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Autore: SaNaYa    27/01/2013    1 recensioni
“Inghilterra …” a parlare era stato un piccolo bambino dai grandi occhioni blu.
“si Al?”
“vero che staremo sempre insieme?” domandò quello avvicinando le sue due piccole manine al volto.
“si, te lo prometto”
mai parole furono più sbagliate.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Inghilterra …” a parlare era stato un piccolo bambino dai grandi occhioni blu.

“si Al?”

“vero che staremo sempre insieme?” domandò quello avvicinando le sue due piccole manine al volto.

“si, te lo prometto”

mai parole furono più sbagliate.



 
Il piccolo bambino, credulone ed ingenuo, perseguitava il ragazzo grande dai capelli biondo cenere e dagli occhi verdi, come i prati di quel nuovo continente.

Già, quel nuovo continente, scoperto così, un po’ per caso ed un po’ per fortuna.

Il perché era così legato a quel bambino? Se lo domandava anche lui.

Forse per le fruttuose grandi ed ampie terre selvagge, che rispecchiavano ampiamente il carattere libero di quella nuova colonia.

Sì, colonia o almeno così credeva lui.

Forse l’aveva sottovalutato in tutti quegli anni, già, doveva essere proprio così.

Quando lui ritornava in patria per sbrigare le sue faccende interne lo ritrovava sempre più cresciuto, fino a diventare anche più grande di lui.

Era una possente nazione, ora libera ed indipendente.

Al era cresciuto, o meglio, l’America era cresciuta.

Il suo rappresentante, infatti, rimaneva psicologicamente un bambino nel corpo di un uomo.

Gli occhioni blu erano rimasti tali, adesso nascosti da un paio di occhiali. Il viso rotondo era diventato più acuminato un certi punti, soprattutto sul mento. I capelli si erano un pochino allungati ma il taglio era sempre rimasto quello, in tutti i suoi secoli, come il suo ciuffo, che aveva una gravità ed una logica tutta sua, un po’ come quella di Alfred.

Il sorriso era sempre radioso; forse meno innocente e puro, scalfito da tutti quegli anni di guerra e di preoccupazione che implica ad essere una nazione.

Magari la colpa era anche sua se il suo sorriso era mutato …

NO, assolutamente no. la colpa era di Ameri di Alfred ! lui non centrava assolutamente niente.

O almeno questo era ciò che si ripeteva.

 La colpa di quel orribile giorno era solo ed esclusivamente di Alfred, era stato lui a volerlo lasciare, ad andare via, lontano, era stato lui a volare.

Arthur non aveva colpe.

Ma ciò che non sapeva era il perché America l’avesse abbandonato.

 


Anche Alfred ci ripensava quando era da solo, nella sua villa di Washington; ripensava a quell’orribile giorno di pioggia, dove aveva dovuto puntare il fucile verso il volto del suo amato Arthur.

Quell’Arthur che rideva e scherzava con lui, che li preparava da mangiare, ed il cibo che cucinava era buono, perché fatto con il cuore. Quell’Arthur che gli dava un buffetto sul naso ogni volta che faceva i capricci per non farlo partire e ritornare in patria, nella sua patria, nella fredda e cupa Inghilterra. 

Pensava che se fosse stato per lui, Alfred F. Jones, non se ne sarebbe mai andato. Perché avrebbe dovuto farlo? Voleva bene ad Arthur e non lo voleva lasciare. Sarebbe rimasto sempre con lui, come quando era piccolo, lì rintanato sotto alle coperte di quel letto troppo grande per essere riservato solo ad una persona. Voleva di nuovo essere coccolato da Arthur, come quando lo cullava per farlo addormentare, ricordava i suoi abbracci dopo le cadute, erano caldi e profumati, lo rassicuravano.

Invece ora era lì, da solo, a Washington, ad aspettare un qualcosa che non sapeva neanche lui.

L’unica cosa che sapeva era che gli mancava Arthur.

Ma, forse, per presunzione o codardia nessuno andò dall’altro.

Rimasero soli, lì, con i loro dubbi; uno a Londra, in Inghilterra e l’altro a Washington, in America.

Separati da un oceano.



 
Solo dopo, molto tempo dopo, quando i capelli di tutti e due si stavano ingrigendo ed i tempi migliori se ne erano andati, ormai perduti per sempre, dove, l’unico modo per farli rivivere, era sbirciare nei loro antichi ricordi. Ricordi di nazioni vecchie e ormai segnate dal tempo, dalle guerre. Avevano capito, a distanza di secoli, che avevano commesso un grosso sbaglio. Entrambi.

