma si sentiva bella.
Le mancava il fiato per ridere, ma si sentiva ugualmente felice.
Le mancava il fiato per uscire con le amiche, ma ormai non aveva più bisogno di loro.
Diventava sempre più magra, e piano piano le fitte al basso ventre cessarono, come tutto il resto.
Mal di testa e nausee smisero di assillarla, lasciandola sola con i suoi desideri di bellezza.
Cominciò a celare le ombre sotto gli occhi col trucco, le mascelle delineate sulle guance scavate che a lei sembravano ancora fastidiosamente piene.
Vestiva di nero, perché da sempre era un colore che snelliva. E quando i suoi genitori non erano impegnati ad ingozzarsi come maiali, la riprendevano perché lei non lo faceva.
Era arrivata a sostentarsi anche solo con una mela al giorno, ed era davvero convinta di condurre una dieta salutare. Ogni tanto, per avere qualcosa in bocca di poco consistente, masticava la propria saliva.
Col passare dei mesi, anche sterno, costole e ileo fecero la loro comparsa in superficie, e li tastava, incredula di avere così tante ossa a disposizione.
Ben presto però non le bastò più. L’antico spettro dell’obesità apparve davanti ai suoi occhi, e l’unica cosa che era in grado di vedere era solo quel minimo di carne rimasta a coprire malamente lo scheletro, visibile quasi al completo.
Lo specchio le era di nuovo nemico.
Il cibo lo era sempre stato, e anche la mela divenne di troppo fra lei e il suo scopo.
Ma cosa voleva davvero raggiungere?, si chiedeva.
Qual è il tuo obbiettivo?
Hai la bocca secca. Bevi acqua, con quella non ingrasserai.
Smettila di dirmi cosa devo fare. Lo so che l’acqua non fa ingrassare.
Devo dimagrire.
Guarda la carne che pende dalle mie braccia.
Anzi, no, non guardare. Togli i tuoi occhi da me.
Stava cercando di correre via da sé stessa, ma le mancava il fiato.
Avrebbe voluto ridere, ma non sapeva più come si faceva.
Avrebbe voluto delle amiche, ma non ne era rimasta nessuna.
Non aveva fiato.
Riusciva solo a guardare le sue conquiste stesa su un letto, le vene quasi più grosse delle sue stesse gambe.
Ogni tanto, in quei momenti di solitudine, risentiva sul palato il sapore del cioccolato, oppure delle caramelle che tanto le piacevano, ma scacciava l’idea che aveva di quei cibi.
Il cibo era suo nemico.
E lei doveva dimagrire.
Sono diventata un mostro… 
  
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