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Autore: harinezumi    28/01/2013    2 recensioni
"The worlds... have a chance to live. Y-you're crying... please don't. You taught me to be brave... and I was... I... I love you so much for what you are. For how... good you are." - Supergirl
[Ambientata nel fumetto Crisi sulle Terre Infinite] [Superman/Batman - slash accennato]
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: The finest words
Parole: 1698
Genere: Generale, Angst, Drammatico, Fluff (non si può aggiungere con il resto, vero? Mi sa di no)
Personaggi: Superman (Clark Kent, Kal-el), Batman (Bruce Wayne)
Avvertimenti: Slash nel finale, io lo considero un accenno.
Note: La fic è incentrata soprattutto su Superman e sulla sua interiorizzazione della morte di Supergirl in Crisi sulle Terre Infinite; dovrebbe essere di conseguenza ambientata poco dopo che il suo sacrificio ha permesso ai supereroi di mettere temporaneamente in salvo le Terre. Per me anche chi non è ferrato con quel fumetto può capirne lo stesso il contenuto, però. La citazione che ho messo nell'introduzione sono ovviamente le ultime parole che Kara rivolge a Kal-el.
Il titolo stesso è una citazione non molto riuscita a World's finest.
Non sono una grande fan della coppia Superman/Batman, se si parla di slash, per me anche quello che ho scritto risulta troppo OOC, almeno da parte di Batman... comunque ci tenevo a scrivere questa fic e ho deciso di aggiungere un finale particolare comunque :) grazie di essere passati di qui!

harinezumi

 

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The finest words
 

 

Nella calma più assoluta, una raffica di vento più forte delle altre scompigliò i capelli di Kal-el, ma la figura di Superman, stoica, per una volta fredda, non si mosse di un millimetro. Sapeva che probabilmente, grazie anche alla polvere e ai calcinacci che ne seguirono, era crollato un altro edificio; lo sapeva, ma non gli interessava. Fissava il tramonto, completamente rosso sangue nell'ironia della sorte, visto che in qualsiasi istante il processo ormai innescato che avrebbe portato alla fine dell'universo poteva riattivarsi.
Non riusciva a capacitarsene, ma Supergirl era morta. Era stato definito il più grande eroe di tutti i tempi, eppure adesso, nel momento in cui c'era più bisogno di lui, non riusciva a pensare ad altro.
Non avrebbe potuto sentirsi meno eroico di così, quando sua cugina aveva perso la vita per salvare lui, dimostrando una forza e un coraggio che lo avevano lasciato così stordito che non aveva nemmeno potuto biasimarla. Di fronte ad un gesto così puro, era rimasto annichilito, e risollevarsi adesso gli pareva impossibile.
Si mosse soltanto per poggiare la schiena su una delle colonne che reggevano l'enorme globo del Daily Planet, immobile sopra la sua testa, come se volesse dargli ulteriore conferma che il mondo attorno a lui si era spento. Strinse di più il pugno sopra al ginocchio piegato, desiderando in un'ondata di inutile vendetta di poter uccidere Anti-Monitor.

Quando sentì un leggero fruscio dietro di sé, istintivamente si chiese com'era riuscita Lois a raggiungerlo in un momento simile, sulla cima di un grattacielo con gli ascensori che non funzionavano. Tuttavia, non aprì bocca per chiederglielo direttamente, né spostò un altro muscolo; la rabbia aveva preso di nuovo il sopravvento su di lui, e non sarebbe riuscito a rivolgersi a nessuno in modo particolarmente pacato o gentile.
La sensazione scomparve del tutto quando sentì chi gli rivolse la parola in quel momento.

«Ti stanno cercando» esordì Batman, accucciato sopra di lui, su di una delle travi del globo immobile. «Superman di Terra Due è preoccupato... tutti loro lo sono». Batman fece una pausa, come se volesse aggiungere altro; ma alla fine, lasciò che si protraesse troppo a lungo per includere in “loro” anche sé stesso.
«Ma solo tu mi hai trovato, Bruce. A volte mi chiedo se tu non mi abbia puntato addosso uno di quei tuoi radar» rispose Clark, freddamente, ma senza nemmeno volerlo. Alzò la testa per incontrare la maschera di Batman, ma l'espressione di Bruce, o meglio, quel poco che ne vedeva, non sembrava turbata. Per un attimo, desiderò usare i raggi X sul suo volto per capire se l'altro era per davvero quel masso di granito che sembrava; ma poi, lo classificò come un gesto troppo invasivo. «Dimenticavo... la faccenda del miglior detective del mondo».

