Autore: La sposa di Ade sia sul
forum che su EFP
Titolo: L’ intervallo tra ricordi e memoria.
Rating: Arancione
Ambientazione: C’è chi si sente tradito e triste
per una perdita, chi cerca di
salvarlo e chi viene ingannato. Una lotta solitaria e una figura
piccola,
manipolatrice e bugiarda darà la possibilità di
combattere ancora per ciò che
si ama.
Avvertimenti: /
Introduzione: Era Keiō,
Giappone. Quando un guerriero sa che il proprio percorso sta giungendo
all’
ultima e definitiva destinazione non può fermarsi davanti a
niente, deve
continuare a combattere, se non per se stesso per le persone che
desidera
proteggere, anche a costo di anticipare la fine.
Comunicazioni: Non ho molto da dire su questa OS, non ho
mai provato a scrivere qualcosa con riferimenti storici, anche
perché la mia
pigrizia mi impediva di mettermi a fare ricerche, tranne per questa
volta; che
ho trovato un paio di buoni motivi per mettermi d’ impegno. E
ammetto di non
aver mai scritto niente di principalmente drammatico anche se in tutte
le mie
storie un po’ di Angst e roba simile c’è
sempre. Diciamo che questo è una
specie di esperimento (un’ altro). Ovviamente alcuni
personaggi sono reali, ma
brutti, ma io me li immagino in modo completamente diverso.
Mi sono anche
permessa di aggiungere qualche rapporto di parentela in più.
“Well there is all we
want
To live and die by the sword,
Well they tried to complicate you
But you left it all behind”
[Slash – By the
sword]
Metà maggio 1868, Giappone, era Keiō* .
La Shinsengumi*
,
dopo ingenti perdite sui campi di battaglia ai quali non erano
destinati, si
ritrova con gli uomini decimanti e con molti clan sostenitori
dell’ Imperatore
contro.
Il
vice comandante
-Toshizo Hijikata- aveva preso posto al precedente capitano -Kondō
Isami- che si era sacrificato; offrendosi ci coprire la
loro fuga mentre un
gruppo di nemici circondava il loro quartier generale. Fu catturato e decapitato il 17 maggio.
Alcuni uomini si sentirono traditi, perché quando ciò accadde, il vice era presente e sembrò che non avesse fatto niente per fermarlo ma che non aspettasse altro per poter prendere il comando, la verità era che Hijikata era contrario a questa sua iniziativa e che si era offerto di fare da ‘scudo’ per garantire la salvezza dei suoi uomini e del comandante.
Il nuovo comandante si ritrovò con molte responsabilità sulle spalle; tra le quali dover gestire da solo la Shinsengumi perché alcuni che non erano al corrente dei veri fatti si allontanarono, come ad esempio Okita Sōji, il capitano della prima unità.
“Onii-san*, aspetta!” Si mise a correre, senza staccare lo sguardo dalle sue spalle ampie.
“Non chiamarmi così.” Lei quasi si fermò, l’aveva sempre chiamato così, da quando la sua famiglia l’aveva adottato lei l’aveva sempre considerato un vero fratello. Il sollievo che provò nel vederlo fermarsi scemò quando lo vide piegarsi e incominciare a tossire .
“Tutto bene?” Si avvicinò, preoccupata, come lo era sempre stata in quell’ultimo periodo; il medico lo aveva visitato poiché era già da un po’ che aveva una costante febbre e l’appetito passava facilmente, a questo aggiunte costanti crisi di tosse con sangue, e la sua diagnosi era stata la tubercolosi. “Non ti saresti dovuto sforzare.” Sì, si era sempre preoccupata, da quando aveva origliato quella visita.
“Non ti avvicinare!” Riuscì a stento a dire tra i colpi di tosse e cadde in ginocchio, portandosi alla bocca un fazzoletto che si macchiò subito di sangue scuro; rimase qualche istante a fissare quel colore che macchiava il candore del bianco, sorrise triste, sapeva fin troppo bene di essere stato fregato ma quanto tempo aveva ancora?
