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Autore: Morwen_Eledhwen    27/01/2013    2 recensioni
Il vecchio continuava a fissarla intensamente ed Elena iniziò a sentirsi a disagio, come le accadeva sempre quando quei tipi di persone le si avvicinavano.
Poi egli parlò di nuovo: «Siete andata a trovare il Signor Foscolo?»

Un racconto che vuole essere un omaggio a Firenze, al grande Ugo Foscolo e alla poesia.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL POETA DI PIETRA

 
 
Il treno era piuttosto affollato. Quasi tutti i sedili erano occupati e, in fondo al vagone, un gruppo di studenti chiacchierava allegramente ad alta voce. Di fianco a lei, un uomo in giacca e cravatta parlava di incontri di lavoro al cellulare, mentre le due donne di fronte dormivano profondamente, una delle quali con una rivista aperta sulle ginocchia.
Mentre il treno rallentava, Elena si sistemò gli occhiali che le stavano scivolando lungo il naso e guardò fuori dal finestrino: un cartello blu con la scritta “Firenze S. Maria Novella” le fece capire che era arrivata. Si alzò in piedi, si infilò la giacca frettolosamente e tirò giù dallo scaffale in alto il suo trolley blu, facendo attenzione a non farlo cadere per evitare di fare del male alle signore addormentate. Il treno si era ormai fermato ed Elena, alzata la maniglia del trolley, si avviò verso l’uscita trascinandoselo dietro.
Dopo un po’ di fatica per farsi largo tra la folla, riuscì ad uscire dalla stazione e vedere il sole, che subito le scaldò il viso. Era una tiepida mattina d’ottobre.
Si guardò intorno facendo un gran respiro, mentre la strada trafficata la accoglieva con auto in corsa e suoni di clacson per ricordarle che quella città era rumorosa, moderna e grigia come tutte le altre. Ma Elena non voleva ascoltarla, perché era fermamente convinta che Firenze fosse diversa.
In realtà, se glielo avessero chiesto, non avrebbe saputo spiegarne la vera ragione. “E’ la culla dell’arte”, diceva di solito, ma questa definizione non le sembrava esaustiva. C’era qualcosa di più profondo che non riusciva ad esprimere a parole.
Dopo essersi sistemata una ciocca ribelle di capelli castani, tirò fuori dalla tasca della giacca la piantina della città. Ormai avrebbe dovuto conoscere bene quelle strade, ma l’orientamento non era il suo forte e preferiva sempre controllare. Individuato il percorso nell’intrico di rette e diagonali della mappa, rimise la cartina in tasca e si avviò verso il centro città.
Per sua fortuna, Claudia abitava in una via poco lontana dal Duomo, nel cuore di Firenze.
Raggiunta la via giusta, Elena passò in rassegna tutti i numeri civici finché non arrivò davanti ad un grande portone mezzo sverniciato, che osservò attentamente per qualche secondo prima di suonare il campanello.
«Sì?»
La voce di Claudia era inconfondibile.
«Sono Elena».
«Ciao! Sono al piano terra», disse mentre il portone si apriva con uno scatto rumoroso.
Elena lo spinse ed entrò, per poi richiudere il portone dietro di sè. Salì i tre gradini dell’atrio poco illuminato ed alla sua destra vide Claudia che la attendeva sul pianerottolo.
«Finalmente!», disse Claudia abbracciandola.
«Come stai?»
«Bene, bene», rispose allegramente, «entra pure!».
«Non male questo appartamento», commentò Elena guardandosi intorno. L’ingresso dava su un piccolo soggiorno, di cui intravedeva solo una libreria e un tavolino con la tv, una cucina e una porta chiusa che doveva essere il bagno.
«Sì, è più spazioso dell’altro, anche se non mi piace molto stare al piano terra».
«Hai paura dei ladri?».
«Un po’ sì».
«Però le finestre hanno le inferriate e poi sei in centro città, è fantastico!», cercò di rassicurarla Elena.
«Sì, è molto comodo», disse aiutandola a togliersi la giacca e appendendola ad un attaccapanni.
«Anche se l’altro appartamento era più vicino alla facoltà».
«Ci vai in autobus?», chiese Elena.
«Sì. A proposito», si ricordò, «hai fatto bene a venire oggi perché nei prossimi giorni sarò là anche di mattina».
«E’ dura la vita dei ricercatori», disse Elena sorridendo.
«Già», ammise Claudia invitandola a seguirla nel soggiorno, dove era stato accuratamente preparato un letto.
«Ti ho aperto il divano letto, dovresti essere comoda».
«Immagino proprio di sì, grazie!».
«Ti va un caffé?».
