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Autore: _Nica89_    27/01/2013    3 recensioni
Immagini della vita di Finnick ed Annie a partire dal ritorno di Finnick alla sua prima esperienza da mentore per Gli Hunger Games, accompagnati dalla canzone "New Orleans" di Davide Van de Sfroos.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: nel testo è presente la traduzione (tratta dal sito ufficiale del cantautore) della canzone New Orleans di Davide Van de Sfroos. Questo è il sito (http://www.davidevandesfroos.com/musica-parole?album=pica)  per leggere testo integrale e traduzione è necessario cliccare su “vedi tracklist e testi delle canzoni”, poi selezionare “New Orleans” nella finestra che si apre in seguito). Qui di seguito il link per chi la volesse ascoltare http://www.youtube.com/watch?v=nynrQneVEKg




[…]Mi hai detto che tuo padre ha tre fucili

Ma io ho un cuore di trenta chili
E posso anche farmi sparare[…]
 
Ti vedo, mentre corri verso di me, felice che io sia finalmente tornato a casa. In realtà sono passate solo due settimane da quando sono partito per fare da mentore, per la prima volta, agli Hunger Games.    
Ti accolgo tra le mie braccia, sprofondando il viso tra i tuoi capelli neri che sanno di sale. Lo stesso sale che fino a tre anni fa incrostava le mie dita da pescatore, dopo una giornata trascorsa in mare.    
Ti stringo a me, bisognoso di questo contatto, senza curarmi della gente che ci osserva curiosa e degli avvertimenti, che mi raccontavi ridendo, che tuo padre lanciava ai tuoi amici che avevano l’ardire di accompagnarti a casa dopo la scuola. Mi sono sempre domandato a cosa gli servissero, non uno ma ben tre, fucili in un distretto come il nostro, dove la pesca è la nostra sopravvivenza.    
Eppure, ti accorgi che qualcosa in me è cambiato, di nuovo. Non sono più lo stesso Finnick che è partito due settimane fa. Quel ragazzo è morto a Capitol City, quando finalmente i suoi abitanti sono riusciti a mettere le mani su di lui: adesso sono il fantasma del fantasma che ha vinto la sessantaquattresima edizione dei Giochi.
Mi fissi, aspettando un bacio che non arriverà, tu lo capisci e mi prendi per mano, accompagnandomi fino a quella che è diventata la “Nostra Insenatura”.    
La bellezza di questo luogo contrasta con tutto lo schifo che provo verso me stesso e crollo in ginocchio, schiacciato dai ricordi del recente viaggio.


[…] E poi ti ho portato una collana
Con tutte le perle in fila indiana
La più bella di New Orleans


Tu sei subito lì, accanto a me, pronta ad alleviare un dolore che non conosci, scambiandolo col senso d’impotenza per non essere riuscito a salvare due ragazzi, appena più piccoli di noi. Mi stringi al tuo petto e la mia guancia avverte il freddo di alcune pietre. Mi stacco da te e concentro la mia attenzione sulle piccole sfere lucenti che porti al collo.    
Riconosco subito la collana che indossi, la stessa che ti ho regalato io due estati fa, dopo il nostro primo appuntamento: era stato un semplice pomeriggio trascorso sulla spiaggia, ma eravamo stati entrambi felici ed io, tornando a casa, ero entrato nella bottega del signor Scuttle e avevo scelto quella che credevo essere la collana più bella di tutto il distretto.    
I tuoi occhi s’illuminano della stessa luce che vidi nel tuo sguardo quando te la regalai, per il tuo compleanno, e capisco che tu non dovrai mai fare parte di questo mio dolore, ma senza di te mi sento come un naufrago in mezzo alla tempesta.  
Mi stringo nuovamente a te, che non domandi e mi abbracci a tua volta, ignara di cosa sia accaduto al tuo Finnick.


E proprio adesso che mi fai vedere un sorriso
La radio parla di questo cielo sempre più grigio
E proprio adesso che stringi la mia mano
Abbiamo solo il tempo di raccogliere tre stracci e andare