“Non ho mai pensato che Kondou-san potesse morire prima di me.” Si alzò in piedi, fissando il cielo punteggiato di piccoli punti luminosi. L’aveva sempre visto come un fratello, aveva aiutato Hijikata e la ragazza a prendersi cura del loro nuovo fratello anche se si trattava di un monello, e lui si era affezionato a lui più che alla sua famiglia adottiva.
“Quel giorno, quando scoprimmo di essere circondati, Hijikata-san disse che avrebbe voluto fargli da scudo. Ma Kondou-san…”
“Allora questo
è un ordine!” Il suo tono non
ammetteva repliche, ed era fermo nonostante lo sguardo pieno di rabbia
dell’amico.
“Hijikata, prendi tutti i soldati di stanza qui e
fuggi.” L’altro non replicò,
non riuscendo a smettere quello sguardo.
“Ehi
Toshi, lascia
fare a me.” Se possibile il suo sorriso fece infuriare ancora
di più Hijikata,
che però s’impose di tornare calmo, non era mai
riuscito a convincere Kondou.
“Me
l’hai ordinato
come comandante vero?” In risposta annuì,
continuando a sorridere con una
serenità che spiazzò il Vice.
“Sei
un uomo
crudele.” Anche lui si ritrovò a sorridere, seppur
in quel sorriso non ci fosse
nessuna traccia di serenità. “Mi stai facendo
sopportare da solo un pesante
fardello…”
“Mi
spiace.”
“E poi Kondou-san si arrese per permetterci di scappare. Hijikata-san soffrì, chiedendosi perché fosse stato lui a sopravvivere. Ma ora credo che sia disposto a morire pur di proteggere lo Shinsengumi, visto che gli è stato affidato da Kondou-san.” C’era anche lei quando ciò accadde, e raccontandolo si sentì ancora più abbattuta, era stata dura anche per lei, lei che credeva sempre che tutto si potesse risolvere, in un modo o nell’ altro, quella volta invece, Kondou non era tornato indietro.
“Kondou- san si prendeva sempre cura degli altri.” Il ragazzo dagli occhi del colore degli smeraldi fece una breve pausa. “Ed è sempre stato come un fratellone per me. Eppure c’era una certa persona che era ancora più vicina a Kondou-san; era egoista, goffo, presuntuoso e faceva quello che voleva, ed ora è l’ unico in grado di guidare lo Shinsengumi.” La ragazza vide uno spiraglio; ora che sapeva com’erano andate veramente le cose probabilmente sarebbe tornato indietro, sarcastico e con il solito sorriso strafottente. “Ma non penso di poterlo perdonare.” Crollarono le speranze che si era appena fatta; come una casa fatiscente. Quelle collassarono su se stesse. “Quindi ti affido Hijikata-san, Yuki-chan” Ed ebbe l’ orribile sensazione che non avrebbe più sentito la sua voce.
Si piegò su se stesso, senza riuscire a fermare i colpi di tosse e il sangue che la accompagnava, e proprio quando credette di svenire per la mancanza d’aria la crisi gli diede finalmente tregua. Rimase sdraiato, ansante, per recuperare il fiato. In bocca sentiva il sapore ferroso del sangue, lo disgustava e pensò che anche se si fosse lavato la bocca quel sapore e quella sensazione viscida di calore non l’avrebbe abbandonato tanto facilmente.
“Riesci ancora a respirare?” Una voce leggera e sconosciuta, gelida come il vento invernale. Si voltò e quello che vide lo lasciò stupito e confuso; che stesse sognando? Un grosso gatto dal pelo tanto scuro da sembrare quasi blu e dagli occhi vitrei inarcò la schiena, mostrando così la spina dorsale che sembrava voler tagliare la pelle sottile, gli si vedevano le costole e le zampe sembravano troppo lunghe. Socchiuse la bocca mostrando canini lunghi e lucenti al bagliore della luna, due code spazzarono il terreno quando questo si sedette.
“Se vuoi posso darti la possibilità di combattere ancora.” Il gatto inclinò la testa, mentre le code si muovevano nervose.