«Certo».
«Allora vado a prepararlo. Tu intanto sistema le tue cose... Fai come fossi a casa tua».
«Grazie», rispose Elena appoggiando il trolley alla parete. Prima di tirare fuori i vestiti, però, si avvicinò alla finestra e sbirciò fuori: nella via pedonale poteva notare alcuni negozi di vestiti, una gioielleria e una tabaccheria. Osservò i passanti come ipnotizzata, prima di voltarsi e iniziare a disfare la piccola valigia.
Le faceva piacere rivedere Claudia, ma non vedeva l’ora di poter passeggiare liberamente per la città. Si sentì un po’ in colpa per questo ma si ripromise di stare con Claudia il più possibile.
Mentre bevevano il caffè chiacchierarono a lungo, sopratutto a proposito della loro routine. Claudia spiegò cosa faceva esattamente all’università, nominando varie sostanze chimiche che Elena non aveva mai sentito nominare e tipologie di esperimenti che non le riusciva di e non le interessava comprendere, e chiese poi all’amica come stessero andando le lezioni di italiano per stranieri.
«Niente di nuovo, è sempre la solita storia. Spesso sono studenti che sono venuti in Erasmus e, più che spiegare le regole della grammatica italiana, mi diverto di più a fare domande sui loro paesi e sulla grammatica delle loro lingue», rispose Elena sforzandosi di sorridere. Quel lavoro la annoiava a morte.
Dopo quella mezz’ora di chiacchiere, Claudia le mostrò tutte le stanze della casa, oltre a consegnarle una copia delle chiavi di casa. Chiacchierarono ancora e venne fuori che Claudia usciva con un uomo che aveva conosciuto da qualche mese. Non volle aggiungere altro e chiese ad Elena come andasse la sua vita sentimentale, ma lei rispose che dopo Marco non c’era stato nessun altro. Stava bene così.
Verso mezzogiorno e mezzo Claudia iniziò a preparare il pranzo e, nonostante non volesse alcun aiuto, Elena si offrì di tagliare la cipolla per il sugo e le melanzane.
Durante il pranzo parlarono poco e Claudia si lamentò del fatto di non avere una tv anche in cucina; poi lavarono i piatti insieme e Claudia si preparò per andare a lavorare all’università.
«Tornerò verso le sette, tu organizzati come vuoi e ci vediamo a cena».
«Va bene, credo proprio che farò un giro per la città. Buon lavoro!».
Claudia ringraziò ed uscì.
Dopo essersi lavata i denti e pettinata, Elena afferrò la borsetta che aveva appiattito nel trolley, ci infilò dentro la piantina e la guida turistica di Firenze ed uscì.
Una volta in strada, si avviò con decisione nella direzione da cui era arrivata quella mattina, sperando di non sbagliare, e, dopo pochi minuti di cammino, l’enorme cupola di S. Maria del Fiore spuntò tra i tetti delle case, invitandola a dirigersi da quella parte. Dopo aver percorso varie viuzze, Elena si ritrovò nella piazza del Duomo quasi all’improvviso. Decise di prendersi tutto il tempo di cui aveva bisogno per fare un giro completo intorno alla cattedrale, contemplando col naso all’insù l’immensa opera del Brunelleschi. Naturalmente non era un panorama nuovo, poichè era già stata più volte in quella città, ma ogni volta che osservava quegli edifici non poteva fare a meno di provare una certa emozione. Perché poi? Cos’aveva di speciale l’arte rinascimentale rispetto a quella delle altre epoche? Non lo sapeva con certezza. Sapeva solo che, se aguzzava la vista, poteva vedere i grandi artisti del passato lavorare con eccezionale cura e passione alla realizzazione di quelle opere. Li vedeva camminare avanti e indietro ai piedi dei grandi edifici, mentre davano ordini ai muratori gesticolando animatamente con numerosi fogli in una mano, oppure lavorare di persona con martello e scalpello per realizzare le ornamentazioni. Sbatté le palpebre e cercò di tornare alla realtà, lieta del fatto che nessuno fosse a conoscenza delle sue ridicole fantasticherie. Tirò fuori la piccola macchina fotografica digitale e scattò qualche fotografia, più per abitudine che per altro, dato che ne possedeva già un’enorme quantità.
Fece un giro anche intorno al battistero, prima di imboccare una via che l’avrebbe portata in Piazza della Signoria. Sfortunatamente non era la strada giusta e dovette controllare sulla piantina della città per risolvere il problema, prima di riuscire a raggiungere la meta, nonostante essa non fosse molto lontana. Anche lì scattò alcune fotografie e passò molto tempo ad osservare soprattutto le statue nella Loggia dei Lanzi, la quale era piuttosto affollata di turisti.