Batman continuò a starsene zitto, in una maniera talmente irritante che Clark distolse lo sguardo, puntandolo di nuovo sul tramonto avanti a sé ed evitando di sottolineare per l'ennesima volta come odiasse le persone criptiche. Ormai Bruce lo aveva compreso, essendo tutt'altro che stupido; e non si poteva capire se si comportasse così di proposito o perché proprio non riusciva a farne a meno.
Però, scese dalla trave, andando ad affiancarsi a lui. Superman non trovava la vicinanza di Bruce fastidiosa, però in quel momento gli sembrò tremendamente fuori posto. Lui non aveva il diritto di intromettersi nel suo dolore per Kara.

«No, Clark» mormorò Batman, titubante, dopo troppo tempo perché la cosa non irritasse Superman. «Ti... conosco molto bene. Tutto qui».
«Allora immagini cosa sto per dirti». Clark si dette mentalmente dello stupido, per essersi lasciato sfuggire qualcosa di così maledettamente scortese, ma non era riuscito a trattenersi. Non osò guardare Bruce, ma sentì la sua occhiata seccata perforargli il cervello; e dire che era un semplice essere umano.
«Non me ne andrò» rispose in maniera anche troppo ferma, accucciandosi nuovamente, ma stavolta lì, accanto a lui. Un piccolo soffio di vento e Superman sentì il suo mantello sfiorargli le costole: molto vicino. «Stai affrontando una perdita. Nessuno sa meglio di me come non ci siano consigli che possano aiutarti... quello che posso dirti, è che, allo stesso tempo, nessuno ha saputo trarre beneficio dal proprio dolore quanto me».

Superman non riuscì a parlare per qualche minuto, ma l'altro non si scompose per niente. Raramente Bruce condivideva la sua tragedia con qualcuno che non fosse della sua famiglia; e Clark, nonostante fosse quello che più cercava di enfatizzare la profondità del loro rapporto, non si sentiva per davvero all'altezza di una confessione del genere. Realizzò che doveva essersi comportato veramente da stupido, se persino Batman si era spinto fin lì per cercare di consolarlo.
Si lasciò sfuggire un sorriso, che Bruce notò nell'immediato.

«Kent, abbiamo bisogno anche di te». Il suo tono era in maniera sensibile offeso, ma Clark evitò di scoppiare a ridere, perché probabilmente Batman avrebbe anche potuto spingerlo giù dal grattacielo. Certo non l'avrebbe potuto uccidere, ma l'intenzione sarebbe stata quella. «Torna a ragionare in fretta. Non possiamo aspettarti».

Detto questo, Bruce si alzò, pronto a dileguarsi così com'era venuto. Clark alzò il braccio, pigramente secondo i suoi standard, ma in appena una frazione di secondo per l'altro; gli afferrò il polso, stringendo quanto bastava per non levargli la circolazione e tornando a guardarlo. Batman non aveva un'aria contenta (la rabbia, ad eccezione di qualunque altra emozione, traspariva benissimo dalla sua maschera), ma non gli tirò nessun calcio in faccia.

«Eri preoccupato per me?» domandò Clark, cercando di non sembrare troppo incredulo, come in effetti si sentiva.
«No. Non ho tempo anche per questo».
«Hai parlato davvero con gli altri prima di venire qui?»
Bruce sembrò irritarsi ancora di più a quella domanda, ma non poteva liberarsi senza spezzarsi il polso. Non era sua abitudine cedere, ma la pausa che fece prima di rispondere fu molto eloquente. «Sì. È un interrogatorio?»
«Non saprei, di solito si fanno quando qualcosa non quadra».