Il ragazzo sorrise. “Non ho bisogno dell’aiuto di un Nekomata*, anche perché non potresti fare niente.” La voce era ancora roca per la tosse e nel parlare le parole gli raschiarono con forza la gola. Sentì una lieve risata, melodiosa e distante, come trasportata dal vento.
“Si invece, perché tu sei già morto. A meno che…” Il grosso gatto si alzò e si voltò, mostrando al ragazzo ciò che probabilmente era rimasto nascosto dalla sua figura nera; un piccola boccettina di liquido rosso su cui il gatto si strusciò come se si trattasse della gamba del suo amato padrone. “Non vuoi il mio sangue? Guarirebbe la tua tubercolosi, sai?” I suoi occhi vitrei si posarono su quelli verdi e stanchi di Okita.
“Io posso ancora combattere.” Le parole facevano male; sentiva che altro sangue sarebbe uscito dalla sua bocca, presto.
“Non è vero, e lo sai.” Come polvere al vento la sua figura svanì, lasciando però quella boccettina di sangue al suo posto.
Non era stato facile andarsene, anche se ora sapeva com’erano andate le cose sentiva di non poter più vivere in un luogo che lui aveva sempre associato alla presenza rassicurante di Kondou. Sarebbe stato come vivere in un cimitero per un’unica persona. Per questo ora si ritrovava a dormire sotto un albero di ciliegio, stanco ma tranquillo; non doveva preoccuparsi dei criminali che giravano da quelle parti, aveva la sua katana con sé, e quello bastava. Non che si curasse poi tanto della sua vita; non l’aveva mai fatto, neanche quando si trovava in situazioni disperate come quella che stava vivendo in quel periodo.
“Ci siamo tutti?” Una voce leggera lo ridestò dal suo stato di dormiveglia, sbatté più volte le palpebre iniziando a prendere coscienza della sua testa appoggiata al tronco dell’ albero rugoso e alla fitta fastidiosa alla schiena. Si mise a sedere, con cautela. “Avete portato i fucili?” La stessa voce giunse alle sue orecchie, agitata e tesa.
“Sì.”
“Bene, ricordate quello che dobbiamo fare? La nostra priorità è Hijikata, uccidete lui prima di chiunque altro.”
Una breve risatina. “Finalmente la Shinsengumi sarà cancellata dalla storia.” Okita raggelò quando quelle parole furono accompagnate dal rumore dei passi che si avvicinavano a dove si trovava lui; rimase immobile sperando che passassero altre senza notarlo e di conseguenza riconoscerlo; il capitano della prima unità della Shinsengumi era una faccia conosciuta. Vide solo i corpi fasciati da abiti scuri sfilare accanto al ciliegio e alla porzione d’ ombra in cui si trovava, istintivamente la mano si strinse sul fodero della katana che teneva in grembo. Aspettò di vederli passare oltre poi si mise in piedi, senza staccare la schiena dalla corteccia rugosa.
Estrasse la lama chiara dal suo fodero; per un istante rifletté la luce della luna, quella notte piena, sul suo volto pallido. Una sensazione di oppressione ben conosciuta s’impadronì del suo petto rendendogli difficile la respirazione; la necessità di tossire si fece sentire con prepotenza e la combatté finché non si sentì soffocare. La lama cadde e Okita si ritrovò in ginocchio, a sputare più sangue di quanto avesse mai fatto.
Un gatto
grosso e
scheletrico si avvicinò a lui agitando le due code,
aggirò la macchia di sangue
a terra e scavalcò il suo braccio teso a terra,
osservò il suo petto alzarsi e
abbassarsi velocemente e con un ritmo irregolare, ascoltò il
suo respiro
affannoso.
“Riesci
ancora a
respirare?” Un lampo chiaro minacciò di fargli
saltare la testa, ma l’animale
nero fece un balzo indietro soffiando senza troppa convinzione. La
katana si
piantò per terra mentre il ragazzo tentava di mettersi in
posizione eretta, il
volto sporco di terra e le labbra incrostate di sangue.
“Tu…”
“Mentivo.”