Passò davanti agli Uffizi contenta di averli già visitati, evitandosi, così, l’interminabile fila che incombeva davanti all’entrata, nonostante avesse un po’ di nostaliga del Botticelli. Fece una passeggiata lungo l’Arno, per poi dirigersi verso Piazza Santa Croce con l’aiuto della mappa. Giunta nell’ampia piazza, decise di sedersi per riposare un po’ le gambe. Cercò una panchina libera e vi si sedette, tirando fuori dalla borsa la guida della città. Non la aprì subito, poiché preferì togliersi gli occhiali, chiudere gli occhi e puntare il viso verso il cielo, affinché il tiepido sole autunnale glielo scaldasse.
Dopo qualche minuto inforcò gli occhiali ed iniziò a sfogliare la guida per vedere se vi fosse qualche luogo interessante che ancora non aveva visto. Poiché il sole illuminava troppo le pagine, alzò il libretto verso l’alto per avere un po’ d’ombra e si soffermò sul capitolo che riguardava la Firenze “d’Oltrarno”. Era così presa dalla lettura che per poco non si accorse della voce che diceva in tono solenne: «E tu prima, Firenze, udivi il carme che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco».
Quasi senza pensarci, Elena esclamò: «Foscolo!», quasi con soddisfazione, come se fosse sicura di aver dato la risposta corretta durante un’interrogazione o un esame di letteratura.
Tuttavia, abbassando il libro, notò che, a pronunciare quella frase, era stato un mendicante dalla lunga barba incolta e le vesti logore e sporche, poiché non vi era nessun’altra persona così vicina. Nonostante lo stupore, Elena cercò di sorridere. Di solito i senzatetto della sua città urlavano imprecazioni o dicevano cose senza senso parlando da soli; di certo non citavano versi di poesie.
Il vecchio continuava a fissarla intensamente ed Elena iniziò a sentirsi a disagio, come le accadeva sempre quando quei tipi di persone le si avvicinavano.
Poi egli parlò di nuovo: «Siete andata a trovare il Signor Foscolo?».
Elena sgranò gli occhi mentre cercava di capire cosa intendesse l’uomo e pensava a quanto fosse divertente qualcuno che usava ancora il “voi”.
«Ehm, no», mormorò.
«Dovete andare. In fondo alla navata destra», disse indicando l’enorme facciata della chiesa.
«Lui vuole essere ricordato», aggiunse guardandola ancora più intensamente, come fosse una questione di vita o di morte.
Elena decise di fingere di assecondarlo e disse in tono sbrigativo: «Sì sì, vado subito».
Si alzò dalla panchina e si allontanò.
Arrivò quasi fino alla chiesa prima di voltarsi indietro e vedere se fosse riuscita a liberarsi dell’uomo: egli, però, la stava ancora osservando.
Per evitare di essere tormentata ancora, Elena decise di nascondersi dietro al monumento di Dante. Mentre si appoggiava al grande basamento della statua, però, iniziò a riflettere sul fatto che non le avesse chiesto denaro, ma le avesse semplicemente detto di andare a trovare il “Signor Foscolo”.
“Curioso”, pensò. A Firenze perfino i barboni erano colti.
Osservò la candida e geometrica facciata di Santa Croce, mentre le tornava in mente una sua visita precedente. L’interno della chiesa l’aveva già visto, ma pensò che, in fondo, avrebbe potuto tornarci un’altra volta. Il problema era il prezzo del biglietto d’entrata: non navigava nell’oro e quindi preferiva non spendere soldi per luoghi che aveva già visitato. Tuttavia rivedere la tomba del grande Michelangelo non le sarebbe affatto dispiaciuto...
Di certo non ci sarebbe andata perchè gliel’aveva chiesto il barbone.
Lanciò un’ultima occhiata alla piazza, dove in quel momento il barbone si stava rivolgendo ad altri turisti, che si allontanarono in fretta, e poi si avviò verso il portico laterale, dove pagò il biglietto ed entrò, meditando su quanto fosse ignobile dover pagare per entrare in una chiesa.
All'interno della basilica la luce soffusa che filtrava dalle finestre ricadeva delicatamente sulla pietra dei monumenti funebri e sui grossi pilastri di mattoni. Alzò lo sguardo verso le semplici decorazioni sul soffitto ligneo, per poi dirigersi a passo svelto verso la tomba di Michelangelo. Lì rimase a lungo a contemplare le pose malinconiche della Pittura, la Scultura e l’Architettura, le tre donne ai piedi del sarcofago che piangevano la morte del grande artista.