Ora erano vecchi, deboli e quasi dimenticati, o meglio erano ricordati nei libri di storia come il continente della corsa all’oro l’uno e l’altro come quello dei corsari.

La tecnologia era cambiata, la storia era cambiata, il mondo intero era cambiato; non c’era più rispetto della natura, la Terra stava scomparendo auto-annientandosi.

E le nazioni lo sapevano benissimo. Ora non era più America l’eroe della situazione, era nata una nazione nuova, ancora più sorprendente, ma molto inesperta ed avida, rappresentava benissimo la popolazione di quest’era, attratta solo dal denaro e dalla ricchezza.

 


Passarono ancora i secoli, il mondo stava morendo; dove prima c’erano foreste ora c’erano lande desolate, gli oceani si erano abbassati, il cielo prima di un azzurro intenso era diventato color grigio fumo. I gas tossici circolavano nell’aria, non esistevano i colori era tutto monocromatico, grigio ovunque. La popolazione terrestre era stata decimata; così come quella dei rappresentanti delle nazioni; ora riunite insieme per l’ultimo meeting, se così si poteva ancora chiamare.

 

Giappone era vicino a Cina e si tenevano per mano, quelle mani, così lisce e delicate abituate a fare origami ora erano consunte dal tempo, rugose e pallide.

Stavano aspettando la fine. Insieme.



Matthew aveva imparato a riconoscere Kumajiro, che adesso sedeva sulle sue gambe. Il suo ciuffo riccioluto captava la tensione che vi era nella sala, ormai, quasi deserta.



L’Italia del nord era morta, ormai già tempo addietro, la sua nazione si era sfaldata comprata da ricchi signori, sembrava di essere ritornati alla società feudalemedioevale, e con l’Italia era morto anche Feliciano.  Era morto sereno, tra le braccia di Ludwig, che lo stringevano forte al suo petto.

Il biondo era chino su quella piccola parte di Italia, e gli sussurrava parole dolci all’orecchio:

“amore, non mi puoi lasciare”

“io ho bisogno di te”

“apri gli occhi, ti prego”

“ti prego”

Ma queste parole furono udite solo dal leggero vento, che lento e caldo, accarezzavano il viso di Feliciano, l’Italia gli stava donando un ultimo addio.

Ludwig dopo quel drammatico giorno, non ragionò più come Germania ma solo come Ludwig e scelse di uccidersi.

Si tolse la vita per raggiungere il suo amato, che lo stava aspettando; l’ultima parola che uscì dalle sue labbra fu:

“aspettami Feli sto arrivando”

Bang

Una pallottola alla testa, un colpo veloce e rapido.

La Germania, finì divisa, spartita tra i ricchi signori, come l’Italia del nord prima di lui.

 

L’Italia del sud, invece, fondò un unico regno con la corona spagnola.

Lovino era distrutto per  la sorte che era capitata al suo povero fratello ma resistette, forse, grazie ad Antonio.

Si, se non ci fosse stato Antonio, probabilmente sarebbe morto anche lui.

I due insieme avevano una politica efficiente e un commercio abbastanza importante.

Ma adesso erano comunque lì, a quel meeting di sopravvissuti.

“Lovi?”

“… si … ? ” l’italiano alzò lo sguardo

“te quiero” lo spagnolo si abbassò verso le sue labbra e le accarezzò con la sua bocca

Un fremito

In secoli e secoli Lovino non si era ancora abituato alle effusioni dell’altro, ogni volta era come la prima volta; magico.

L’italiano si stinse nell’abbraccio possessivo dell’iberico  e si posizionò meglio sul divanetto in pelle verde petrolio della grande sala.



Russia era solo, in compagnia del suo fedele tubo arrugginito dagli anni, che gli ricordava le epoche d’oro passate, ormai non spaventava più nessuno, anzi, faceva pena, era invecchiato come tutti del resto, era magro e scarno, il tempo e la cattiveria si erano burlate di lui, in un gioco senza fine.

Si era seduto in un angolino della stanza accovacciato a terra, aspettando pazientemente la sua morte che lenta e glaciale, come gli inverni russi, si stava avvicinando sempre di più.


 
Sealand era in parte soddisfatto, da quello che la vita gli aveva riservato, era diventato un magnifico uomo, rispettato ed amato da tutte le altre nazioni. La sua piccola zattera di cemento si era ampliata sempre di più con il tempo, anzi aveva addirittura fondato altre micro nazioni simili a lui ed insieme gestivano i commerci marittimi, in quel mare inattraversabile per il troppo inquinamento e per la presenza fastidiosa di strani essere frutto di qualche esperimento illegale.