Non posso credere a quello che sta succedendo davanti ai miei occhi; mi avevi appena sorriso, leggendo l’ansia sul mio volto, cercando di tranquillizzarmi, come se non fossi tu quella che stava rischiando di essere mandata a morte. Eri appena riuscita a mimarmi con le labbra un “andrà tutto bene”, che una voce troppo allegra aveva chiamato il tuo nome, condannandoti, in quello stesso momento, all’incubo dal quale avevo sperato di proteggerti.    
Mi sento male e ho bisogno di sorreggermi alla sedia dietro di me per non cadere; era la tua ultima Mietitura, eri quasi al sicuro, invece la sorte crudele ha voluto che tra centinaia di bigliettini, venisse estratto proprio quello col tuo nome.    
Tutto accade troppo in fretta, ho solo il tempo di vederti scomparire dietro le pesanti porte del Palazzo di Giustizia. Essendo il mentore di quest’anno, non ho alcun problema a entrare, ma arrivo troppo tardi. Vedo due pacificatori che portano via tuo padre, mentre la voce della nostra accompagnatrice t’incoraggia a seguirla nel corridoio, per portarti prima alla macchina e poi al treno.    
Vedo i tuoi occhi smarriti posarsi su di me e trovo la forza di avvicinarmi, e stringere le tue mani gelide, nonostante il caldo di Maggio. Ma non c’è tempo per le rassicurazioni, dobbiamo andare.    
Mi separano a forza da te, appena prima che l’altro ragazzo si unisca a noi.
 

E ora che canzone ti canto
Che la chitarra l'ha portata via il fiume
E ora che canzone ti canto
Che la mia tromba l'ha soffiata via il vento
Le nostre lacrime sul Mississipi sono difficili da far vedere
Le nostre urla dentro l’uragano
E queste assenze da lasciar tacere


Sento le tue urla provenire dalla carrozza accanto alla mia. I tuoi incubi non hanno ancora il volto degli altri ragazzi che sarai costretta a uccidere, ma questo non li rende meno terribili. Ti stringo tra le braccia, cercando di nascondere le mie paure, ma mi ritrovo a piangere insieme a te. Mi chiedi di cantare, come facevamo nel nostro distretto, ogni volta che volevamo allontanare la paura dell’imminente mietitura.    
Ma la mia gola è secca e l’aria sembra non voler arrivare alle corde vocali. Perfino simulare qualche nota è uno sforzo troppo grande per me, ora che Capitol City mi sta per togliere l’unica persona alla quale mi ero aggrappato per non annegare.    


E come mai piovono aghi da lassù?
E siamo bambole voodoo trafitte in ogni punto ormai
E tu, smetti di piangere amore mio
Ti stringerò la mano per sempre
E ti riporto a New Orleans


Sottostare agli ordini, eseguire solo quello che Capitol City vuole da me, ed io lo faccio, come una bambola di pezza, per tutta la durata dei Giochi. Passo di mano in mano. Ogni carezza ricevuta è come un milione di aghi che trafiggono il mio corpo. Ma non mi lamento, nella speranza che questo possa bastare per riaverti al mio fianco.    
Sei riuscita a vincere, ma quando mi viene finalmente concesso di vederti capisco subito che, come me, rimarrai per sempre intrappolata in quell’arena. Sento la tua voce, chiamare isterica il mio nome, mentre mi corri incontro, come avevi fatto nel nostro distretto, il mio primo anno da mentore.    
E ancora una volta ti stringo, bisognoso del tuo contatto, mentre accompagno la tua caduta, inginocchiandomi insieme a te sul pavimento di questa stanza asettica.    
Sento il tuo corpo tremare tra le mie braccia, scosso tra i singhiozzi.    
“Amore mio, che cosa ti hanno fatto?”    
Non ho bisogno di esprimere quella domanda ad alta voce: siamo entrambi vittime di un gioco di potere perverso, che ha lasciato su di noi cicatrici indelebili.    
«Portami a casa» riesci a implorare, tra un singhiozzo e l’altro, senza staccarti dal mio petto.    
«Ti riporto a casa, te lo prometto».     
Continuo ad accarezzarti i capelli, finché non crolli esausta tra le mie braccia.


E tornerà ancora il carnevale
E la paura resterà sul fondo del fiume
E poi, la canzone che ho cantato
Adesso è un fiore soffocato
Ma la magnolia la riavrà


Sono di nuovo a fissare il cielo dell’arena ma, questa volta, non da uno schermo. Abbandono la mia testa in mezzo alle gambe, soffocando un gemito. La morte di Mags mi ha distrutto ma sentire le tue grida, riprodotte dalle ghiandaie chiacchierone, è stato atroce.    
Ripenso alla poesia che ho letto durante le interviste. Era per te. Doveva essere solo tua, invece, adesso sarà sulla bocca di molte donne di Capitol City, che la storpieranno, masticando ripetutamente quelle parole fino a renderla perfetta per loro, convincendosi di esserne state le muse ispiratrici.    
Ti prometto che, se riuscirò a uscire da quest’arena, te la dedicherò ogni volta che me la chiederai.    
Se tornerò, forse, tutto finirà per sempre e potremo finalmente dimenticare la paura degli Hunger Games. Per poterlo fare è necessario che il nostro piano funzioni e, ancora una volta, mi aggrappo al tuo ricordo per trovare la forza necessaria per non soccombere nuovamente alla prepotenza di Capitol City.    


