Buon pomeriggio! Quella
che sto per pubblicare è una one-shot partorita tempo fa che è stata corretta e
limata solo recentemente. Ha come
protagonista River Song, uno fra i miei personaggi preferiti in assoluto. Credo
che non ci sia bisogno di collocarla temporalmente, dalla lettura si evince
chiaramente il momento in cui è ambientata. Piccola precisazione: River afferma
di non essere più in prigione nella 7x05, ma non avevo ancora visto quella
fatidica puntata quando ho scritto la fic, permettetemi questa licenza poetica.
River e
Eleven hanno un rapporto davvero unico e l’alchimia tra Matt Smith e Alex
Kingston è difficile da esprimere a parole, ma ci ho provato.
Ultimo, ma non meno
importante: Doctor Who e i suoi personaggi non mi appartengono in alcun modo.
That’s so sad.
Martina
Vite
stropicciate
Il tempo mi
ucciderà.
Questo pensava River Song, nella rassicurante oscurità
della sua cella. Gli oggetti illuminati dal chiarore notturno disegnavano
bizzarre figure sul pavimento. Linee confuse e apparentemente casuali che di
tanto in tanto si incrociavano. Proprio come loro.
Più passava il tempo più si ritrovava a riflettere sulla
sua vita. Non sul futuro prossimo – sapeva che il Dottore le avrebbe fatto
visita appena possibile, e tanto bastava. Ciò che la preoccupava era l’attesa,
il tempo trascorso ad esistere
senza realmente vivere. E, soprattutto, la dolorosa consapevolezza di avere
sempre meno in comune con il Dottore. Proprio lui, lui che la conosceva meglio
di tutti – anche se spesso non la comprendeva – e che l’aveva plasmata
inconsapevolmente. River era diventata la donna che era a partire dal giorno in
cui l’aveva ucciso e salvato. Il giorno in cui si era innamorata di un uomo, di
un eroe, di un’idea, di due occhi antichi come l’universo.
C’era un pensiero che la tormentava nei suoi momenti di
solitudine. Era un’ipotesi tanto assurda quanto probabile e rimbombava cupamente
negli angoli più nascosti del suo cuore.
Lui sa come
morirò.
Dopotutto, il passato del Dottore era il futuro di
River. Non era lui il solo a doversi trattenere dall’incappare in qualche
spoiler. Aveva provato a porgli una domanda allusiva soltanto una volta, durante
un brunch su Lakertya. Il Signore del Tempo le aveva lanciato un’occhiata
perplessa e, dopo essersi schiarito la voce, aveva proferito che in nessun caso
avrebbe interferito con la loro linea temporale. Un modo elegante per dire che
non voleva più sentire quesiti simili.
River si sedette alla scrivania e aprì il suo diario
personale. Le pagine un tempo intonse erano sommerse di frasi tracciate con
calligrafia elegante ma frettolosa. Dopo ogni nuovo appuntamento correva a mettere nero su
bianco ogni dettaglio di ciò che era avvenuto, con il terrore di poter
tralasciare qualcosa. Un giorno – quel giorno – gli avrebbe lasciato il
diario e tutte quelle annotazioni sarebbero state del Dottore e del Dottore
soltanto. Lui non avrebbe potuto leggere nulla, ma poco importava. In quelle
righe c’era la sua vita, la vita che gli aveva donato senza riserve sin dal
primo incontro.
Il suono familiare dell’allarme la fece sobbalzare.
Scattò in piedi, si girò e lo vide. Era in piedi di fronte alle sbarre,
cacciavite sonico alla mano, come sempre. Solo quando il Dottore aprì la
serratura la donna notò che c’era qualcosa di diverso. Quella notte indossava un
completo diverso, vintage ma nuovo di zecca. Aveva persino tagliato i capelli:
sembravano decisamente più curati del solito.
«Ciao, tesoro.» Mormorò, lasciando che sulle sue labbra
si distendesse un sorriso soddisfatto.
«Buonasera a te, River!» Esclamò lui, per poi sfiorarle
il viso.
«Festeggiamo qualcosa stasera? Non ti ho mai visto così
elegante.»
Le mani affusolate del Dottore corsero a sistemare
l’immancabile farfallino, in un chiaro segno di imbarazzo. Un silenzio
inquietante calò per qualche istante.
«Oh no, no davvero. Ma voglio portarti in un posto
speciale.» Dichiarò infine. Le prese la mano e le fece un cenno d’intesa. Nel
giro di un paio di secondi stavano correndo verso il TARDIS, ridendo come
ragazzini. Uomo stropicciato, così lo chiamava Amy. River non l’aveva mai
confessato a nessuno, ma trovava che tutte le loro vite fossero
irrimediabilmente stropicciate. Era un difetto, certo, ma anche una certezza
rassicurante.
«Dove andiamo?» Domandò la donna una volta raggiunta la
cabina blu, incapace di trattenere la sua curiosità.
«Darillium! Davvero bellissimo, lo adorerai. Sai, mi sei
mancata.»
«Oggi sei particolarmente romantico. Non mi
dispiacerebbe vederti così anche in futuro.» Osservò lei con tono malizioso. Il
Dottore si irrigidì improvvisamente, come se avesse udito qualcosa di
terribilmente sbagliato. Fissò la moglie come se non la vedesse realmente: i
suoi occhi erano concentrati su un punto lontanissimo. River sentì un brivido
freddo che le correva lungo la schiena.
«Beh, non assicuro nulla, ma ci proverò!» Disse
finalmente, facendole l’occhiolino e cingendole la vita. L’atmosfera si
rischiarò e il momento parve dimenticato. Quando le loro labbra si incontrarono,
River chiuse gli occhi e desiderò che il tempo si fermasse.
River: Funny thing is, this means you've always known how I was going to
die. All the time we've been together, you knew I was coming here. The last time
I saw you, the real you — the future you, I mean — you turned up on my doorstep,
with a new haircut and a suit. You took me to Darillium to see the singing
towers. Oh, what a night that was! The towers sang, and you cried. You wouldn't
tell me why, but I suppose you knew it was time. My
time.
(Doctor
Who, 4x09, Forest of the Dead)