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Autore: Honodetsu    28/01/2013    9 recensioni
"...Non seppe come, ma quel momento di leggerezza, di tranquillità, sembrò dissolversi in un attimo. L'assurda idea che potesse essere finita si sgretolò al vento.
L'agitazione e la preoccupazione per l'italiano furono ingogliate da un qualcosa di più profondo, di più intenso. E mai avrebbe immaginato che si potesse provare una cosa del genere e che, un essere umano, potesse sopportare un simile dolore..."
E' con piacere che vi presento questa mia seconda fanfiction su Hetalia; dove amori, passioni, gioia e lacrime non mancheranno di certo.
...Se siete interessati, leggete...
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Francia/Francis Bonnefoy, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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Fantastico...

Un ragazzo, da un buffo ciuffo che gli sbucava da sotto il cappello, girava tra le vie di una Madrid bianca. Faceva molto freddo, il ramato si strinse nelle spalle.

Perché doveva accadere proprio adesso?

Sospirò, ed un alone di vapore gli si formò davanti. Si fermò in mezzo a quel via vai di persone.

E pensare che aveva abbandonato l'Italia per gli studi. Era andato all'estero per dimostrare che anche lui valeva qualcosa e sembrava, in un primo momento, che ci stesse anche riuscendo. Romano strinse le mani sui manici delle valige e rimase in silenzio a fissare il marciapiede innevato. La gente che passava continuava a finirgli addosso, ma lui la ignorò completamente. Era arrivato al quinto anno di università, l'ultimo, gli sarebbe mancato un ultimo esame e sarebbe riuscito a guadagnarsi il dottorato in chimica.

Già, il sogno di una vita, il desiderio, sfumato con solo tre parole.

Fuori di qui...

Ripensarle gli fece crescere una forte irritazione. Il proprietario del suo vecchio appartamento lo aveva cacciato. Romano sbuffò per il fastidio. Era difficile da mandar giù. Ed adesso? Che doveva fare? Solo l'idea di dover ripresentarsi, dopo cinque anni di assoluto silenzio, a casa dei suoi lo faceva star male.

Tornare in Italia sarebbe stato come un atto di egoismo. Si morse un labbro e guardò la vetrina di un negozio. A breve si sarebbe avvicinato natale. Guardò le lucine come ipnotizzato.

L'ennesimo natale passato da solo.

All'improvviso, qualcuno, lo distolse dalle sue riflessioni. Gli finì adosso, cadendo e portandosi dietro anche Romano.

-”Ah! Dannazione! Ma guarda dove vai!”-fece irritato l'italiano.

-”Ma sentilo!”-fece l'altro-”Che cavolo fai fermo in mezzo al marciapiede?”-

Romano lo guardò infastidito. Il ragazzo raccolse in tutta fratta il capello che, nella caduta, gli si era sfilato, mostrando i ricci neri. In qualche modo l'italiano rimase sorpreso dal verde intenso dei suoi occhi, ma in quel momento era troppo arrabbiato.

L'altro si alzò in piedi e guardò l'orizzonte preoccupato. Romano si chiese che stesse cercando. Si alzò anche lui e si ripulì il capotto. Adesso che faceva, lo ignorava?

Gli occhi del riccio sembravano aver trovato quello che cercavano, poiché si spalancarono.

-”Scusa...!”-fece posandogli una mano sulla spalla senza staccare gli occhi dalla sua eventuale “preda”. Romano lo guardò allucinato.

-”Ma cosa...?”-

Troppo tardi, era già ripartito. Scomparì tra la calca di persone.

Ma guarda tu che tipo...

Rimase per qualche secondo a guardare la folla di gente che camminava tranquilla. Si girò stizzito. Ma che gli importava? Aveva ben altro a cui pensare. Per esempio, trovarsi un posto dove passare la notte.

Ed intanto si era già fatta sera.