[…]E tu la mia canzone l’hai imparata e non l’hai dimenticata
Neanche adesso qui sotto ai tuoni


Sei di nuovo insieme a me. Non siamo a casa, ma nel distretto 13.    
Ritrovarti è stata la cosa più bella di questo mondo, la gioia più grande che io abbia mai provato in tutta la mia vita. Ho cercato le tue labbra come un assetato cerca l’acqua. In quel momento non m’importava più nulla, eravamo solo tu ed io, nella nostra bolla di felicità.
Ma la nostra felicità sembra essere condannata a venire soffocata sempre troppo presto. Sempre troppo velocemente.    
Ti stringo tra le mie braccia, facendoti da scudo col mio corpo, seduti a terra in questo rifugio, mentre sopra di noi risuona il rumore delle bombe che cadono al suolo ed esplodono, in tutto il loro fragore.    
Sento il tuo corpo tremare, mentre continui a ripetere senza sosta alcune frasi. Ho bisogno di ascoltare con più attenzione per capire che, quella che esce dalle tue labbra, non è una semplice nenia, ma la mia poesia, la stessa che avevo recitato per te solo durante la terza Edizione della Memoria. Avvicino le mie labbra al tuo orecchio e inizio a sussurrartela, senza smettere di tenerti stretta, mentre sento il tuo corpo iniziare lentamente a rilassarsi e il silenzio giunge fino alle nostre orecchie.


[…]E tu, smetti di piangere amore mio
Ti stringerò la mano per sempre
E ti riporto a New Orleans


Non riesco a sopportare di vedere quelle lacrime uscire dai tuoi occhi, sapendo che questa volta sono stato io a fartele versare. Mi siedo sul letto accanto a te, prendendoti il volto tra le mani, cercando di asciugare con i pollici le strisce di acqua salata che ti scorrono lungo le guance. Mi sento in colpa nel vedere i tuoi occhi arrossati dal pianto, proprio adesso che mi hai reso l’uomo più felice del mondo, annunciandomi che diventerò padre.    
Ma ora ho una ragione in più per partecipare a questa missione, sta crescendo dentro di te, e spero di poterla stringere presto tra le braccia.    
Se tutto andrà bene, quest’attacco sarà la garanzia per una vita migliore, senza più l’oppressione di Snow, ma soprattutto, senza più Hunger Games.    
Ti bacio le labbra, in una muta promessa di ritornare da te, mentre tu continui a piangere silenziosamente, imprigionando una mia mano tra le tue, piccole e morbide, implorandomi di non partire per questa missione, di rimanere con te.    
«Tornerò, te lo prometto» ti ripeto dolcemente, stringendo a mia volta le tue mani.    
«Portami a casa».    
La stessa richiesta che mi facesti dopo aver vinto gli Hunger Games.    
«Lo farò. Appena tutto questo sarà finito, ti riporterò a casa» cerco di rassicurarti, anche se inizio a sentire uno strano disagio a pronunciare quelle parole come se, in fondo al cuore, sentissi che rimarrà una promessa non mantenuta.







Altre note dell'autrice: Questa volta sarò piuttosto logorroica, ma credo di dover spendere un paio di parole per questa song-fic. In primo luogo un piccolo aneddoto sulla musica, in realtà era una canzone alla quale non avevo mai prestato particolare attenzione, ma l'altro giorno mentre l'ascoltavo ho iniziato a pensare che fosse perfetta per Finnick ed Annie, e più l'ascoltavo, più mi immaginavo i vari versi trasformati in un momento di questa coppia.
Ho “forzato” alcuni elementi della canzone, in particolare New Orleans che rappresenta il concetto di “casa”, dalla quale i protagonisti (sia della canzone, che della mia storia) sono lontani, viene ad assumere idealmente la connotazione del distretto 4, anche se nel testo verrà sempre sostituito con “casa”, così come la canzone cantata dal protagonista della canzone (perdona il terribile bisticcio di parole) viene sostituita con la poesia che Finnick legge durante la terza Edizione della Memoria, infine i tuoni, che sono stati rappresentati dal bombardamento nel distretto 13. Un paio di riferimenti temporali: all’inizio della storia Finnick ha diciassette anni ed è appena tornato dalla sua prima esperienza da mentore (sessantasettesimi HG) e Annie ha da poco compiuto i quattordici anni (nel lasso di tempo che va dalla mietitura al ritorno a casa di Finnick). Annie parteciperà così, a quasi diciannove anni, alla settantesima edizione. Grazie a chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui, spero che questa storia vi sia piaciuta e se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. A presto, nica.
Ps: dimenticavo, la storia ha partecipato al contest "Le frasi delle belle canzoni" di Noal ed è arrivata seconda
  
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