Francis, come al solito faceva lo sbruffone, i capelli bianchi che li ricadevano mollemente sulle spalle ossute tuttavia non gli tolsero il fascino che aveva anche da giovane; era circondato da altre nazioni più o meno giovani, alcune erano sue coetanee come Ungheria ormai sola, senza la presenza molesta di Prussia o Austria.

Le gambe erano accavallate, ed i bracci stancamente appoggiati sul divanetto, li vicino, c’era un piccolo tavolino, sopra al quale un bicchiere colmo di vino:

“se devo aspettare la fine almeno la voglio passare in grande stile”

Il tempo non lo aveva cambiato, o forse si?


 
Poco più in la c’era un anziano signore, in piedi e dalla postura impeccabile, come un vero gentleman deve saper fare. I capelli bianchi, rilucevano alla luce del sole, ormai veramente pallido, a causa dell’effetto serra.

Era affacciato vicino ad una finestra e guardava fuori, dove anni prima doveva esserci un giardino, il cielo era il solito grigio plumbeo, nuvoloni neri facevano da sfondo ed il sole, filtrava in alcuni di questi.

La gente era riversa nelle strade, che come matta spendeva tutto ciò che aveva, per fare scorte di cibo ed alimentari.

“tsk … stupidi”

Fu questo il suo commento, guardare quella plebaglia rozza che si uccideva a vicenda per accaparrarsi una lattina di fagioli era un disturbo per i suoi occhi stanchi. Stanchi della vita, stanchi del mondo, stanchi di tutto.

Forse era un piacere morire, da quanto se lo domandava?

Si, da un bel po’, al ricordo incurvò impercettibilmente le labbra secche, era diventato masochista con il tempo.

Lui non viveva più ormai da anni, aveva smesso di vivere da tempo.

Inghilterra andava avanti, lui no, era morto.

Pensò che forse, Ludwig, era stato davvero coraggioso, riuscire a togliersi la vita non era così semplice.

Lui aveva paura, paura di soffrire, alcune notti ci aveva pensato intensamente ma non era riuscito ad arrivare ad una conclusione razionale in questo discorso: uccidersi era sbagliato?

 Aveva trovato due possibili ipotesi:

-          Chi si uccideva era un debole, perché non aveva il coraggio si sopravvivere ed andare avanti.

-          Il codardo era quello che non si uccideva per paura di soffrire.

 Queste due conclusioni erano in completo contrasto ma secondo lui erano entrambe giuste.

Ognuna era importante a modo suo e la risposta a queste era relativa.

Ma forse, pensava che lui, diceva così, perché non aveva nessuno da amare come Ludwig; o meglio ce lo aveva, ormai letteralmente da una vita, ma questo suo grande amore era a senso unico secondo lui.

Arthur non si accorse che due grandi occhi azzurri lo stavano osservando, intensamente, ed anche da un bel po’. Guardavano e scrutavano tutto, dalla camicia, rigorosamente stirata e profumata, al maglioncino color beige ed ai pantaloni morbidi che li ricadevano sulle gambe affusolate.

Alfred avanzò lentamente cercando di non far rumore, come un lupo alla sua battuta di caccia.

Un passo.

Un altro.

Ed arrivò dietro alla schiena dell’inglese.

Lentamente gli circondò i fianchi con le braccia, ancora muscolose e toniche. Il suo era un abbraccio.

Ma l’inglese immerso nei suoi pensieri si spaventò:

“Bloody hell !!!”

Si girò nell’abbraccio per vedere chi fosse il povero sventurato che se la doveva vedere con la sua furia pluriomicida.

Pensava che fosse un altro attacco a sorpresa di Francis, era più probabile addirittura che fosse Matthew, ma non lui, non poteva essere lui.

Ma non si sbagliava, invece, non era uno scherzo, e neanche un allucinazione della sua mente contorta, no era tutto vero.

Quell’azzurro non se lo poteva proprio dimenticare.

Era l’azzurro dell’oceano, del cielo, della tranquillità e della libertà.

A quella parola il suo cuore perse un battito.

Libertà.

Già proprio per quella lui aveva perso tutta la sua voglia di vivere.

“…”

Silenzio, sia dalla vecchia colonia sia dalla madrepatria.

“allora che vuoi?” incominciò l’inglese, stufo ed anche un po’ imbarazzato da quel silenzio opprimente e soprattutto da quella vicinanza inaspettata ed ormai dimenticata.

“sempre acido a quanto vedo” ribatté l’americano.

Arthur, provò a scostarsi da quella morsa ferrea, ma non ci riuscì.

