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Autore: clla    27/01/2013    3 recensioni
Cosa fareste se trovaste un numero di telefono sconosciuto sul vostro diario? Magari scritto con una bella grafia, sicuramente non vostra, che vi affascina... Chiara lo chiama. Ed ecco che cosa succede.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Cosa c'era da fare quel tre dicembre? Aprii il diario sconsolata immaginando già il carico di studio che avrei dovuto affrontare. Poi lessi un numero di cellulare. Era scritto in diagonale in una delle prime pagine del diario. Sembrava scritto di fretta, il problema è che non l'avevo scritto io. Chi mai poteva essere stato? Poi la curiosità cominciò ad assalirmi e mi decisi a chiamare quel numero. Non avrei mai potuto immaginare chi mi avrebbe risposto e cosa ne sarebbe derivato.
 
 
 
Percorrendo il corridoio della scuola mi guardavo in giro. Il giorno prima avevo chiamato quel numero ed era risultato appartenere ad un ragazzo della mia scuola, un certo Nicola della II G. Non sapevo ci fosse un Nicola in quella classe, ed era una cosa strana visto che si trovava di fronte alla mia ed eravamo allo stesso anno. Ma, si sa, non potevo conoscere tutti. Il pomeriggio prima Nicola mi era sembrato un ragazzo piuttosto distaccato, calmo, che non si fa prendere troppo dalle emozioni. Tutto il contrario di me, insomma. Sono sempre stata vitale, estroversa, emotiva, un vulcano di energia. Ma qualcosa in quella voce mi aveva attirato. E poi c'era sempre il mistero di chi aveva scritto quel numero. Conoscevo le scritture di tutti i miei compagni, era impossibile che fosse stato uno di loro. Perciò dissi a Nicola che la mattina dopo mi sarebbe piaciuto conoscerlo di persona. Concordammo di legare entrambi una bandana verde al polso per poterci riconoscere. E fu così che io mi trovai a scuola a percorrere il mio corridoio guardando i polsi di ogni ragazzo che passava. O mi prendono per timidissima o per pazza, pensai. Arrivata davanti alla II G diedi un'occhiata all'interno e stavo già per entrare delusa nella mia classe quando una mano mi prese delicatamente il polso bendato e mi voltai. Era un ragazzo alto e bruno, e mi sorrise. Rimasi fulminata dal suo sorriso. I suoi denti, bianchissimi e dritti, erano un miraggio irraggiungibile per me. La sua bocca perfetta dava vita a un sorriso altrettanto perfetto, un sorriso che si spandeva al resto del viso, rendendolo stupendo. Appena raggiunti gli occhi, due profondi occhi verdi, il sorriso diventava pura bellezza e credetti di trovarmi davanti a un angelo. Non l'avevo mai visto a scuola, né in giro per la città, e per questo mi sembrava quasi incorporeo. Da dove era spuntato? Fu allora che mi accorsi che aveva al polso una bandana verde.
 
 
 
Purtroppo in quel momento suonò la campanella e dovemmo entrare nelle rispettive classi. Non prima però che io, tirando fuori la voce che si rifiutava di uscire, gli chiesi di vederci in quel punto per la ricreazione. La scusa era, ovviamente, il mistero del numero. Ma non avevo la più pallida idea della situazione in cui mi stavo cacciando.
 
 
 
Parlai con Nicola per tutta la ricreazione. Aveva una voce dolcissima, suadente. Calmo e pacato, sembrava emanasse un alone di infallibilità intorno a sé. Ogni parola era misurata, non incespicava, non mangiava le lettere, non aveva nessuna influenza dialettale. Una fantasma etereo venuto solo per farmi sentire inferiore con la sua perfezione. Davanti a lui mi dimenticai del numero e parlammo delle nostre passioni, che scoprimmo in comune. Mi fece tantissime domande sulla mia vita e su quella delle mie amiche, ma eludeva qualsiasi mio tentativo di spostare la conversazione sulla sua sfera privata. Questo mi dava un po' fastidio, ma ad una voce come la sua si poteva perdonare tutto.
 