Rispose
il gatto con chiarezza sedendosi e coprendosi le zampe con le code
pelose. Uno
sguardo d’astio si puntò nei suoi occhi vitrei.
“Ma non ti ho donato il mio
sangue solo per prenderti in giro.” Fece un breve sbadiglio
per poi passarsi
una zampa sopra la testa, come per scacciare qualcosa
d’indesiderato che ci si
era posato sopra. “Non dirmi che non ti sei accorto del
cambiamento; le ferite
che guariscono così velocemente, gli occhi che vedono vene e
terminazioni
nervose appena sotto la pelle, una forza incredibile” fece
una pausa, restando
con la zampa a mezz’ aria e fissando con i suoi grossi occhi
vitrei quelli
verdi del ragazzo. “e la sete di sangue?” La zampa
si poggiò con delicatezza a
terra, eppure a Okita quel gesto sembrò quello di un boia
durante un’esecuzione.
“E c’è dell’altro, anche se
non credo possa interessarti davvero, siccome tra
poco morirai comunque.” Lo ricambiò solo uno
sguardo pieno di rancore. “È una
questione di tempo, ti ucciderà prima la malattia o il mio
sangue che hai
bevuto così avidamente?”
Legò la sua stessa mano all’ elsa della katana, stringendo il più possibile i nodi della benda. Avrebbe permesso alla sua katana di cadere solo quando sarebbe toccato anche a lui, non prima.
Con passo malfermo seppur silenzioso riuscì a raggiungere il gruppo di uomini armati di tutto punto e, senza che se ne accorgesse ne infilzò uno alle spalle; un tempo si sarebbe odiato per un colpo del genere, ma quella sera non aveva più tempo per pensare alla correttezza.
Gli altri si voltarono e si ritrovò con un paio di fucili puntati addosso, strano però, che non stessero puntando né al cuore né alla testa, previde i colpi ancora prima di sentire i proiettili forargli il muscolo della gamba e sfiorare la clavicola, barcollò e la sua gamba cedette.
“Chi siete?”
“Okita Sōji, capitano della prima unità della Shinsengumi.”
“Shinsengumi?!” Il resto fu una melodia di lame e sangue, di ferite che guarivano velocemente, di occhi rossi come il sangue versato.
“Ha
importanza?”
“Magari
non per te,
ma per le persone che hai abbandonato sì.”
“Non
le ho
abbandonate.” Si sentì punto nel vivo; quello che
aveva fatto era ben diverso
dal tagliare tutti i legami, anche se ormai si sentiva estraneo a
quella
famiglia che non era mai stata la sua, quello non equivaleva a
escluderli
completamente da poco di vita che gli restava, loro facevano sempre
parte dei
suoi pensieri positivi. Gli doveva una vita intera.
“Questo
è quello
che pensi tu.” Ma gli importava ormai? Cosa poteva fare con
quel poco di
energia che gli restava?
Doveva
combattere
per loro, perché loro andassero avanti e vivessero,
perché lui stesso potesse
continuare a vivere nei loro ricordi.
La notte era fredda e terribilmente silenziosa; Yuki non riusciva prendere sonno e grazie a questo sentì il dialogo dei signori anziani che li ospitavano senza sapere i rischi che correvano nell’offrire riparo all’ormai comandante della Shinsengumi.
“Perché ci hai messo tanto?”
“Ho dovuto deviare, c’era un combattimento in mezzo alla strada. Era una vista raccapricciante.”
“Davvero?”
“Già, poco equo però; saranno stati uno contro venti, se non di più.”
“E chi era quel povero ’uno’?”
“Non lo so, ma il modo in cui quell’ uomo combatteva, bloccando il loro cammino, lo faceva sembrare un Myou-ou* nell’ intento di proteggere la città. A quanto pare quel gruppo di persone voleva attaccare il quartier generale della Shinsengumi” Nella stanza accanto sentì un lieve tonfo e il rumore delle coperte che scivolava a terra. Neanche Hijikata era riuscito a chiudere occhio e come lei aveva appena sentito quello che avevano detto gli anziani di sotto. Sentì i suoi passi superare la sua porta per poi scendere le scale. Si mise a sedere, con un senso di urgenza e preoccupazione che le stringeva la gola; non era preoccupata solo per le ferite non ancora guarite di Toshi, ma anche per qualcos’altro, e a quanto pare non era l’unica.