Poi si spostò davanti al monumento di Dante e proseguì lungo la navata oltrepassando le tombe di Alfieri, Machiavelli e Rossini. Quando si ritrovò di fronte alla candida statua di quell’uomo dal volto fiero che stava in piedi su un basamento squadrato con l’iscrizione “Ugo Foscolo”, si fermò ad osservarlo con attenzione.
Il poeta era stato rappresentato a grandezza naturale con un lungo mantello che gli avvolgeva tutto il corpo, lasciando scoperti il volto, le mani e gli stivali. Il viso incorniciato dai corti capelli ricci era rivolto alla sua sinistra, come se stesse fissando qualcosa che nessun altro poteva vedere.
Mentre scrutava la scultura, cercava di ricordare alcuni versi del suo famoso carme sui sepolcri, accorgendosi con soddisfazione che ne ricordava parecchi.
“E così ora riposi in questo luogo che tanto ammiravi”, pensò guardando quei bianchi occhi fissi nel vuoto. Le tornò in mente ciò che le aveva detto il mendicante e fece un sorriso compiaciuto.
“Ecco, sono venuta a trovarti”, pensò allegramente.
Avrebbe voluto che la statua all’improvviso si animasse e scendesse da quel piedistallo per ringraziarla, ma subito scacciò quel pensiero con aria divertita. Si allontanò per proseguire la sua visita nelle cappelle del transetto, ma dopo pochi passi si voltò per osservare un’ultima volta la statua di Foscolo. Essa era immobile nella stessa posizione di prima, priva di anima come tutte le statue.
Con un pizzico di malinconia di cui non riusciva a comprenderne l’origine, continuò la sua visita alle tombe dei grandi uomini del passato e proseguì nel chiostro e nella Cappella Pazzi, dove sostò ad ammirare la precisione e semplicità dell’architettura brunelleschiana, senza scattare fotografie.
Mentre tornava a casa percorrendo le numerose vie del centro, quando ormai il pomeriggio stava lasciando il posto alla sera, il cellulare iniziò a squillare. Era Claudia che le chiedeva se fosse un problema avere a cena il suo ragazzo, visto che era venuto a trovarla al lavoro e stavano tornando a casa insieme. Elena rispose che no, non ci sarebbe stato alcun problema; anzi le avrebbe fatto piacere conoscerlo.
Giunta a casa, li trovò già in cucina intenti a preparare la cena.
«Eccola! Elena, lui è Christian», disse Claudia con tono allegro mentre presentava l’uomo all’amica.
«Piacere, Elena», disse lei mentre gli porgeva la mano e lui la stringeva. Aveva gli occhi chiari, un curatissimo taglio corto di capelli e un mento perfettamente rasato.
Elena si offrì di aiutare, ma i due avevano già provveduto a tutto e la carne era ormai quasi cotta.
Durante la cena chiacchierarono di molte cose: Christian parlò della sua professione di avvocato e chiese ad Elena come fosse andato il viaggio e dove fosse stata durante il pomeriggio. Quando arrivò il momento del dolce, Christian si mise a raccontare di una zingara che quella mattina l’aveva inseguito per molti metri chiedendo insistentemente denaro.
Ad Elena tornò in mente il mendicante e pensò di raccontare l’aneddoto.
«Oggi un barbone mi ha detto di andare a trovare Foscolo a Santa Croce, dopo avermi recitato un verso dei Sepolcri», disse con aria divertita.
Christian sbuffò. «Dev’essere stato il poeta pazzo».
« Aveva la barba lunga?», chiese Claudia.
«Sì», rispose Elena.
«Allora era lui. Non ce ne sono molti che vanno in giro a dire poesie».
«Quello è completamente pazzo. C’è parecchia gente curiosa qui a Firenze», affermò Christian sorridendo.
Stavano per cambiare discorso ma Elena volle saperne di più.
«Perché lo chiamate poeta?».
«Dicono che una volta fosse un poeta», rispose Claudia.
Christian ghignò. «Già. Cosa credeva? Di fare soldi scrivendo poesie?! Che ridere».
Elena si rabbuiò.
«Magari ha avuto problemi finanziari... la poesia ormai si scrive per hobby».
Christian scoppiò in una risata cristallina. «Chi è che scrive poesie al giorno d’oggi? E comunque dicono che fosse talmente fissato con i poeti del passato da voler diventare come loro. A quanto pare non gli era bastato sentirli nominare fino alla nausea quando andava a scuola!».
«E per di più non ha ancora capito che la poesia non porta soldi!», aggiunse. La cosa sembrava divertirlo parecchio.