 
 
All'uscita lo cercai ma non c'era, sembrava scomparso nel nulla. Pensai che fosse uscito prima di me, anche se la II G era proverbiale per la sua lentezza. Ma non mi crucciai più di tanto e mi avviai verso casa, pensando incessantemente a lui, alla sua voce, al suo sorriso e ai suoi magnifici occhi verdi. Arrivata a casa mi resi conto che non conoscevo nemmeno il suo cognome.
 
 
 
I momenti liberi delle mattine seguenti li passai tutti con lui. Le mie amiche non se la prendevano, sapevano che ero cotta, e poi stavamo ore ed ore al telefono per compensare le carenze mattutine. Durante le chiacchierate con Nicola riuscii a penetrare poco nella sua vita personale. Mi disse solo di chiamarsi Caporaletti. Per quanto ne sapevo non c'erano famiglie con quel cognome in città. L'unica persona era la mia migliore amica, Carmela, che viveva però in un centro di accoglienza per orfani. La sua storia era molto triste. Quando aveva appena un anno e mezzo, durante un viaggio in macchina con i genitori e il fratello maggiore, fu coinvolta in un terribile incidente. Lei sopravvisse per miracolo, e fu l'unica della sua famiglia. I suoi genitori morirono per un trauma celebrale, mentre il petto di suo fratello fu perforato verticalmente da un pezzo di lamiera. I Caporaletti erano originari delle Marche, si erano trasferiti in Sicilia per motivi di lavoro subito dopo la nascita di Carmela, ma non avevano parenti a cui poter affidare la bimba nemmeno nella loro regione natale. Perciò dopo la morte dei suoi unici familiari la piccola venne affidata a un monastero e ci conoscemmo quando arrivò al liceo. Non sapeva quasi niente della sua famiglia, quando ebbe dieci anni le raccontarono che i suoi genitori e suo fratello, che da un esame post-morte dimostrava sedici anni, erano morti in un terribile incidente e di loro si sapeva solo il cognome, Caporaletti, dalla pratica d'acquisto di un televisore, subito prima dell'incidente. Così la piccola fu chiamata Carmela dalle suore Carmelitane alle quali fu affidata. Non aveva mai scoperto il nome di suo fratello né che faccia avesse.
 
 
 
Per il resto di Nicola non sapevo niente. La mattina lo incontravo già che passeggiava nei corridoi, a qualunque ora arrivassi; all'uscita era inutile cercarlo o aspettarlo, scompariva nel nulla. Eludeva ogni mia domanda sui suoi parenti, amici, su dove abitasse o su che scuola aveva frequentato prima del liceo. In fondo, non era difficile per una voce suadente come la sua cambiare discorso non appena l'argomento riguardava la sua vita. Pensai che fosse semplice riserbo, non potevo immaginare quale storia si nascondesse dietro quel viso d'angelo.
 
 
 
Io ero sempre più innamorata di lui. Quando lo vedevo che passeggiava noncurante per il corridoio, senza nemmeno guardare per terra, con la sua aurea di infallibilità e il suo fascino ma mantenendosi sempre semplice, mi si fermava il cuore. Subito dopo, forse per un più forte istinto di sopravvivenza, riprendeva a battere ma a velocità folle, e quando mi salutava sorridendo io mi scioglievo come neve al sole alla vista di quel viso estasiante. Non che il resto del suo fisico fosse da meno. Alto, snello ma forte e molto abbronzato: non mi erano mai piaciuti i biondi, preferivo il rovente tipo mediterraneo. Avrei fatto di tutto per stare sola con lui, ma in fondo non ci voleva tanta fatica. Le mie amiche approvavano e quindi ci lasciavano volentieri soli e lui sembrava che non ne avesse, di amici. Per i compagni era completamente invisibile, sembrava non esistesse. E visto che ci vedevamo solo a scuola, questo bastava. Dal canto suo Nicola, pur essendo sempre calmo e controllato, sembrava nutrire un certo interesse per me. Avrei osato dire che ricambiasse il mio sentimento, ma per sua indole quella che per me era una passione folle per lui si ridimensionava a una garbata ma assidua frequentazione. La cosa che mi faceva titubare è che fuori dalla scuola non ci vedevamo mai. Lui sembrava esistere solo all'interno di quell'edificio dai muri scrostati e dall'aria sporca. Non partecipava a nessuna attività pomeridiana, non guardava le partite di pallavolo fra le classi, non lo incontravo per strada, al supermercato o in giro il sabato sera. Era un fantasma, un fantasma che prendeva vita appena varcato quel portone e che scompariva appena usciti. Ma un bellissimo fantasma, e io speravo che un mio bacio l'avrebbe potuto far diventare più umano.
 
