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Autore: Kesara    02/02/2013    0 recensioni
Intro: Poco fa, mentre pensavo a ieri e la mia brutta sensazione di guidare che mi stava attanagliando ho iniziato a scrivere, ed è uscito questo: una storia che parla di una ragazza che per l'ultima volta vuole tornare dove si sentiva felice e ripercorre con la mente il giorno più felice di tutta la sua vita... prima che l'oblio cada su di lei.
So di essere una schiappa a scrivere, anche se mi è sempre piaciuto, ma spero di ricevere giudizi che mi facciano migliorare.
Baci Kes
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitava spesso che rimanessi in città per disegnare o per passare il tempo. Quella volta rimasi perché un brutto presentimento mi diceva di non mettermi alla guida. Così rimasi.
Erano già le quattro del pomeriggio, ma faceva piuttosto freddo. Andai al parco e presi posto ad una panchina. Quella centrale.
Le cuffie nelle orecchie mi isolavano dal caos di città, così tutto ciò che mi passava davanti gli occhi sembrava una coreografia ben pianificata. Presi dalla mia fidata tracolla un album per gli schizzi, già a metà, e una stilo. Poggiai solo la punta che subito mi fermai, all’altra metà della panchina sedeva un ragazzo.

Come quella volta di tre anni fa il mio ragazzo sedeva in quel punto, e sorrideva e guardava in alto il sole che lottava con qualche nuvola per poter avere il suo spazio.
Quella volta scossi la testa, ma non dissi nulla, io iniziai a disegnare qualche linea, storta, come sempre. Dovetti rifermarmi, la sua mano era poggiata sulla mia, su quella che teneva il foglio. Poggiai la stilo di nuovo in borsa insieme al quaderno. Lo guardai male ma non dissi ancora nulla.
In pochi minuti il mio braccialetto, quello che mi accompagnava da anni, quello che mi ricordava di non fidarmi degli uomini, cadde. Per un istante il cuore smise di battere. Guardai le sue mani, nella destra una forbice e nella sinistra il mio bracciale. Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Lo abbracciai forte, più forte che potevo, mentre lo sentivo sussurrarmi “non dovrai più preoccuparti di fuggire dagli uomini, ci sarò io a proteggerti” . Continuai ad abbracciarlo mentre finalmente piangevo libera.


Ritornai alla realtà, quella più dolorosa. Guardai il polso sinistro, libero, e guardai le mie mani, nessuna penna, nessun foglio. Mi alzai. Feci qualche passo in avanti, ma subito con una mezza piroette mi rigirai, e guardai quella panchina, ora vuota e triste. Dovetti far forza per non piangere.
Una mano  mi si posò sulla spalla, non mi girai perché sapevo chi era. La presi con due dita. “ Andiamo?” mi sussurrò.
Non ce la feci, mi girai di scatto e iniziai a piangere. In quello stesso momento sentì una voce familiare che rispondeva a qualcuno di si. Quella del mio ragazzo. Aveva in mano qualche rosa e una tracolla. La mia .
Lo guardavo di sottecchi. Per metà il mio viso nascosto nel grande maglione di mio nonno.
Lo guardai attentamente, camicia chiara, capelli brizzolati, e occhiali da sole con un pantalone azzurro. Si andò a sedere alla panchina, al suo solito posto, e posò le rose al mio di posto.
Prese dallo zaino un quaderno di schizzi nuovo e una stilo. Poi, prima di mettersi comodo e disegnare, prese un altro album, uno che era a metà, ed una stilo che riconobbi, cadendo quasi dalle nuvole, entrambi come miei, e li mise sotto le rose.
Così iniziò a disegnare.
Nonno mi fece segno di andare, così prima che potesse dirmi qualcosa volli andare a vedere cosa stava disegnando. Rimasi veramente sbalordita. Era un angelo, di quelli fantastici.
Lo dicevo sempre che lui era più bravo di me.
Anche se vietato, decisi di abbracciarlo e di  baciarlo sulla guancia delicatamente. “grazie” sussurrai, prima di dover obbligatoriamente allontanarmi e iniziare ad incamminarmi.
Andai ad abbracciare anche nonno prima che qualcosa di forte mi iniziò a trascinare. Diedi un ultimo sguardo al mio ragazzo, che si toccava il polso dove aveva messo il mio bracciale, sinceramente commosso.
“E’ la prima volta che qualcuno può rimanere più a lungo qui” mi informò nonno sorridendo iniziando a sedersi su un carro argentato trainato da magnifici stalloni bianchi “ cosa hai fatto per fare ciò?”
“Niente, solo che lo volevo rivedere così tanto, lui era il mio guardiano” spiegai sorridendo, accomodandomi al suo fianco.

Nonno mi guardò curioso di sapere in che contesto significava guardiano. Ma appena vide che mi appoggiai a lui per dormire mi diede una carezza sorridendo “riposati, sarai stanca, ti avviserò io quando siamo arrivati”
Chiusi gli occhi mentre un senso di pace e nostalgia iniziava a cullarmi.

-Forse un giorno ci rivedremo- Pensai prima che la mente cadde nell’oscuro oblio del sonno.
 
  
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