Elena provò pena per quel mendicante. Forse riusciva a capirlo: probabilmente il motivo della sua povertà non era il fatto che la poesia non portasse soldi, bensì la sua decisione di abbandonare tutto perché nessuno credeva in lui, perché nessuno credeva più nella poesia. Perché aveva fallito.
Mentre Christian e Claudia iniziarono a parlare d’altro lei non riuscì ad ascoltarli. Sentiva uno strano peso nello stomaco.
Forse quel pover’uomo chiedeva alla gente di andare a trovare Foscolo perché aveva paura che anche lui avesse fallito, poiché nessuno lo ricordava più.
Cercò di ricomporsi cacciando via quei pensieri, poiché se gli altri ne fossero venuti a conoscenza non l’avrebbero creduta una persona sana di mente.
Si sforzò di ascoltare la loro conversazione ma ora Christian stava parlando della sua squadra di calcio preferita e di una certa partita che lui e Claudia avrebbero guardato insieme una delle sere seguenti.
Solo Claudia sembrò accorgersi del suo silenzio.
«Tutto bene Elena?».
«Sto bene, sto bene. Sono solo un po’ stanca», disse sforzandosi di sorridere.
Per inserirla nella conversazione, Claudia le chiese quali piani avesse per il giorno seguente.
«Mah, probabilmente farò una passeggiata fino a piazzale Michelangelo per vedere Firenze dall’alto».
Rimasero a chiacchierare ancora e poi Christian si alzò per andarsene. Claudia lo accompagnò alla porta e poi si preparò per andare a dormire, poiché si sarebbe dovuta alzare presto la mattina dopo.
Elena aprì il libro di racconti che si era portata, ma si addormentò presto, decidendo di comprare un’edizione economica delle poesie di Foscolo il giorno dopo.
Quando si alzò, la mattina seguente, Claudia era già uscita. Elena si lavò e vestì con calma e decise di fare colazione in un bar. Ne scelse uno elegante in Piazza della Signoria, dove gustò un caffè e un croissant con una vista perfetta sul Palazzo e la Loggia, e, quando si decise ad alzarsi ed andarsene, percorse quasi tutte le vie limitrofe per cercare una libreria. La trovò e comprò un libro sulla cui semplice copertina di cartoncino vi era il titolo: “Ultime lettere di Iacopo Ortis e Poesie”.
Sapeva di averne già una copia simile a casa da qualche parte, ma il volumetto costava poco e aveva davvero voglia di rileggere quelle poesie. Naturalmente l’Ortis avrebbe atteso tempi più propizi, dato che ora non aveva davvero tempo di iniziare a leggere un romanzo.
Uscì dalla libreria soddisfatta e si diresse al di là dell’Arno.
Dopo una lunga passeggiata e parecchia fatica durante la salita, giunse in Piazzale Michelangelo, nel cui centro troneggiava una maestosa copia del David.
Si diresse verso la balaustra e abbracciò con gli occhi la sconfinata vista della città, tra i cui tetti svettava la rossa cupola del Brunelleschi. Il cielo era coperto da qualche nuvola e la luce non era delle migliori, ma quella visione risultava sempre incantevole e rendeva sempre d’obbligo delle fotografie.
Quando si ritenne soddisfatta, si avvicinò al basamento della statua del David e si sedette sui gradini, dove iniziò a sfogliare il libro che aveva acquistato. Dopo aver letto le poesie che le interessavano, decise di proseguire il suo cammino fino alla chiesa di San Miniato al Monte, da cui avrebbe potuto scorgere un panorama addirittura migliore.
Man mano che saliva i gradini, la facciata della chiesa appariva lentamente davanti ai suoi occhi, stagliandosi sul cielo macchiato di nuvole. Quando fu all’altezza del piccolo cimitero che si trova a fianco della gradinata, si voltò alla sua sinistra per contemplare la malinconica quiete di quel luogo cosparso di pietre tombali, ma la sua attenzione fu attirata da quello che sembrava essere un pezzo di carta infilato in una fessura del muretto. Avvicinandosi, notò che si trattava di un semplice pezzetto di giornale, ma era stato piegato in quattro e infilato accuratamente nel muro affinché non volasse via con il vento. Incuriosita, lo estrasse dalla fessura e lo aprì lentamente, aspettandosi di leggere un articolo di giornale a cui, a quanto pareva, qualcuno era particolarmente interessato. Invece, scritta a penna in caratteri maiuscoli e ripassata più volte perché si distinguesse meglio dalle scritte sul giornale vi era la frase
 