 
 
Le tre settimane che ci separavano dalle vacanze natalizie volarono, insieme a Nicola. Ci vedevamo praticamente ogni giorno scolastico ed io ero sconvolta all'idea di non ammirare il suo sorriso o sentire la sua voce per quindici lunghi giorni. L'ultimo giorno di scuola presi coraggio a piene mani e gli chiesi di uscire. Un paio d'ore in centro, niente di più. Lui mi guardò in modo strano, il suo sguardo verde sembrava triste, malinconico. Gli chiesi se c'era qualcosa che non andava e la sua risposta mi lasciò di stucco. "A scuola. Vediamoci a scuola la vigilia di Natale alle sei del pomeriggio". A me sembrava strano, oltre che impossibile. La scuola era chiusa, come saremmo entrati? E poi, per quale assurdo motivo vedersi a scuola la vigilia di Natale? La scuola era così squallida. Quei muri giallastri e scrostati, quell'odore di chiuso, e poi tante esperienze non proprio piacevoli, compiti, brutti voti, rimproveri. Ma ero disposta a fare qualsiasi cosa per stare con lui, e accettai.
 
 
 
Prima di lasciarci, il giorno in cui l'avevo invitato, mi avevo spiegato come entrare nell'androne secondario da una porticina di servizio che lui mi avrebbe fatto trovare aperta. Come avrebbe fatto, non me l'aveva detto, ma io avevo imparato che con lui era inutile fare domande.
Il 24 dicembre, giunta davanti alla porticina, mi venne un pensiero: e se non si sarebbe aperta? Se era tutto uno scherzo, se lui era nascosto da qualche parte a spiarmi per vedere se ero così scema da credergli? Ma decisi di fidarmi. Girai la maniglia e la porta si aprì. Entrata nell'androne una visione mi tolse il fiato. Nicola era lì,in piedi, dritto e bello come una statua. Pantaloni blu, scarpe sportive e una camicia a righe, le maniche tirate su fino ai gomiti con finta trascuratezza, Come se non bastasse, appena mi vide sorrise. Era più bello del solito e una scarica elettrica mi attraversò tutta. I suoi occhi erano più verdi, il suo sorriso più luminoso e quando parlò la sua voce era più suadente. Non avevo dubbi, doveva essere mio.
 
 
 