Bruce sbuffò, seriamente esasperato, e cercò con uno strattone di liberarsi, cosa che com'era ovvio non gli riuscì. Anche se avesse voluto protestare, si zittì quando l'abbraccio di Clark, sollevatosi, lo investì in pieno.
Rimase immobile, a constatare di come l'uomo d'acciaio fosse capace di una certa delicatezza, quando voleva. Le dimensioni dei suoi bicipiti non gli stavano impedendo di stringerlo senza stritolarlo, cosa che lasciò Bruce piuttosto interdetto, perché in quel momento Superman pareva tutto, fuorché in grado di controllarsi.
Con un sospiro più pacato, allungò a sento una mano che ancora aveva libera per togliersi il cappuccio, lasciando il volto scoperto. Per quanto fosse granitico, come al solito, non appena Clark sentì la pelle del suo viso e i suoi capelli sfiorare i propri, si tirò indietro, neanche ne fosse stato scottato.

L'espressione di Bruce non si poteva dire confusa, ma di nuovo l'altro dovette trattenere un sorriso nel vedere quanto umano per una volta sembrasse, almeno nel relazionarsi con un'altra persona.

«Mi dispiace di averti fatto preoccupare, in qualche modo. E anche di averti fatto parlare di... quello. Non era mia intenzione» si scusò Clark, lentamente, posando le mani sulle sue spalle, perché lasciargliele intorno, per quanto si fosse scostato, stava cominciando ad essere strano.
«Ho condiviso» ribatté Bruce, statico, sempre sulla difensiva. Di nuovo, quella frase pronunciata in quella maniera così deliberata, strappò un sorriso a Clark, perché stavolta sembrava uscita direttamente da un programma di riabilitazione per psicopatici o alcolizzati. Opera di Alfred, probabilmente; immaginarselo adesso che buttava Bruce fuori casa per venire a cercarlo non era molto difficile.
«Mi scuso lo stesso. Non dovresti essere tu a darmi una ragione per combattere... non avrei mai dovuto perderla, nemmeno per un istante, proprio per il modo in cui... Kara è morta» mormorò Clark.

Già, Kara era morta. Gli bastò quel breve pensiero per tornare a sentire lo sconforto, se possibile più forte di prima; ma non era accompagnato dalla vendetta, solo dal profondo desiderio di riuscire ad uscirne anche per lei. E non avrebbe mai pensato che sarebbe stato Bruce a farglielo capire.

«È per quelli come lei... per quelli come te, che devo continuare».

Senza accorgersene, lasciò scivolare via le mani dalle sue spalle, portandole al proprio viso e sentendo le spalle cominciare a tremare.
Aveva già pianto per Kara, ma non se n'era nemmeno reso conto; in quel momento invece gli sembrò quasi che il cuore gli stesse per uscire dal petto, mentre cominciava a singhiozzare come non faceva da quella volta in cui aveva cinque anni e con Johnatan seppelliva il suo cane dietro la fattoria dei Kent.
Quello che ci mise un po' a realizzare, metabolizzando il tutto in maniera anche troppo lenta per Superman, era che stava piangendo di fronte a Batman.
Premette il pollice e l'indice sulle palpebre, le sbatté, più volte, cercando di tornare a vederci dietro la patina di lacrime e di arginarle, tanto per potersi scusare di nuovo con il volto granitico che avrebbe trovato davanti a sé quando fosse riuscito a sostenerlo.

Quando alzò finalmente lo sguardo, però, del viso Bruce vide a malapena un'ombra rosata, perché l'uomo dal momento che aveva sollevato il suo si era sporto per baciarlo. Non in modo freddo, impassibile, in tutto e per tutto batmaniano (per quanto un bacio non potesse esserlo), ma appassionato, aggressivo, fuori dagli schemi di cui sembravano essere formati la mente e il corpo del pipistrello. Clark sentì la sua mano accarezzargli la nuca, ma credette di esserselo soltanto immaginato, perché tutto finì con la stessa velocità con cui era iniziato.
Bruce si separò da lui, impassibile, riprendendo il proprio cappuccio e sistemandoselo sulla testa, gli occhi azzurri che lo fissavano che scomparirono dietro alle cavità oscurate della maschera.

«E quindi, continua. Odio dovermi ripetere» sospirò, allontanandosi e guardando appena oltre il cornicione, come se si fosse trattato in tutto e per tutto di una discussione di normale prassi tra di loro. «Almeno sono certo che il memo che ti ho lasciato questa volta non lo perderai tanto in fretta».

L'uomo d'acciaio non riuscì più a non scoppiare a ridere, a quel punto, nonostante le lacrime che ancora gli rigavano il viso; e poté sentire lo sbuffo irritato di Batman anche se questi gli era appena scomparso davanti agli occhi.






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