ALL’OMBRA DE’ CIPRESSI E DENTRO L’URNE
CONFORTATE DI PIANTO È FORSE IL SONNO
DELLA MORTE MEN DURO?

 
Poi, in caratteri più piccoli dato il poco spazio rimasto, la stessa mano aveva aggiunto:
 

ANCHE LA SPEME, ULTIMA DEA, FUGGE I SEPOLCRI

 
Elena sgranò gli occhi riconoscendo i famosi versi del carme di Foscolo. Non ebbe bisogno di aprire il libro che aveva in borsa per controllare. Quello che la colpiva di più, però, era il modo in cui quelle parole apparivano in perfetta sintonia con il triste luogo che aveva davanti agli occhi.
Che fosse stato il barbone-poeta a scriverle? Dato il modesto supporto cartaceo pareva proprio di sì.
Quale altra persona normale avrebbe mai scritto quei versi su un biglietto posto nel muro di un cimitero? Doveva essere per forza stato lui.
Le scappò un mezzo sorriso. Avrebbe voluto complimentarsi con lui perché, se avesse potuto farlo senza guadagnarsi le occhiatacce della gente, sarebbe piaciuto molto anche a lei lasciare versi indelebili come quelli in luoghi suggestivi come quello. Di sicuro un po’ di poesia sarebbe stata molto più utile di quegli insensati lucchetti che ultimamente gli innamorati attaccavano ovunque.
Restava, però, il fatto che, ogni volta che le leggeva, quelle parole le lasciavano sempre nel cuore una strana inquietudine. Erano così profonde, così vere.
Ripiegò delicatamente il biglietto e lo rimise dove lo aveva trovato, per poi continuare il suo cammino fino alla chiesa con quelle parole che le risuonavano nella mente.
Quella sera non poté fare a meno di rileggere il carme “Dei Sepolcri” e nemmeno di sentire dei brividi lungo la schiena ad ogni verso.
La giornata seguente la passò interamente insieme a Claudia, poiché era sabato e lei non doveva andare a lavorare. Fecero colazione insieme piuttosto tardi e, per tutta la giornata, Claudia la portò in giro per negozi e vie che Elena non aveva ancora esplorato.
Le fece molto piacere passare tutto quel tempo con l’amica, poiché riuscirono a chiacchierare molto e questo le tenne la mente occupata e lontana dalle malinconie di tipo letterario ed esistenziale.
La serata fu piuttosto movimentata perché Claudia le presentò alcune amiche e la portò in un locale molto affollato dove clienti e baristi tentavano, con molta fatica a causa del volume della musica, di iniziare a tutti i costi una conversazione con il gruppo di ragazze.
Naturalmente Elena non si sentiva a suo agio e non parlava molto, poiché quello non era per nulla il tipo di ambiente che frequentava spesso.
La mattina dopo, mentre passeggiava di nuovo da sola per il centro della città, quasi senza accorgersene si ritrovò in Piazza Santa Croce.
Non sapeva bene perché le gambe l’avessero condotta lì, ma, una volta arrivata sotto il monumento di Dante, si mise ad osservare la gente che entrava nella chiesa accompagnata dal suono delle campane. Fu in quel momento che le venne in mente un’idea: per non pagare il biglietto d’entrata avrebbe assistito alla celebrazione per poter osservare di nuovo la tomba di Ugo Foscolo.
Perché poi? L’aveva già vista. Ed era solo una statua.
Si diresse con passo deciso verso la folla di persone che entravano nella basilica.
Una volta dentro, gettò solo una rapida occhiata alla tomba di Michelangelo e, poiché durante la funzione religiosa non le avrebbero permesso di passeggiare per la chiesa liberamente, scelse una panca abbastanza vicina alla statua del poeta e vi si sedette.