Ricominciò a vagare per le strade senza sapere dove andare. La depressione più totale lo aveva invaso. Dunque tutti i suoi sforzi per apparire migliore erano stati vani?

Arrivò in un parchetto buio. Si sedette su l'unica panchina illuminata dalla luce di un lampione.

Aveva abbandonato la sua città natale solo cinque anni fa. Così pochi per rimostrarsi a casa ma, ugualmente, tanti. Troppi.

Ormai tra lui e la sua famiglia si era formato un muro. Una barriera che, sia lui che i suoi famigliari, avevano costruito insieme. Un muro invisibile, che gli permetteva di guardarsi ogni tanto e, perciò di litigare. Ma anche se invisibile, un muro, pur sempre c'era. E lui, di certo, non voleva abbatterlo.

Guardò con occhi stanchi la neve sotto i suoi piedi.

Era da tutto il giorno che stava cercando un appartamento, ma nulla. Chiuse gli occhi. Non voleva passare un'altra notte in mezzo alla strada.

Li riaprì con depressione. Come avrebbe voluto nascere ricco. Di certo non avrebbe avuto tutti quei problemi. Tanto per cominciare avrebbe potuto pagare l'affitto con puntualità e, perciò, non sarebbe mai stato cacciato. Ma ora che ci pensava, se fosse nato ricco, di certo non sarebbe andato all'estero e non avrebbe preso una casa in affitto in uno schifosissimo quartiere.

Sospirò, stufo di quella vita. Di quel continuo studiare, lavorare, pagare. Lavorava in un bar, era un part-time. Odiava dover servire ai tavoli. Odiava dover sorridere ed essere gentile se la vita gli andava uno schifo. Si portò le mani alla testa esasperato, incapace di trovare una soluzione al suo problema.
L'unica soluzione era tornare in Italia. Si morse un labbro.

Per qualche insolito destino infame il suo sguardo si posò su quel lampione, che ormai da ore, aveva la suo fianco ad illuminargli la panchina.

Non fu il lampione, di per sé, a farlo sospirare ironico ed infastidito, quanto quel foglietto che ballava a tempo con gli spifferi gelidi del vento.

Si alzò come punto da una vespa e guardò inorridito quel foglietto.
"AFFITASI", gridava a caratteri cubitali . Una rabbia crescente lo invase.

-”Tu, dannato...”-farfugliò posando una mano sul lampione e guardando con odio quel foglietto-”Da quanto stavi lì, in silenzio, a deridermi?”-

Lesse con attenzione mentre il cuore gli batteva all'impazzata. A quanto sembrava l'appartamento aveva ben cinque stanze e costava anche poco. Lo guardò insospettito. C'era la fregatura, vero?

Continuò a leggere, ed un sorriso amaro gli si delineò sul volto.

C'è già un inquilino... Dovrei dividerla con un tizio che non conosco?

Tutta l'emozione e l'incredulità si poco prima, scomparve. Sbuffò, facendo svolazzare una ciocca. Continuò a leggere moggio.

Chiamare il numero...

Sbuffò ancora nel vedere che, già, dei bigliettini con il numero di telefono erano stati presi. Si portò una mano sul mento. Che doveva fare?

Certo l'idea di dividere la stanza con qualcuno non lo entusiasmava molto ma, in fondo, era una cosa temporanea, no?

Finiva gli studi, si trovava un lavoro decente e tanti cari saluti. Tanto di offerte di lavoro, nel capo della chimica, ne aveva ricevute moltissime in quegli anni. Sarebbe stato facile, almeno sperava, trovarlo dopo l'università, dopo gli studi.

Guardò ancora quel foglietto. Un appartamento gli serviva. Doveva averlo. Si morse un labbro mentre continuava a fissarlo. Tanto i soldi per pagarlo li aveva e, giurò a sé stesso, che li avrebbe avuti anche in futuro.

Strappò il numero di cellulare e rimase a guardarlo.