I corpi cadevano e lame violavano la sua carne, ormai non se ne curava più; dopo aver sopportato il dolore quello svaniva, insieme alla ferita stessa. Avrebbe protetto Hijikata proprio perché Kondou aveva affidato a lui la Shinsengumi, entrambi avevano fatto ciò che ritenevano più giusto, più per gli altri che per se stessi.
Prima un colpo alle spalle, poi un’altro; la lama raschiò contro la cassa toracica; il sangue uscì copioso e le gambe quasi cedettero, al contrario della sua katana, ancora ancorata alla sua mano; alla vita.
“Hijikata-san, aspetta! Le tue ferite non sono ancora guarite.” Non si voltò, né le rispose. Tutto quello di cui si preoccupava era di mettere un piede davanti all’altro, di tentare di andare sempre un poco più veloce, di recuperare i momenti che aveva perso a letto. Perché l’aveva capito subito; la persona che stava combattendo per difenderli non era un demone, bensì un semplice umano, più volte ingannato che poteva già essere considerato morto, che eppure restava in piedi, a combattere per loro.
“C’è un uomo che sta combattendo poco fuori dalla città per proteggerci. Deve essere per forza Sōji. ” Lei sembrò stupirsi per un istante, la verità era che anche lei l’ aveva capito poco prima, ma non voleva credere che il suo fratellastro strafottente si trovasse in una situazione così difficile con il corpo in una condizione disastrosa. “Non ha più la forza per combattere.” Non replicò e non tentò di riportare indietro il fratello maggiore per riposare, invece lo sostenne e camminò con lui.
Mentre il sole sorgeva tingendo di rosso sangue il cielo; su quello stretto sentiero sul quale si erano incamminati videro i primi corpi scomposti che giacevano a terra; ampie e profonde ferite si aprivano nelle loro carni; segni di colpi misurati e di affondi potenti ma estremamente precisi. Lei tremò, mentre lo stomaco si agitava alla vista dei corpi smembrati e dei volti ancora distorti in espressioni di terrore.
Poi una katana infilzata a terra; dall’ impugnatura nera e scarlatta, la lama estremamente rovinata e delle bende bianche che ancora ancorate all’ impugnatura si muovevano lentamente, accompagnate dalla brezza dell’ alba, come un bandiera bianca di resa.
“Ti
affido
Hijikata-san, Yuki-chan”
* Keiō: fu
una era giapponese dopo l'era Genji e prima dell'era Meiji, tra il 7
aprile del
1865 all'8 settembre nel calendario giapponese tradizionale (nel
calendario
gregoriano dal 1 maggio 1865 fino al 23 ottobre 1868).
*
Shinsengumi:
fu uno speciale corpo di polizia istituito durante lo shogunato al fine
di
contrastare i sostenitori dell'Imperatore.
*Onii-san: Onorifico solitamente usato per il fratello
maggiore.
*Nekomata: Il nekomata (猫又?
"gatto a due code") è uno yōkai,
una creatura soprannaturale della mitologia giapponese evolutasi da un
gatto e
caratterizzata dalla presenza di una coda biforcuta o addirittura di
una
seconda coda e dalla capacità di camminare sulle zampe
posteriori. nel nekomata
il legame col mondo dei morti è molto forte, tanto che si
dice si nutra di
carogne e possegga poteri necromantici e sciamanici come la
capacità di far
muovere i morti a proprio piacimento (per questo quello scambio di
battute) ,
semplicemente agitando le sue code, un po' come un marionettista fa coi
suoi
pupazzi. Di solito usa questo potere esclusivamente per il proprio
divertimento
Myou-ou: Divinità buddista raffigurante un guerriero che
protegge i punti cardinali.
(Quasi) Tutte le informazioni fornite da zia Wiki :D