La chiesa si riempì e il sacerdote iniziò a celebrare la Messa. Elena non era credente e, mentre tutti gli altri ascoltavano e partecipavano devotamente, lei si guardava intorno; ma lo sguardo finiva sempre sul poeta di pietra.
Ebbe modo di studiarlo attentamente: qualcosa di lui la intristiva. Quell’uomo che aveva avuto grandi ideali e scritto versi memorabili ora non era altro che un mucchio di ossa chiuso in una bara, con solo una fredda statua a ricordare ai visitatori che lui, un tempo, era stato vivo.
Il sacerdote ora era passato alla predica ed Elena non riusciva a distogliere lo sguardo da quei candidi occhi persi nel vuoto.
All’improvviso una nuova voce che rimbombava nella navata la riportò alla realtà.
«Ma quale vita eterna! Sono tutti morti se noi non teniamo vivo il loro ricordo!», disse la voce in risposta a qualcosa che doveva aver detto il sacerdote.
Elena si voltò e, sopra le teste dei fedeli, scorse il mendicante in piedi in mezzo alla navata centrale, nel corridoio che divideva le due file di panche di legno.
Il sacerdote continuò la sua predica come se niente fosse, forse perché era abituato a queste interruzioni da parte del barbone, mentre alcune signore anziane di fianco ad Elena si scambiarono occhiate sconvolte e borbottarono qualcosa con sdegno. Lei dovette trattenersi perché non le scappasse una risatina.
Seguì con lo sguardo i movimenti del mendicante e vide che si stava dirigendo proprio verso la tomba di Ugo Foscolo. Non appena fu davanti alla statua la guardò come se volesse dirle qualcosa e poi gettò un pezzo di carta al di là del cordone che impediva di avvicinarsi troppo al monumento. Elena osservò la scena con interesse. Era sicura che fosse un biglietto con un verso di qualche poesia, come quello che aveva trovato a San Miniato, oppure una frase o addirittura un verso scritto dal mendicante stesso e dedicato al poeta defunto.
Subito un addetto alla sicurezza, il cui compito era controllare che nessun turista decidesse di visitare gratuitamente la chiesa durante la funzione, si precipitò verso il mendicante e lo mandò via con gesti eloquenti. Poi scavalcò il cordone, si chinò ed afferrò il biglietto, che lesse in fretta e accartocciò per portarlo via e molto probabilmente gettarlo nella spazzatura.
Elena si incupì. Tornò ad osservare la statua, ma il poeta se ne stava sempre fermo nella stessa posizione e con lo sguardo perso nel vuoto. Non vedeva e non sentiva nulla.
La funzione proseguì senza altri colpi di scena e, quando i fedeli iniziarono ad alzarsi dalle panche per ricevere la Comunione, Elena colse l’occasione per uscire dalla chiesa. Ormai aveva fissato la statua per troppo tempo e aveva deciso che una passeggiata le sarebbe stata più utile.
Una volta fuori dalla chiesa, un vento freddo le investì il volto. Elena si strinse ancora di più nella sua giacca azzurra e si diresse verso la via che conduceva fuori dalla piazza sul fianco sinistro della chiesa. Alzando lo sguardo, vide il mendicante che si allontanava con passo svelto dal loggiato che proteggeva l’entrata laterale della chiesa, riservata ai turisti e in quel momento chiusa, e dietro di lui, in mezzo agli arabeschi di ferro che costituivano la cancellata, un foglietto agitato dal vento attirò la sua attenzione. Elena si avvicinò senza esitazione.
Affinché non volasse via, il biglietto era stato conficcato su un ferro appuntito che costituiva la geometrica decorazione della cancellata. Era ancora una volta un pezzo di giornale e sopra era stato scritto a penna
 

A noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura

 
Elena si allontanò dal loggiato con un’espressione malinconica sul viso e, dopo pochi passi, si sedette sulla gradinata. Tirò fuori dalla borsa il volumetto che aveva comprato due giorni prima e, dopo aver letto la famosa “A Zacinto” che il mendicante aveva voluto citare, sfogliò il libro per lungo tempo.
Mentre leggeva le balenò in mente un’idea: doveva far capire a quel pover’uomo che Ugo Foscolo e i grandi uomini come lui non erano stati dimenticati da tutti.
Si ricordò di avere in borsa la piccola agenda dove segnava i suoi impegni. Strappò una pagina vuota che corrispondeva a un giorno di un mese già passato e scrisse i versi che facevano al caso suo, copiandoli accuratamente dal libro:
 

Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l’armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de’ suoi?

 
E con “suoi” lei non intendeva i parenti, a cui si riferiva Foscolo nella sua composizione, ma tutti coloro che ancora lo ricordavano. Chissà se il barbone avrebbe capito. Molto probabilmente il biglietto sarebbe volato via o avrebbe fatto la stessa fine di quello posto dal mendicante ai piedi della statua del poeta.
Elena, tuttavia, si avvicinò alla cancellata e vi attaccò il biglietto, a poca distanza dall’altro. Poi si allontanò senza badare ai passanti, molti dei quali erano appena usciti dall’entrata principale dalla chiesa, in cui la celebrazione era terminata.
 
L’ultimo giorno del suo soggiorno fiorentino Elena si alzò verso le nove per preparare la piccola valigia, fare colazione e andare a prendere il treno. Claudia era già al lavoro, infatti le due amiche si erano già salutate la sera prima, ed Elena bevve il caffè in silenzio. Mentre sistemava le ultime cose decise che, poiché aveva abbastanza tempo, prima di arrivare alla stazione avrebbe fatto una piccola deviazione per passare un’ultima volta davanti al loggiato laterale della basilica di Santa Croce, dove, se avesse trovato ancora i due biglietti, avrebbe scattato una fotografia.
Quando giunse nella piazza della basilica si diresse velocemente verso la sua meta e, con grande sorpresa, vide che i biglietti erano ancora al loro posto e ve ne era uno in più.
Si avvicinò per leggere quella che credeva essere la risposta del mendicante, ma notò che, questa volta, il biglietto non era un pezzo di giornale, bensì un post-it giallognolo su cui erano state scritte alcune lunghe frasi in una calligrafia minuta e regolare, molto diversa da quella del mendicante.
Elena lesse:
 

Un dì vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
e interrogarle.

 
Dopo alcuni puntini di sospensione era stato aggiunto:
 

Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il grande Oceàno.

 
Sul volto di Elena si delineò un accenno di sorriso. Quel biglietto scritto da una mano sconosciuta era la prova che esisteva qualcun altro che ricordava ancora il “signor Foscolo” e la scelta di quei versi dimostrava che anche questa persona aveva compreso il grande potere della poesia. La poesia che, nonstante la morte, rimane in eterno.
Il mendicante si sbagliava: il poeta dei sepolcri non aveva fallito. Attraverso la sua poesia egli era ancora vivo e avrebbe continuato a vivere in eterno. Quell’uomo dallo sguardo vacuo non era solo una muta statua di pietra.
Elena si dimenticò di scattare la fotografia e si diresse verso la stazione.

  
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