-”Mmmh...”-fece osservandolo indeciso su che fare-”Ma, sì, forza!”-si frugò nelle tasche alla ricerca del cellulare-”Tanto peggio di così non può andare.”-

 

Si sbagliava. Evidentemente non c'era un limite al peggio.

Guardò la scena che gli si presentava d'inanzi con raccapriccio. Il salone era un disastro. Cibo scaduto e vestiti sporchi regnavano ovunque in quella povera stanza.

Il suo povero salone.

Ed in più, a peggiorare il tutto, chi erano quei due tipi che se ne stavano comodi a scolare birra sul suo divano? Li guardò schifato e con fastidio.

Il suo divano.

-”Chi diavolo siete?”-chiese indicandoli, ancora con adosso il capotto.

I due ragazzi si girarono verso di lui. Lo guardarono calmi. Uno dei due, che aveva dei capelli chiarissimi e degli occhi che gli incutevano terrore, sorrise ammiccante all'italiano.

-”Mi sa che è quello nuovo...”-disse al compagno dai capelli lunghi e biondi.

-”Oh! Un nuovo compagno di giochi.”-fece il biondo sorridendo malizioso. Romano rabbrividì al quel sorriso.

-”Non mi avete risposto, chi siete?”-ripeté infastidito-”E che avete fatto al mio appart...”-

Ad interromperlo fu il rumore di uno sciacquone.

-”Francis, Gilbert, rimettiamo a posto adesso, tra poco verrà quello nuovo e non voglio che...”-un ragazzo uscì dalla porta di quello che, intuì Romano, fosse il bagno. Si interruppe nel vedere Romano ed i due amici seduti sul divano incasinato.

-”Oh...”-fece-”E' già qui.”-

Romano, già scioccato di suo per la situazione, guardò ammutolito il ragazzo appena comparso.

Cosa?! Ma lui... Lui...

Capelli ricci e neri, occhi verde smeraldo e carnagione scura. Orrore, era lui!

-”Tu sei quello che mi è finito adosso ieri!”-disse quasi urlando l'italiano.

I due, seduti sul divano, spostarono contemporaneamente il capo verso l'altro ragazzo. Come se stessero aspettando la risposta divertiti.

Il ragazzo, lì per lì, rimase sorpreso.

-”Oh... E' vero...”-fece ricordando, poi sorrise solare-”Bhè, piacere, Antonio.”-fece avvicinandosi e porgendogli la mano.

Romano lo guardò infastidito. Era un'idiota, lo si intuiva dalla sua faccia da schiaffi e da quei suoi “oh” continui.

L'italiano gli strinse la mano sbuffando.

-”Romano.”-rispose infastidito. Antonio continuò a sorridere.

-”E' un nome interessante, sei italiano vero?”-chiese. Lui lo guardò sorpreso per quella domanda. Annuì, non voleva dargli troppa confidenza.

-”Che bella l'Italia, ci sono stato un paio di volte.”-fece solare. Non sembrava nemmeno lontanamente la persona che aveva incontrato l'altra sera.

-”Loro sono Gilbert e Francis, due miei amici. Anche loro sono stranieri. Gil è delle Germania mentre Francis è francese.”-continuò.

Gilbert si alzò e posò la birra sul tavolino.

-”Piacere. Per te sono anche semplicemente il Magnifico.”-fece sorridendo accattivante. Già da quel sorriso, e da quelle parole, Romano capì che doveva essere un tipo molto sicuro si sé, forse anche troppo. Lo guardò ironico, per ora appariva solo come un “magnifico” idiota.

-”Sì... Preferisco Gilbert...”-fece cercando di liberare la mano dalla stretta ferrea di lui.

