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Autore: Vampiretta96    29/01/2013    0 recensioni
Nika è una normalissima ragazza italiana. Ha uno splendido ragazzo, una meravigliosa famigia e tanti amici. Ma soprattutto è dotata di una straordinaria bellezza che la porterà fino alla morte.
Una sera, dopo aver litigato con il suo ragazzo, Nika viene investita da una macchina, ma al suo risveglio si ritrova...
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Aprii gli occhi. Non ricordavo nulla. Mi guardai intorno. Era tutto completamente buio, ma riuscivo ugualmente a vedere ogni piccolo dettaglio. Ero in una stanza quadrata, apparentemente normale. Il mio corpo giaceva su un piccolo lettino ricoperto da lenzuola bianche, ma in gran parte sporche di sangue. Il mio sangue. Deglutii al solo pensiero.  Avevo sempre avuto una strana sensazione di vomito quando vedevo del sangue, soprattutto se era mio.
Ma quella volta fu diverso.  Anche se ormai era secco, riuscivo a sentire il suo odore. Lo trovavo buono.
In quel momento si risvegliò dentro di me una strana sensazione di fame, o meglio di sete. Mi bruciava la gola. Dovevo assolutamente bere qualcosa.
Saltai giù dal letto e aprii la piccola porta di legno che si trovava di fronte a me. Uscii fuori talmente velocemente da non riuscire neanche a rendermene conto.
Mi guardai intorno, ero in un corridoio di una casa molto antica. Era stretto e lungo. Il pavimento era di legno e lungo la parete c’erano strani quadri raffiguranti persone dell’alta aristocrazia.
Attraversai il corridoio quasi correndo, finché non urtai contro qualcosa. Era un corpo alto e snello. Indossava stretti jeans e una maglietta nera, come i suoi capelli. I suoi occhi, invece, erano di un intenso azzurro. Restai a guardarlo per alcuni secondi. Sembrava un modello uscito da uno di quelle riviste che amavo leggere.
«Finalmente ti sei svegliata» disse, facendomi un sorrisetto beffardo.
«Dove sono?» gli chiesi. Non ricordavo quasi nulla delle ore precedenti. O forse dei giorni precedenti. Non avevo la minima idea di quanto avevo dormito.
«Questa è casa mia. Ti piace?» le sue parole sembravano avere un tono divertito e aveva ancora quel sorrisetto sulle labbra. Sembrava volermi prendere in giro.
«Chi sei? Che ci faccio qui?» dissi, ignorando completamente le sue parole.
«Mi chiamo Ian e sono un vampiro. E ora lo sei anche tu».
«Un cosa?» gli chiesi incredula.
«Un vampiro» ripeté.
Un vampiro? Impossibile,pensai. Oppure si.
La mia mente cercava inutilmente di ragionare, ma in quel momento avevo una tale sete da non riuscire neanche a pensare.
Sete. Sete di sangue. Ricordai quello che era accaduto poco prima in quella stanza. Sentendo il profumo del sangue sul letto mi era venuta quell’insopportabile sete.
Forse quel bellissimo ragazzo dagli occhi azzurri mi stava dicendo la verità. Forse non era impossibile, forse i vampiri esistevano. Forse io ero un vampiro. E probabilmente era stato quel ragazzo a trasformarmi.
«Perché lo hai fatto?».
«Cosa?» mi chiese, ma in realtà sapeva perfettamente a cosa mi riferivo.
«Perché mi hai trasformata? Sei stato tu a trasformarmi, giusto?»
«Si, sono stato io» disse, «Eri in fin di vita su un marciapiede. Perdevi molto sangue. Non avevo scelta. Una macchina ti aveva appena investita senza neanche fermarsi per soccorrerti. Se non lo facevo saresti morta. E io non volevo. Eri la ragazza più bella che io avessi mai visto, e credimi ne ho viste di ragazze belle» sorrise, probabilmente ricordando qualche bella ragazza con cui era andato a letto.
Mi osservò per qualche secondo, fermando lo sguardo su ogni curva del mio corpo.
«E da vampira sei ancora meglio» disse, «comunque credo che tu debba avere una gran sete».
Io annuii.
«Bene allora sarebbe meglio andare a caccia».
Si girò di scatto e mi fece segno di seguirlo.
«Aspetta, prima voglio farti altre domande» dissi, fermandolo afferrando la sua mano.
Era fredda, gelida. E la mia non era da meno.
Girò il suo pallido viso verso di me.
«Come hai fatto a trasformarmi?» gli chiesi.
«Ti ho fatto bere il mio sangue e poi ti ho uccisa. Per diventare vampiri bisogna morire avendo in circolo il sangue di un altro vampiro».
«Mi hai uccisa?»
«Saresti morta  comunque. Almeno così sei diventata una splendida vapiretta»
«E i miei genitori?»
«Loro non sanno niente. Pensano che tu sia scomparsa. E’ da giorni che la polizia ti sta cercando».
«Da giorni? Per quanto tempo ho dormito?».
«Tre giorni» disse, «ma adesso basta con le domande, dobbiamo andare a caccia. Inizio ad avere un po’ di sete anche io».
«No, non ho finito...» dissi, ma lui mi interruppe posandomi un dito sulla bocca.
«Shh» sussurrò. Afferrò la mia mano e mi trascinò fuori da quella casa.
Osservai il paesaggio intorno a me. La casa era circondata da un fitto bosco. Il cielo era grigio, a stento si riusciva a intravedere qualche raggio di sole dietro le scure nuvole.
Ian proseguì verso una rossa decappottabile parcheggiata di fronte alla casa. Riconobbi il cavallino rampante che sporgeva appena sopra la targa. Era una Ferrari.
Mi fece cenno di entrare. Ubbidii senza opporre resistenza, anche perché non potevo. Avevo la sensazione che se avessi cercato di oppormi, sarebbe comunque riuscito a portarmi con la forza.
«Si va in città» esclamò, appena salii in macchina. Sul volto aveva ancora quel sorrisetto di prima. «Ah, che sbadato! Ho dimenticato di chiederti il tuo nome».
«Mi chiamo Nicole».
«Allora ti chiamerò Nika... Mi piacciono i soprannomi».
Per quasi tutto il viaggio nessuno dei due aprì bocca. Non riuscivo a capire perché dovevamo andare in città a cacciare. Ma poi capii. In città c’erano molte persone e i vampiri si cibavano del sangue delle persone.
«Non voglio!» esclamai improvvisamente.
Ian staccò lo sguardo dalla strada e si girò verso si me.
«Ma devi. Ne hai bisogno. Se non bevi sangue umano...».
«Non voglio uccidere nessuno!» ripetei, interrompendo il suo discorso.
«Ma no devi uccidere nessuno» disse, cercando di calmarmi. Mi guardava dritto negli occhi.
Allontanò una delle mani dal volante e la posò delicatamente sulla mia.
«Senti puoi bere del sangue umano senza uccidere nessuno. Basta non berne troppo. Ti spiegherò meglio più tardi».
Detto questo, parcheggiò la macchina di fronte ad un negozio di antiquariato.
Osservai la città che mi circondava. Riuscivo persino a sentire quello che dicevano le persone sul marciapiede. Avevano uno strano accento nordico.
Una cosa era creta: non ero a Napoli.
 

 

  
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