“volevo rivedere i tuoi occhi … per l’ultima volta … ho sempre adorato questo verde smeraldo … mi ricorda i prati della nostra vecchia casa”

L’inglese spalancò gli occhi, sorpreso da questa affermazione. Che cosa aveva detto? 

Una volta metabolizzata la frase arrossì di colpo, ed il cuore accelerò velocemente, di nuovo.

“volevo dirti scusa … mi dispiace … per tutto” ripartì il stelle e strisce.

No,no fermi tutti, questo era un sogno vero? Era impossibile che Alfred si scusasse e poi tutte le cose che gli aveva detto !?!? si, adesso si sarebbe svegliato e tutto sarebbe ritornato al solito grigiore normale niente azzurro.

Aprì e chiuse gli occhi un paio di volte ma vide la figura accigliata di Alfred che lo guardava.

“ma che cosa ti sta succed” non finì la frase perché l’inglese lo superò con il suo tono di voce da sergente britannico.

“dove sta la fregatura?”

“eh?”

“non fare << eh >> a me, sai!  Lo so, stai giocando, vuoi calpestare di nuovo i miei sentimenti eh?!” sbraitò l’inglese.

“Arthur, ho aspettato troppo tem”

“AH! Ahi aspettato troppo tempo; per cosa esattamente eh? Per scusarti? Per avermi abbandonato là in mezzo alla pioggia e al fango eh?? Inginocchiato a piangere per te fucking bastard!!!” Inghilterra stava urlando adesso, tant’è che tutti nella sala conferenze gli stavano guardando e smisero di parlottare tra di loro ma ascoltarono la strana conversazione.

Inghilterra prese un respiro profondo e diminuì il tono della voce “lo sai quant’è stata dura senza di te vero?! Io volevo uccidermi!! Solo che sono troppo codardo per farlo e quindi”

Alfred non ce la fece più, lo abbracciò stretto al suo petto, come se da quell’abbraccio dipendesse la vita di tutti e due, il tempo sembrava essersi fermato. L’uno era la salvezza dell’altro.

Entrambi piansero. America, in modo silenzioso, Inghilterra singhiozzava.

“sssh va tutto bene … calma respira adesso … ” e mentre diceva questo gli accarezzava la testa lentamente e con grande cura, in quel gesto c’era tanto amore.

Arthur, si rilassò sotto il suo tocco e parve calmarsi. I singhiozzi scomparvero.

Nessuno dei due mollò la presa sull’altro.

“Iggy, io ho dovuto lasciarti”

Silenzio.

Un tremito, un brivido.

Ricordare era doloroso.

“io Alfred F. Jones non volevo lasciarti ma America ha dovuto farlo. Il popolo chiedeva libertà, chiedeva l’indipendenza. Mi dispiace ma ho avuto solo adesso il coraggio … Eheh si,ammetto che sono un po’ arrugginito come eroe.  Ho sprecato tutta la mia lunga ed interminabile vita senza la persona più importante al mio fianco. Mi dispiace.”

Arthur, non ci credeva, finalmente si erano chiariti, certo se così si può dire, aveva detto e fatto tutto Alfred con il suo monologo, ma lo conosceva bene e sapeva come poteva essere chiacchierone.

“Al … perdonami anche tu … mi dispiace” un gentleman inglese sa riconoscere quando sbaglia.

E così occhi verdi alzandosi sulle punte si avvicinò al viso dell’americano, lo accarezzò dolcemente sulla guancia rugosa e pungente; mentre con l’altra mano, si aggrappava alla sua felpa rossa e morbida, salì lentamente sempre più vicino al viso e gli diede un bacio a stampo a fior di labbra.

“Sorry Al, for everything”

 In quel momento la Terra tremò, un boato generale si alzò al di fuori di quelle mura, erano le persone che gridavano, che piangevano.

Nella sala, vi fu un sussulto, un tremore, un piccolo spavento, ma niente di eclatante; Ivan era quasi sollevato e Francis aveva un sorrisino sul volto, ancora con il bicchiere di vino in mano, ormai tutti erano stanchi di quella vita. Il pianeta piangeva da secoli  e nessuno l’aveva mai aiutato, gli uomini erano troppo ipocriti e troppo stupidi per pensarci e le nazioni ormai erano stanche.

In quel momento Arthur cercò il viso famigliare di Alfred,  lo accarezzò di nuovo, come se fosse il suo tesoro più prezioso, cosa che infatti era così, e, sapendo che quelli erano gli ultimi respiri per entrambi gli sussurrò nell’orecchio

“I love you”

In quel momento fu tutto buio.
  
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