-”Sì, capisco che il Magnifico possa confondere troppo le vostre menti plebee.”-fece alzando le spalle e sedendosi sul bracciolo del divano -”Non mi aspetto molto, Gilbert va benissimo.”-

Romano sorrise nevrotico. Dio, come odiava quel tipo, gli sarebbe tanto piaciuto rispondergli a tono ma si contené. Doveva mantenere la calma, non poteva perdere anche quell'appartamento a causa del suo dannato caratteraccio.

-”Lascialo perdere, lui fa sempre così.”-fece il biondo, che doveva essere Francis-”Molto felice di conoscerti, chérì.”-fece prendendogli una mano e stringendogliela con entrambe.

Romano ritirò la mano un po' a disagio. Quel francese lo terrorizzava, sembrava quasi che qualsiasi cosa dicesse avesse uno sfondo erotico.

Sorrise con circostanza, cercando di riprendersi. Forse era solo una sua impressione.

-”Un momento,”-fece Romano-”siete in tre...? Io sapevo solo di un inquilino.”-fece allarmato. I due guardarono Antonio.

-”L'inquilino sono io, tranquillo.”-tornò a sorridere cordiale-”Sai, prima ero solo, allora passavano a farmi compagnia. Loro non vivono qui.”-

Romano si sentì un po' sollevato.

Molto bene, adesso qui ci vivo anche io, col cavolo che quei due rimetteranno piede qui dentro. Non voglio un maniaco ed un egocentrico per casa, già sopporto a mala pena te!

Avrebbe voluto dirlo ma significava litigare e perdere l'appartamento.

-”Qual è la mia stanza?”-chiese sperando di chiudercisi dentro e di cominciare a studiare, allontanandosi da quel casino del salone.

Francis sorrise.

-”Proprio di là, chérì.”-disse indicando una porta infondo alla stanza.

Chérì? Dio, ma che si credeva quel maniaco? Romano si avviò spedito verso la sua ultima salvezza. Aprì la porta quasi con timore, come se si aspettasse di vederla ridotta anche peggio del povero salone.

Ma la stanzetta sembrava illesa. Accese la luce con terrore. Già, illesa. Non gli parve vero. Tornò a guardare quei tre.

-”Bene, devo sistemare le mie cose...”-tirò le valige dentro-”Ci si vede...”-fece irritato e freddo, fregandosene altamente di quei tre, e chiudendo loro la porta in faccia.

I ragazzi rimasero in silenzio a guardare la porta chiusa. Gilbert prese una delle miliardi di bottiglie di birra e se la portò alle labbra.

-”Bhè, simpatico.”-fece alzando le sopracciglia, buttò giù un sorso di birra e diede una pacca sulla spalla dello spagnolo-”Buona fortuna e facci sapere.”-continuò il tedesco mentre si avviava alla porta, seguito dal francese.

Prima che uscissero, Francis, si voltò e sorrise ad Antonio.

-”E' molto carino. Per me, nonostante il carattere scontroso, vi troverete bene insieme...”-fece enigmatico e malizioso, mentre lo spagnolo scuoteva la testa e sorrideva.

-”Ci vediamo Francis.”-fece continuando a sorridere.

-”Vedrai se ho torto!”-disse scherzando mentre si richiudeva la porta alle spalle-”Vedrai, chérì!”-urlò mentre si sentivano i loro passi, del tedesco e del francese, allontanarsi e farsi sempre più flebili.

Antonio scosse la testa e si guardò in torno. Che disastro, ed adesso avrebbe dovuto rimettere tutto a posto. Guardò la camera, una volta vuota, in cui risiedeva quel Romano. Sorrise divertito mentre cominciava a riordinare il salone.

Può anche essere carino, ma a me gli uomini non interessano...

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Note

Bene, bene... Ed ecco l'inizio di una nuova e lunga ff. Spero che, già da qui, in voi sia nata una briciola d'interesse... Bhè, in fondo, se così non fosse avreste già chiuso il capitolo, no? *annuisce, quasi voglia autoconvincersi*
Comunque, un bacione a tutti e, mi auguro, al prossimo capitolo!!

  
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