La conversazione iniziò non appena mi ripresi dalla trance. Notai subito però che qualcosa non andava. Mi sembrava più...incorporeo, ecco. Non a causa del suo solito alone di perfezione, ma proprio fisicamente. La sua pelle si era fatta più sottile, riuscivo a vedere le singole vene ed ogni osso delle sue mani. Gli chiesi se si sentiva bene, ma per tutta risposta mi trapassò dolcemente con i suoi occhi verdi e si sbottonò la camicia. La vista mi fece sussultare: aveva una ferita che gli correva lungo tutto il dorso, dal petto fino all'addome. Era carne viva, ma non sanguinava, come se fosse soltanto un trucco cinematografico. Mi avvicinai e gli sfiorai la ferita. Lui sussultò e, credendo di avergli fatto male, allontanai la mano di scatto. Sorrise con il più bello dei suoi sorrisi, prese la mia mano e, guidandola dolcemente, la fece scorrere sulla ferita. Una strana consapevolezza si fece strada nella mia coscienza, ma mi rifiutai di darle retta. Il mio cervello aveva capito chi era veramente Nicola Caporaletti, ma il mio cuore non voleva credergli. Mi lasciò la mano e avvicinò la sua alla mia guancia. Tremavo. Non credevo che questo sarebbe mai potuto accadere, lo desideravo troppo ardentemente perché potesse realizzarsi, consideravo Nicola inarrivabile. Mi tirò delicatamente a sé e mi baciò. Quando le nostre labbra si toccarono capii che quella era l'unica cosa al mondo che contava, non mi importava di nient'altro. Sfiorai anch'io la sua guancia e mi aggrappai al suo collo. Ci baciammo per lunghissimi istanti, il contatto delle mie braccia sul suo dorso ferito mi fece rabbrividire.
Ma sapevo che non poteva durare ancora a lungo. Poggiai la testa sul suo petto e lui mi accarezzò i capelli. Poi mi guardò negli occhi e vidi la conferma di ciò che sapevo da quando aveva aperto la sua camicia. No, non potevo crederci. Non era possibile, perché proprio a me? Sentii il mondo crollarmi addosso e la tristezza invadermi. Una lacrima corse lungo la mia guancia e cadde sul suo petto. Scivolò lungo la ferita con il rumore sommesso che solo le lacrime possono fare. Quella goccia ci univa, per sempre.
Si staccò delicatamente da me. "Addio" e, come ultimo regalo, sorrise. Poi mi guardò negli occhi per l'ultima volta e si incamminò verso il suo corridoio. Sapevo che non dovevo seguirlo, e del resto ero ancora incapace di muovermi, annegata nel suo verde.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
EPILOGO
 
Tornai a casa in lacrime. Non era possibile, Nicola se n'era andato e io non l'avrei mai più rivisto. Non avevo potuto fare niente per fermarlo, ma mi tormentavo lo stesso. Entrai in camera mia e mi buttai piangendo sul letto. Sentii qualcosa sotto il cuscino e lo alzai. Un foglio ripiegato, una carta bianchissima che mi ricordava qualcosa. Lo aprii.
 
 
Cara Chiara,
mi si spezza il cuore a scriverti questa lettera. Lasciarti, per giunta subito dopo averti baciata, è una cosa che non mi perdonerò mai. Ma dovevo farlo. L'unico motivo per cui mi è stato concesso di tornare nel mondo reale è perché volevo vedere come era diventata la mia piccola sorellina dopo tutto questo tempo. Non avevo alcun diritto di innamorarmi di te, né tanto meno di baciarti. Così facendo ho procurato solo dolore ad entrambi. Ma è giusto che io me ne sia andato. Non sono altro che un fantasma, nel tuo mondo io non esisto, dovrei avere trent'anni ma tu ti sei innamorata di un sedicenne. L'amore non ha età, potresti dire. Se è per questo, non ha neanche confini, se non quelli della morte. Ma è proprio questo il punto. Io sono morto. La mia missione era rivedere mia sorella, per questo ho scritto il mio numero sul tuo diario, sentivo che lei era vicina a te. Non mi chiedere come ho fatto, sai che alcune cose per voi impossibili per me sono normali. Quando poi tu me ne hai parlato e l'ho riconosciuta in Carmela, era il cinque dicembre. Sarei dovuto andarmene subito, quando ancora la nostra separazione non sarebbe stata così dura. Ma tu mi trattenevi. Dal semplice tramite a cui dovevo ispirare fiducia per ritrovare mia sorella sei diventata molto di più. Ma ormai non ha più senso. Nicola Caporaletti è morto quattordici anni fa, e tu non mi avresti mai dovuto conoscere. Scordati di me, non ha senso pensarmi. Non ti crucciare, non ti precludere altre esperienze in nome del mio ricordo. Fa la tua vita, e un giorno, spero per te il più lontano possibile, ci rincontreremo.
                                   
Tuo, per sempre,
Nicola
 
Smisi di piangere. Mi resi conto che era veramente una carta bianchissima, scritta con inchiostro verde. Verde speranza.
  
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